L\'ipotesi cinema, Alain Bergala PDF

Title L\'ipotesi cinema, Alain Bergala
Author Alessandro Messina
Course Cinema e arti visive
Institution Università degli Studi di Milano-Bicocca
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L'ipotesi cinema, Alain Bergala...


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IPOTESI CINEMA Cinema e arti visive (Università degli Studi di Milano-Bicocca) Jack Lang Il ministro dell’Education Nationale, propone di far entrare l’ARTE nelle scuole ma distinguendo “l’educazione all’arte” e “l’insegnamento dell’arte”. Lang ha voluto mantenere un equilibrio e l’iniziativa di tenere un ‘corso artistico’ resti il risultato di un impegno personale, volontario, da parte di insegnanti che ne esprimono il desiderio, qualunque materia insegnino. L’arte non s’insegna ma s’incontra e si sperimenta, contemporaneamente essa deve continuare ad essere libera, anarchica e in disordine. Per gli alunni e per gli insegnanti, deve essere un’esperienza di natura diversa da quella della specifica lezione. Il posto più adatto di un’incontro tra arte (tutti i tipi) e gioventù è la scuola L’arte, pur senza essere amputata dalla propria dimensione specifica, non deve dipendere dal solo insegnamento, in senso tradizionale, di una disciplina prevista dai programmi e dagli orari scolastici e affidata a un insegnante specializzato e reclutato tramite concorso. L’arte trae la sua forza e la sua novità dall’idea che ogni forma di chiusura all’interno di questa logica disciplinare ne ridurrebbe la portata simbolica e la forza rivelatrice. L’arte, se vuole restare arte, deve continuare a essere fermento di anarchia, di scandalo, di disordine. L’arte, per definizione, semina. L’arte deve essere esperienza di natura diversa da quella della specifica lezione. Quest’idea forte e nuova non ha mancato di provocare riserve e resistenze. L’istituzione ha per sua natura una tendenza a normalizzare, ad ammortizzare, ad assorbire quel tanto di pericolo che c’è nell’incontro con qualsiasi forma di diversità. Alain Bergala Sono stato salvato due volte: dalla scuola e dal cinema. La scuola mi ha salvato da un destino di ragazzo di paese. Il cinema è entrato nella mia vita nei giorni di un’infanzia triste e angosciata. Davanti alla traversata del Mar Rosso nei “Dieci comandamenti” di DeMille, fui folgorato dalla certezza che il cinema mi riguardava. Negli anni che seguirono mi sono dedicato: la scrittura, la redazione, la regia e l’educazione al cinema. Queste attività iniziarono con un progetto di introduzione al cinema per quinte elementari e prime medie. Lì misi a punto l’approccio al racconto cinematografico attraverso giochi di diapositive. L’esperienza mi aprì una nuova possibilità, quella dell’insegnamento del cinema all’università. Nel periodo tra la fine del 2000 e l’inizio del 2001, Jack Lang e Catherine Tasca vararono il piano detto quinquennale per introdurre l’arte nelle scuole in modi diversi da quelli conosciuti. L’ampia diffusione del digitale ha comportato una piccola rivoluzione per quanto riguarda i rapporti tra scuola e cinema: per la prima volta nella storia della pedagogia si è potuto disporre di un materiale tecnico leggero, di semplicissimo uso e relativamente poco costoso. Era quindi il momento ideale per formulare un’ipotesi nuova. Dal 1995 partecipavo a un esperimento d’avanguardia pedagogica alla Cinémathèque française, battezzato CINEMA CENT ANS DE JEUNESSE, che è stato il vero laboratorio e il prototipo di ciò che avrei proposto per le classi del progetto artistico cinema (o classi PAC cinema). Coinvolto in questo progetto, prima di parlare di arte nella scuola, si accerta di rivedere il rapporto tra pedagogia e cinema. il cinema è stato a lungo considerato un linguaggio e un veicolo d’ideologia. Bisognerebbe pensare il FILM come prodotto finale di un processo creativo, e il cinema come arte. Pensare il film come traccia di un gesto di creazione, non come oggetto di