Le baccanti - Euripide (riassunto ed analisi della tragedia) PDF

Title Le baccanti - Euripide (riassunto ed analisi della tragedia)
Author Adele
Course Storia del teatro e della drammaturgia antica 
Institution Università degli Studi di Salerno
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Riassunto de "Le Baccanti" di Euripide, vita dell'autore e analisi di due rappresentazioni teatrali recenti ad opera rispettivamente di Luca Ronconi e di Luigi Squarzina...


Description

Le baccanti – Euripide Il tragediografo Euripide è considerato come uno degli autori di tragedie greche più rilevanti della sua epoca, sebbene abbia avuto una vita molto breve. Egli incarna una nuova generazione di autori tragici, poiché nelle sue opere riesce ad umanizzare gli eroi del mito tradizionale e dimostra un notevole interesse per il profilo caratteriale dei suoi personaggi, soprattutto quelli femminili. Introduce tematiche nuove a sfondo politico, religioso e filosofico immerse in trame complesse e ricche di colpi di scena; per questo motivo ha avuto un impatto decisivo sul teatro a lui posteriore. Egli fu un degno rivale di Sofocle, con il quale condivise lo stesso periodo storico. Seppur più giovane del suo rivale, Euripide incontra la morte pochi mesi prima di Sofocle, tant’è che quest’ultimo onorò la sua scomparsa durante la rappresentazione di una tragedia nella quale lo stesso Sofocle si vestì a lutto insieme al resto degli attori, in segno di rispetto e di commemorazione per il suo grande avversario. Da questo episodio è possibile datare con sicurezza l’anno della morte di Euripide, avvenuta nel 406 a.c. Nello specifico, l’anno seguente, nel 405 a.c, l’autore Aristofane portò in scena la commedia “le rane” al cui interno si assiste ad uno scontro tra Euripide ed Eschilo, decretando poi l’incontrastabile superiorità di Eschilo tra i due autori. Questa rappresentazione parodistica viene utilizzata per confermare l’assoluta supremazia di Eschilo come autore, mentre le opere di Euripide a confronto sarebbero state presto dimenticate. Infatti dalla tradizione drammaturgica ateniese l’autore viene visto come un fastidioso innovatore, pertanto la sua poesia non era degna di essere conservata, in quanto fortemente provocatoria nei confronti della tradizione stessa. Tuttavia con la messa in scena postuma della tragedia “le baccanti” si aggiudica la vittoria alla competizione delle Grandi Dionisie. Durante il corso della sua vita aderisce alla corrente filosofica sofista, appena stanziatasi ad Atene, che metteva al centro del suo pensiero l’uomo, la legittimità delle opinioni e il valore dei fenomeni, per cui il suo approccio era orientato verso il relativismo, all’individualismo, al razionalismo e alla messa in discussione dei quei valori ormai consolidati. Meno certa è l’anno della sua nascita, che alcuni studiosi fanno risalire al 480 a.c, anno della guerra contro i persiani. Nella fattispecie molte notizie circa la sua vita ad oggi non sono state ancora accertate, in quanto spesso contaminate da leggende. Una di queste asserisce che il poeta provenga da una famiglia di umili origini, altre invece affermano la provenienza dello stesso da una classe sociale più agiata. Un’altra leggenda è collegata con la sua infelice vita coniugale, motivo della sua presunta misoginia che sembra trapelare dalle sue tragedie. In particolare, secondo alcuni, Euripide rappresenta in modo ambiguo i suoi personaggi femminili, come ad esempio il personaggio di Medea, la quale uccide i propri figli per vendicarsi del tradimento subito da Giasone. Anche Agave, personaggio nella tragedia “le baccanti”, viene descritta nell’atto di uccidere il figlio Penteo durante la possessione del dio Dioniso che la allontana dal lume della ragione. Ed è proprio questa caratterizzazione per certi versi negativa della figura di madre che Euripide viene spesso tacciato di misoginia. L’ammontare di leggende, talvolta infondate, sul conto di Euripide, fa presagire il fatto che egli non ha goduto di grande plauso presso i suoi contemporanei, complice il suo essere profondamente provocatorio nei confronti della tradizione. L’avversione nei suoi confronti decade rapidamente con la vittoria postuma alle Grandi Dionisie, dove si portò in scena “le baccanti”, una delle sue opere più acclamate. Da questo momento in poi Euripide acquista un enorme successo, tanto che al giorno d’oggi si

conservano molte più opere euripidee che di altri autori dell’epoca; in totale sono state portate alla luce 19 opere, di cui una è la trascrizione di un testo andato perduto.

