Massimo Recalcati- Il segreto del figlio Da Edipo - 2017 - R5 PDF

Title Massimo Recalcati- Il segreto del figlio Da Edipo - 2017 - R5
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Massimo Recalcati Il segreto del figlio Da Edipo al figlio ritrovato

© Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano Prima edizione digitale 2017 da prima edizione in “Serie Bianca” marzo 2017 Ebook ISBN: 9788858828083 In copertina: © Steve Lewis/Getty Images.

Quest’opera è protetta dalla legge sul diritto d’autore. È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.

IL SEGRETO DEL FIGLIO

A mio figlio Tommaso, alla sua vita.

“Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, resuscitato.” Luca, 24, 5-

INTRODUZIONE

Il nostro tempo sostiene in diverse forme la necessità del dialogo tra figli e genito come principio educativo prioritario. Di fronte al lento, sebbene traumatico, processo d erosione dell’autorità paterna che ne ha visto dissolvere ogni versione padronale, dialogo sembra aver preso giustamente il posto del comando brutale, della “voce grossa e dello “sguardo severo” che avevano caratterizzato il volto tristemente noto del padre padrone. Un cambiamento epocale è intervenuto: padri e figli si trovano in una prossimit sconosciuta sino a poco tempo addietro. I padri non sono più il simbolo della Legge, ma come le madri, si occupano anche del corpo, del tempo libero e degli affetti dei loro figl Questa prossimità – effetto del giusto indebolimento dell’autorità paterna – può esser certamente salutata come una positiva emancipazione del discorso educativo da princìp normativi eccessivamente rigidi. Mai nessun tempo come il nostro ha dedicato tanta attenzione premurosa al rapport fra genitori e figli. Il figlio assomiglia sempre più a un principe al quale la famiglia offre suoi innumerevoli servizi. Il rischio è che questa premura inedita giustifichi un’alterazion della differenza simbolica che distingue i figli dai genitori: i figli rivendicano la stess dignità simbolica dei loro genitori, gli stessi diritti, le stesse opportunità.1 In questo mod la prossimità che caratterizza il nuovo legame tra i genitori e i figli rischia di avallare un vicinanza di eguali o, peggio, una sorta di immedesimazione confusiva frutto d un’orizzontalizzazione del legame che smarrisce così ogni senso di verticalità. La retoric pedagogica del dialogo – oggi imperante – è, ai miei occhi, un effetto macroscopico d questa confusione. Lo stesso discorso vale per la parola “empatia”, divenuta egemone e imprescindibile i ogni ragionamento psico-pedagogico. Una supposizione di fondo ne sostiene un us inflazionato: parlare con i figli significa capire i figli, riconoscersi in loro, condividere loro gioie e le loro sofferenze, insomma, vivere la loro vita. Chi avrebbe il coraggio oggi sollevare obiezioni a questa rappresentazione positivamente empatica e dialogica de legame educativo famigliare? Non è questo il modello politically correct che deve esser sostenuto e diffuso? E chi, del resto, si sognerebbe di negare l’importanza del dialogo della comprensione empatica nel rapporto fra genitori e figli? In questo libro, attraverso la lettura di due celebri figli e del loro complesso rapport con i rispettivi padri – l’Edipo di Sofocle e il figlio ritrovato della parabola evangelica Luca –, si vuole problematizzare criticamente questo esito del discorso educativ ipermoderno provando a indicare l’esistenza di un’altra strada. Non quella dell valorizzazione, spesso solo retorica, del dialogo e dell’empatia, ma quella de riconoscimento che la vita di un figlio è innanzitutto una vita altra, straniera, distinta differente, al limite, impossibile da comprendere. Il figlio non è forse un mistero ch resiste a ogni sforzo di interpretazione? Un figlio non è precisamente un punto d differenza, di resistenza, di insorgenza incontenibile della vita? E non è questa la su bellezza fulgida e insieme minacciosa? Non è, la sua vita, un segreto indecifrabile ch deve essere rispettato come tale? L’enigma del figlio è ciò che inquieta il padre di Edipo, Laio – avvertito dall’oracolo ch

