Linguistica Italiana PDF

Title Linguistica Italiana
Author Alessio Cudia
Course Mediazione Lingiustica
Institution Università degli Studi di Milano
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1° anno; 2° semestre Date esami: Modalità d’esame: orale o scritto; italiano; /30 Docente: Giuseppe Sergio Appunti: Alessio Cudia Bibliografia: Elementi di Linguistica Italiana, Ilaria Bonomi; Le italiane e l'italiano: quattro studi su lingua e genere, Stefano Ondelli.

LINGUISTICA ITALIANA _______________________________________________________________________________________

Introduzione La linguistica italiana è una disciplina che studia il linguaggio italiano in tutte le sue manifestazioni. Il corso di linguistica italiana cade in un momento storico della nostra lingua molto importante: l’italiano sta cambiando molto velocemente, a una velocità del tutto nuova; si avverte una esigenza di norma linguistica e una descrizione a questo cambiamento. Per entrare più nel dettaglio all’interno della linguistica italiana, è necessario in via preliminare fare due macrodistinzioni, distinguendo quindi:  

Linguistica sincronica: studio della lingua che la considera in un preciso momento storico (ad esempio lo studio della lingua italiana alla fine del ‘700 a Milano) Linguistica diacronica: studio dell’evoluzione della lingua nel tempo. Il termine ‘diacronia’ deriva dal francese diachronie, che a sua volta deriva dall’unione delle parole greche DIA e CHRONOS. Ricercando il termine ‘diacronia’ su un dizionario etimologico del 1999, si potrà notare che la prima attestazione di questa parola in un testo scritto risale al 1942. Ricercando lo stesso termine in un dizionario molto più recente come lo Zingarelli, invece, la prima data di attestazione sarà il 1919. Ad avere ragione è ovviamente lo Zingarelli poiché più recente: le date di prima attestazione sono sempre relative, non è detto che si ritrovi in futuro un testo che contiene la parola.

Si distingue poi: 



Linguistica interna: funzionamento ed evolversi della lingua in modo indipendente da coloro che la usano, come un sistema – si sofferma sullo studio della fonetica, morfologia, lessico, sintassi e testualità. Linguistica esterna, che indaga l’influsso del mondo esterno – società e storia – sulla lingua: i fattori esterni sono di tre tipologie: 1. Fattori extraculturali: configurazione geografica o la conformazione del territorio in cui una data lingua è utilizzata. Ci sono aspetti territoriali che influenzano la lingua, e tale influenza è percepita soprattutto nei toponimi (un esempio è dato dalla città di Subiaco perché la parola rinvia al latino sublaqueum e indica che al tempo lì vi era un lago). 2. Fattori culturali in senso lato: fenomeni economici o demografici, storico politici o militari. Ad esempio: il dialetto parlato nella punta estrema della Calabria è simile al siciliano, e tale somiglianza riferisce alla comune dominanza normanna – la contingenza politica ha contato di più di quella territoriale. 3. Fattori culturali in senso stretto: l’alfabetismo, la scolarizzazione, l’invenzione della stampa, la codificazione grammaticale.

Parallelamente, anche il contrario è vero, cioè la lingua può influenzare il mondo esterno: la lingua rivela chi siamo e come agiamo nel mondo, ci svela il livello di istruzione, la provenienza geografica ecc.

Assi di variazione La linguistica italiana poggia le proprie fondamenta sugli assi di variazione: essi sono immaginabili come una linea continua che unisce due varietà contrapposte. Prendendo ad esempio in considerazione l’asse diafasico, su questa linea si avrà un polo basso (italiano informale) ed un polo alto (italiano formale). Tra i due poli vi è un continuum, una continuità fra le varietà che impercettibilmente sfumano l’una nell’altra. Berruto parla in un suo saggio di un continuum con addensamenti, intendendo che sugli assi ci sia una gamma di varietà che è possibile identificare senza poterle dividere in modo netto. Gli assi di variazione della linguistica italiana sono cinque: 