All’interno della scrittura euripidea, l’autore fa uso di tecniche espressive del tutto innovative e provocatorie, una di queste è l’utilizzo frequente del deus ex machina, nel quale sopraggiunge una divinità dall’esterno che scioglie il nodo centrale. Questa caratteristica viene introdotta, ad esempio, nella tragedia “Medea” che termina con la fuga dell’eroina, la quale riesce a salvarsi dalla vendetta dei seguaci di Teseo. Infatti l’ultima scena vede Medea sul carro alato del dio Sole, che le mostra il cadavere dei figli che la stessa, pur straziata in cuore, ha ucciso al fine di poter privare Giasone di una discendenza. La donna si dirige sul carro verso Atene lasciando il marito, ormai addolorato e straziato, a maledirla. Euripide inoltre si serve del prologo espositivo in cui egli riassume gli avvenimenti passati, che sono la causa scatenante di ciò che andrà poi a svolgersi in scena. Una delle opere in cui è possibile riscontrare questa tipologia di prologo è l’Alcesti, tragedia costituita da un prologo in cui il dio Apollo ricostruisce gli avvenimenti antecedenti e spiega il motivo per cui Tanatos si aggira nei pressi della casa di Admeto. Il prologo, tuttavia, ricostruisce gli episodi del passato secondo il punto di vita dell’autore, che molto spesso fa capo a leggende anche apocrife, piuttosto che a quelle tradizionali. Inoltre l’autore tende a contaminare vari miti tra di loro per poter inquadrare dinamiche e punti di vista che si discostano del tutto da miti e leggende ormai consolidate. Euripide, nella fattispecie, diversamente dall’autore Eschilo che ha sempre dimostrato grande rispetto per il mito o per la tradizione in quanto tale, ha un atteggiamento di tipo critico nei confronti del mito, che viene destrutturato, messo in ridicolo, alla luce di un sentimento razionalista. Osserva, dunque, il mito dall’esterno senza aderire ad una narrazione religiosa, bensì ne mette in discussione ogni aspetto utilizzando un agone dialettico tipico della filosofia sofista. Per questo motivo l’autore greco ricorre al deus ex machina, poiché dopo la totale destrutturazione del mito, risulta difficile creare una conclusione che sia quantomeno coerente con il resto della trama. Egli opta per un evento superiore al destino dell’uomo, lasciando che una divinità venuta dall’esterno chiuda la messa in scena. Grazie a queste innovazioni introdotte all’interno delle sue tragedie, Euripide è stato numerose volte oggetto di critica ed accuse che hanno scaturito uno scarso apprezzamento dei contemporanei ai suoi testi. Il giudizio viene poi rivalutato soltanto dopo la sua precoce morte. Altro elemento che caratterizza la scrittura euripidea è l’ampio utilizzo della musica, con la conseguente prevalsa dei brani sulla parola, ciò lo si percepisce dal tipo di verso adoperato dall’autore, che si adegua perfettamente anche al canto. Ciò ci permette di capire quanto Euripide fosse attento ai vari codici espressivi del suo tempo, specie in ambito musicale, infatti le sue opere tragiche furono fortemente influenzate dalle innovazioni musicali di Timoteo, grande musicista dell’epoca. Con quest’ultimo si instaurò un importante sodalizio, tanto che entrambi gli autori si influenzarono artisticamente a vicenda. Con Euripide anche la struttura stessa della tragedia subisce profonde mutazioni, nello specifico se con Sofocle ed Eschilo la tragedia manteneva una certa coerenza logica nel descrivere le azioni dei personaggi, Euripide prediligeva un montaggio di avvenimenti giustapposti, piuttosto che una struttura tragica omogenea come accadeva presso i suoi colleghi precedenti. L’Ippolito, infatti, sembra essere una tragedia euripidea suddivisa in due sezioni separate, dove nella prima andava a delinearsi la tragedia di Fedra, mentre nella seconda quella di

