Manuale di rilievo (2) PDF

Title Manuale di rilievo (2)
Author eleonora Gra
Course Rilievo e analisi tecnica dei monumenti antichi
Institution Università degli Studi di Catania
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Description

I MATERIALI DA COSTRUZIONE LA PIETRA L’estrazione L’estrazione comincia dallo sfruttamento dei giacimenti superficiali e numerose cave. Le qualità fisiche del materiale vengono valutate dal tagliatore in relazione alla durezza del taglio. La classificazione comprende 6 categorie: molto tenera (calcari gessosi, arenarie, tufi vulcanici), tenera, semicompatta, compatta, dura e fredda (marmi e graniti). In genere gli architetti romani ricorrevano alla pietra locale. Tra le pietre più pregiate ricordiamo come marmi: -marmo di Chemtou , con venature gialle, in Tunisia --marmo di Chio, grigio-blu -marmo cipollino, con venature bianco-verdi, in Eubea -marmo del Filfila, bianco, in Algeria -marmo di Lesbo, bianco-giallo -marmo pario, bianco intenso, isola di Paro -marmo pentelico, bianco, in Attica -marmo di Portasanta -marmo rosso, Peloponneso -marmo di Taso -marmo serpentino, verde, Tebe d’Egitto Come pietre: -alabastro -basalto nero -granito grigio, nero -granito rosa -porfido rosso, verde Vitruvio dice che le pietre tenere hanno il vantaggio di poter essere tagliate facilmente ma che se vengono utilizzate all’esterno, a causa del gelo e della pioggia, si disintegrano, quindi ne esalta la loro praticità, ma ne mette in evidenza la loro poco resistenza alle intemperie. Egli inoltre raccomanda una pietra dall’eccellente invecchiamento proveniente dal territorio di Tarquinia.

Il cavapietre impara a riconoscere sul terreno gli strati non adatti a fornire pietre da ricostruzione. Nello sfruttare una superficie è opportuno eliminare prima lo strato più esterno alterato dalle intemperie e dalle infiltrazioni delle vegetazioni, tale metodo è detto coltivazione a giorno o a cielo aperto. Una volta compiuto ciò, ovvero dopo aver messo a nudo la massa rocciosa, si può iniziare il lavoro di estrazione. Per scalzare i blocchi, il cavapietre può sfruttare strati e fessure naturali inserendo cunei metallici e facendo leva. È un sistema che può essere impiegato raramente e quindi bisogna disegnare dei blocchi che al momento dell’estrazione abbiano forma e dimensioni prossime a quelle che dovranno avere al momento della messa in opera. I cavatori si servivano di cunei di legno secco che venivano conficcati dentro i fori, spruzzati d’acqua e ricoperti da stracci bagnati, così che l’acqua provocava l’ingrossamento dei pezzi di legno e il distacco del blocco di pietra. Questo tipo di estrazione lo si può vedere in una cava siciliana che al tempo del tiranno Dionisio era aperta per costruire la lunga cinta muraria di Siracusa di 27 km. Successivamente i Romani estrassero dalla roccia pezzi architettonici di grandi dimensioni, ma anche colonne di qualsiasi dimensione, specie nel marmo. Un esempio di tali colonne lo possiamo vedere nel Pantheon (granito). Una volta che la coltivazione a granito aveva raggiunto il livello più basso ai piedi del pendio naturale, i cavapietre proseguivano tracciando in verticale uno o più fronti di escavazione. La discesa verticale si fermava là dove si interrompeva la vena rocciosa a causa di un cambiamento di natura nel sottosuolo, per l’incontro di una falda o per la difficoltà di far risalire i materiali. Allora conveniva aprire delle gallerie (fossae). A seconda della natura del materiale, le cavità risultanti dall’estrazione assumono un aspetto diverso. Sottoterra le operazioni estrattive si conformavano agli stessi sistemi impiegati allo scoperto. Gli attrezzi per lavorare la pietra si spuntavano e smussavano più facilmente di quelli usati per il legno, così i cavapietre provvedevano anche alla loro manutenzione e riparazione. Tutti i costruttori speravano che il luogo di estrazione delle pietre e il cantiere di lavoro fossero contigui. Con l’aumento dei progetti di monumentalizzazione delle città, furono aperte cave quasi ovunque ci fossero giacimenti di materiali edilizi di una certa qualità. I luoghi di estrazione talvolta sono aspri, come nel caso delle cave del Pentelico o di quelle di Carrara. A parte questi casi eccezionali, il trasporto avveniva su carri trainati da buoi, come già era in uso in ambiente greco, specie per il trasporto di materiali di vario genere. Il taglio, gli attrezzi Per semplificare e alleggerire il trasporto, i blocchi di pietra al momento dell’estrazione ricevevano spesso una forma squadrata, più vicina possibile alla forma definitiva. Per dividere i blocchi si ricorreva, come per l’estrazione, al sistema di cunei inseriti nelle cavità preparate lungo la linea di rottura. Tra un cuneo e l’altro viene picchettata una linea punteggiata per definire il punto di rottura e infine con la mazzetta si batte un colpo violento sul cuneo mediano provocando l’apertura della roccia. La rottura determina dei piani perfettamente regolari. La sega veniva anch’essa largamente impiegata per tagliare i grossi blocchi, essa infatti forniva le stesse prestazioni dei cunei, con il vantaggio di evitare qualsiasi rischio di tagli imperfetti. Se la pietra da tagliare è tenera, la lama dell’attrezzo è dentellata, per il taglio delle rocce dure si utilizzano invece una lama liscia e un abrasivo (sabbia). Una volta squadrato il blocco, il tagliapietre gli dava la forma definitiva con

