Lucio Antonio, Appiano e la propaganda augustea PDF

Title Lucio Antonio, Appiano e la propaganda augustea
Author Umberto Livadiotti
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ES TR AT TO SemRom SEMINARI ROMANI DI CULTURA GRECA n.s. II 1, 2013 Edizioni Quasar ES TR AT TO Rivista semestrale Direttore: Roberto Nicolai (responsabile) Condirettori: Emanuele dettori Michele Napolitano Livio Sbardella Comitato scientifico: Maria Grazia Bonanno (Roma, “Tor Vergata”), Giorgio Cam...


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Lucio Antonio, Appiano e la propaganda augustea Umberto Livadiotti

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"Lucio Ant onio, Appiano e la propaganda august ea", in Seminari Romani di Cult ura Greca, ns 2, … Umbert o Livadiot t i

Arist okrat ia e demokrat ia in Appiano, in QS 82, 2015, pp. 201-217. Chiara d'Aloja Perugia romana, 3 Maria Carla Spadoni

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SemRom SEMINARI ROMANI DI CULTURA GRECA

n.s. II 1, 2013

Edizioni Quasar

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Rivista semestrale Direttore: Roberto Nicolai (responsabile) Condirettori: Emanuele Detori Michele Napolitano Livio Sbardella Comitato scientifico: Maria Grazia Bonanno (Roma, “Tor Vergata”), Giorgio Camassa (Udine), Mario Cantilena (Milano, Università Catolica), Albio Cesare Cassio (Roma, “La Sapienza”), Gian Biagio Conte (Pisa, Scuola Normale Superiore), Massimo Di Marco (Roma, “La Sapienza”), Marco Fantuzzi (Macerata), Robert Fowler (Bristol), Hans Gärtner (Regensburg), Richard Hunter (Cambridge, Trinity College), Luigi Lehnus (Milano, Università Statale), Giuseppe Mastromarco (Bari), Mauro Moggi (Siena), Franco Montanari (Genova), Anna Morpurgo Davies (Oxford, Somerville College), Glenn W. Most (Pisa, Scuola Normale Superiore), Frances Muecke (Sidney), Thomas Szlezák (Tübingen), Oliver Taplin (Oxford, Magdalen College), Renzo Tosi (Bologna), Robert Wallace (Chicago, Northwestern University), Nigel G. Wilson (Oxford, Lincoln College), Bernhard Zimmermann (Freiburg i. Br.) Comitato di redazione: Maria Broggiato, Valerio Casadio, Ester Cerbo, Giulio Colesanti, Andrea Ercolani, Manuela Giordano, Massimo Lazzeri, Laura Lulli, Cristina Pace, Serena Pirrota, Riccardo Palmisciano, Maurizio Sonnino

Il Comitato assicura attraverso un processo di peer review la validità scientifica degli articoli pubblicati; tutte le informazioni sul processo di assicurazione della qualità sono disponibili alla pagina: http://www.edizioniquasar.it/semrom/home

