Limmagine-DEL- Desiderio, muzzarelli PDF

Title Limmagine-DEL- Desiderio, muzzarelli
Author Giorgia Fiorito
Course Fotografia e Cultura Visuale
Institution Università di Bologna
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L’IMMAGINE DEL DESIDERIO - FOTOGRAFIA DI MODA TRA ARTE E COMUNICAZIONE

MODA E FOTOGRAFIA

Esigenza di raccontare le idee più attraversate dalle immagini di moda parallelamente ad alcune delle poetiche più interessa sono emerse nello sviluppo del fotografico fin dalla sua nascita ottocentesca. L’idea è stata quella di seguire gli intrecci tra arte/fotografia/moda, tenendo come sfondo tre concetti chiave fondamentale p l’identità del segno fotografico: il recupero della memoria, l’esperienza del voyeurismo dello sguardo, il gioco della finzion immaginaria. La moda e la fotografia sono territori che lavorano in osmosi, attingendo l’uno dall’altro suggestioni e ispirazi che alimentano e danno forma a quegli spunti estetici che poi la cultura visuale e la ricerca artistica elaborano e rendono con La fotografia è lo strumento principale della trasformazione degli abiti e delle creazioni dei designer in Moda. La Moda, cio tale grazie all’immaginario che si costruisce, si comunica e si consolida nella sue rappresentazioni che sono, soprattutto, di fotografico. Il risultato è una ricognizione trasversale e articolata, elastica e polifonica. Nonostante l’immagine di moda sia definibile come immagine del desiderio, e dunque in sé portatrice di una valenza concettuale, si è privilegiata un’indagine c voluto rendere omaggio al modo attraverso il quale che deve pensare e ideare un servizio di moda si rivolge al grande serba della concettualità fotografica, mettendo in scena storie che si servono di alcuni degli spunti più interessanti che questo mez grado di scatenare, al di la degli effetti visivi, delle impaginazioni formali, delle sofisticate impalcature linguistiche. Si è sce così di affidare alle tre dimensioni del fotografico della memoria, del voyeurismo e della finzione la responsabilità di selezio opere e autori fino a disegnare una mappa della comunicazione fotografica della moda in grado di raccogliere le tendenze p rappresentative a partire almeno dagli ultimi due decenni del Novecento. Ma per arrivare a fare ciò si è tracciato anzitutto u percorso nella storia e nella teoria della fotografia in cui poi la pratica legata alla commissione per la moda si potesse finalm collocare e trovare senso compiuto. LA MEMORIA