l’aiuto di attrezzi diversi. Si distinguevano due categorie principali: arnesi per percussione diretta e arnesi per percussione indiretta. Quelli per percussione diretta venivano utilizzati da soli e si compongono di un elemento di metallo munito di manico che dà a loro l’aspetto di un’ascia o di un martello. Quelli per percussione indiretta si usano in coppia, infatti la superficie viene attaccata con uno strumento, la punta viene poggiata su di essa e sulla testa si colpisce con la mezzetta o con il mazzuolo. Il più rozzo degli arnesi di prima categoria è un piccone con due punte, poi vi è il martello-piccone, che è più piccole del piccone. Di questi due attrezzi, comunque, non esistono attestazioni esplicite nel mondo greco-romano, tuttavia almeno tre rappresentazioni meritano di essere prese in considerazione: la stele di un artigiano trovata a Pompei in cui è rappresentato un arnese visto dall’alto che potrebbe essere una mazza o un martello-piccone; la seconda è un rilievo a Terracina in cui è rappresentata una scena in un cantiere dove due operai lavorano la pietra con martelli che potrebbero essere sia mazze sia martelli; la terza è una pittura di Pompei in cui è raffigurata la costruzione della cinta muraria dove due tagliapietre utilizzano il martello-piccone. Nell’attaccare le pietre dure e per batterle con maggiore efficacia si usa un taglio dentato, ovvero il martello dentato. Al secondo grande gruppo di attrezzi per tagliare la pietra appartengono quelli con cui l’attacco della superficie avviene mediante un percussore, che può essere un martello di legno duro, di bosso o di ulivo. Se il percussore ha la testa metallica prende il nome di mazzetta. Un arnese impiegato per i tagli preliminari e le sbozzature è il punteruolo o punzone ed è proprio tramite questo o con la martellina a due punte che i tagliatori di pietra intraprendono il lavoro di messa in forma del blocco, una volta sbozzato il blocco il tagliatore rifinisce il lavoro a scalpello, poi per la rifinitura del paramento dei blocchi si usano le gradine più sottili, effettuando tagli molto ravvicinati , ricorrendo talora anche ad una levigatura della superficie che si ottiene sfregando la roccia bagnata con una pietra a grana dura molto compatta. Il tornio veniva usato in età romana per sagomare nella pietra tenera tamburi di colonne, capitelli dorici e basi. Per semplificare e accelerare il lavoro lo scultore estende l’uso del trapano, utilizzato per i piccoli fori, alla preparazione della maggior parte dei motivi decorativi. Misurazioni e controlli Durante le diverse fasi della lavorazione, dallo sbozzo alla finitura, il tagliapietre usa strumenti diversi senza intervenire nel lavoro del materiale, ma assicurandone una corretta messa in forma con l’aiuto di misurazioni e di controlli. La riga graduata (regula) viene usate costantemente, poiché essa determina la posizione degli spigoli del blocco. La riga romana è in realtà un piede graduato che poteva essere di legno con le estremità di ferro. Anche l’osso, in virtù della sua durezza, poteva essere usato per la fabbricazione di righe. 1 piede romano = 29,57 cm Le squadre (normae) pervenuteci sono di bronzo e di dimensioni variabili; alcune sono dette squadre a L o a spalla e hanno lungo uno dei bracci un allargamento che consente di lasciarle in posizione. Queste squadre avevano una tacca verticale, la linea di fede segnata al centro della traversina, quando il filo a piombo appeso al vertice della squadra coincideva con la tacca, si aveva un piano orizzontale perfetto. Il filo a piombo (perpendiculum) è un piombo di bronzo di forma