Diacronia: deriva da dia (differenza) + crònos (tempo), ha quindi a che fare col fattore temporale. La lingua varia nel tempo. Solitamente gli anziani sono più legati alla lingua “antiquata” (ad esempio iscritto al posto di scritto, torpedone per pullman) mentre i giovani fanno uso di neologismi, abbreviazioni soprattutto in registri meno formali. Un esempio lampante della variazione della lingua italiana è dato da una qualsiasi edizione recente de ‘Il principe’ di Machiavelli del ‘500, in cui si propone il testo originale affiancato da una versione in italiano contemporaneo: la lingua in prosa è talmente complessa che le case editrici hanno fatto una edizione con il testo a fronte. Nonostante si tratti della stessa lingua, col tempo quest’ultima si è modificata e diversificata al punto da non essere più riconoscibile. I punti cruciali della storia della lingua italiana sono: l’affermazione letteraria delle opere delle tre corone Dante, Petrarca e Boccaccio, il cui successo è stato un cavallo di Troia per il fiorentino; la codificazione ‘500esca dall’opera delle tre corone operata da Pietro Bembo, grazie alla cui grammatica del 1525 il fiorentino dei tre autori si affermerà come lingua degli italiani; infine, la figura di Manzoni e i Promessi Sposi. Diatopia: deriva da dia + tòpos (luogo). La lingua varia in base alla zona geografica di riferimento. Ci sono particolari gruppi dialettali in cui l’Italia è suddivisa, sebbene ad oggi i dialetti e la loro influenza siano in progressiva diminuzione. Considerando i dialetti si constata che la distanza strutturale reciproca è piuttosto alta e non è di molto inferiore alla distanza che c’è tra l’italiano e altre lingue romanze: i dialetti vanno considerati come varietà linguistiche a sé stanti, perché ognuno si è sviluppato autonomamente, a seconda della zona geografica, a partire dal latino, e non dall’italiano. Questa estrema frammentazione è da considerarsi un accidente storico, culturale e politico: fino a tempi recenti l’Italia era divisa anche politicamente e ciò non ha giovato all’uniformazione linguistica del paese, la cui lingua ha percorso un doppio binario, il dialetto (prevalentemente parlato) e l’italiano (scritto e riservato ai ceti più colti). Diastratia: deriva da dià + stràtos (strato). La lingua è parlata da strati o gruppi sociali a cui i parlanti o scriventi appartengono. La diastratia poggia su diversi parametri, tra cui condizione economica (su questa base si distinguono tre livelli: ceti alti, che padroneggiano l’italiano standard, ceti bassi, che hanno una competenza attiva solo dialettale o anche dell’italiano popolare, e ceti medi, che fanno uso di italiano standard con influenze dialettali), età, sesso. Anche l’immigrazione è un parametro da tenere in considerazione: gli immigrati hanno arricchito la cultura e la lingua italiana facendo prendere una china inaspettata alla lingua. L’8,8 % della popolazione è straniera, e la percentuale cresce nei centri metropolitani – a Milano quasi 1 abitante su 5 è straniero. Diafasia: deriva da dià + phàsis (il parlare). La lingua ha a che fare con la situazione comunicativa: i fattori da tenere in considerazione in questo caso sono l’argomento del discorso, il rapporto di confidenza tra gli agenti di comunicazione e la situazione contestuale, che può ad esempio essere formale o informale. Appartengono all’asse diafasico i cosiddetti sottocodici, ossia veri e propri insiemi di termini specifici di un determinato ambito (sottocodice della moda, dello sport). A loro volta, esistono poi i sotto-sottocodici, che iniziano ad essere individuati solo recentemente. Ad



esempio, al sottocodice della medicina appartengono il sotto-sottocodice della chirurgia, dell’osteopatia, della pediatria e così via. Diamesia: deriva da dia + mésos (mezzo), riguarda quindi il canale, il mezzo attraverso cui la lingua viene usata (scritto, parlato e trasmesso). La lingua scritta presenta possibilità di riflessione su ciò che viene scritto, il destinatario può rileggere, l’unico mezzo prosodico è la punteggiatura (talvolta scorretta), si pianifica il discorso. La lingua parlata presenta una pianificazione quasi del tutto assente ma permette l’autocorrezione ed una maggiore prosodia con tratti soprasegmentali quali velocità, intonazione, ritmo, intensità, e paralinguistici, come gestualità, distanza fisica con l’interlocutore e così via. Vi è infine la lingua trasmessa: in questo ultimo canale rientrano messaggi che per essere codificati e decodificati necessitano di un apparato tecnico di trasmissione; trasmesso-parlato (radio, cinema, televisione, telefono) e trasmesso-scritto (internet, mail, SMS).