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Umberto Livadiotti

Lucio Antonio, Appiano e la propaganda augustea

1. La comprensione del senso del bellum Perusinum risente fortemente del signiicato che si riconosce ai discorsi con cui Lucio Antonio e Otaviano, secondo la versione dello storico alessandrino Appiano (il quale sostiene di averli atinti e tradoti da una fonte che qualiica come hypomnémata), avreb­ bero pateggiato la resa di Perugia, alla ine del febbraio, o al più all’inizio del marzo, del 40 a. C.1. Il quadro raigurato da Appiano2 del resto costituisce il più detagliato resoconto in nostro possesso sull’epilogo del bellum Perusinum. Secondo quan­ to racconta lo storico alessandrino il consolare Lucio Antonio, in uniforme di comando, sarebbe avanzato solitario a cavallo verso le fortiicazioni che cinge­ vano d’assedio la cità. Lo avrebbero seguito soltanto due litori. Improvvisa­ mente, poco prima del suo arrivo alle porte dell’accampamento, gli si sarebbe fato incontro, anch’egli a cavallo, il comandante delle truppe assedianti: Caio Cesare (Otaviano). Arrivati all’altezza del fossato, i due si sarebbero fermati. Nel corso del colloquio, dopo i saluti, Lucio Antonio dichiara la sua resa, riba­ dendo però le motivazioni che lo hanno guidato nella lota: non la soggezione alla cognata Fulvia o al fratello Marco, non la bramosia di potere, non l’ap­ prensione per il destino dei piccoli agricoltori espropriati dalle assegnazioni coloniarie, come calunniosamente sostenuto a suo dire dalla propaganda ota­ vianea per screditarne l’immagine agli occhi degli eserciti cesariani; bensì l’in­ tenzione di abbatere il potere triumvirale, divenuto ingiustiicabile dopo la sconita dei cesaricidi, e la restaurazione dell’ordinamento tradizionale. Lucio Antonio chiede inine clemenza: non per sé, ma per l’esercito che ha combat­ tuto ai suoi ordini. La replica di Otaviano è lapidaria: lui non ha certo bisogno di dare spiegazioni del suo operato; ma comunque acceta di buon animo la resa dell’avversario. «Queste cose si dissero l’un l’altro, come dai Commentari era possibile trasferirle in questa lingua a chi cercava di argomentare il senso delle cose dete» (ταῦτα μὲν ἔλεξαν ἀλλήλοις, ὡς ἐκ τῶν ὑπομνημάτων ἦν

1 Oltre ad Appiano BC 5. 30. 115-49. 208, sul bellum Perusinum cf. Cass. Dio 48. 1-15, brevemente Flor. 2. 16, Vell. 2. 74, Suet. Aug. 14-15 e 96. 2, Liv. Per. 125-126, Plut. Ant. 28. 1 e 30. 1. Per una contestualizzazione degli avvenimenti vd. Pelling 1996, spec. pp. 14-16. 2 La narrazione appianea dell’episodio è in BC 5. 41. 172-45. 191 (il discorso di Lucio è in 42. 176-44. 187; quello di Otaviano in 45. 188-45. 190).

ἐς τὸ δυνατὸν τῆσδε τῆς φωνῆς μεταβαλεῖν τεκμαιρομένῳ τῆς γνώμης τῶν λελεγμένων)3. Partendo da questa contorta espressione, con cui Appiano chiude la descri­ zione del colloquio, gli studiosi si sono chiesti quale atendibilità riconoscere a questo resoconto, a quale fonte Appiano lo abbia atinto e perché Appiano abbia deciso, contrariamente alle sue abitudini, di citarla espressamente. L’interpretazione tradizionale, sostenuta nelle rispetive raccolte dei fram­ menti augustei da Peter4, da Malcovati5 e più di recente anche da Ferrero6 e Smith7 e ribadita, ad esempio, da Grenade8, da Hahn9 e da Gowing10, indivi­ duerebbe in questi hypomnémata richiamati da Appiano il testo autobiograico di Augusto, i cosiddeti Commentarii de vita sua11, un’opera redata dal principe verosimilmente negli anni Venti del I sec. a. C. Negli ultimi decenni, tutavia, sopratuto in seguito ai lavori di Gabba12, ha ripreso quota la critica indi­ rizzata a questa identiicazione già formulata da Schwarz alla ine del XIX secolo13. Fondamentalmente tale critica si poggia su una semplice considerazio­ ne: cioè sull’inverosimiglianza che Augusto stesso, in un’opera scrita di suo pugno e con evidenti inalità apologetiche, metesse in bocca a uno dei suoi avversari politici più acerrimi, sia pure come artiicio leterario, un discorso di condanna viscerale del triumvirato, accusato di illegalità ed eversione. Di con­ seguenza, la fonte cui Appiano avrebbe atinto diretamente o indiretamente i due discorsi è stata cercata altrove: Gabba stesso ha menzionato gli acta Urbis o acta diurna Populi Romani (magari atinti atraverso Asinio Pollione); mentre Sordi ha proposto l’opera di Valerio Messalla Corvino14 e Mazzarino (seppur 3 4 5 6