conica munito di un dispositivo assiale. Il compasso viene utilizzato dal tagliapietre, dal muratore e dal carpentiere. Il sollevamento,il trasporto Il trasporto a terra, dopo aver scaricato il carro proveniente dalla cava, si effettuava facendo scorrere i blocchi su rulli di legno con l’aiuto di funi o leve. La più semplice macchina di sollevamento è la puleggia, solo che un carico sollevato da essa non può superare il peso dell’operaio. Altro strumento era il verricello che veniva manovrato per mezzo di sbarre sporgenti da una o da entrambe le estremità del tamburo. Sia la puleggia che il verricello potevano essere associati in una macchina sollevatrice il cui uso si è perpetuato fino ai giorni nostri . La macchina è descritta chiaramente da Vitruvio: “si prendono due pezzi di legno di misura adeguata alla grandezza dei pezzi da sollevare. Essi vengono rizzati,legati in cima e divaricati in basso e vengono mantenuti in questa posizione per mezzo di tiranti fissati alla sommità e disposti intorno a essi; al vertice viene appeso un bozzello.” Per aumentare la potenza del sollevamento si ricorreva all’uso dei paranchi, che aggiungevano la loro forza a quella del verricello. Il paranco è un sistema costituito da più pulegge riunite in bozzelli per mezzo dei quali la fune che solleva il masso gira con una potenza proporzionale al numero delle pulegge. Non va trascurato che la potenza di un paranco è limitata dalla resistenza degli assi delle pulegge e soprattutto da quella delle funi. I blocchi venivano serrati in vari modi dai congegni di sollevamento. Il più semplice era quello a imbraco: corde munite di cappi alle estremità, o corregge, venivano passate intorno ai blocchi e fissate al gancio da tiro. I romani abbandonarono questo sistema preferendo quello dell’olivella. Questa era costituita da elementi metallici che venivano inseriti a incastro nella pietra. Gli elementi in questione erano: tre barrette verticali dal profilo complessivo a coda di rondine, una staffa che permetteva di fissare il tutto al gancio da tiro, e un asse che fungeva da collegamento tra le barrette e la staffa. Il tagliapietre preparava nel centro di gravità della faccia superiore di ogni blocco una cavità dal profilo a coda di rondine, grande quanto l’olivella. Nella cavità venivano introdotti dapprima le barrette laterali e poi quella centrale. Le dimensioni dei buchi per le olivelle variano a seconda del volume della pietra da sollevare. L’uso delle olivelle offriva tutti i vantaggi possibili, sia per la rapidità della preparazione sia per la comodità dell’aggancio. Con l’uso delle tenaglie, i lavori preliminari sono ancora più ridotti, Venivano praticati due fori simmetrici nelle pareti verticali del blocco e tirando le barre superiori delle tenaglie i due bracci inferiori si stringevano assicurandone la presa. Quando i fori vengono praticati nelle facce che vanno accostate agli altri blocchi, il sistema risulta invisibile. L’uso di tenaglie era comunque limitato al sollevamento di blocchi di dimensioni modeste o medie, a causa della limitata apertura delle barre delle tenaglie e quindi dei rischi di scivolamento. L’accostamento e il fissaggio I blocchi dell'opera quadrata dovevano essere poi accostati perfettamente a blocco vicino ed eventualmente fissati sia sul piano orizzontale che su quello verticale. Per questo le pietre venivano preparate al momento del taglio. La facciavista poteva essere finemente lisciata o conservare un bugnato più o meno accentuato, mentre la faccia inferiore, il piano di posa, e quello superiore, il piano d'attesa, dovevano essere rigorosamente piane. Le facce laterali o facce di giunzione, non richiedevano