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La dimensione diacronica – Latino volgare, Scuola Siciliana e Dante Nella storia della lingua italiana si possono distinguere tre fasi:   

dalla frammentazione linguistica medievale al primato del fiorentino letterario: dalla prima documentazione di testi in volgare fino alla fine del Trecento, con la morte di Boccaccio; unificazione, norma ed espansione dell’italiano: dalla fine del ‘300 al 1861; dall’unità d’Italia all’età contemporanea.

La storia dell’italiano si può far arretrare al latino volgare, un’evoluzione del latino classico: esso è una lingua parlata nella latinità più colloquiale e vicina alle esigenze della comunicazione quotidiana, parlato solitamente dai ceti più bassi. Cicerone a proposito di ciò parlava di un “plebeius sermo”, ossia un sermo usato dalla plebe, per indicare quei costrutti che lui utilizzava coscientemente nelle lettere informali, ma che bandiva categoricamente dagli usi letterari. Questo latino volgare si trovava negli epistolari o in romanzi e fonti letterarie che volevano mimare comicamente la parlata quotidiana (ad esempio il Satyricon di Petronio), e soprattutto nelle censure delle grammatiche. Quasi per paradosso, al tempo, venivano pubblicate delle Grammatiche che mettevano a confronto latino volgare e latino classico per indicare la forma corretta, e che ad oggi sono invece un repertorio completo e ottimo di forme appartenenti al latino volgare. Ad esempio, l’Appendice della Grammatica di Probo (risalente al 3° e 4° secolo d.C.) mostra forme del latino volgare che erano considerate scorrette, che permettono di notare quanto la forma del latino volgare sia strutturalmente più vicina a quella che diverrà la lingua italiana. Un esempio è dato dalla parola ‘specchio’, che in latino classico era ‘speculum’ e in quello volgare ‘speclum’. Un importante fattore di differenziazione del latino volgare è il fattore diatopico, legato al volgare parlato nelle diverse zone dell’Impero: in un impero tanto vasto era impossibile che si parlasse un’unica lingua. Per questo motivo, la frammentazione linguistica dell’Impero Romano è all’origine delle differenze linguistiche che troviamo nelle lingue romanze (spagnolo, portoghese, catalano, occitano, franco provenzale, francese, italiano ecc.). Ne è un esempio l’esito latino “fumum”, da cui derivano il ‘fumo’ italiano, lo spagnolo ‘humo’ o il francese ‘fumeè’. Vi sono però delle eccezioni: spesso accade che a seconda del momento in cui una parola latina volgare si diffonde in una determinata zona, si possano avere esiti completamente diversi: il termine ‘comedere’, che significa ‘mangiare’, si diffonde nella penisola iberica portando al verbo ‘comer’, che si distingue quindi dal ‘manducare’ ancora utilizzato nell’Europa continentale e che ha portato quindi al ‘mangiare’ italiano, ‘manger’ francese e così via. Questi mutamenti sono studiati da una branca della linguistica chiamata Grammatica Storica, che ha il compito di confrontare i vari esiti romanzi per chiarire lo sviluppo della fonetica, morfologia, sintassi, lessico delle lingue romanze. Ad esempio, nella grammatica storica dell’italiano vi è una regola per cui quando in latino vi è un nesso consonante + l, questo si muterà in italiano in un nesso consonante + i (florem, fiore; planum, piano).