BC 5. 45. 191; trad. di A. M. Ferrero, in De Biasi-Ferrero 2003, p. 533. Peter 1906, II, p. LXXIV, e pp. 59-61 (F 11). Malcovati 1962, pp. 91-93 (F 13). De Biasi-Ferrero 2003, pp. 526-533 (F 13: la numerazione dei frammenti segue quella di Malcovati). 7 Smith 2009, pp. 6-9 (F 8). 8 Grenade 1961, p. 86. 9 Hahn 1958, p. 140. 10 Gowing 1992, pp. 241-244 e 321-322. 11 Sul titolo dell’opera: De Biasi-Ferrero 2003, pp. 512-513. Sul caratere e i contenuti: Blumenthal 1913, 1914, 1915; Lewis 1993, pp. 669-689; Powell 2009. 12 Gabba 1956, p. 197 n. 1, e p. 212, con ipotesi diferente da quella sviluppata in seguito, ma sempre contraria all’identiicazione degli hypomnémata, con i Commentarii de vita sua augustei; poi Gabba 1970, pp. XVII-XXIII, e Gabba 1971a; posizione ribadita in Gabba 1993 (in part. p. 130). Gabba stesso (che ha comunque sempre sotolineato la irresolubilità in termini deinitivi della questione) mi sembra aver scelto un tono sensibilmente più cauto nel commento dell’ultima traduzione del testo di Appiano: Gabba-Magnino 2001, p. 776 n. 32. L’ipotesi di Gabba è accetata ad es. da Roddaz 1988, pp. 321-322, e Lai 1993, in part. p. 55. Non mancano le schizofrenie, come quella di Barden Dowling 2006, che la acceta a p. 293 n. 37, ma non a p. 49. In una posizione di agnosticismo dichia­ rato si collocano molti degli studiosi che più recentemente hanno afrontato il problema: cf. ad es. Lewis 1993, p. 671 n. 137, Famerie 1998, pp. 30-31, e Šašel Kos 2005, pp. 35-36. 13 Schwarz 1895, col. 233, e poi Schwarz 1898, p. 209 n. 4 e p. 232 n. 4. 14 Sordi 1985. Si traterebbe, in questo caso, di discorsi itizi.

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in semplice alternativa e in forma molto ipotetica) quella di Scribonio Libo­ ne15. A mio avviso, tutavia, almeno tre ordini di considerazioni inducono a so­ stenere come ancora valida la interpretazione “tradizionale”, quella cioè che vede negli hypomnémata citati da Appiano i Commentarii di Augusto. La prima è una valutazione interna, di comprensibilità del testo. Viene da chiedersi infati come avranno decifrato questa citazione incompleta (segna­ lazione della fonte, gli hypomnémata, senza indicazione dell’autore) i letori di Appiano. Diversamente da quanto suggerito da Gabba16, mi sembra che essi non potessero non immaginare che si tratasse delle memorie di uno dei protagonisti dell’episodio17. Tanto più che i Commentarii di Augusto erano un testo assai noto e leto. Sappiamo che prima di Appiano se ne erano serviti largamente ad esempio Plutarco18 e Svetonio19. Che viceversa Appiano voles­ se indicare qui dei commentarii di un autore diverso da Augusto (uno dei due unici testimoni della vicenda) ma si sia dimenticato di speciicarlo, pur po­

