La famiglia con il figlio disabile PDF

Title La famiglia con il figlio disabile
Course Pedagogia speciale
Institution Università degli Studi Roma Tre
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La famiglia con il figlio disabile CAPITOLO 1 “La famiglia con il figlio disabile. Le vie quotidiane dell’integrazione” Di fronte ad una diagnosi cruda, inaspettata, è comprensibile lo sgomento iniziale. Paura, vergogna, senso di colpa, rabbia, incredulità si intrecciano in un unico sentimento di rifiuto dell’evidenza. Eppure il trauma iniziale, che diventa smarrimento e disperazione nel momento in cui la diagnosi di autismo viene pronunciata. Si tratta di un percorso i cui processi cognitivi e affettivi hanno bisogno di analisi, comprensione e comunicazione, per diventare consapevolezza delle conoscenze, dei sentimenti e dei saperi. Il sapere di un genitore deve arricchirsi e integrarsi con quello medico, pedagogico e psicologico. Solo così il bambino può crescere in autostima, acquistare fiducia, affrontare e progettare la vita. la collaborazione fra famiglia e medici, famiglia e scuola è fondamentale per l’educazione e la formazione di un bambino con disabilità. Il riconoscere che l’altro ha delle competenze porta alla pedagogia della reciprocità. Spesso il genitore è molto esperto nell’educazione del suo bambino e ha un suo modo di interagire con lui. Occorre trovare delle risorse di mutuo aiuto che valorizzino la differenza tra le persone come occasione di apprendimento individuale e collettivo. Scoprire “il modo di fare differente” delle famiglie è un primo passo per costruire quella pedagogia della reciprocità. La persona con disabilità in una famiglia, stravolge i sentimenti. La disabilità, difficile da accettare, sembra divenire invisibile, eppure così: concreta e presente, comincia a dettare le regole, a generare instabilità, a mettere alla prova maternità e paternità, e in molti casi, riesce a spogliarli del loro ruolo. Riflettere può assumere il significato di fermarsi e a pensare, a ricordare, a ripercorrere quello che si è vissuto. Un modo per farlo, è quello della narrazione dove passato, presente e futuro dialogano e si integrano. Nel momento in cui i genitori e i fratelli possono superare la barriera che spesso impedisce di vedere oltre, possono incontrarsi e ridefinire la presenza ingombrante della disabilità, i legami possono diventare intimi e creativi. La capacità di osservazione, di dialogo e di empatia con il proprio figlio consente anche di ascoltare la sua voce e di prendere in considerazione il suo punto di vista, i suoi desideri, le sue intuizioni. Paura e speranza sono considerati da H.D. Johns (Analista Transazionale) i due sentimenti fondamentali a cui sono riconducibili gli altri sentimenti. La speranza è il sentimento che accompagna tutte le persone quando sono in attesa di un figlio. La speranza trova la sua stabilità nelle convinzioni e nelle decisioni che possono essere quotidianamente verificate e rafforzate in un dialogo continuo con se stessi e con il proprio partner. Nelle famiglie con un figlio disabile la costruzione della speranza richiede certamente un lavoro più complesso, e come se dovesse essere costruita due volte. La speranza dei genitori si traduce in fiducia del figlio in se stesso, nella propria capacità di vivere la vita, di farcela convivendo con la disabilità. Montuschi sostiene la necessità di lavorare su diversi elementi per poter costruire la speranza: la percezione di sé come persona, la percezione di sé come coppia, la percezione degli altri come interlocutori e la percezione degli eventi. Un sostegno significativo è senz’altro quello che la coppia riesce a esprimere, accettando “incondizionatamente” la presenza della disabilità. È interessante la chiave di lettura che la teoria transazionale dà della costruzione della personalità, in cui un ruolo centrale hanno le decisioni prese nei primi anni di vita. Struttura del copione , una previsione della propria vita decisa dalla persona sulla base anche dei messaggi genitoriali che riceve e delle risposte che da a tali messaggi. Il copione di chi vive una disabilità non è diverso da chi è senza disabilità. Una persona che ha ricevuto messaggi di sfiducia, farà più fatica a liberarsi da questa ingiunzione e probabilmente sceglierà