trattamenti speciali. A seconda del tipo di monumento o della posizione della pietra, il riquadro d’anatirosi poteva interessare tutti e quattro i lati della faccia di giunzione oppure solo quelli ad angolo con la facciavista. L'esempio più comune è quello dei tamburi delle colonne, il cui diametro si riduce progressivamente man mano che si sale. Il blocco veniva collocato nell'esatta posizione a mano, se di dimensioni modeste, ma più spesso servendosi, per le quali occorreva predisporre dei Fori nei blocchi. L'accostamento può essere fatto anche a partire dalle impalcature di costruzione, in senso trasversale, con l'aiuto di fuori identici, ma effettuati in genere in quelle sporgenze destinate a sparire alla fine dei lavori di costruzione. L'inconveniente estetico, dovuto alla presenza di fori nei paramenti, scompare quando questi sono scavati nel piano d'attesa. Si preparano Allora due cavità per la leva, una nello spigolo del blocco già in posa e l'altra nella faccia laterale del blocco che va accostato. Se il semplice accostamento di blocchi aggiuntivi ha rappresentato un sistema di costruzione generalizzato, I Romani hanno ripreso dei Greci l'uso di rendere solidali gli elementi di una costruzione per mezzo di grappe di legno o di metallo, la cui funzione era quella di prevenire aperture di giunti provocate da eventuali movimenti degli insiemi. Con l'uso delle grappe, tutti i blocchi di un filare erano solidali tra loro. A questo collegamento orizzontale poteva accompagnarsi un legame verticale. In tal caso, perni metallici venivano inseriti nel piano di attesa del blocco inferiore e introdotti in una cavità del piano di posa del blocco superiore. La soluzione più semplice consiste nel fissare per prima cosa il perno nel blocco superiore e poi rovesciarlo. Quando il piombo aveva preso il perno in opera, si colava piombo fuso nella cavità inferiore e sistemava la pietra, così il perno si immergeva nel metallo liquido. Per evitare l'eccesso di piombo, spesso veniva previsto un solco che arrivava fino al limite della facciavista. Ci si accontentò anche di fissare con piombo il perno nella cavità inferiore è di sovrapporre il blocco superiore introducendo a secco il perno nella mortasa. Diffidando della stabilità delle loro costruzioni, i romani impegnarono in alcuni casi anche le chiavi di volte, come il ponte Cestio a Roma. L'uso di Malta come leganti nella struttura a blocchi fu relativamente ridotto, l'accuratezza nel taglio nelle facce di giunzione si prestava meglio all'uso di grappe. Il ricorso a una Malta di calce si trova solo nei monumenti costruiti con blocchi di Opera quadrata Tagliati in una pietra mediocre, talvolta destinata anche ricevere un rivestimento. Sei monumenti possedevano un paramento in opera quadrata aderente a un nucleo in Opus caementicium, quest'ultimo entrava necessariamente in contatto con i blocchi del paramento. Questa malta funge Dunque da legante tra il paramento il nucleo interno. La padronanza tecnica dei costruttori Romani portò alla realizzazione di opere sorprendenti, come ad esempio le colonne monolitiche, talvolta eccezionalmente alte, se accidentalmente uno dei due fusti si rompeva durante il trasporto o la messa in opera, non conveniva senz'altro sostituirlo, poiché spesso il materiale proveniva da molto lontano, ma in tal caso con l'aiuto di blocchi destinati alle riparazioni si ritagliava il pezzo mancante ricostruendo l'intera colonna. È opportuno ricordare Infine un sistema di fissaggio analogo a quello utilizzato nel piano orizzontale, ma applicato al contatto tra due filari. Si tratta di grappe a doppia coda di rondine, fissate nelle facciaviste dei blocchi di Travertino usati nei mercati Traianei. Questi blocchi appartengono ai massicci di fondazione di una galleria voltata, e forse si è voluto rinforzare a posteriori questa parte della costruzione, fondata su un terreno in notevole pendenza. L’ARGILLA

