Manzoni Promessi Sposi breve riassunto dei capitoli per ripetere PDF

Title Manzoni Promessi Sposi breve riassunto dei capitoli per ripetere
Course Letteratura italiana
Institution Università degli Studi di Foggia
Pages 3
File Size 113.3 KB
File Type PDF
Total Downloads 60
Total Views 166

Summary

Riassunto breve di alcuni capitoli dei promessi sposi...


Description

MANZONI PROMESSI SPOSI (CAPITOLI) Il romanzo storico è formato da un racconto maggiore che al suo interno ha altri racconti. Per esempio, la storia della conversione di Fra Cristoforo. E la sua natura emerge in un dialogo nel capito 5 con Don Rodrigo. Il carattere di Fra Cristoforo si veste di umiltà, ma non lo era, si è macchiato di un delitto. Ha cambiato il nome da Lodovico a Fra Cristoforo. Non era un uomo che viveva umilmente o agiva umilmente, ma era un uomo puntiglioso che aveva ucciso. Quello che ci mostra Manzoni è che è particolarmente gradito a Dio, ossia di superare la propria natura e grazie alla fede di diventare una persona migliore. È una strada di Santità che però si incrocia con un sacrificio, ossia privazione di sé stessi. (il lettore deve avere la capacità di ricostruirlo un copione scenico). Il racconto nel racconto è presente anche nel capitolo 21: dopo che Lucia fu rapita nel convento dall’Innominato, avviene un dialogo fra i due. Il questo capitolo avviene l’ultimo processo di conversione dell’Innominato, dopo aver parlato con Lucia. Quest’ultima viene reputata il miracolo di conversione mandato da Dio, ed è fondamentale per capire la fede di Manzoni, una fede non superstiziosa ma crede nel processo di maturità interiore dell’uomo credente. Dopo aver passato l’intera notte, chiuso nella propria stanza, l’Innominato decide di libare Lucia senza consegnarla a Don Rodrigo (la fase della notte per Manzoni è importante perché è il momento dell’incontro con la propria anima, e avviene il processo di revisione dell’Io. Le notti più importanti sono: il tentato matrimonio, Don Rodrigo e l’innominato). All’inizio del capitolo 22: Manzoni racconta com’era il cardinale Federico Borromeo, uomo buono e mansueto. Ma la descrizione fatta da Manzoni non corrisponde con altri cronisti, che lo reputano uomo della Controriforma, convinto del rigore che la fede dovesse avere. Il questo capitolo il cardinale accoglie l’Innominato come un figlio (peccatore a casa). A partire dal capitolo 27: rientra quella porzione di storia della peste del 1630, raccontata da Ripamonti. Un’altra fonte è quella di Talino, personaggio legato alla condotta medica che cercò di curare la peste del 1630. Dal cap. 27 a 34-35, segue una concatenazione di eventi. È presente la sequenza: guerra-carestiapeste. Siamo nel 1629, guerra del Monferrato (1612). Manzoni si delizia di molti particolari per rendere densa e concreta la storia. Successivamente, la narrazione si sposta a raccontare lo scambio epistolare tra Renzo e Agnese (entrambi analfabeti). Ma ci saranno dei “fraintendimenti”, più queste storie vanno e vengono più avranno elementi di scarsa chiarezza, anzi tradiscono ciò che volevano dire (Agnese voleva semplicemente dire a Renzo che Lucia non si sposerà più perché ha fatto un voto alla Madonna e che deve farsene una ragione). In modo scherzoso Manzoni farà delle considerazioni sui rapporti umani, ossia chi si confida dice spesso “mi raccomando non dirlo a nessuno”, ma si sa che ognuno di noi ha qualcuno a cui raccontare le confidenze di altri. Quindi, la notizia fa un giro assurdo e ritorna alla fonte. La funzione di questo racconto è che, qui mette in discussione la possibilità che le lettere possano essere uno strumento oggettivo di comunicazione. Manzoni non vuole filtrare la realtà attraverso le lettere, perché introduce sempre una presenza distorcente dell’autore. Manzoni ritiene che il narratore onnisciente, che guarda dall’alto ciò che succede, sia oggettivo che prende i panni del protagonista stesso della storia che si auto racconta. E quindi, da questo punto di vista, il romanzo epistolare non ha una rappresentazione affidabile della realtà. Nel frattempo, Lucia è affidata a donna Prassede e su questa donna Manzoni farà una descrizione ironica, così come al marito Don Ferrante. Lucia poteva difendersi da ogni cosa, tranne che da Donna Prassede, ossia quelle persone che ti mettono nei guai e poi vogliono aiutarti a uscirne. Infatti, Donna Prassede spesso ricorda a Lucia di Renzo, e quindi Lucia si ritrova ogni giorno a dover fare i conti con i ricordi. Questo succede perché Donna Prassede non era a favore del matrimonio con Renzo, in quanto giravano voci su di lui come criminale e uno dei fondatori della rivolta. Così anche comica è la rappresentazione di Don Ferrante, che morirà di peste convinto che la peste non esistesse. Perché Don Ferrante aveva un’enorme libreria dove c’erano tanti libri che contenevano diversi elementi di tutta la tradizione letteraria. Don Ferrante ha letto tutti questi libri, ma fondamentalmente non ha capito nessun significato.