Commentando il famoso reportage di moda realizzato nel 1987 in Sicilia da Ferdinando Scianna per Dolce e Gabbana, Clau Ambroise ha affermato che l’immagine della splendida modella di nome Marpessa era divenuta quella di una vera siciliana. E’ certamente la fotografia la vera protagonista di questo triplici (fotografo/designers/modella) incontro. Proveniente da una rigorosissima e impegnata attività nel fotogiornalismo, Scianna realizza a fine anni ottanta quella “contaminazione linguistica” e quel “superamento degli specifici”. Il reportage di moda di Scianna si configura come il perf tentativo di far coincidere le due vie che compongono la dimensione del recupero mnemonico in fotografia: l’album di fami l’estetica snapshot, la riesumazione nostalgica del passato “alla seconda” e la pratica performativa coinvolgente e attiva (“in seguito attraverso di esse avevo tentato un viaggio nella memoria della mia infanzia siciliana”). Tra i moltissimi riferimenti a speculazione teoriche o ad attestazioni di poetica esplicita degli artisti riguardanti in nesso Fot & Memoria, vi è quello citatissimo proveniente dalle parole di Diana Arbus, la quale sottolineò con semplicità e trasparenza nesso della filosofia della fotografia con l’idea della memorizzazione del reale. In realtà, è stato proprio l’avvento dell’era fotografica ad essersi reso responsabile di aver modificato, plasmato, il nostro concetto di memoria, dopo averla “ampliata e messa in discussione”. A metà del Novecento, uno degli artisti più rappresentativi della contemporaneità inaugurò un proge monumentale omaggio all’idea della memorizzazione del reale. È a partire dagli anni 50 che Andy Warhol iniziò a conserva dentro a scatole di cartone le reliquie del suo tempo: ritagli di giornale, fotografie, buste della corrispondenza, cartoline, bus card, album piccoli oggetti. L’immagine fotografica è la protagonista di questa prova di forza che Warhol imbastisce contro l’azione distruttrice del tempo: fototessere, polaroid, foto serigrafie, foto stampate in rotocalchi e quotidiani, copertine di riv Una specie di testamento spirituale per l’artista contemporaneo che più di ogni altro ha desiderato annullarsi nell’abbraccio massificante della macchina, che ha invidiato il potere di memorizzazione infinito del procedimento fotografico. È un po’ co Warhol avesse intuito prima di tutti che la nuova forma simbolica dell’età contemporanea, o più precisamente l’era dei com stava nel principio del database. Tutto il fotografato si configura quale immenso repertorio visivo cui attingere come da un’ e sconfinata memoria collettiva. Sulla stessa lunghezza d’onda anche Hal Foster fonda la sua architettura di sistema in un m di combinazioni ramificate o rizomatiche dunque aperte alle connessioni. Tramite la memoria si possono tenere in ordine i legami con il passato, non disperdere il contenuto degli eventi della vita, assicurare nel ricordo la certificazione di chi siamo e che cosa abbiamo vissuto. Ma la fotografia tutta posta con sé la consapevolezza e l’esigenza di bloccare, mantere una parvenza, un evento, un’apparizione per assicurarne la preservazione ricordo, per congelarne l’esistenza in un attimo. Ma quale tipo di fotografia è istintivamente più idonea a soddisfare questo esigenze? Nell’immagine fotografica-reliquia passano in secondo piano le questioni formali, mentre sono in evidenza gli as concettuali e le funzione autobiografiche e sociale. Susan Sontag aveva notato che la fotografia è un’arte elegiaca e crepuscolare, perfetta per la nostra epoca nostalgica affama monumenti e di memento mori che ci possano aiutare a entrare in concorrenza con “l’inesorabile azione dissolvente del tem più la tecnica favoriva la facilità e la massificazione dell’uso degli apparecchi fotografici, basti pensare al brevetto Kodak d George Eastman del 1888, e più la fotografia diveniva una presenza amica nella vita e nelle occasione speciale delle person tempo la memoria era affidata agli album, i veri strumenti della concettualità. La forza concettuale della fotografia resiste an quando viene trasformata in un immateriale visione intessuta di pixel e costituta da asettici, incorporei codici numerici binar

fotografia è percepita nell’esperienza quotidiana nell’immaginario collettivo, come strumento perfetto per assecondare l’esi di conservazione del reale. Tra i più lucidi assertori del potere della fotografia di ri-presentazione del reale va sicuramente ricordato André Bazin, cui notoriamentiesi deve anche la felice definizione del “complesso della mummia” come del bisogn degli uomini di combattere l’azione dissolvente del tempo grazie ad espedienti che, come la fotografia, producano un effetto temporalmente cristallizzante. Bazin ricorda che i meno eroici uomini contemporanei affidano alla fotografia il bisogno di l