La lingua italiana non è nata da un momento all’altro. Vi è stato un lungo periodo di incubazione, uno stadio in cui il latino volgare e l’italiano hanno convissuto. Questo stadio si è concretato in una serie di testi “intermedi”, perlopiù scritture d’occasione, che sono emersi in particolare tra la fine dell’800 e il 900 d.C. Un primo esempio è il graffito nella catacomba romana di Commodilla, appartenente alla prima metà del IX secolo che recita: ‘NON DICERE ILLE SECRITA ABBOCE’. Analizzando termine per termine il graffito: 1. ‘non dicere’ è un imperativo negativo all’italiana (non + infinito – il latino classico utilizzava ne + congiuntivo imperfetto; 2. gli studiosi propendono a interpretare ‘ille’ come una delle prime manifestazioni dell’articolo determinativo ‘il’; 3. ‘secrita’: in latino esiste il termine ‘secreta’, vi è una evoluzione fonetica; 4. ‘abboce’ presenta il fenomeno del betacismo, ossia il passaggio dalla V alla B; È interessante notare come graficamente vi sia un tentativo di rendere per iscritto la pronuncia tramite un raddoppiamento fonosintattico: è evidente che la seconda ‘b’ sia più piccola poichè aggiunta solo in un secondo momento per rendere meglio l’espressione parlata. Gli studiosi concordano nel fissare la data di nascita della lingua italiana al 960 d.C., anno in cui è stato redatto il Placito Capuano, un documento notarile ritrovato a Capua, nel quale si cercava di dirimere una questione legale riguardo alla proprietà di una abbazia. E’ considerato l’atto di nascita dell’italiano poiché esso è coscientemente contrapposto al latino: si parla a proposito di un testo bilingue. Se la prima parte del documento, più formale, è redatta in latino classico, nella seconda vi è una testimonianza diretta, citata per filo e per segno, in cui subentra una nuova varietà del latino volgare molto vicina all’italiano. Tale testimonianza, tradotta in italiano con “So che quelle terre, entro quei confini che qui sono descritti, trenta anni le ha possedute il Monastero di San Benedetto di Montecassino”, è così analizzabile: 1. ‘sao’ deriva da ‘sapio’ latino che divenne ‘saccio’ in diverse zone del sud Italia; 2. le ‘k’ erano usate per rendere sulla pagina il suono dell’occlusiva velare sorda (ch); 3. vi è la dislocazione a sinistra: anticipare sintatticamente il tema del discorso e riprenderlo attraverso un’anafora il costrutto ‘kelle terre’ con il pronome anaforico ‘le’; 4. ‘sancti benedicti’: la terminazione ti-ti richiama il caso genitivo del latino. Il volgare evolve e approda nei testi letterari:  

in prosa: in Toscana si avviano scritti ai fini didattico moraleggianti con raccolte di brevi novelle; in poesia: la lingua si sviluppa dalla Scuola Siciliana.

La scuola siciliana si riunisce attorno a Federico II di Svevia all’inizio del 1200, ma all’epoca in Italia già circolavano tradizioni poetiche in lingua romanza (si erano diffuse prose letterarie in francese: i poeti provenzali erano infatti ospiti di importanti nobili famiglie italiane. Allora, i poeti siciliani imitarono la poesia provenzale sostituendo la lingua con il loro volgare siciliano: i poeti scelsero il siciliano dotandolo di un elevatissimo valore formale, usando una base sì siciliana ma innestata di molti provenzalismi, allotropi, dittologie sinonimiche. L’insieme delle poesie della scuola siciliana ci è pervenuto storicamente attraverso le trascrizioni di copisti toscani: i manoscritti originali erano perduti e la poesia fu trasmessa dai copisti toscani, i quali, però, modificavano e toscanizzavano le liriche (cambiano le vocali, 5 atone invece di 3 siciliane). Per secoli si sono quindi lette poesie siciliane pensando che i siciliani scrivessero in un determinato modo (toscaneggiante). Ciò fu scoperto solo quando si venne a conoscenza delle trascrizioni del filologo Barbieri, la cui lirica “S’eo trovasse pietanza” di Re Enzo è disponibile sia in versione originale che in quella toscanizzata. Nelle trascrizioni di Barbieri vi è anche la versione originale della poesia siciliana, con una fonetica differente. Il travestimento dei copisti lo si vede nella rima perché mentre i siciliani la volevano