lettura. Guardare ogni inquadratura come il tocco del pittore, attraverso il quale è possibile capire il suo processo creativo. Vladimir Nabokov (scrittore e insegnante) ha così definito il fine che si proponeva nell’insegnamento della letteratura: Ho cercato di fare di voi dei buoni lettori, che leggano non con la tensione infantile di identificarsi nei personaggi del libro, né con la tensione adolescenziale di imparare a vivere. Ho cercato di insegnarvi a leggere i libri per la loro forma, per le loro visioni, per la loro arte. Ho cercato di insegnarvi a provare il brivido della soddisfazione artistica, a condividere non le emozioni dei personaggi del libro, ma le emozioni del suo autore, le gioie e le difficoltà della creazione. Il secondo versante sta nel rapporto tra la lettura critica e la realizzazione del film. Non esiste una pedagogia dello spettatore limitata alla lettura e all’interpretazione, ma ci può essere una pedagogia concentrata sulla creazione, sia quando si guarda un film, sia quando lo si crea. Bisogna promuovere questa “pedagogia della creazione”, all’interno della concezione del cinema come arte. LA TRADIZIONE PEDAGOGICA DEL CINEMA COME LINGUAGGIO Il cinema è stato a lungo considerato, nella tradizione pedagogica francese, soprattutto come un linguaggio, e non come OPERA D’ARTE. Le ragioni principali di questo atteggiamento sono due:

1. La prima è una COINCIDENZA STORICA. Il momento egemonico delle scienze del linguaggio (linguistica, semiologia, semiotica) ha coinciso, in Francia, con l’affermarsi dell’idea del cinema nelle scuole. La paura degli insegnanti davanti a questo oggetto nuovo, il film, al quale non erano stati educati, ha fatto sì che arroccassero su modelli d’analisi familiari e già praticati, soprattutto in letteratura. Partire da ciò che è conosciuto come via d’avvicinamento al meno conosciuto è il contrario del rapportarsi all’arte come alterità, e conduce generalmente a perdere la vera singolarità del cinema. La paura dell’alterità porta spesso ad annettere un territorio nuovo a uno vecchio, in modo colonialista, scorgendo nel nuovo soltanto ciò che già si sapeva vedere nel vecchio. Ora il cinema ha esattamente la vocazione contraria: farci condividere esperienze che, senza il cinema, ci resterebbero precluse, consentirci l’accesso all’alterità. 2. La seconda ragione che ha condotto gli insegnanti a privilegiare il cinema come linguaggio riguarda una solida tradizione francese della pedagogia laica: la priorità attribuita, ai compiti della scuola, allo sviluppo dello spirito critico dei bambini e alla risposta ideologica. L’ILLUSIONE PEDAGOGISTA è a lungo consistita nel credere che la decrittazione fosse la via maestra per sviluppare lo spirito critico infantile, a partire da brevi percorsi di analisi. Sarebbe così sufficiente fare in classe, tre volte in un anno, un’analisi ben congegnata di sequenze o di film, alla quale gli allievi abbiano visibilmente partecipato, per persuadersi che non guarderanno mai più la televisione come prima. Questo significa avere un’idea davvero angelica del rapporto di forza tra l’intervento pedagogico e la potenza ideologica dei media e dell’intero nostro ambiente di immagini e di suoni. L’illusione pedagogica consiste nel credere che le cose potrebbero svolgersi in tre fasi cronologiche chiaramente distinte (si analizza una sequenza o un’inquadratura, si giudica il film a partire da questa analisi, si costituisce una capacità di giudizio fondata sull’analisi). E’ evidente che le cose non vanno mai così: è il GUSTO, formato attraverso la VISIONE di numerosi film e le indicazioni che li accompagnano, a fondere a poco a poco il giudizio che sarà poi puntualmente esercitato nei confronti dell’uno o dell’altro film. Ed è questo giudizio che permette di vedere e di analizzare la grandezza, la mediocrità o l’abiezione di una certa inquadratura o di una data sequenza. Per cogliere la morale di un carrello occorre aver già visto molti