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Mazzarino 2004, p. 402. Anche in questo caso si traterebbe di discorsi itizi, “tucididei”. Gabba 1970, p. XXI, sostiene che non sia «afato ovvio ricavare dalla frase ὡς ἐκ τῶν ὑπομνημάτων che gli hypomnémata fossero di Cesare (o di L. Antonio o di chiunque altro)» per­ ché in quel caso Appiano lo avrebbe indicato più chiaramente, come (sempre secondo Gabba) Appiano avrebbe fato negli altri casi in cui intendeva citare quest’opera. Tutavia in BC 4. 110. 463 è solo deto che ὡς αὐτὸς ἐν τοῖς ὑπομνήμασιν ἔγραψεν, «lui stesso scrisse nelle (sue) me­ morie», e in Ill. 14. 42 la citazione completa (ἐν δὲ τοῖς ὑπομνήμασι τοῦ δευτέρου Καίσαρος τοῦ κληθέντος καὶ Σεβαστοῦ, «nelle memorie del secondo Cesare deto anche Augusto») è detata dal fato che il letore, diversamente dal nostro caso, non avrebbe mai potuto postulare spontane­ amente la paternità del testo citato. 17 Appiano sotolinea che le altre persone presenti (a parte i quatro litori) non li poterono ascoltare diretamente: BC 5. 45. 191 «gli altri argomentarono i discorsi fati dall’aspeto di en­ trambi» (οἱ λοιποὶ δ᾽ ἐτεκμαίροντο τῶν εἰρημένων ἐκ τῆς ὄψεως ἑκατέρων). A me pare eviden­ te che Appiano insista sulla solitudine in cui si svolse il colloquio proprio con l’intento di ricalcare l’esclusività delle informazioni contenute nella sua fonte: gli hypomnémata. La ridondanza del ver­ bo τεκμαίρω in questo paragrafo crea infati una contrapposizione fra Appiano che (atraverso la sua fonte) può argomentare in base al contenuto dei discorsi efetivamente pronunciati e sentiti e tuti gli altri (e quindi tute le altre fonti), che debbono limitarsi ad argomentare in base all’aspeto (date le carateristiche della storiograia antica, infati, per “trascrivere” questi discorsi non sareb­ be stato necessario ascoltarli materialmente, ma sarebbe bastato, per l’appunto, “argomentarne” il contenuto “dall’aspeto”). Il senso è talmente chiaro che, volendo pregiudizialmente escludere la possibilità che si tratasse del testo autobiograico augusteo, lo stesso Gabba 1956, p. 197 n. 1, e poi Trilla Millas 1978, in part. p. 380, hanno postulato persino l’ipotesi di un memoriale di Lucio Antonio (ipotesi a mio avviso da scartare in quanto si traterebbe di un testo così poco familiare ai letori greci da rendere del tuto improbabile che Appiano lo possa aver citato in maniera in­ completa). Mi sembra, anzi, che proprio questo richiamo all’autopticità esclusiva della propria fonte debba essere considerata la motivazione della sua citazione da parte di Appiano. Come sotolineato da Mazzarino 2004, p. 402, infati, «la formula della citazione è del tuto tucididea» (cf. Thuc. 1. 22. 1). Del resto la presenza di documentazione esibita come autentica costituiva una delle carateristiche tipiche dei commentarii: Riggsby 2007, p. 273. 18 Cic. 45. 5; Brut. 27. 1 e 41. 5; Ant. 22. 1 e 68. 1. È possibile che alcune citazioni siano indirete, ma ne testimoniano allo stesso modo la conoscenza. 19 Caes. 55. 3-4; Aug. 2. 3; 27. 4; 62. 2; 74; 85. 1. Sull’utilizzo dei Commentarii de vita sua augustei da parte di autori d’età imperiale: Alonso-Nuñez 2002.