la strada che confermerà quel messaggio oppure, si opporrà con tutte le sue forze nel tentativo disperato di dimostrare che può farcela. Una persona che cresce in un clima accettate, dove respira fiducia e dove viene sostenuta e riconosciuta sarà certamente facilitata nell’incontro con l’altro e con la società. La disabilità è considerata un evento che assume i toni della tragedia sia nel momento iniziale. L’aiuto è un Terzo occhio che offre alla situazione reale una diversa conoscenza, per accettare la delusione e per esprimerla in modo diverso dalla compiacenza o reattività. Un atteggiamento identificabile in quello che Winnicott chiama materange (una relazione che appartiene alla sfera familiare diversa per qualità, rilevanza affettiva, intensità e varietà, ma simile a quella di cura per la sua funzione di aiuto, per l’accettazione delle frustrazioni, dei bisogni e per entrare in rapporto con gli altri e con gli oggetti). Montouschi ci aiuta a capire che sia dare che chiedere, non sono azioni semplici: spesso dietro di esse si nascondono inganni di cui la persona non è consapevole. Il carattere sotterraneo e oscuro degli inganni rende difficile svelarli e uscirne. È partendo da una attenta analisi di se stessi, della propria competenza affettiva che si può arrivare a smascherarli e a evitarli. Chiedere aiuto è una azione complessa che a volte segue dei processi tutt’altro che lineari. Imparare a chiedere in modo adulto e consapevole è un punto di arrivo di un percorso accidentato. La possibilità di uscire da questo gioco è proprio l’acquisizione della consapevolezza di essere prigionieri di un meccanismo che non rende liberi di dire “ho bisogno di aiuto e di questo aiuto”.

Riconoscere ciò che si sta sentendo, dargli un nome, imparare a sentire il sentimento naturale e non averne paura è ciò che Montuschi intende per competenza affettiva. Il coraggio e la forza per superare i momenti di crisi hanno bisogno di sapere di collaborazione e di sostegno; c’è bisogno di persone qualificate, di strutturare e luoghi adeguati. La consapevolezza dei bisogni, una selezione delle esigenze, una definizione di priorità per evitare richieste confuse che finiscono per generare fraintendimenti, delusioni, amarezze. C’è altresì la necessità di incontrare persone capaci di dare l’aiuto nel modo e nel tempo giusti. Le persone che si propongono come aiutanti devono saper ascoltare l’esplicito e cogliere l’implicito. La mancanza di informazioni chiare, di percorsi facilitati è un altro dei problemi più ricorrenti. Il verbo più usato dai genitori è Lottare. Lottare per avere le cure necessarie, lottare per l’abbattimento delle barriere architettoniche, per i sussidi, le protesi; lottare per integrare i figli nella realtà scolastica e sociale. Anche il linguaggio diventa un ostacolo insormontabile. L’uso di parole chiare, calde, comprensive, discrete, delicate diventa allora un imperativo etico. Un interessante contributo è quello di Silvie Allemand-Baussier con la guida all’autonomia. In tutto il testo l’autrice insiste sul fatto che se i ragazzi con disabilità vogliono diventare autonomi e vogliono un proprio posto nella società devono darsi da fare in prima persona. In questi ultimi anni sono stati costruiti ottimi strumenti di aiuto. Uno degli aspetti interessanti di questo testo è l’invito continuo a mettersi anche dalla parte degli altri, che nell’incontro con la disabilità sono in difficoltà. La consapevolezza che gli altri non sono nemici da combattere ma alleati a cui è possibile chiedere aiuto è una tappa importante del percorso di crescita sia dei genitori sia dei figli. CAPITOLO 2 “La famiglia soggetto competente di aiuto” I processi di socializzazione e di vita quotidiana possono essere “saperi” capaci di rendere più forte e affascinante un itinerario educativo per il “benessere” e la “felicità” di chi apprende e di chi educa. Le risorse di una azione educativa integrata nascono da specifiche competenze empatiche e relazionali dell’insegnante e della famiglia. L’analisi interna della integrazione le tre variabili: informazione, normativa, formazione continua, fa da palcoscenico alla introduzione di una singolare e insolita lettura della famiglia come attore capace di interpretare e sostenere un processo di accoglienza e educazione