Il capitolo 28: ci introduce più da vicino la peste. Mettendo in rilievo la carestia e la rivolta ai forni di Milano. Manzoni qui ci fa una vera e propria lezione liberale. Il mercato si auto regola e non esistono leggi che possano governare il mercato dall’alto, senza far sì che il mercato si blocchi. La causa che portato a una rivolta ai forni è stato l’elevato prezzo della farina. Coloro che producevano il pane, acquistavano a un prezzo più elevato, rispetto al costo della vendita al pubblico. Per questo presero in considerazione la farina del riso, rendendo il pane anche peggiore. Ma anche qui, finita la farina del riso, il prezzo aumentò. Manzoni incolpa sia il governo che il popolo. In primis con il popolo, perché hanno fatto una rivolta che non ha portato a nulla. Infatti, il popolo voleva l’abbondanza con la violenza e il governo voleva mantenere l’abbondanza con la violenza, quindi tutti sbagliavano allo stesso modo. Manzoni credei in un’economia liberale, ossi la legge può risolvere i problemi economici, i governi devono governarla non inventarla. Se prima una contrarietà ha portato all’assalto dei forni, ora con la carestia nessuno si lamenta. Accanto a questo viene fuori un’altra considerazione, ossia riguardo ai provvedimenti profilattici che portavano le persone a morire nel lazzaretto di fame e altre cause ma non principalmente di peste, e che hanno portato garantito alla peste maggior diffusione in poco tempo. i capitoli 29 e 30: parlano di guerra e della situazione della popolazione difronte alla guerra e alla carestia e recupera alcuni personaggi che nei capitoli precedenti sono stati già trattati. Al centro dell’attenzione abbiamo Milano con l’innominato, Don Abbondio, Agnese e Perpetua. La funzione di questi capitoli dal punto di vista della narrazione, è essenzialmente legata a una preparazione più dettagliata della peste, ma anche allo scioglimento finale per quanto riguarda le storie dei personaggi. Don Abbondio si trova nella casa dell’Innominato, sia perché quest’ultimo chiede perdono e sia perché il cardinale Federico Borromeo ha richiamato tutti i preti. Il cardinale aveva richiamato Don Abbondio, accusandolo di non portare a termine il suo lavoro, ossia aiutare i suoi parrocchiani. Ovviamente Don Abbondio subisce il rimprovero a testa bassa ma rimane comunque della sua idea. Secondo il prete, il cardinale si comporta in questo modo perché non l’ha vissuto in prima persona. Don Abbondio è un uomo che ha paura di tutto anche di mettere in dubbio la sua vita tranquilla. È un personaggio che durante il racconto, dall’ inizio alla fine, non cambia mai. A tratti sembra cinico ma mai odioso. Quando la guerra finisce, i lanzichenecchi scendono dal nord, il timore di Don Abbondio è che violenze e furti possano succedere anche a lui. In questi capitoli, troviamo una descrizione della figura di Don Abbondio caratterizzata da un tono scherzoso. Manzoni tocca gli elementi di comicità in contrasto tra i pensieri piccoli e timorosi di Don Abbondio. Sono capitoli con un certo movimento, ma la storia non ha avuto degli avanzamenti. La funzione è come reagiscono le persone normale a questi eventi storici ed economici. In questo momento si entra nella terza parte dei Promessi Sposi, dominati dalla pestilenza. Sono due capitoli lenti dal punto di vista narrativo, con pochi personaggi in cui si ribadiscono i caratteri senza aggiungere nulla. QUESTA NARRAZIONE È FUNZIONALE RIGUSRDO AL DISCORSO DELLA GRANDE E PICCOLA STORIA, OSSIA IL VERO E IL VEROSIMILE. I capitoli 27 e 28, sono incentrati fondamentalmente sul vero, quindi su fatti realmente accaduti. I capitoli 29 e 30 sono invece lo spazio del verosimile, ossia come i personaggi (inventati) si sono comportati verosimilmente durante quelle vicende (realmente accadute). La storia che viene raccontata, parte dai lanzichenecchi che scendono dal nord. Don Abbondio è terrorizzato dall’idea di dover scappare, e di dover mettere in salvo anche i propri beni. Si ha un piacevole quadretto famigliare in merito sia alla fuga e sia al nascondiglio dei beni. Tra Don Abbondio e Perpetua c’è un battibecco simpatico, riguardo a cosa fare con i soldi. Don Abbondio ritiene tutti egoisti, perché ognuno pensa a sé e nessuno pensa a un prete, paradosso. Dovrebbe essere in contrario. Dopo un’accesa chiacchierata, arrivano alla conclusione: nascondere il denaro nel terreno, ai piedi dell’albero di fico. Dopo che Perpetua ha nascosto i soldi, devono decidere dove andare e lì appare Agnese, che propone di andare al castello dell’Innominato, e così fanno. Sanno di essere in salvo, sia perché il castello dell’Innominato geograficamente parlando non era lungo la rotta che avrebbero tenuto e sia perché i lanzichenecchi hanno il timore di quest’uomo. Quando scappano Don Abbondio continua a tenere una polemica con Perpetua. Manzoni utilizza l’ultima parte del CAP. 29 per raccontare della nuova vita dell’Innominato, un uomo che ha cambiato completamente il proprio modo di agire. Nel CAP.30, Don

