Riassunto Le mani della madre. Desiderio, fantasmi ed eredità del materno - Massimo Recalcati PDF

Title Riassunto Le mani della madre. Desiderio, fantasmi ed eredità del materno - Massimo Recalcati
Author eleonora zoccoli
Course Pedagogia interculturale e della cooperazione
Institution Università degli Studi di Milano-Bicocca
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LE MANI DELLA MADRE desiderio , fantasmi ed eredità del materno . INTRODUZIONE I recenti lavori sulla figura paterna (sul suo declino e sulla necessità di un suo radicale ripensamento "dai piedi", sempre, dico sempre, accaduto che a un certo punto della discussione si alzasse una mano - solitamente femminile - per porre la domanda: "E la madre? Perche lei non parla mai della madre, perche trascura l'importanza della madre? Cosa resta della madre nel nostro tempo? Elevando it padre a una sorta di ideale disciplinare repressivo, la cultura patriarcale aveva nello stesso tempo anche tramandato e imposto una versione della madre altrettanto ingombrante. E’ la madre del sacrificio e dell'abnegazione, la madre come destino ineluttabile dell'essere donna. L'ideologia patriarcale che oggi sta esalando i suoi ultimi e, talvolta, disperati respiri voleva ridurre l'essere della donna a quello della madre. Solo la figura della madre poteva sancire una versione socialmente accettabile; benefica, positiva, salutare, generativa della femminilità. Invece la donna disgiunta dalla funzione materna appariva come l'incarnazione dei fantasmi più maligni: cattiveria, peccaminosita, lussuria, inaffidabilita, stregoneria, crudelta. Mentre la donna che si realizzava nella matemita emendava gli aspetti più inquietanti della femminilita, la donna che rifiutava di appiattirsi sulla sola maternita rinunciando alla propria libertà portava con se lo stigma di un'anarchia pericolosa e antisociale che doveva essere redenta con gli strumenti della morale pedagogica, della psichiatria o dell'emarginazione sociale. Insomma, nella prospettiva dell'ideologia patriarcale, solo l'accesso alla maternita poteva conferire una forma di realizzazione benefica e pubblicamente accettabile della donna. E’ la versione schizoide e manichea della femminilita (madre=bene, donna=male). Scaturiscono perciò fantasmi che introducono inedite versioni patologiche della maternità; non piu quella tradizionale della madre che divora it proprio frutto, che non lascia andare la propria creatura, ma quella ipermoderna della madre che vive i figli come un handicap alla propria affermazione sociale. la scienza e it diritto mettono a disposizione la possibilità di avere un figlio senza passare dalla generazione sessuale dei corpi e prescindendo dal desiderio di maternità come evento che scaturisce da un legame amoroso. Si è affermata una nuova industria - quella della riproduzione medicalmente assistita - che ha reso it desiderio di maternita autonomo dal desiderio amoroso rivolto all'altro sesso. nel tempo in cui it senso e stato staccato dalle leggi della natura ed e stato colonizzato dalla scienza, nel tempo in cui la nozione neutra di genitore (1 e 2) sembra voler sostituire quella di padre e di madre, ha ancora senso porsi ii problema della differenziazione simbolica tra funzione paterna e funzione materna? Mel tempo in cui ii desiderio di maternità si emancipa completamente dal riferimento immediato alla madre come genitrice, come colei che mette alla luce del mondo un figlio, cosa resta della madre? Cosa resta quando diventare madre non è piu un destino naturale della donna, ma una scelta di libertà che decide i suoi tempi grazie al sostegno della scienza e del diritto? Quando sessualita e procreazione non costituiscono piu un binomio indissolubile? Due pregiudizi speculari hanno condizionato la lettura psicoanalitica della funzione materna. Da un lato, ci sono coloro che hanno identificato la madre come la prigione nella quale it bambino è detenuto e it padre come it suo liberatore necessario. In questa identificazione la generativita materna viene sopraffatta da una cultura che assimila la madre al caos originario, a luogo informe, prelinguistico, indifferenziato, che solo