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tendo immaginare che il letore ne sarebbe stato trato in inganno, mi sembra diicile. Naturalmente, non impossibile: Appiano può essersi sbagliato, può aver trovato fra le sue carte una citazione incompleta (cioè può aver pensato di ricopiare i Commentarii di Otaviano mentre ricopiava, poniamo, il testo di Asinio), può essersi semplicemente curato poco della comprensibilità del suo scrito. Non impossibile, ripeto; ma diicile. Che l’espressione hypomnémata senza ulteriore atribuzione di paternità sia da riferirsi agli acta Populi Romani, come a più riprese suggerito da Gabba20, mi appare improbabile per due ragioni: anzituto perché in base alle nostre stentate conoscenze sulla isio­ nomia di tali acta non ci si aspeterebbe che vi trovassero posto due orazioni come queste, declamate al di fuori di ogni contesto conzionale, comiziale o processuale e persino lontano da Roma21; in secondo luogo perché una simi­ le consuetudine “bibliograica” non sembra afato assodata22. Inoltre, questa ipotesi si poggia anzituto sull’idea che Lucio Antonio (o al limite uno dei suoi litori) fosse la fonte da cui i redatori degli acta avrebbero atinto le loro infor­ mazioni e in secondo luogo sulla convinzione che lo staf addeto alla loro ste­ sura possa aver lavorato senza condizionamenti da parte dei triumviri23. Ma è 20 Gabba 1970, 1971, 1993. 21 I discorsi riportati negli acta saranno stati sopratuto quelli dei dibatiti deliberativi. In realtà

il caratere stesso degli acta populi Romani non risulta afato chiaro dalle scarse testimonianze in nostro possesso (non risulta chiaro persino se li si possa o meno identiicare con gli acta diurna): tentativi di messa a punto sono Baldwin 1979 e White 1997. Dalle indicazioni in nostro possesso sembrerebbe che negli acta populi Romani trovassero spazio informazioni relative a processi, a costruzioni, ad abitudini di salutatio o ad azioni eclatanti commesse da privati, ma pur sempre ambientate all’interno della cità: un genere di eventi talmente “ordinari” che uno storico come Tacito li considerava indegni di memoria storica (Ann. 13. 31. 3). Cf. anche Bats 1994, pp. 39-40 (che tutavia considera gli acta senatus e gli acta populi Romani una unica pubblicazione). Si ten­ ga presente che i resoconti venivano editi con tempestività: sembra piutosto inverosimile che i redatori degli acta, sicuramente residenti in Roma, quindi anche isicamente lontani dal teatro degli eventi, si possano essere preoccupati di pubblicare, in ritardo, i testi delle tratative di resa. 22 Sostanzialmente la ritroviamo solo in Cassio Dione, il quale non sembra comunque aver mai consultato gli acta diretamente in latino e li chiama per lo più, esplicitamente, «commentari pubblici», ὑπομνήματα κοινά (57. 23. 2) o δημόσια (53. 19. 2 dove però il riferimento è anche, se non esclusivamente, agli acta senatus; e 57. 12. 2). In tre casi il riferimento è fato senza aggetivi (44. 11. 3; 57. 21. 5 e 67. 11. 3, che tutavia non sono vere e proprie citazioni: nel secondo e terzo caso Cassio Dione infati ci informa che l’imperatore non permise di riportare sugli acta una certa notizia!). Inoltre, in alcuni dei passi indicati da Gabba (1971, pp. 188-189 n. 17) Cassio Dione con questa espressione non sembra riferirsi agli acta, ma proprio alle memorie autobiograiche di personaggi il cui nome rimane sotinteso in quanto immediatamente intellegibile dal letore: 48. 44. 4, da riferire verosimilmente alle memorie di Augusto (come ben inteso ad es. da E. Cary nella sua traduzione per la Loeb: F 19 Smith, pur considerato fra i dubbi) e 60. 33. 1 forse da riferire a quelle di Agrippina (cf. Tac. Ann. 54. 2). Efetivamente, di per sé hypomnémata può alludere a realtà anche molto diverse (in Appiano, ad esempio, hypomnémata sono chiamati anche l’insieme degli ati, dei provvedimenti, preparati da Giulio Cesare prima della sua morte: cf. Ambaglio 1990 e Gowing 1992, p. 321). 23 Il fato che gran parte dei senatori, alcuni dei quali probabilmente sarebbero stati in grado di inluenzare la redazione degli acta, anche dopo la resa di Perugia rimanessero ostili ad Otaviano non è indicativo, perché si trata di personaggi legati comunque a Marco Antonio, quindi non avversari del potere triumvirale (come cercherò di illustrare più avanti, la polemica del Lucio