del bambino disabile in una scuola allargata e inclusiva. La famiglia conosce e vive quotidianamente il rapporto con il bambino, sa come reagisce abitualmente di fronte alle novità. La famiglia con il figlio disabile oggi, è un campo esperienziale, è una risorsa, è un capitale cognitivo che possiamo ascoltare e interrogare con ottimismo. L’integrazione scolastica ha una storia forte e significativa e la famiglia con figlio disabile ha bisogno di scriverla, ha bisogno di sentire riconosciuto e valorizzato il valore educativo e culturale delle sue conoscenze. Considerare la famiglia, non solo soggetto da sostenere, ma anche come soggetto di sostegno, permette agli insegnanti di uscire da un campo ristretto di riflessione sul deficit e proiettarsi in mondi, esperienze che dilatano le conoscenze, sostanziano le teorie. La famiglia con figlio disabile può produrre, una nuova curiosità scientifica e umana, centrata sulla ricerca di risposte e saperi adeguati per la persona nella sua specificità. Abbiamo conosciuto tante famiglie, storie diverse che dopo i primi momenti di smarrimento hanno assunto atteggiamenti di collaborazione. Dal fondo si risale con nuova e più orientata forza. La vita cambia, cerca e trova una riconfigurazione; la scala dei valori si modifica. L’ingresso nella scuola secondaria e poi all’università o nel mondo del lavoro presenta nuovi e più critici problemi. Qui la strada, appare scoscesa generatrice di nuovi dolori. I genitori anche qui si fanno mediatori tra mondo della scuola , strutture e servizi, si sforzano di far vedere che ci può essere e c’è un altro punto di vista. Si continua la ricerca di un dialogo efficace con se stessi e con gli altri. La carenza di conoscenza della disabilità, non avere avuto neanche indirettamente esperienza, rende più difficile e lento il processo della presa d’atto. Poi piano piano la rabbia si trasforma nella determinazione a far valere i diritti del proprio figlio. I genitori sanno far emergere risorse personali che non si aspettavano di avere, mettono in campo abilità inaspettate, sviluppano capacità creative e competenze educative conquistate sul campo nella vita quotidiana. i genitori si fanno allievi, studenti, ricercatori. Si impegnano in percorsi di formazione, di studio. Acquisiscono informazioni che mettono a confronto con la realtà della proprio esperienza. la necessità di spazi per sé, per la coppia, è l’elemento ricorrente nei racconti dei genitori che abbiamo incontrato. Molte coppie di fronte alle problematiche che un figlio pone, non ce la fanno a sostenersi a vicenda. Per i genitori dei ragazzi disabili, l’associazione diventa punto di riferimento, possibilità di incontro e scambio con chi vive le stesse problematiche. Nell’associazione si sperimenta l’opportunità di aiuto a riconoscere le difficoltà, le paure, le risorse, e la consapevolezza di poter trovare risposte congruenti. I genitori riconoscono, apprezzano, quando si sentono dentro una rete sociale che li comprende, li sostiene, li aiuta. Un aiuto importante è il sostegno che viene dai progressi del figlio disabile. La presenza di un figlio disabile spesso comporta l’esposizione ad un carico emozionale e una sofferenza che sollecitano la richiesta di aiuto. Le crisi possono stimolare una capacità di maggiore attenzione all’ambiente circostante, ad osservare, ad attivare situazioni per facilitare la comunicazione a comprendere le difficoltà. I

genitori con figli disabili hanno bisogno di aiuto, hanno imparato a chiederlo, in modo specifico inseriti in reti speciali di gruppi di aiuto e servizi. Carmen Usai  è necessario riconoscere gli aiuti interni ed esterni. Per l’autrice queste famiglie hanno specifiche capacità di: a) Mantenimento dei confini familiari; b) Sviluppo di una competenza comunicativa; c) Attribuire significativi positivi alle situazioni; d) Mantenere una flessibilità familiare nel modificare ruoli e mansioni; e) Mantenere una integrazione sociale; f) Sviluppare rapporti di collaborazione con i professionisti. Costruire relazioni e alleanze, è una prospettiva da coltivare condividendo un prerequisito fondamentale, quello del rispetto e dell’apprezzamento reciproci. È un aiuto fondamentale, quello che le famiglie possono dare alle altre famiglie, un sostegno di condivisione e informazione. La