suo figlio sarà destinato a divenire il suo assassino e il possessore della sua sposa –, a punto da spingerlo a prendere la terribile decisione di ucciderlo. Nel mito di Edipo, Lai reagisce al suo destino di morte, per mano del figlio, esigendo la morte del figlio. Egli no è in grado di riconoscere nel figlio il mistero minaccioso e al contempo fulgido e fecond che ogni figlio è per i suoi genitori. La vita del figlio non deve forse oltrepassare quella d chi lo ha generato, non deve sancirne la morte, il tramonto inevitabile?2 L’oracolo, quand predice il destino di Edipo, non sta svelando a Laio una verità inaggirabile e universal del rapporto fra padri e figli? Il carattere “minaccioso” di ogni figlio – come quello di ogn allievo per un maestro – non è ciò che impone ineluttabilmente la morte delle propri origini, dei propri padri? Il figlio nella sua venuta al mondo non ricorda a chi lo h generato il suo destino mortale? La vita del figlio non segnala forse sempre l’illimitatezz della vita e, di conseguenza, l’incombenza della fine che essa, come Hegel aveva indicat con vigore, rivela ai suoi genitori? Questo libro prende le mosse da una rilettura delle vicende narrate nell’Edipo re d Sofocle e nella parabola lucana del figlio ritrovato, che hanno entrambe com presupposto l’intreccio dei destini dei figli e dei padri. La colpa dei padri ricade sempre s figli? L’assenza di desiderio nei genitori rende un figlio necessariamente maledetto, l esclude inesorabilmente dall’accesso al desiderio? E quale Legge viene trasmessa da un generazione all’altra? La Legge del destino che sigilla la vita del figlio come ripetizion colpevole di quella dei padri o un’altra forma della Legge che ci invita a sospendere og inesorabilità della Legge? Edipo e il figlio ritrovato indicano l’oscillazione del processo di filiazione tra questi du poli. Il figlio Edipo resta imprigionato in un conflitto simmetrico con il padre senz possibilità di soluzione: infanticidio e parricidio si corrispondono specularmente. Il padr del figlio ritrovato, diversamente da Laio, mostra invece di saper sopportare il rea incondivisibile che la vita del figlio incarna. Egli non risponde al gesto “parricida” del figli con l’odio, ma sceglie di dargli fiducia, di non ostacolare il suo viaggio. A differenza d Laio, egli mostra di non temere ma di amare profondamente il segreto assoluto del figlio Il figlio ritrovato incontra nel gesto del perdono del proprio padre che lo accoglie al su ritorno una dissimmetria che spezza ogni legame con una concezione della Legge com destino o pena inesorabile che schiaccia invece la vita di Edipo. Questo padre s riconoscere l’enigma del figlio senza esigere di risolverlo; egli si offre come una Legge cui fondamento non si trova in alcun Codice, ma solo nell’atto stesso del perdono com forma più alta della Legge, come libertà della Legge. È ciò che il figlio impara sulla su carne viva: non è l’uomo che è fatto per la Legge, ma è la Legge che è fatta per l’uomo.3 Il figlio incarna l’incondivisibile differenza della vita e la sua forza illimitata. Egli resist a ogni possibile immedesimazione empatica. Si muove nel mondo portando con sé no solo l’irriducibile differenza della sua generazione rispetto a quella dei genitori, ma anch la particolarità più inafferrabile della sua esistenza. Il dono più grande del padre dell parabola lucana – che è anche il dono più grande che ogni genitore può offrire ai prop figli – è il dono della libertà del figlio. Il padre non esige il dialogo – la comprension