Ippolito, senza rispettare la struttura tragica omogenea. Anche l’Alcesti presenta questa conformazione; in un episodio si porta in scena la morte di Alcesti; a cui segue il dramma di Admeto e da ultimo la sezione dedicata ad Eracle che riporta in vita Alcesti strappandola dall’Ade. Questa frantumazione degli avvenimenti contrasta in modo violento con la tradizione precedente all’autore stesso e si riversa anche sui personaggi che in ciascun episodio mostrano nuovi lati di sé e profili psicologici differenti. Nell’Eracle, ad esempio, l’eroe dapprima viene mostrato come un personaggio dotato di grande forza ed estremo coraggio, successivamente invece diventa una belva feroce per effetto della follia indottagli dagli dèi, che lo inducono a fare strage della moglie e dei figli. Nell’ultima parte della sua carriera Euripide rifiuta l’unità d’azione, presentando trame sempre più intrecciate e complesse, ma anche estremamente romanzesche e fantasiose, come accade nella tragedia Le baccanti, dove le seguaci di Dioniso, impossessate da questa divinità, compiono miracoli di vario genere.

“Le baccanti” L’opera tragica di Euripide “le baccanti”, come già anticipato, ha una conformazione molto particolare, poiché suddivisa in due distinte sezioni: la prima è incentrata sulla figura di Penteo che va a dominare la figura del dio Dioniso, all’apparenza accondiscendente. In questa sezione, infatti, la divinità ha acquisito una forma umana per poter discendere sulla terra. La seconda parte invece è dominata da Dioniso che assume il controllo a scapito della volontà di Penteo, che in questo caso riversa in una posizione subalterna. Si tratta, in definitiva, di una tragedia il cui tema dominante è il rovesciamento dei ruoli e il rapporto di forza tra un re (Penteo) che simboleggia una figura terrena di grande importanza, nonché fiero nemico della religione dionisiaca e seguace di valori come la ragione, che funge da elemento di sostegno alla legge umana. Dall’altra parte invece figura la divinità (Dioniso) che simboleggia, al contrario, la totale perdita del lume della ragione. Egli si è recato a Tebe per compiere due operazioni che hanno come scopo il legittimare se stesso come una divinità discesa sul suolo terreno ed affermare così la propria religione, di origine orientale. Dioniso, inoltre, intende vendicarsi contro le sorelle della madre, Semele, ovvero una donna mortale amata da Zeus. Era, compagna di Zeus, provava una forte gelosia per i sentimenti che lo stesso Zeus avvertiva nei confronti di Semele. Al che Era chiede al compagno di mostrarsi alla mortale in tutta la sua potenza distruttrice, cosa che provoca la morte istantanea di Semele, poiché colpita dai fulmini di Zeus. Semele, d’altro canto, aveva due sorelle, Agave ed Ino, figlie del re Cadmo, il quale fece rinascere la razza umana seminando il terreno con denti di drago. Tra le tre fanciulle nasce un sentimento di astio nei confronti di Semele, considerata la più bella delle tre e pertanto viene osteggiata dalle altre. Semele confida loro di avere una relazione con Zeus e di aspettare un bambino, ma questa non viene creduta, infatti le sorelle sostengono che la fanciulla non sia affatto l’amante della divinità, bensì l’amante di uno straniero mortale e racconta una simile bugia semplicemente per autocelebrarsi. In definitiva l’astio nei confronti di Semele si è tramutato in vera e propria calunnia ai danni della stessa. Nel momento in cui Zeus si manifesta a Semele causandone la morte, la divinità recupera il nascituro dal grembo della madre e lo cuce all’interno della propria gamba. Il bambino prenderà, quindi, il nome di Dioniso Zagreo proprio perché cresciuto dalla coscia di Zeus. L’autore Euripide, nella scrittura