perfetta, nei canzonieri toscani sono imperfette. In Toscana vennero confezionati i tre grandi canzonieri che ci hanno trasmesso la lirica antica: il Vaticano Latino 3793, il Laurenziano Rediano 9 e il Palatino 418. La poesia siciliana risale l’Italia e diviene modello per Dante e per gli stilnovisti: Guinizzelli (capostipite), Cavalcanti e lo stesso Dante innovano le tematiche amorose con l’aggiunta di elementi intellettuali e psicologici; essi assimilano e trasfigurano le forme della lirica siculo-toscana e selezionano i dati della tradizione ed elaborano una lingua raffinata, antirealistica e illustre. La nobilitazione avviene con una riduzione dei tratti locali, tendendo ad una sublimazione letteraria del tosco-fiorentino. Dante è riconosciuto per i suoi meriti letterari il “padre della lingua italiana”. Si pone alla scrittura del “De vulgari eloquentia”, il primo trattato di storia della lingua italiana tra il 1303 e il 1304; l’opera viene scritta in latino. Si tratta di una sorta di narrativa della lingua italiana, e vista la sua fede profonda, decide di far partire la storia della lingua da un episodio biblico: Adamo, unico uomo presente sulla Terra, poiché uomo è anche l’unica creatura dotata di linguaggio, proprietà che lo caratterizza. L’origine del linguaggio è ripercorsa quindi tramite il racconto biblico; è centrale, ad esempio, l’episodio della torre di Babele: secondo Dante, le lingue variano perché in origine vi fu una maledizione divina per cui gli uomini erano condannati a non capirsi reciprocamente. Il latino, secondo Dante, è una invenzione dei dotti successiva alla maledizione babelica, finalizzata a far comunicare gli uomini gli uni con gli altri. Il pensiero di Dante si è dimostrato chiaramente erroneo, ma è interessante notare come questi intuì una parentela tra lingue come il francese, il provenzale e l’italiano grazie alla somiglianza tra parole; inoltre elabora il gusto per l’osservazione concreta delle lingue tanto che farà una rassegna delle lingue al mondo allora conosciuto e in un secondo momento della sola Italia, nella quale riconosce una serie di parlate diverse. Traccia quindi la cosiddetta linea degli Appennini: divide i dialetti distinguendo ovest ed est, vedendo in un fattore extralinguistico/geografico un fattore determinante per la diversità dei dialetti. Sebbene Dante affermi che questa rassegna sia a scopo descrittivo, in realtà lo scrittore si rivolge ai dialetti con l’obiettivo di trovarne il migliore. Il miglior dialetto, secondo Dante, avrebbe dovuto possedere quattro caratteristiche: illustre, aulico, curiale e cardinale. Il verdetto è però negativo. Dante elimina sistematicamente tutti i dialetti poiché nella loro forma naturale non sono degni di essere considerati illustri. Sembra chiaro a questo punto che Dante non stia ricercando davvero una una lingua, quanto piuttosto uno stile poetico: intende utilizzare il volgare come elaborazione artistica, come strumento di comunicazione letteraria di alto livello. Dalla prima rassegna condanna i peggiori: friulano, milanese e romanesco; apprezza invece il siciliano federiciano (filtrato dai toscani a sua insaputa), scarta i volgari toscani e il fiorentino. Apprezza il bolognese di Guinizzelli. Nel Convivio arricchisce la riflessione sulla lingua. L’opera è scritta in volgare e affronta il rapporto con il latino, di cui conosce la superiorità letteraria e di cui ammette il maggior prestigio, conscio che comunque il volgare sia accessibile a un pubblico nettamente più vasto. Poco prima di scrivere il Convivio, Dante giungerà alla conclusione che la nobilitazione del volgare deve avvenire tramite la letteratura: non ci può essere una lingua senza una letteratura di supporto. L’esigenza di una letteratura porterà il poeta, nel Convivio, a modificare la sua opinione dicendo che il latino rimane comunque superiore al volgare perché usato per scopi d’arte. Rimane però una fiducia nel volgare, il ‘nuovo sole destinato a splendere accanto al latino’. Dante sostiene che affinché il volgare possa splendere deve raggiungere dignità pari al latino; possibile con il suo impiego in opere...


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