reciproca –, ma riconosce il desiderio del figlio come un enigma indecifrabile. Quest indecifrabilità non è forse un’esperienza costante di ogni genitore? Ma non è proprio d qui che sorge l’amore come apertura assoluta al mistero dell’alterità del figlio? Il rispett per il segreto del figlio non indica forse che la genitorialità non è mai un’esperienza d acquisizione, di appropriazione, ma di decentramento di sé? L’amore non è empatico, no si fonda sulla comprensione reciproca, sulla condivisione, ma è rispetto per il segret assoluto dell’Altro, della sua solitudine; l’amore si fonda sulla lontananza della differenza sull’incondivisibile, sul reale inassimilabile del Due. Ciò vale nel rapporto fra genitori figli e ancora di più in ogni legame d’amore. La psicoanalisi autorizza ad affermare che legami d’amore che sanno durare nel tempo ed essere generativi sono quelli che no sciolgono mai l’enigma del desiderio dell’Altro, che sanno custodire il segreto assoluto impossibile da comprendere – dell’Altro. Solo sullo sfondo di questa solitudine, di quest enigma che ciascuno è e deve restare per l’Altro – oltre che per se stesso –, può darsi u essere in rapporto all’Altro, un essere insieme all’Altro. Osservo la vita dei miei figli crescere, diventare autonoma e farsi ai miei occhi sempr più misteriosa. Penso che questo mistero sia il marchio di una differenza che deve esser preservata e ammirata anche quando può sembrare sconcertante. Resto sempre stupit di fronte alla loro bellezza e al loro splendore come di fronte al loro disordine e alla lor indolenza. Infinitamente diversi da come ricordo la mia condizione di figlio. Eppure co incomprensibilmente uguali. Non pretendo di sapere o di comprendere nulla della lor vita, che giustamente mi sfugge e mi supera. Nel camminare fianco a fianco – nel silenzi dei nostri corpi vicini – percepisco il rumore del loro respiro come una differenz inesprimibile. È un fatto: ogni figlio porta con sé – già nel suo respiro – un segret inaccessibile. Nessuna illusione di condivisione empatica potrà mai venire a capo d questa strana prossimità. La gioia tra noi accade proprio quando l’incondivisibile che separa genera una vicinanza senza nessuna illusione di comunione. I nostri figli sono ne mondo – esposti alla bellezza e all’atrocità del mondo – senza riparo. Sono – come tut noi – ai quattro venti della vita nonostante o grazie all’amore che nutriamo per loro. Non so davvero nulla della vita dei miei figli, ma li amo proprio per questo. Sempre all porta ad attenderli senza però mai chiedere loro di ritornare. Vicino non perché comprendo, ma perché stimo il loro segreto. Milano-Noli-Valchiusella gennaio 201

Questo libro raccoglie, sistematizzandoli, i contenuti di tre diverse conferenze tenute a Bose (2016),al Teatro Parenti di Milano (2016) e al Festival biblico di Vicenza (2014).

1

Ho insistito su questo tema e, più in generale, sul rapporto fra genitori e figli nel nostro tempo, in particolare in M à

Telemaco. Genitori e figli dopo il tramonto del padre, Feltrinelli, Milano 2013. 2 È, questa, una delle ragioni che rende per un genitore insensato e traumatico – letteralmente impensabile, inconcepibi – l’evento della morte di un figlio. 3 “Non è l’uomo fatto per il sabato, ma è il sabato fatto per l’uomo”: cfr. Marco 2, 27.

Parte prima EDIPO: IL FIGLIO DELLA COLPA

“La Sfinge a Edipo: ‘L’abisso in cui mi spingi è dentro di te’.” Pie r Paolo Pasolini, Edipo r