di questa magnifica opera tragica, attinge alla tradizione mitologica riguardante la vita di Dioniso scegliendone le leggende più favolistiche, prendendo anche in considerazione le tradizioni primitive relative al culto dionisiaco e che consistevano perlopiù in rituali orgiastici e momenti di totale abbandono della ragione. I seguaci di Dioniso conducevano riti anche molto violenti dove gli adepti, posseduti dalla divinità, perdevano il controllo delle loro menti per compiere una vera e propria regressione primitiva ed acquisendo, al contempo, poteri magici straordinari. La compagnia religiosa di Dioniso, composta in prevalenza da donne, era solita riunirsi nel bosco e nutristi di animali che venivano sbranati a mani nude dalle cacciatrici. Le carni degli animali violentemente uccisi venivano consumate crude e grazie a ciò le sacerdotesse erano in grado di compiere miracoli di ogni genere. La natura, in risposta, riconoscendo le menadi come parte di se stessa, produceva loro ogni tipo di bene. Il culto dionisiaco, in definitiva, si rifà ad una serie di riti fortemente sanguinolenti e macabri, in contrasto con la religione olimpica che ha una dimensione molto più armoniosa. Essa è ampiamente seguita da Penteo che tenta di farla prevalere all’interno della città di Tebe; Dioniso pertanto si reca in città non solo per vendicare la madre, ma anche per affermare il proprio culto. La nuova religione dionisiaca viene percepita agli inizi come straniera, per cui fatica ad insediarsi a Tebe, tale conflitto culturale è messo in scena da Euripide all’interno del prologo, interamente recitato da Dioniso. Con le sue parole Dioniso ricostruisce il percorso che la propria religione ha fatto prima di approdare in Grecia, essa infatti ha origine in oriente, ma il suo percorso giunge in differenti paesi che ne vanno ad arricchire i miti e i costumi, per poi arrivare, da ultimo, in terra greca dove però viene guardata con sospetto dalla civiltà ellenistica. Euripide è forse uno degli autori greci che più di tutti attacca con violenza le tradizioni mitologiche ormai consolidate, questo perché la sua formazione culturale è ampiamente influenzata dalla filosofia sofista, che gli permette di assumere posizioni di carattere critico nei confronti della fede religiosa. Ciononostante, inserisce una tematica a sfondo religioso in questa sua ultima tragedia per poter analizzare al termine della sua carriera la propria posizione riguardo la religione in quanto tale. Di tutte le sue tragedie pervenute fino ai nostri giorni, Le baccanti è l’unica che ha come protagonista Dioniso, dio tutore di ogni teatro e al quale ogni autore in genere si rivolge. È interessante vedere come il dio Dioniso appaia in una tragedia di Euripide, autore che con grande coraggio demistifica ogni tradizione mitologica e religiosa vigente in Grecia, alla luce della sua formazione di stampo sofista. Nel prologo Dioniso afferma le ragioni per cui è disceso sulla Terra e mette al corrente gli spettatori delle sue intenzioni. Nel suo discorso nomina anche Penteo, figlio di Agave, ed asserisce che il re si trova in guerra con il dio stesso. Penteo, infatti, è un razionalista che non crede negli dèi, bensì negli uomini e nelle leggi che li governano. L’aspetto mitologico di Dioniso è assimilato ad un toro o ad un leone, entrambi simboli di forza, ma nella sua discesa sulla Terra, acquista sembianze antropomorfe al fine di poter portare a termine i suoi obbiettivi. Per tale motivo ha condotto dall’oriente un gruppo di seguaci, le baccanti, conducendole nella città di Tebe. Egli inoltre ha preso possesso delle anime della popolazione femminile, tra cui anche Agave e le ha condotte a ridosso del monte Citerone, che sovrasta Tebe e dove le menadi celebrano i propri riti. Al termine del prologo espositivo, entra in scena il coro, composto dalle stesse baccanti.