Abbondio una volta arrivato al castello rivede la situazione di paura e mette in dubbio la sincerità dell’Innominato nell’ultimo dialogo avvenuto. Una volta arrivati, vengono accolti con tutti gli onori dall’Innominato. Mentre l’Innominato mette Perpetua e Agnese insieme alle altre donne che vivevano nel castello, tratta in maniera signorile Don Abbondio tanto da invitarlo alla mensa con lui. Però, Don Abbondio è ancora in dubbio riguardo la sincerità dell’Innominato. Passati diversi gironi, Don Abbondi ha un’altra paura, ossia il timore che i lanzichenecchi possano passare anche al castello e per questo fa lunghe passeggiate per vedere cosa succede all’orizzonte. Una volta che i lanzichenecchi hanno lasciato la città, ritornano in paese. Quando Don Abbondio e Perpetua entrano in casa, trovano tutto saccheggiato e vanno subito all’albero di fico e notano una buca. Infatti, i lanzichenecchi hanno rubato anche i soldi. Don Abbondio se la prende con Perpetua, per la sua incapacità di nascondiglio. Tutta questa rappresentazione serve portarci attraverso una zona privata, alle cause della pestilenza. Queste cause vengono analizzate nel capitolo 31-32-33: la peste era entrata proprio con i lanzichenecchi, che Manzoni definisce le bande tedesche che portano la guerra in Italia. Accanto a queste cause esterne, Manzoni ha voluto mettere in evidenzi le cause interne, questa situazione di degrado sociale che aveva caratterizzato la città di Milano da qualche tempo. nel CAP.31, Manzoni riprende una narrazione strettamente storica. Tutta la prima parte del capitolo 31, è una lezione di come Manzoni intenda fare storia. Allora Manzoni a questo punto fa una sorta di breve riassunto, della situazione dell’epoca, ossia che dove era passato l’esercito, lì c’erano morti, senza mai dire la causa. Morivano con dei segni che alcuni conoscevano, erano segni presenti nella peste del 1570, quella che comunemente veniva chiamata la peste di San Carlo Borromeo. Naturalmente non è l’epoca delle grandi comunicazioni o memorie. Avevano memoria solo che sapeva leggere e scrivere. Tra questi personaggi c’è un medico, chiamato Ludovico Settala che affermò la presenza della peste. Manzoni citando Talino, nessuno credette al medico. La riflessione che fa Manzoni è proprio in riferimento all’incredulità popolare. Settala stava addirittura rischiando la vita per la sua affermazione. Ma c’è un altro elemento centrale, che serve a fornire un’interpretazione della realtà. Bisogna affidarsi alla storia, e raccontare la storia per quello che è e non per quella che vorremmo. Il compito di uno storico è quello civile, ossia insegnare cosa che fa Manzoni....


Similar Free PDFs