capacità di dare aiuto è legata alla consapevolezza dei propri limiti, alla capacità di autocontrollo, all’umiltà. L’aiuto è efficace quando offre lo spazio con i propri sentimenti e le proprie azioni. I genitori conoscono la disabilità del proprio figlio, hanno imparato ad affrontarla senza indulgere a sterili pietismi, sanno cosa fare nelle diverse situazioni, sanno capire i bisogni inespressi. I genitori sono soggetti che, possono interagire con la scuola, in un sistema di sinergie per una collaborazione autentica orientata allo stesso obiettivo: la socializzazione e l’apprendimento dentro la scuola. L’educatore Speciale è necessario che sia preparato, cioè abbia acquisito competenze prima sui libri studiando e poi con l’esperienza pratica sul campo. L’incertezza del “dopo di noi” è la preoccupazione sempre presente nel cuore, nella mente dei genitori. L’idea della separazione definitiva dal figlio disabile tormenta i genitori. Il pensiero del futuro, quando loro non ci saranno più, diventa angosciante. Alcuni genitori guardano con fiducia al futuro. E la speranza è legata al tipo di disabilità. Ci sono disabilità complesse che hanno bisogno di ricerche specifiche e di una rete più ampia e interconnessa di aiuti. È suggestiva l’idea di una struttura centrale con i servizi riabilitativi e sociali per tutti e tante case intorno in cui vivere in autonomia. CAPITOLO 3 “La famiglia: i segreti della relazione di aiuto” È con la forza della urgenza, emergenza, di richieste di aiuto difficili e speranze che la famiglia ha fatto educazione e ha inventato progetti per sé e per i propri figli. La scrittura come strategia di sostegno e di sopravvivenza. Scrivere lo sgomento e il dolore, provare a infilare nelle parole la disperazione, l’amore e il rancore. La parola scritta obbedisce anche ad un’altra regola: struttura una distanza fra sé e l’emozione troppo forte che si è costretti a vivere. Attraverso il fluire delle parole, il dare ordine e linearità ai pensieri si attenua la pesantezza del quotidiano. La scrittura segna un processo di scoperta, di chiarificazione degli eventi di svelamento di sé a se stessi. L’esperienza acquista un senso, genera conoscenze. Le lettere, i diari, le annotazioni, la rivisitazione dei vissuti attraverso il racconto, sono tutte modalità di sostegno per chi scrive, che ha occasione di rileggere, di meditare. Il lettore di fronte all’enormità di queste parole sente di non essere solo, di non essere una persona spregevole nell’aver dentro di sé più volte rifiutato il proprio figlio, per aver pensato di non volerlo riconoscere, per aver desiderato di fuggire. Il primo “atto” che si richiede alle persone che vivono o incontrano la disabilità è l’accettazione,, un’accettazione incondizionata. Accettare vuol dire accogliere, farsi, in un certo modo, “madre”, capace di comprendere in sé il positivo e il negativo, di ricercare vie nuove, insieme. La letteratura specifica, offre il laboratorio per non rinnegare il proprio passato, pe non bruciare i propri sogni, speranze, utopie. Nascondere a sé stessi una realtà che si vorrebbe rifiutare; desiderare che la disabilità scompaia, immaginare che faccia parte di un sogno da cui ci si potrà svegliare; sono difese che un genitore costruisce nel momento in cui si trova ad affrontare una situazione traumatica, imprevista. Accettare la diversità delle persone che si amano sconvolge, causa fughe. Ci si sente profondamente traditi, ci si allontana, si maschera la realtà, la si nega. Riuscire a osservare la disabilità dall’esterno, nominarla, conoscerla per governarla, questo è il cammino da percorrere. Le testimonianze dei genitori sostengono come l’accettazione sia un lavoro, quotidiano faticoso e ambivalente con la nascosta speranza che tutto sia modificabile. Tutta la famiglia è investita dalla disabilità e vorrebbe capire di più. Ci si interroga, si ripercorrono comportamenti e azioni del periodo della gravidanza, si cercano eventuali responsabilità. Imparare a convivere con il dolore, senza lasciarsi annientare dal dolore, significa entrare in percorsi dove le certezze non ci sono, significa sperimentare osservazioni e risposte non unanimi, piene di dubbi, di vuoti e di paure. Caparbietà, pazienza, costanza sono le coordinate che guidano che crea relazioni di aiuto.