l'intervento del padre ha it potere di ordinare e regolamentare. Dall'altro lato, ci sono coloro che hanno attribuito alla madre una funzione così esclusiva nella cura dei figli che rischiano di scivolare in un processo retorico di idealizzazione che non assegna it giusto peso alla necessità che it figlio sia sempre it frutto di Due e mai di Uno solo. La madre che sopprime la donna - come accadeva nel a versione patriarcale della maternità - o la donna che nega la madre - come accade nel tempo ipermoderno - non sono due rappresentazioni della madre, ma due sue declinazioni egualmente. La contraddizione fra la dedizione alla cura e la spinta alla propria (legittima) affermazione personale sembra rendere oggi ii mestiere della madre quasi impossibile: la cura materna entra in aperto contrasto con l'accelerazione maniacale del tempo, totalmente priva di cura, che e cifra della nostra epoca dominata dal discorso del capitalista. Le cure materne, diversamente da quello che accade in ogni ambito della nostra vita

individuale e collettiva, non sono mai anonime, generiche, protocollari, standard; non si dirà mai abbastanza dell'importanza della cura materna che non è mai cura della vita in generale, ma sempre e solo cura di una vita particolare. Questa cura non si misura con it numero di ore dedicate ai figli. La psicoanalisi ci insegna che la presenza senza parola e senza desiderio puo essere ben pia deleteria di un'assenza che magari sa anche donare (poche) parole giuste. Quel che resta insostituibile della madre è la testimonianza che può esistere ancora, nel nostro tempo, una cura che non sia anonima, una cura che ami ii particolare più particolare del soggetto, una cura capace di accogliere la "rugiada" che viene alla luce del giorno. Ed è proprio questo amore che la maternità - nonostante tutte le trasformazioni ipermoderne che ne hanno modificato la fenomenologia - ha it compito di custodire. CAPITOLO 1 il desiderio della madre Le mani Avevo nove anni. Io e mia madre nella nostra vecchia casa di Cernusco sul Naviglio, nella provincia est di Milano, situata nel retro del negozio di fiori di mio padre e dei suoi fratelli. Io e mia madre nel piccolo tinello che guardiamo la televisione. Un film per la tv in bianco e nero tratto da un episodio di cronaca: una madre trattiene per ore nelle sue mani le mani del suo bambino che, giocando sul terrazzo all'ultimo piano di un grande palazzo, era rimasto aggrappato alla ringhiera del balcone. E questo it ricordo che non mi ha lasciato per tutti questi anni: una madre trattiene nel-le proprie mani le mani del figlio sospeso nel vuoto. rivede il film la madre di torino dell’anno del 1968. La trama è, nelle sue linee essenziali, come me la ricordavo: un bambino di circa quattro o cinque anni, quindi in eta prescolare (perche lo ricordo camminare ancora incerto, come se ne avesse meno di due?), mentre sta giocando a sparare a un aereo che sorvola cielo, cade nel vuoto dall'ultimo piano del grande palazzo restando appeso miracolosamente alle sbarre della ringhiera. La madre, accortasi della sua assenza, lo soccorre immediatamente afferrandolo saldamente nelle sue mani. CI SONO ALCUNI PUNTI DEI FILM CHE LUI RICORDAVA DEI PARTICOLARI DIVERSI. I due appaiono isolati dal resto del mondo; l'uno attaccato all'altra, senza speranza (perche ricordo la disperazione reale del figlio e della madre, mentre la recitazione degli attori e scialba, priva di ogni autenticita al punto che, rivedendola oggi, mi appare al limito della farsa?). Poi un barista volge casualmente lo sguardo in alto, incrociando it corpo penzolante nel vuoto del bambino, e allarma i passanti e i pompieri. Ricordavo correttamente anche it lieto fine: la madre e it figlio vengono salvati dal gesto coraggioso di un operaio dell'officina vicino a casa che anticipa it soccorso dei pompieri e rende inutili i goffi tentativi di aiuto della gente del quartiere. E’ it momento - che ricordavo anch'esso perfettamente - in cui la madre si accascia lentamente a terra tenendosi le mani nelle mani ormai irrigidite dalla fatica. Resta valida la domanda iniziale: cosa giustificava la permanenza ostinata, nella mia memoria e