I episodio

In questa prima parte dell’opera entrano in scena l’indovino Tiresia, che da sempre abita Tebe e il vecchio re Cadmo, che ormai in età avanzata, lascia la corona a Penteo. Tra i due personaggi si ha un confronto in cui entrambi rivelano un certo interesse per il culto dionisiaco ed intendono accettarlo al pari della classica religione olimpica. Euripide, con tale episodio, è come se volesse mettere in guardia lo spettatore dalle sue credenze razionalistiche e, attraverso i personaggi di Cadmo e Tiresia, incoraggiare gli uomini al rispetto di un culto particolare, benché diverso dal proprio. Entra poi in scena Penteo, il quale annuncia che le donne di Tebe hanno lasciato le loro abitazioni per riunirsi ad onorare una nuova religione straniera. Per questo motivi egli intende ripristinare l’ordine a Tebe sconvolto dall’avanzare del culto Dionisiaco, il quale permette alle donne di trasgredire ogni regola e agli uomini di inebriarsi oltre ogni misura. Penteo, notando sia Cadmo che Tiresia con indosso gli abiti tipici del culto dionisiaco, si prende gioco di loro a causa della adesione a questa nuova credenza che si sta pian piano insediando in città. A causa di continue prese in giro da parte di Penteo, tra i tre personaggi si apre un serrato confronto dialettico dove ognuno dei presenti manifesta apertamente il proprio punto di vista. In questo modo si conclude il primo episodio, a cui sussegue il primo stasimo, composto da un coro di baccanti, le quali eseguono un canto che fa capo ad un particolare tipo di metrica. Euripide infatti in questa tragedia introduce una varietà ritmica che rispetta le nuove regole in ambito musicali messe in luce dal grande musicista Timoteo, il quale da vita ad una ricchezza musicale inedita fino a quel momento.

II episodio Il secondo episodio vede l’assoluto trionfo di Penteo su Dioniso, il quale si è lasciato ammanettare. In questo momento tra i due si apre una fase di sticomitia, dove i protagonisti recitano un verso ciascuno in maniera alternata; era considerato come un modo per manifestare allo spettatore la bravura degli attori i quali, allo stesso tempo, andavano a toccare alti livelli di drammaticità. Al termine di questo confronto dove i due esprimono reciprocamente i loro differenti punti di vista, subentra nuovamente il coro di baccanti (secondo stasimo) che fa presagire al pubblico il rovesciamento dei ruoli tra Dioniso e Penteo.

III episodio Durante questo episodio si verifica il rovesciamento dei ruoli, infatti inizialmente Dioniso versava in una posizione subalterna, poiché viene ammanettato da re Penteo, in questo momento però la divinità riesce a liberarsi dalla prigionia a cui è stato sottoposto e al contempo capovolgere i rapporti di forza. Dioniso con molta facilità riesce a fuggire dalla prigionia dell’avversario lasciandolo completamente meravigliato di quanto facilmente sia riuscito a sfuggirgli. Al che lo stesso Penteo apre un secondo dibattito con la divinità dove i due ancora una volta espongono le proprie idee del tutto contrastanti: Penteo infatti continua a difendere il suo pensiero alla luce del rispetto degli uomini e della legge che li governa. Dall’altro lato Dioniso si dimostra propenso verso il suo stesso culto che permette ai suoi adepti di far perdere loro il senno. Il confronto viene interrotto da un messaggero che informa Penteo degli avvenimenti appena conclusisi sul Citerone: un gruppo di baccanti vengono colte nell’atto di compiere riti innaturali ormai assopite dalla possessione del dio Dioniso,

queste infatti sono in grado di allattare cerbiatti, far venir fuori dalla terra beni di ogni genere come latte, miele, vino e cibarsi di carni crude. Penteo, ascoltando le parole del messaggero e incuriosito dagli episodi accaduti sul Citerone, decide di dirigersi vero il monte con indosso vesti da donna al fine di non essere riconosciuto dalle menadi.

IV episodio Penteo, una volta arrivato sul Citerone con abiti femminili tipici delle sacerdotesse dionisiache che la divinità stessa procura lui, assiste furtivamente ai riti delle menadi. In questa parte della tragedia l’autore Euripide decide di mettere in ridicolo Penteo, assiduo seguace della razionalità, facendolo travestire da donna, pertanto è come se diventasse l’alter ego di Dioniso. Infatti, quest’ultimo nel prologo sembra acquisire una dimensione bisessuale poiché viene descritto con lunghi ricci biondi, un tratto tipicamente femminile, allo stesso modo Penteo decide di indossare abiti femminili per assistere di nascosto ai riti dionisiaci che si stanno verificando sul Citerone. Egli diventa a tutti gli effetti un totale burattino nelle mani di Dioniso e, al fine di poter guardare meglio i rituali, si nasconde sopra un albero molto alto. Il dio, a questo punto, lo colpisce facendo piegare l’albero su cui Penteo è post...


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