carrelli di molti tipi diversi, ed essersi formati una cultura cinematografica. Sarebbe un’illusione credere che un’analisi formale possa attrezzare gli allievi per sempre, e permetta loro di distinguere, in futuro, un buon film da un film cattivo. Nessuno potrà mai stabilire esattamente il tempo che ci vuole per formare un gusto sul quale andranno a fondarsi, in modo durevole, i criteri del giudizio. Questo doppio approccio linguistico (rivolto alla produzione di senso) e ideologico va raramente d’accordo con un approccio sensibile al cinema come arte, nel quale la materia, le luci, i ritmi e le armonie contano almeno quanto i parametri linguistici. IL CINEMA COME ARTE Bisogna imparare a difendersi dai film, cioè considerare i film come un pericolo. Un pericolo inteso come ideologico, grosso modo: i film possono essere ambigui portatori di valori negativi, con la contropartita del piacere. Può procurare disastri profondi e duraturi: quello della mediocrità o della nullità artistica. C’è qualcosa di peggio dei film brutti, sono i film mediocri. La scuola si preoccupa volentieri dei “film brutti” che potrebbero avere un’influenza negativa sui ragazzi, ma mai dei danni provocati dalla mediocrità. Eppure la MEDIOCRITA’ è il PERICOLO più diffuso e subdolo. Oggi la scuola deve parlare dei film come opere d’arte e di cultura. Fornire agli alunni punti di riferimento e avvicinare i film, è senza dubbio oggi la vera risposta ai brutti film. E’ più che mai un’illusione pedagogica credere che poche brevi analisi siano sufficienti per rendersi conto se un film è dannoso o brutto. La formazione di un gusto, che è la sola cosa che permetta un certo distacco dai cattivi film, è oggi il problema numero uno. L’incontro con altri film e la loro frequentazione permanente è oggi la risposta contro la potenza di fuoco del cinema pop-corn. In vari casi la scuola è ben pensante: mostra volentieri dei film che abbordino con generosità qualche tema di cui si potrà poi discutere con gli alunni. Il film è pretesto al dibattito di un grande tema. Il punto è che filmare non è cercare la traduzione in immagini di idee già assodate; si tratta di cercare e pensare nell’atto stesso di fare un film. I cineasti che hanno già la risposta, e per i quali il film deve produrre e trasmettere un messaggio già acquisito, strumentalizzano il cinema. LE PETIT SOLDAT, TRAMA: Le Petit Soldat è un film del 1963 di Jean-Luc Godard. Si tratta del suo secondo lungometraggio e un successo imprevedibile, girato dopo l'uscita del Fino all'ultimo respiro. “È la storia di un agente segreto, un uomo fiero di essere francese, [...] è ancora un ragazzino, per questo l'ho chiamato ‘‘Le petit soldat”/

Bruno Forestier, un giovane appartenente a un'organizzazione terrorista di estrema destra che combatte la resistenza algerina, giunge a Ginevra dalla Francia. Come copertura per il fatto di avere disertato dall'esercito ha un lavoro da fotografo. Il capo dei terroristi neri, un deputato populista, lo incarica di uccidere un giornalista della radio svizzera, Palivoda, considerato venduto alla causa algerina. Un amico fa conoscere a Bruno una ragazza che vorrebbe fare la fotomodella e scommette 50 dollari che si innamorerà di lei; poco dopo avergli presentato Véronica, aspirante attrice, incassa la scommessa. Bruno si reca a casa della ragazza per un servizio fotografico; viene a sapere che è una russa nata a Copenaghen e che i genitori sono stati fucilati durante la guerra. Véronica dimostra interesse per lui. Il dialogo fra i due serve a esporre alcune convinzioni del regista a proposito del Cinema. Il giorno seguente Bruno si accinge a colpire Palivoda, ma una serie di casi fortuiti glielo impedisce. Deve desistere, e poco dopo viene catturato da un commando del FLN algerino che agisce a Ginevra. Rinchiuso in un appartamento viene torturato ma riesce a fuggire. Si rifugia da Véronica mentre ha ancora le manette ai polsi, e scopre che lei ha le chiavi per