nelle sue distorsioni, di un ricordo simile? La coppia madre-bambino del film raddoppiava quella composta da me e da mia madre mentre vedevamo it film? Più radicalmente, oggi posso pensare che in quella scena la madre sia una presenza capace di alleviare l'angoscia, di sottrarre la vita all'abbandono assoluto in cui e gettata. Perche non ho mai dimenticato la madre di Torino? Provo a rispondermi pensando innanzitutto di essermi sentito tante volte sospeso nel vuoto come è accaduto a quel bambino e molte volte ho chiamato a sostenermi, nella solitudine di quel vuoto, le mani di chi amavo. La vita non viene alla vita tenendosi, aggrappandosi, affidandosi sempre alle mani dell'Altro? Madre non è forse it nome che definisce le mani di questo primo Altro che ciascuno di noi ha invocato nel silenzio del suo vuoto? Nascere non è sempre essere presi dalle mani dell'Altro? ANCHE SE NON RICORDA I NOMI DEI PROTAGOSTI (PER QUESTO LI CHIAMA MADRE E FILGIO) L’ IMMAGINE PRINCIPALE E’: le mani della madre di Torino afferrano quelle del figlio sospeso nel vuoto. E’ una metafora dell'Altro che risponde al grido della vita non lasciandola cadere nell'insignificanza, ma offrendole un sostegno senza it quale precipiterebbe nel vuoto. Ecco quello che la madre di Torino ha inciso indelebilmente in me e che oggi ritrovo: la resistenza silenziosa, l'offerta delle proprie nude mani, l'ostinazione a non lasciare la vita sola e senza\speranza, it dono di una presenza che non svanisce. Le mani non sono forse it primo volto della madre? in una condizione di "prematurazione", "impreparazione", "frammentazione",

"inermita", "abbandono assoluto", in una condizione di insufficienza, di vulnerabilità, di esposizione al non-senso del reale, occorrono innanzitutto le mani dell'Altro - la presenza dell'Altro - per custodire quella vita, proteggerla, sottrarla alla possibilità della caduta. La vita in quanto vita umana ha necessità di incontrare queste mani, le nude mani della madre, le mani che salvano dal precipizio dell'insensatezza. le mani della madre di Torino ci ricordano una funzione essenziale della maternità che nessun cambiamento storico potrà mai cancellare: la madre e it nome dell'Altro che non lascia che la vita cada nel vuoto, che la trattiene nelle proprie mani impedendole di precipitare; e it nome del primo "soccorritore". E’ un punto nodale di questo libro: quello che qui chiamo "madre" non corrisponde necessariamente al-la madre reale intesa come la genitrice biologica del figlio. Già per Freud, "madre" e it nome della prima fi-gura dell'Altro che si occupa di una vita umana che riconosce come sua creatura. Questo significa che "madre", al pari di "padre", sono figure che trascendono it sesso, it sangue, la stirpe e la biologia. "Madre" è it nome dell'Altro che tende le sue nude mani alla vita che viene al mondo, alla vita che, venendo al mondo, invoca it senso. L'attesa La maternità è una grande figura dell'attesa. E un altro insegnamento che possiamo ricavare dalla madre di Torino: attendere, non lasciarsi sopraffare dal tempo, resistere, non essere bruciati dall'impazienza. La maternità è un'esperienza radicale dell'attesa perche mostra come l'attesa non sia mai padrona di cio che attende. Ogni vera attesa è, infatti, attraversata da un'incognita: non si sa mai cosa o chi si attende, non si sa mai come sara it tempo della fine dell'attesa. L'attesa scompagina it gia conosciuto, it gia saputo, it gia visto sospendendo ogni nostro ideale di padronanza. Una quota di incertezza attraversa sempre l'attesa dell'Altro anche quando crediamo di conoscerlo bene: sara ancora l'Altro che conosco, che credo di conoscere, che ho imparato a riconoscere? Quella della madre non è la semplice attesa di un evento che puo accadere nel mondo, ma di qualcosa che, sebbene lei lo porti con se, dentro di se, in se, nel proprio ventre, nelle proprie viscere, appare come un principio di alterità che rende possibile un altro mondo. L'attesa è una figura profondissima della maternità perche rivela che it figlio viene al mondo come una trascendenza incalcolabile, impossibile da anticipare, destinata a modificare it volto del mondo. La madre