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diicile immaginare la totale assenza di supervisione da parte di un delegato dei consoli o dei triumviri24. Lucio Antonio non era più formalmente in carica già da diverse setimane, anche se forse, in virtù dello stato di guerra che lace­ rava in quel frangente la repubblica, il passaggio di consegne non era ancora materialmente avvenuto. Il suo collega P. Servilio Isaurico si presentava, per quanto ne sappiamo25, come un cesariano ostile al clan degli Antonii. I consoli formalmente in carica al momento dell’eventuale pubblicazione degli acta ipo­ teticamente contenenti questi discorsi, d’altro canto, erano Domizio Calvino26, cesariano fedele a Otaviano, e Asinio Pollione, il quale non solo aveva preso parte in prima persona alla guerra schierandosi contro Otaviano senza però prestare poi realmente soccorso a Lucio e adoperandosi viceversa nei mesi successivi per il riavvicinamento fra i triumviri, ma che si dice non abbia a caldo ritenuto opportuno neppure ribatere ai carmi canzonatori che su di lui aveva composto Otaviano, limitandosi a reagire con la celebre e signiicativa batuta at ego taceo: non est enim facile in eum scribere qui potest proscribere, «tac­ cio: infati non è facile scrivere contro colui che può proscrivere»27. Antonio raigurato da Appiano è infati rivolta ai poteri eccezionali del triumvirato più che alla persona speciica di Otaviano). I repubblicani avevano un campo: Sesto Pompeo (BC 5. 25. 99; cf. 5. 53. 219). Inoltre, come vedremo in detaglio più avanti, per quanto ne sappiamo l’ateggiamento di Lucio, almeno quello pubblico, nei confronti di Otaviano dopo la caduta di Perugia e la sua resa (una vera e propria deditio in idem) dovete cambiare, o, per meglio dire, dovete rientrare (diversamente dal caso di Fulvia, la cui inimicizia nei confronti di Otaviano s’era nutrita anche del ripudio da parte del triumviro della iglia di lei: Cass. Dio 48. 5. 3). Diicile immaginare, in tale contesto di paciicazione, che Lucio potesse avallare la redazione a suo nome di un testo così ostile al triumvirato; e ancora più diicile comprendere il riguardo con cui Otaviano lo avrebbe continuato a tratare. 24 Per l’età cesariana e triumvirale ignoriamo l’organizzazione del personale addeto alla stesu­ ra e alla pubblicazione degli acta (in età imperiale sembra essersene occupato un apposito uicio ab actis urbis gestito da un procuratore di rango equestre: Kubitschek 1893). Probabilmente della redazione saranno stati materialmente incaricati scribi e funzionari soto il controllo di un questo­ re e soto la supervisione, più o meno direta, di un magistrato, verosimilmente il console (o forse anche uno dei triumviri): cf. Bats 1994, pp. 34-36. 25 Broughton 1952, p. 370; Münzer 1942. Per quanto sia diicile, o meglio impossibile, farsi un’idea precisa dell’orientamento o delle strategie politiche di quest’uomo, che conosciamo prin­ cipalmente dalle lamentele di Cicerone in occasione della “guerra di Modena” (ep. ad Brutum 2. 2; Phil. 9. 3; 13. 50; 14. 7), è chiaro tutavia che venne portato al consolato proprio per far da contrappeso a Lucio Antonio, sulle cui posizioni diicilmente si sarà appiatito. Anche il fato che alcune fonti si divertano a riecheggiare il moto secondo cui il 41 a. C. sarebbe stato l’anno del consolato di Lucio Antonio e Fulvia (Cass. Dio 48. 4. 1) lascia intende...


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