aprirle: anche la ragazza infatti fa parte del commando filo-algerino, però si è innamorata e ha intenzione di lasciare i complici. Ma Véronica viene a sua volta rapita dai terroristi neri, per costringere Bruno a portare a termine la missione omicida. Il ragazzo uccide il giornalista, ma scopre che per Véronica è troppo tardi: è stata torturata e assassinata dai suoi rapitori. Quando Godard, nel 1962, inizia a girare LE PETIT SOLDAT, il minimo che si possa dire è che non ha le idee chiare sulla questione algerina in quel preciso momento della guerra. Godard era un giovanotto che non sapeva cosa aveva da dire, e aveva intuito che questo tabù era il tema cruciale del momento, e che fare un film gli avrebbe forse permesso di uscire dalla sua confusione e dalle sue dubbie tentazioni. “Le petit soldat” resta ancora oggi un film ideologicamente pericoloso, in cui il messaggio non è oggi più chiaro di quanto non fosse 40 anni fa, ma in cui si vede all’opera un cineasta che ha un rispetto e una fede assoluta nel cinema e nel suo potere di pensiero e di indagine. E’ un film che è rimasto vivo, contraddittorio, irritante e affascinante, pieno di invenzioni, che, a 40 anni dalla sua realizzazione, continua a far riflettere. CINEMA E TELEVISIONE Nel sistema educativo francese, l’insegnante incaricato per il cinema avrebbe come missione principale quella di sviluppare lo spirito critico nei confronti della televisione. Niente da dire su questo, se non che un simile approccio critico alla televisione ha molto più a che fare logicamente con l’educazione civica che con quella artistica. Sfortunamente, poiché il posto del cinema è quello che è nel sistema educativo, non si capisce bene, fino a oggi, chi potrebbe incaricarsi dell’approccio televisivo se non l’insegnante competente in cinema. L’idea che impedisce ogni seria riflessione sulla questione è la falsa evidenza secondo cui un approccio al cinema potrebbe fornire gli strumenti da armare contro la televisione. E’ impossibile classificare sotto la stessa etichetta tutto quello che viene diffuso. Bisogna dividerlo in due grandi blocchi: - Quello che riguarda l’immaginario cinema (film, telefilm, documentari, pubblicità, clip) e che riprende i codici, i metodi di ripresa e di costruzione del cinema; - Quello che fa parte dei dispositivi: varietà, giochi, talk-show, telegiornali, dirette sportive, faccia a faccia politici ecc. Se c’è un immaginario televisivo, riguarda esclusivamente la seconda categoria. Questi due tipi di produzione diffusi dalla televisione fanno appello a due immaginari e due posizioni spettatoriali differenti. Gli strumenti che permettono di avvicinare il primo (il blocco cinema) non sono di alcuna utilità per analizzare il secondo (il dispositivo televisivo). Il più argomentato dei discorsi non potrà mai nulla contro la sensazione del bambino che quella trasmissione, di cui un adulto gli sta enumerando i difetti, a lui è piaciuta molto. Bisogna essere di una grande ingenuità o di una sfrenata foga pedagogica per credere seriamente che alcune misere ore di corso passate ad analizzare un dispositivo televisivo, sia sufficiente per tutta la vita a corazzare un giovane telespettatore di un inossidabile spirito critico che lo indurrà a non guardare più la televisione come “prima”, prima cioè del miracoloso intervento pedagogico. LA FOLGORAZIONE E L’ENIGMA Tutti i cinefili si ricordano del film che hanno incatenato loro addosso l’amore per il cinema. Questi film non hanno necessariamente un rapporto diretto con il cinema che avrebbero amato in seguito. Esiste per ciascuno di noi, secondo Daney, un gruppo di film FORMATORI. Daney spinge l’ipotesi fino a pensare che ci siano dei film visti troppo tardi, persi per quel che riguarda l’impatto determinante che avrebbero potuto avere su di noi se li avessimo incontrati nei pochi anni di quell’epoca di formazione decisiva: quello che non si è visto al momento giusto non lo si vedrà mai più realmente.