vive nell'attesa - nella pazienza dell'attesa - custodendo it suo frutto sconosciuto a se stessa. Una divisione interna che non colpisce it padre, it quale puo solo osservare dall'esterno, testimoniare da fuori, da un altro luogo, quello che avviene nel corpo della donna. Solo la madre può, fare esperienza di una prossimita assolutamente straniera, di una trascendenza e di un'immanenza assolute. La vita che ospita - già da prima del suo concepimento - nelle fantasie e nei sogni e un'altra vita, vita diversa, vita che, pur venendo dalla sua carne e dal suo sangue, appare fatta di un'altra came e di un altro sangue. E’ l'attesa della madre che prepara it posto nel mondo a chi è gia nel mondo senza esserci ancora. Se, solitamente, le donne conoscono meglio ii segreto dell'attesa e sanno viverla con maggior grazia rispetto agli uomini, e perche hanno fatto esperienza della maternità. Sanno cosa significa attendere la crescita di una vita, seguire i suoi primi passi, nutrirla, curarla, accudirla. Sanno che l'attesa come segno d'amore deve sospendere ogni attesa. Un corpo cresce in un altro corpo, si espande, acquista le sue forme proprie, si differenzia rivelando la sua trascendenza. E’ una delle lezioni più grandi della maternità: la vita non può autogenerarsi, non si costituisce da se, ma necessita di un Altro che, custodendola, la porti alla luce del mondo. Insieme alla vita del figlio viene nuovamente alla vita anche it mondo. questa nascita non ha solo cambiato la vita di una coppia, di una madre e di un padre, ma it volto stesso del mondo, ha fatto ricominciare it mondo. E’ it miracolo della generazione come taglio irreversibile nello scorrere del tempo, come trasformazione senza ritorno del volto del mondo. Se una madre colei che da inizio alla vita, è anche colei che rende possibile la vita di un altro mondo. II venire alla luce del figlio non è, dunque, solo it suo installarsi in un mondo che esisteva gia da prima, ma è far esistere nuovamente it mondo, e far esistere un'altra volta, ancora una volta, it mondo. Cosa significa donare it tempo? Significa attendere senza esigere, senza domandare, senza anticipare. La pazienza come dono del tempo attraversa la gravidanza e prosegue nelle cure al figlio sino al riconoscimento della sua libertà. L'accudimento materno

non sarebbe infatti possibile senza la pazienza come forma alta del spetto nei confronti della particolarità più, particolare del soggetto. il volto è un'altra figura essenziale della madre. solo grazie al volto della madre che it piccolo dell'uomo può specchiarsi, puo vedere it proprio volto, può riconoscere la propria identità. Il volto della madre funziona come un primo specchio capace di svelare la natura irriducibilmente dialettica del processo di umanizzazione della vita. Solo attraverso it volto dell'Altro posso incontrare it mio volto, solo grazie alla presenza dell'Altro posso costituire la mia vita. La teoria lacaniana dello stadio dello specchio illustra bene come l'Io si costituisca solo riconoscendo la propria immagine the lo specchio gli offre nella forma di un Altro. Per potersi riconoscere come un soggetto differenziato, deve vedersi riflesso in un'immagine di se che solo l'Altro può restituirgli. Con la teoria dello stadio dello specchio Lacan mostra come l'identita del soggetto non sorga affatto dallo sviluppo progressivo di potenzialita innate, ma dipenda fondamentalmente dalla mediazione assicurata dallo sguardo di un Altro. Il sentimento di identità è di unità del proprio corpo non si genera per una maturazione evolutiva gia programmata, ma solo grazie all'incontro contingente con lo specchio come volto dell'Altro. Con una precisazione necessaria: questo volto non è solo it volto della madre, ma it volto del mondo custodito nel volto della madre. Per la vita del figlio che viene al mondo, it volto della madre 6, infatti, la prima appa-rizione del mondo. La specularizzazione narcisistica della propria immagine fonda la possibilità di cogliere l'apertura sempre aperta del mondo, ma questa specularizzazione è resa a sua volta possibile solo dalla risposta del volto della madre come primo volto del mondo. E’ una verita