Non è facile capire quali sono i linguaggi, quali sono le vie per entrare in relazione. Spesso non sono le parole o non sono solo le parole che possono aprire spiragli per comprendere, dare risposte congruenti. Accettare di ascoltare una richiesta di aiuto significa vivere nel dubbio e nel precario: il percorso già fatto può rivelarsi, all’improvviso, pregiudizievole, le strategie adottate possono rivelarsi non più rispondenti ad una situazione mutua. Quando i genitori decidono di “assumere”, si verifica una svolta. L’assumere è un ruolo cruciale, perché la persona che assiste non si sente più sopraffatta dagli eventi. L’apprendimento conquistato attraverso l’elaborazione dell’esperienza aiuta a diminuire la paura e l’ansia. Con una ragionevolezza affettiva è più facile rimettersi in cammino, alleggeriti dalla preoccupazione di voler tutto razionalizzare e con l’ottimismo nel cuore. Lottare è il verbo più ricorrente nelle parole dei genitori e dei figli. Una lotta continua. L’esperienza di chi ha vissuto tutto questo travaglio, dice che ad un certo punto ci sarà la “rinascita”, l’accettazione incondizionata, il rispetto della persona. Ci saranno passaggi per una giusta integrazione. La relazione di aiuto, può nascere soltanto nell’accoglienza che presuppone, l’accettazione della disabilità. È un processo fatto di avanzamenti e ritorni all’indietro, di aggiustamenti e rimessa in discussione, di conquiste e di fallimenti. Accettare la propria disabilità è un momento difficile in cui più forte si esprime il bisogno di aiuto e di un aiuto connotato di sentimenti d’amore, di compassione. La famiglia oggi al centro del dibattito politico e sociale. Sebbene soggetta a cambiamenti la famiglia continua, a costruire una insostituibile risorsa per le persone, quale luogo, degli affetti, delle emozioni, dei legami, delle sicurezze, dei ricordi. Insieme alla famiglia c’è bisogno di recuperare un tessuto sociale che pare essersi fatto indifferente. La persona che si prende cura “si assume”, l’altro con la sua specificità, se ne fa carico, nella ricerca di una condivisione per un cammino comune. La presenza della disabilità nella vita di una famiglia, riconfigura la vita della famiglia, di ciascun membro della famiglia. TU PUOI. Questo è il messaggio che deve suonare sempre e in modo forte in quello spazio che separa chi prova a superare il disagio, le mancanze e chi è disponibile ad aiutare. E aspetta. L’attesa non è mai passiva. La persona con disabilità ha bisogno di essere riconosciuta anche nella sua modalità e capacità di dare aiuto. I piccoli progressi, costituiscono per la persona che aiuta un rinforzo positivo. Il pensiero di poter fuggire, di allontanarsi, di sparire che sembra essere un pensiero cattivo, un pensiero egoista, fa parte di quelli che possiamo chiamare “i luoghi del respiro” (luoghi fisici, virtuali, immaginati, fantasie che creano un salutare distacco alle situazioni difficili). La lettura può rivelarsi un aiuto efficace e continuo, un vero sostegno, perché parola per parola, aiuta a creare una distanza, ad entrare in altre realtà, altri contesti e situazioni, ma anche ad analizzare la realtà e lo svolgersi degli eventi da altre angolazioni e punti di vista. E poi c’è quel formidabile strumento di cura di sé che è la scrittura. Non si può pensare di farcela da soli. Allora bisogna imparare a chiedere, a saper formulare in modo chiaro le...


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