traccia del loro passaggio terreno, della loro storia, della loro identità. Assolutamente convinto dell’apparentamento della tr fotografica con quanto assicuri l’ “automatismo di riproduzione” e l’ “oggettività essenziale” degli indici, Bazin saluta con soddisfazione il fatto che “se tutte le arti sono fondate sulla presenza dell’uomo, solo nella fotografia ne godiamo l’assenza” Quindi lo studioso francesce definisce il fascione della fotografia come transfert di realtà: “l’immagine può essere sfocata, deformata, scolorita, senza valore documentario, ma essa proviene attraverso la sua genesi dell’ontologia del modello; essa modello.” Bathes sottolinea che la fotografia ha “qualcosa a che vedere con la resurrezione”. Prima dell’avvento dell’era fotografica, la responsabilità principale della trasmissione delle informazioni al futuro era assicurata soprattutto dalla scrittu nulla ci permette di essere di fronte a una realtà (passata) che non è più in nostra presenza fisica quanto una fotografia. Di fr ad una fotografia proviamo la stessa forte e brutale esperienza che ci impone la relatà. Una foto come un’impronta digitale, un’orma sulla sabbia, è ciò che Roland Barthes chiama “l’emanazione del referente”, “una specie di cordone ombelicale (ch collega il corpo della cosa fotografata al mio sguardo”. La tentazione di agire in differita su una fotografia è la prova testim dell’esperienza da realtà virtuale che essa è in grado di mettere in moto in modo assolutamente istintivo. Già è stato detto che l’album di foto di famiglia è l’oggetto concettuale per eccellenza, nel senso che raccogliere e custodire foto è uno degli atti più impegnativi dell’identità del fotografico. Vissuta dunque come pezzo di realtà, la fotografia è percep istintivamente, nell’immaginario collettivo, come strumento perfetto per favorirci nell’umana e psicologica necessità di conservazione del mondo e delle sue apparizioni fenomeniche e affettive. Dice Sontag che “attraverso le fotografie ogni fam si costruisce una cronaca illustrata di se stessa, un corredo portatile di immagini che attestano la sua compattezza”. Ma del r questo era già l’uso che ne faceva a metà Ottocento Lady Filmer, signora d’epoca vittoriana al passo con le novità tecnologi sfruttava benissimo il nuovo mezzo per descrivere le sue abitudini, le sue frequentazioni, la sua dimora. I “pezzettini” fotog di realtà scrupolosamente raccolti da Lady Filmer finivano incollati sulle pagine dei suoi album a formare un complesso e v affresco autobiografico, modellato e ricreato con la fantasia ma assolutamente veritiero nell’attestazione della singola “esist Di certo, ogni forma di collezionismo è una modalità dell’ossessione. Ogni collezionista che si rispetti nutre verso gli ogget sua personale ossessione un sentimento irrazionale e quasi isterico. La seconda vita degli oggetti che entrano in una collezio una vita tutta concettuale, completamente giocata sulla dimensione affettiva e anche psichica che sono chiamati a innescare piacere, spesso tutto autoreferenziale e solitario, che mescola senso del possesso, feticismo e mania accumulatoria. Il fotogr collezionista sono entrambi mossi dalla magia del passato. L’ALMBUM DI FAMIGLIA L’evocazione della memoria dell’album di famiglia e la seduzione temporale racchiusa dentro alla fotografia hanno offerto molteplici spunti di poetica per diversi artisti contemporanei.

Christian Boltanski nel suo lavoro ha realizzato un omaggio senza precedenti alla fotografia come meccanismo proustiano rievocazione sentimentale, proprio a partire dalla sua stessa infanzia. Per Boltanski l’infanzia non è soggetto di una fredda e razionale, meccanica, rivivificazione, bensì lo stimolo immaginativo grazie al quale provocare una sorta di reminiscenza collettiva. Un vero scatenamento estetico-concettuale e non solamente un recupero del passato “tale e quale, nella sua dimen fisico-oggettiva”. Altrive Boltanski dichiara il suo interesse non verso la large memory raccontata nei libri di storia, ma piut verso la small memory distillata nei piccoli oggetti, nelle reliquie, nelle tracce triviali che permettono che una memoria indiv non scompaia: “queste memorie sono molto fragili, volevo salvarle”. Ma nel citare i piccoli oggetti, le reliquie, le tracce di memoria, l’artista francese traccia una sorta d’identikit senza incertezze dell’identità fotografica. È nella stessa pratica del r made duchampiano, che Boltanski scrupolosamente applica, che risiede la migliore attestazione di statuto ontologico della fotografia. Boltanski utilizza cioè foto giò date, prelevate dall’anonimato della sfera privata, offuscate dal passare del tempo recupera con la forza del loro poter essere nuovamente significanti, auto rivelative. Sono foto dall’aspetto famigliare e dilettantistico, in bianco e nero, sciupate e ingiallite da quel carico di tempo che le riempie di significato e di stimolazioni sensoriali. E così nel suo complesso il suo lavoro è intensamente fotografico. Basterebbe pensare a operazioni come Sans So del 1991, dove un photo-album acquistato da Boltanski al flea market di Berlino diventa un’occasione di profondo straniam mnemonico ma anche di riflessione sul presente. Quell’album, recuperato appena dopo la Guerra del Golfo, mostra delicatis scenette di vita familiare degli anni treta-quaranta del Novecento. Ma quelle serene tracce di vita radunano la storia provata alcuni futuri gerarchi nazisti. E lo schock visivo e mentale Boltanski la denuncia così: “se il mostro fosse stato diverso da no sarebbe stato più facie affrontarlo. Ma il mostro eravamo noi”.