che trova la sua conferma, a rovescio, nella clinica: quando it bambino ha ricevuto dalla madre risposte mortificanti, caotiche o angoscianti, it suo accesso al mondo e inevitabilmente turbato. "Non sarebbe terribile," dichiara una madre, paziente di Winnicott, "se it bambino guardasse nello specchio e non vedesse nulla?"" Se it sostegno dell'Altro non arriva, se la risposta della madre e assente o inudibile, la vita rischia di cadere, di perdere it suo sostegno necessario. Lo specchio vuoto evocato dalla paziente di Winnicott si situa nella stessa serie del silenzio che lascia rimbombare it grido della vita. Quando it volto della madre non restituisce una risposta capace di riconoscere la vita, quando la vita non si sente desiderata dal desiderio dell'Altro, non si sente voluta ma si vive come straniera, come nel caso di questa paziente, appassisce, si sente gettata via, rifiutata. In una logica diversa, un bambino con gravi problemi scolastici e con vissuti depressivi legati al fatto che sua madre, separatasi dal marito quasi subito dopo it patio, non gli dedicasse alcuna attenzione perche totalmente assorbita dai suoi impegni professionali, poteva restare per ore di fronte allo specchio continuando a fare smorfie anziche applicarsi ai suoi studi. Indugiare sulla propria immagine, dilatarla, modificarla, era un modo per provare a recuperare una certa quota di narcisismo ferito a morte dall'assoluta mancanza di interesse mostratagli dai suoi genitori. punto chiave e che i disturbi della relazione primaria con la madre coincidono sempre, non casualmente, con la possibilità per it bambino di abitare creativamente l'apertura del mondo. Quando it bambino non è accolto dallo sguardo materno, questa apertura - l'apertura del mondo - si sottrae e non si rende disponibile. Lo sguardo del bambino non ritorna a se stesso nella forma di un riconoscimento che consolida l’identità - "Tu sei questo!" -, ma si perde nel vuoto. Ogni madre risponde innanzitutto non al bambino reale, ma a quel che di se vede fantasmaticamente proiettarsi nel proprio bambino. Se quando guarda la madre it bambino vede se stesso nello sguardo dell'Altro - si vede come la madre lo vede: amabile o meno, desiderabile o meno quando una madre guarda it suo bambino vi deposita inconsciamente gran parte della sua storia di figlia. Se allora per it bambino essere amabile dipende dallo sguardo positivo e amorevole della madre, per una madre l'amabilita di un bambino puo dipendere da come ha integrato in se stessa la propria esperienza della maternità e, in particolare, it suo legame con sua madre. Cosa significa allora trasformare lo specchio in qualcosa da guardare anziche qualcosa attraverso la quale poter guardare? E una metamorfosi del rapporto con it mondo. Il mondo contiene una minaccia che dovrà essere osservata e tenuta costantemente presente. Questa preoccupazione ostacolerà it bambino nel vivere it volto della madre come se fosse lo specchio del volto del mondo dentro cui guardare. Accade anche nell'amore degli adulti: quando it volto di

chi amiamo e che conosciamo benissimo si vela, si oscura come una finestra aperta sul mondo che di colpo si chiude; allora it volto dell'Altro non è piu un mondo che rende possibile un altro mondo, un mondo nel mondo, ma qualcosa che chiude it mondo. la possibilità di accedere all'apertura del mondo dipende dall'essersi costituiti attraverso lo sguardo e it volto della madre. "Lalingua" La nascita della vita e sempre nascita del mondo, cioè nascita della lingua. In ogni nascita rinasce sempre, nuovamente, la lingua. Questa lingua non è certo quella racchiusa nel codice anonimo del linguaggio, ma una lingua, che Lacan nomina lalingua (lalangue), fatta di carne, affetti, emozioni, lallazioni, segni, suoni, gesti, bisbigli, corpo, una sorta di sciame che non risponde ancora alle leggi del linguaggio, ma che ne costituisce la materia prima sulla quale quelle leggi si applicheranno. Si tratta di una lingua del corpo, irriducibile ai suoi elementi grammaticali. Si tratta di un primo deposito stratificato di segni generatosi dalla relazione tra la ...


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