Quando la lista primitiva (quella indimenticabile delle prime impressioni) è chiusa per sempre, nessun film potrà mai più entrarci. Da tale constatazione deriva l’importanza di incontrare al momento giusto i film giusti, quelli che lasceranno le loro tracce per tutta la vita. Gli incontri importanti, al cinema, sono spesso quelli con film che sono un gradino in anticipo sulla consapevolezza che abbiamo di noi stessi e del nostro rapporto con la vita. Al momento dell’incontro ci si accontenta di raccogliere stupiti l’enigma e di accusarne il colpo, il potere di sconvolgere. Verrà più tardi il tempo della chiarezza, e potrà durare venti, trent’anni, o tutta una vita. Si può costringere a imparare, non a sentire. E’ un incontro che ha più a che fare con l’INIZIAZIONE che con l’apprendimento, e la scuola non potrà mai né programmarlo né garantirlo. IL RUOLO DELLA SCUOLA: 4 MOMENTI 1. ORGANIZZARE l’INCONTRO CON I FILM: mettere in atto tutte le strategie possibili perché i ragazzi vengano in contatto con film che non incontrerebbero altrove se non a scuola. Il PRIMO INCONTRO con il film richiede grandi responsabilità. 2. DIVENTARE TRAGHETTATORI: l’adulto ‘fa da traghettatore’ e abbandona il suo ruolo di insegnante ben definito per riprendere parola e contatto con i suoi alunni da un altro ‘luogo di sé stesso’, meno protetto, quello in cui i suoi gusti personali entrano in gioco, in cui l’io che potrebbe essere fatale nel suo ruolo di insegnante, diventa indispensabile a una buona iniziazione. 3. FREQUENTARE I FILM: dopo l’incontro con i film, il ruolo della scuola dovrebbe essere quello di facilitare un accesso dolce e permanente al film, e quello di iniziare i ragazzi ad una lettura creativa del film, non solo analitica e critica. La scuola deve accettare che il processo richieda tempo. La ‘prima visione’ di un film non è quella in cui si può essere più ricettivi alla percezione del film, e questo dovrebbe rasserenare gli insegnanti, poiché questa prima visione non richiede altre capacità se non quella di stare attenti a ciò che succede realmente sullo schermo e nella colonna sonora. Spesso questa tappa è saltata anche all’università, quando i ragazzi, già dalla prima visione diventano troppo critici e interpretativi. 4. TESSERE LEGAMI TRA I FILM: una delle maggiori funzioni della scuola è tessere dei fili tra le opere del presente e quelle del passato. In mancanza di tali legami può avvenire una serie di choc emotivi. La cultura è la capacità di comprendere la rete di opere e capire le opere del passato e quelle contemporanee. La consapevolezza di questa rete però è la cosa più dura da trasmettere, a causa dell’abitudine a stare nella ‘cultura dello zapping’ per cui ci giunge solo il piacere dello stordimento. ! L’ARTE E’ CIO’ CHE RESISTE A causa delle logico di consumo, di velocità, è sempre più difficile, per i giovani, riuscire ad amare i film che oppongono una pur minima resistenza. Simone Weil usa la parola CONSENSO, “essere consenzienti” all’opera d’arte. L’opera che conterà nella vita di qualcuno, è inizialmente un’opera che resiste, che non si offre immediatamente, che non seduce istantaneamente come i film spazzatura che invadono gli schermi e i media ogni giorno. Nietzsche, nella Gaia Scienza, parla di questa necessaria ESTRANEITA’ della vera opera d’arte, che non è immediatamente identificabile, che richiede uno sforzo per rivelarsi lentamente a noi, che spesso è respingente al primo incontro. LA TRASMISSIONE L’adulto, che è stato bambino, deve ricorrere a quella parte di infanzia dentro di sé quando guarda un film ponendosi dei problemi di educazione. E’ ambiguo esercitare il proprio giudizio su un film, anche se indicato come adatto a un pubblico giovane, in nome dei bambini e del loro gusto o del loro piacere. Il Super-Io pedagogista deve ricordasi , in primo luogo che il bambino, con il criterio del proprio piacere, è lo spettatore più intransigente del mondo. Nessuna intimidazione culturale o critica riuscirà mai a fargli rinnegare il piacere o il fastidio che ha realmente provato alla visione del film. In secondo luogo, è incredibile e gioiosa la capacità del bambino di digerire tutto, il meglio e il peggio. Ogni atteggiamento troppo pedagogico è ridicolo in rapporto all’evidenza che nessuno può far fare a nessuno l’economia delle esperienze vissute, soprattutto nella formazione del gusto e del giudizio personali. Chiunque rifletta con un minimo di onestà sui propri gusti infantili e adolescenziali, si troverà di fronte quasi sicuramente a un guazzabuglio eterogeneo di belle cose, di oggetti mediocri e di innominabili orrori: ciascuno costituisce se stesso con i rischi e azzardi. Il solo atteggiamento possibile per il pedagogo è quello di parlare in tutta onestà dei film che ama, con la parte di infanzia che sussiste in lui. Solo il desiderio insegna, e spesso fa a meno delle parole. Fo...


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