La condizione del figlio La condizione del figlio coincide con quella dell’uomo: in una vita possiamo no diventare padri o madri, mariti o mogli, possiamo anche non avere sorelle o fratelli, m nessun essere che abita il linguaggio, nessun essere umano, può non essere figlio Questo significa che non esiste vita umana che sia a fondamento di se stessa, non esist vita umana che sia ens causa sui, non esiste possibilità di auto-generazione. La vita vien alla vita sempre da un’altra vita, è da sempre, in questo senso stretto, in debito co l’Altro. Lo stato di inermità e di derelizione in cui il figlio viene al mondo mostra in mod chiaro questa condizione di debito e di dipendenza fondamentale all’origine della vita. Pe vivere la vita umana ha bisogno della presenza dell’Altro, della sua risposta, del su “soccorso” riteneva Freud, necessita di non essere lasciata sola nell’assoluto abbandono. La condizione di figlio definisce l’umano come una forma di vita che non può esser concepita senza considerare la sua necessaria provenienza dall’Altro. Questo significa ch – nonostante quello che il nostro tempo sembra credere – nessuno mai può esser genitore di se stesso, nessuno mai può farsi da sé, nessuna vita umana è l’artefice dell sua condizione. Tutti veniamo, proveniamo, dall’Altro, siamo immersi in un processo d filiazione, in una catena generazionale: la vita umana viene sempre al mondo come vit del figlio. È una verità profonda che la psicoanalisi eredita dal cristianesimo. Ma se essere umani significa essere figli, cosa significa, a sua volta, essere figli? Per u verso, significa non essere padroni delle proprie origini: la vita umana viene al mond gettata nella catena simbolica delle generazioni, nella storia che l’ha preceduta. Esser figli significa essere generati dall’Altro, avere la propria origine nell’Altro. È il prim paradosso della condizione del figlio: egli ha vita propria, vita distinta, differente, ma no è mai del tutto padrone di questa vita perché la può ricevere solo dall’Altro in u indebitamento simbolico originario. Il processo di filiazione contiene questo paradosso: l vita umana è attraversata dalla vita dell’Altro, porta dentro di sé non solo un patrimoni genetico come marca biologica della sua provenienza, ma anche le parole, le leggende, fantasmi, le colpe e le gioie delle generazioni che l’hanno preceduta. È fatta, costituit interamente, dalle tracce dell’Altro. La vita del figlio è, dunque, vita propria, vita separata, distinta, dalla vita dell’Altro, m è al tempo stesso vita che, non potendo mai scegliere la sua provenienza, porta con s tutte le impronte dell’Altro che l’hanno prodotta. Per questa ragione, secondo Freud, bambini si cimentano con particolare predilezione nella costruzione di “romanzi famigliar attribuendosi, attraverso il gioco della propria fantasia, origini ideali: essere la figlia o figlio di re, di principi, di presidenti, di famosi scienziati. Per un altro verso, la condizione del figlio è quella di realizzarsi come erede. Essere fig significa, infatti, avere il compito di ereditare, di fare nostro ciò che l’Altro – nel bene nel male – ci ha dato. Significa riconquistare, fare davvero nostro, quello che abbiam ricevuto. La traccia non è solo un’impronta, ma un vincolo con l’Altro che deve esser ripreso in modo singolare. Questa ripresa costituisce il compito più proprio dell’ereditare In questo senso ogni figlio giusto è un erede: perché ha il compito di non ripetere, ma d

riprendere singolarmente – di soggettivare – quello che gli è stato trasmesso da chi lo h preceduto. Se la nostra origine ci precede e ci costituisce e nessuno di noi può ma impadronirsene – è quello che Lacan definiva come il “debito simbolico” dell’uomo ne confronti del linguaggio –, spetta al figlio il compito etico di soggettivare questa stess origine, ovvero di differenziarsi, proprio in questa soggettivazione, dall’Altro da cu proviene. La parola e il linguaggio Possiamo chiarire il compito dell’ereditare ricorrendo a una celebre coppia di termin valorizzata con particolare forza da Lacan: mi riferisco alla coppia “parola” “linguaggio”.4 Per parlare siamo sempre obbligati a sottometterci alle leggi del linguaggi che preesistono alla nostra parola e alle quali la nostra parola è necessariament sottomessa: la funzione della parola dipende dall’esistenza del campo del linguaggio Tuttavia, la parola che proviene dal linguaggio non può mai essere detta dal linguaggi poiché il suo evento singolare eccede sempre l’ordine statico e universale del linguaggio Il Codice della lingua determina le leggi cui la parola è assoggettata, ma l’esercizio del parola – il suo evento singolare – deborda sempre da quel Codice. Accade in mod esemplare nella poesia, dove l’atto singolare della parola stravolge la dimensione de Codice sovvertendone il fondamento. Per questa ragione Paul Celan definiva la parol poetica come una “catastrofe del linguaggio”. Ebbene, essere figli significa assumere il compito della parola rispetto all’esistenza de linguaggio e al debito simbolico che la parola eredita da quell’esistenza. Per un verso, figlio si abbevera al fiume della lingua dell’Altro – è, come direbbe Lacan, a “bagno” ne linguaggio – in quanto non può che parlare la lingua dell’Altro essendo la nostra lingu sempre, innanzitutto, la lingua dell’Altro. 5 Per un altro verso, la parola non può esser mai del tutto contenuta nel Codice; essa sguscia, esorbita, eccede la dimension universale (pre-stabilita) del linguaggio. Non c’è infatti Codice che possa ospitare anticipare la traiettoria imprevedibile della parola. Non è forse questa la condizione de figlio come giusto erede? Per un verso, la sua vita è dettata dall’Altro, essendo il figli una manifestazione dell’Altro. Egli sarebbe, infatti, nulla senza l’Altro poiché la sua vita “fatta” dalle tracce, dalle impronte, dalle marche dell’Altro. E tuttavia, per un altro verso la condizione del figlio è anche quella di trascendere quelle tracce, quelle impronte quelle marche. La vita del figlio è tenuta a rompere la rete dell’Altro introducendovi un strappo, una discontinuità assoluta e inassimilabile. La sua condizione è quella – a partir dal suo debito con il linguaggio – di rendere possibile una propria parola, di soggettivar l’evento della parola. Se l’atto della parola è sempre esposto all’interferenza dell’Altro, s non può esistere prescindendo dall’Altro, l’evento della parola esorbita dal suo camp neutro. E questo significa che, se il soggetto non è nulla senza l’Altro, non c’è, al temp stesso, nulla nell’Altro che possa definire la sua esistenza. Sono questi i due temp essenziali attraverso i quali si costituisce la vita del figlio: il primo è quello dell’Altro ch imprime sulla sua vita le proprie tracce; il secondo è quello del figlio che ha il compito d