Ancora negli anni settanta, Duane Michals, artista narrative, ha usato il potere della fotografia di rievocare la memoria pers prendendo in prestito la forza della singola o della sequenza d’immagini di interesse un discorso su una storia autobiografic Letter from my Father 1975, il più emozionante dei suoi lavori, racconta efficacemente, attraverso un’immagine, di un rapp famigliare contrastato: un padre con le mani sui fianchi guarda spazientito un giovane (il figlio che non comprende più) che distoglie invece lo sguardo lontano da quel padre che lo mortifica. Dietro, in penombra, la madre che c’è ma non sa o non p intervenire. Sotto alla foto, le parole, la lettera al padre appunto: “per quanto lontano io possa ricordare, mio padre mi ha sem detto che un giorno mi avrebbe scritto una lettera davvero speciale. Volevo mi dicesse dove aveva nascosto il suo affetto. M lui è morto, e la lettera non è mai arrivata, e io non ho più trovato il luogo in cui aveva nascosto il suo amore”.

Mario Cresci realizza Ritratti reali, un lavoro che deve essere citato in quanto omaggia l’identità del segno fotografico com

traccia per ricostruire i legami con il passato. Definito da Ando Gilardi un super-ritratto collettivo , è costituito dalla famo serie trittici realizzati a Tricarico in Basilicata tra il 1967 e 1972. Nelle immagini di Cresci, che nascevano da una reale e prolungata immersione nella dimensione quasi arcaica e dimenticata di quello spazio sociale e umano, le famiglie del paese mettono in posa, si sistemano bene in gruppo mentre uno di loro ha l’onore di tenere, ben visibile tra le mani, un oggetto fan e prezioso: la foto testimonianza del passato comune. Ogni immagine è stata scelta accuratamente dagli stessi protagonisti p

l’importanza che essa riveste per tutti. Il lavoro è stato pensato come trittico proprio perché l’artista si avvicina sempre di pi persone, fino quasi a far coincidere il margine del suo occhio meccanico con quello della vecchia foto messa in mostra. Una pratica metalinguistica concettuale certo ma soprattutto l’elaborazione raffinata della più istintiva e sincera attribuzione del di appartenenza e di riconoscimento identitario che una vecchia e sciupata fotografia di famiglia consumata dagli sguardi pu rappresentare. Ma la memoria ha continuato nel tempo ad essere un punto centrale della poetica di Cresci.

Gerhard Richter dal 1962 ha iniziato a raccogliere dentro a scatoloni immagini fotografiche ricavate da riviste e album ano mescolandole a immagini della sua storia personale, schizzi, disegni, bozzetti. Tutto ciò che Richter collezionava andava a c ciò che poi nel tempo ha preso il nome di Atlas, termine con il quale oggi si riconosce questo enciclopedico sforzo mnemon visivo allestito poi in circa 700 tavole. Ma le immagini, tratte da contesti assolutamente distanti, entrano spesso in corto circuito tra loro provocando spaesamento rapporti di senso. Eppure Atlas induce a tutto fuorché a una lettura strettamente formale: sorta di cronaca visiva degli anni a trascorsi in cui si susseguono riferimenti autobiografici (le prime tavole contengono le sue foto di famiglia in bianco e nero) famosi della storia, della politica, avvenimenti collettivi misti a microeventi familiari, scene prive di risonanza collettiva, m senza eco storica. Il pur iniziale uso propedeutico e preparatoria che il materiale fotografico raccolto poteva offrire all’attiv pittorica di Richter lascia in seguito spazio a un progetto nuovo. Un progetto in cui l’immagazzinamento del reale e della tra mnemonica deve farsi interprete della dimensione concettuale che può mettere in moto negli occhi e nella mente di chi scor quelle tavole giustamente definite da Friedel “suovenir” fotografici. Chiarisce bene Richter: “la questione della composizion poco importante. Il fascino di un’immagine sta in ciò che ha da dire, nelle informazione che contiene, e non in come lo dice Essere capaci di fare qualcosa, non è una buona ragione per farla. Ecco perché mi piace la fotografia diretta. Non pretende d nient’altro che raccontare un avvenimento”.