L'argilla è un materiale con sorprendenti qualità: plastica e malleabile se imbevuta d'acqua, in grado di conservare la forma che la mano ha modellato e di diventare essiccando un corpo solido. Essa è un materiale edilizio essenziale in quelle regioni della Terra dove la vegetazione è ridotta e in particolare nella maggior parte dei paesi mediterranei. Legno e argilla si trovano associati in un tipo di architettura più avanzato, l'opera a graticcio e l'associazione di l'una con l'altra ha dato luogo a prodotti eccellenti. L'argilla essiccata al sole è considerato un materiale abbastanza efficace che presto rivelò la sua totale impermeabilità in seguito alla cottura. All'inizio era usata da vasai, ma furono necessari molti secoli perché essa diventasse un materiale domestico e impermeabile anche un materiale edilizio. Naturalmente l'argilla veniva cotta sotto forma di mattoni e i mattoni cotti furono a lungo impiegati nella costruzione a tenuta stagna. Nel mondo occidentale greco-romano, la cottura dell'argilla fu molto più tarda, e per lungo tempo fino al I secolo a.C. interessa soltanto le tegole e gli ornamenti dei tetti degli edifici. L’argilla cruda L'argilla cruda può presentarsi in vari modi: in pisè, in torchis (paglia e fango) e sotto forma di mattoni. Se l'argilla viene utilizzata pura, aggiungendo l'acqua che viene rapidamente assorbita, Essa si screpola man mano che si essicca. Alcune argille dette magre e sono mischiate con sabbia: il loro aspetto è meno plastico e il fenomeno di riduzione all'essiccazione meno evidente. Questa constatazione ha spinto gli utenti a introdurre nell'argilla una sostanza sgrassante in grado di combattere gli effettivi negativi delle screpolature dovuti alla perdita d'acqua. Sgrassare l'argilla significa dunque impoverirla la con l'aggiunta di una sostanza specifica, lo sgrassante. La stessa osservazione si può fare a proposito della calce grassa risultante dalla combustione del calcare, essa non contiene argilla, mentre la calce magra contiene argilla. Le argille magre e quelle addizionate di sabbia hanno conservato il nome di pisè per non essere confuse con le argille sgrassate quella paglia, le quali in tal caso prendono il nome di torchis. Per mettere in opera per il materiale ottenuto, abbastanza fluido, saranno indispensabili intelaiature linee che definiscono la larghezza del muro e all'interno delle quali verrà gettata l'argilla, avendo l'accortezza di isolare l'argilla dal suolo, per mezzo di uno zoccolo di pietra. La costruzione avviene per tratti di lunghezza limitata e dell'altezza raramente superiore al metro. Per questi segmenti di muro si dice che sono gettati in cassaforma. Man mano che il materiale è messo in opera, viene pestato e costipato, e più specificatamente battuto con il mazzapicchio, una pesante mazza di legno. Tale operazione ha il doppio scopo di rendere più compatta l'argilla e di liberarla di una parte cospicua dell'umidità. Per preparare i mattoni, l'argilla viene posta entro stampi formati da un riquadro di legno privo di fondo. L'operaio riempie questo riquadro e poi lo sforna con un colpo secco nel punto in cui l'argilla dovrà essiccare. Vitruvio raccomanda l'autunno e la Primavera, periodi in cui il sole non è troppo forte, affinché Si eviti un’essiccazione troppo rapida che può provocare profonde screpolature, infatti La cosa migliore è conservare i mattoni per due anni prima di adoperarli, poiché se essi vengono usati dopo poco che sono stati fabbricati e prima di essere completamente asciutti, può capitare che poi si restringono. Vitruvio e Plinio parlano di tre tipi di mattoni: lidio, lungo un piede e largo mezzo piede, il tetradoron o quattro Palmi, cioè un piede quadrato e infine il pentadoron o cinque palmi. L’argilla cotta

La cottura al forno dell'argilla distruggeva gli sgrassanti vegetali, quindi venivano usati sgrassanti minerali, prima tra tutti la sabbia. Il forno per la ceramica può essere circolare o di fo...


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