fare proprie queste stesse tracce. Essere figlio – essere figlio giusto – significa farsi erede di quella provenienza dall’Altr che non abbiamo deciso; riconquistarla, farla nostra. Il compito del figlio è trovare l propria parola nelle leggi del linguaggio; è assumere singolarmente quello che i padri g hanno lasciato. Si tratta di soggettivare il debito che ci lega alle generazioni che ci hann preceduto. Il figlio giusto è un erede, ma è anche, sempre, un eretico perché ogni ver erede non si limita a interpretare il passato come pura ripetizione di ciò che è già stato ma riprende a suo modo il passato conferendogli un senso nuovo. Lo schiavo-messaggero Un figlio è costituito dalle tracce dell’Altro; la sua vita è costituita dalla lingua dell’Altro Lacan ha sintetizzato efficacemente questa condizione attraverso la figura dello schiavo messaggero. Nell’antichità pare esistessero schiavi-messaggeri che portavano i messagg loro affidati scritti sulla nuca rasata in modo tale da preservarne il segreto. Recapitando messaggio al loro destinatario non ne potevano quindi in nessun modo leggere contenuto. In questa figura leggendaria dello schiavo-messaggero dobbiamo leggere la condizion della figura del figlio. Ogni figlio porta sulla sua nuca rasata le tracce – illeggibili dell’Altro. Siamo sempre scritti, parlati, marchiati dall’Altro. Portiamo sulle nostre nuche l sentenze, le maledizioni, gli auspici, le speranze, i desideri e le gioie delle nostre madri dei nostri padri. Portiamo su di noi la scrittura dell’Altro senza mai poterla legger chiaramente, né decifrare compiutamente. La traccia dell’Altro non è mai univoca, no disegna un destino inesorabile, ma può essere soggetta a equivoci, malintesi, riprese possibili riscritture. È una traccia destinata a infiniti concatenamenti con altre tracce Nondimeno, il destino dell’uomo, le tracce, per Freud “mnestiche”, che egli porta scritt sulla nuca rasata, si scrivono sempre alle sue spalle. La provenienza non indica solo u evento del passato, ma come il passato continui a incidere profondamente sul presente sull’avvenire. È questo il paradosso della filiazione: le colpe dei padri ricadono sempre s figli. Ma i figli non sono mai solo il frutto di quelle colpe. Esiste una discontinuità, un scarto, un resto inassimilabile tra la colpa dei padri e l’ombra della sua ripetizione ne figli. Edipo, il figlio Lo schiavo-messaggero è prigioniero del messaggio dell’Altro. Il figlio, in quanto erede eredita la sentenza dell’Al...


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