Hannah Hoch, dadaista, realizza negli anni 30 un operazione eccezionale di scrapbook, un album di famiglia davvero origi Nello scrapbook, costituito da materiale fotografico proveniente da riviste del tempo, secondo una collazione a montaggio cinematografico, si vedono sfilare grandi vedute paesaggistiche naturali accanto a insediamenti industriali, pattern visivi co costituiti da gruppi di atlete e ballerine, a fianco delle intense immagini di Charlotte Rudolph. Qui non ci sono foto dal perso album di famiglia, però nella poetica originalissima di Hoch questa raccolta ha veramente il senso di qualcosa che parla profondamente di lei, è un po’ il racconto del suo sguardo di artista sul mondo, amante del già fatto, come la tecnica del fotomontaggio, a cui lei fu sempre fedele nella pratica artistica pubblica, appunto prevedeva. Se da un lato certamente sia H che Richter non possono che essere legati a quella matrice inevitabile che August Sander sembra imprimere nell’ossessione repertazione, dall’altro il severo ordine tassonomico e la freddezza quasi scientifica che Sander imponeva alla sua modalità fotografica fanno sì che il suo esempio appaia più pertinente a un discorso sullo straniamento automatico del reale e sull’esaltazione dell’impassibilità dell’estetico tecnologico-fotografico. Sander non avrebbe mai ceduto alla debolezza nosta di inserire sue foto personali. Per Hoch e Richter l’accumulo giustapposto deve invece turbare, evocare, provocare, racconta Come appunto deve fare un album di famiglia.

L’americana Francesca Woodman ci ha lasciato tra gli anni settanta e il 1981(anno della sua morte), un conturbante viaggi autobiografico-fotografico popolato di luoghi così s-definiti da sembrare frutto della fantasia di un prestigiatore visionario. Woodman cominciò a mettere mano a dei lavori fotografici dopo aver acquistato presso la libreria Maldoror di Roma alcuni vecchi quaderni scolastici di fine Ottocentro e primo Novecento, dialogando con quelle scritture, la Woodman incorpora se le sue immagini, le sue grafie a quelle storie del passato che rivivono ora dentro una nuova dimensione concettuale. E quest grazie alla ricomposizione e all’innesto che, in forma di album personale, l’ex-adolescente Woodman può operare sulle stor mondi che hanno vissuto quasi un secolo prima di lei.

Sophie Calle è un artista che ha davvero reso centrale l’idea della trasposizione in arte del diario personale, al punto che i s stessi Diaries sono lavori artistici esposti in gallerie e musei. Nelle sue operazioni è contenuta la memoria delle esperienze e storie che hanno costellato la sua esistenza. Ogni lavoro nasce sempre dalla complessiva esigenza di raccontare e rendere fotograficamente concrete il maggior numero attività che la coinvolgono. C’è chi ha rilevato nella serie dei suoi lavori, tutti sempre a sfondo profondamente autobiografic l’irrefrenabile pulsione alla photo-fiction. Nei suoi lavori Sophie Calle non rivela tanto una tendenza nostalgica quanto la vo precisa e puntuale testimonianza e racconto di sé. Calle insomma “declina la sua vita in un prolungata performance”.

Franco Vaccari nel 2003 ha realizzato un video dal titolo Provvista di ricordi per il tempo dell’Alzheimer. L’artista ha racc fotografie, cortometraggi e video sulla su vita e la sua storia personale e famigliare. Ne esce un emozionante e coinvolgente percorso a ritroso, una specie di piccola ferita alla potente azione di rimozione che esercitano il tempo o la malattia, la sua p...


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