Marco Ciatti PDF

Title Marco Ciatti
Author Massimo Gioia
Course Storia del restauro
Institution Sapienza - Università di Roma
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Riassunto Libro Marco Ciatti storia del restauro...


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Marco Ciatti °Appunti per un manuale di storia e di teoria del restauro Capitolo VI- IL NOVECENTO 6.1 Il restauro a Firenze nel primo Novecento

- Una nuova vicenda iniziava a Firenze tra Ottocento e Novecento e riguardava l’antico Opificio delle Pietre Dure che avrà grande rilevanza per le vicende della storia del restauro.

- Opificio delle pietre è un nome ottocentesco e sta per l’insieme di manifatture di corte che erano state -

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fondate dai Medici nel 1588 per la produzione di oggetti d’arte per le residenze medicee (la vecchia Galleria dei lavori) e vi si trovavano operatori specializzati quali orafi, ebanisti, arazzieri, e così via. Nel corso dei secoli l’attività che divenne più famosa fu il commesso di pietre dure -> una sorta di tarsia figurata che riproduceva un modello pittorico, eseguita con pietre semipreziose e pietre dure. Dopo l’Unità d’Italia, non essendoci più una corte per cui produrre e non riuscendo a trovare una possibilità di vita autonoma nel mercato dell’arte, il direttore Edoardo Marchionni decise di far mutare il lavoro degli artigiani e dei tecnici dell’Opificio dalla produzione di opere alla loro conservazione, anche perché i materiali trattati non erano coperti dall’attività di conservazione e restauro delle Gallerie fiorentine. Alcuni grandi cantieri di restauro iniziarono subito in questo scorcio di secolo. Tra il 1898 e il 1906 vennero sottoposti ad un enorme lavoro di restauro i mosaici del Battistero fiorentino: essi erano stati molto danneggiati nel tempo, avevano subito vari restauri già nell’ultima parte del Trecento. Non essendoci una scuola di mosaicisti a Firenze, a differenza di Venezia o Roma, le zone che cadevano via venivano sostituite con porzioni di pitture murali. Venne deciso quindi di eliminare le parti aggiunte e di rifarle tutte a mosaico -> il lavoro fu affidato all’Opificio. Una sezione della cupola, prima fascia con Storie della Genesi: la scena de La costruzione dell’arca venne rifatta seguendo le norme di Cavalcaselle e di Boito, che sostenevano che le zone rifatte in un’opera antica dovevano essere differenziate, ed uno dei metodi per renderle riconoscibili era apporvi la nuova data. A circondare le zone rifatte poi, era stata inserita una linea di tessere bianche, che contornava il perimetro dell’area di restauro. I disegni per i cartoni erano stati eseguiti da un pittore senese, Antonio Viligiardi con la consulenza di uno storico dell’arte, Pietro Toesca, il progetto venne messo a punto e realizzato dalle abili maestranze dell’Opificio. La soluzione ideata era innovativa, ma il grande problema conservativo era legato al degrado delle malte sottostanti per cui vennero usati materiali nuovi quali le malte cementizie, reti e perni di acciaio per collegare i pezzi. Corrado Ricci, direttore generale del Ministero, si rivolse ai tecnici dell’Opificio per il restauro dei mosaici delle chiese di Ravenna. Quando l’Italia occupò le isole dell’Egeo durante il periodo fascista, i mosaici di Rodi furono tutti restaurati in quel periodo da maestranze dell’Opificio.

6.1.2 Restauratori fiorentini sino al 1932

- A Firenze, contemporaneamente, l’attività di restauro dei dipinti non era compito dell’antico Opificio, che -

non includeva nella sua tradizione questo aspetto, ma delle Gallerie e, dal 1907, della Soprintendenza per la quale operavano alcuni restauratori privati eredi della tradizione locale. Tra questi vi era il figlio di Filippo Fiscali (uno dei restauratori del Cavalcaselle)-> Domenico Fiscali. Questi era responsabile del distacco e del restauro nel 1909 di alcuni dei famosi affreschi di Paolo Uccello nel Chiostro Verde di Santa Maria Novella. Egli realizzò molti restauri in varie parti della Toscana. La sua attività seguiva tradizione familiare, unendo grande abilità tecnica e velocità di esecuzione ad una, talvolta, eccessiva disinvoltura, causa a volte di alcuni errori. Domenico Fiscali fu realmente il protagonista del restauro del Novecento in Toscana; è colui che effettuò il primo stacco della Madonna del Parto di Piero della Francesca nel 1911 e poi reintervenne nel 1917 e,

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soprattutto, fu il responsabile del secondo grande restauro storico della Leggenda della Vera Croce ad Arezzo dopo quello ottocentesco del Bianchi. Effettuò grandi interventi di consolidamento con malte cementizie sulle spanciature presenti sia nelle pareti che negli intonaci, contribuendo a complicare la situazione statica, problema che si è presentato anche al recente reintervento. L’attività sulle opere pierfrancescane interessò anche la Resurrezione del museo di Sansepolcro. La scuola lombarda e quella toscana si trovarono a contatto in modo polemico nel 1910 quando Luigi Cavenaghi venne chiamato dal Ministero per far parte di una commissione che doveva valutare una serie di restauri compiuti nelle Gallerie fiorentine che avevano sollevato forti polemiche a Firenze. Tali restauri erano stati eseguiti da un restauratore di origine tedesca: Otto Vermehren. Egli, insieme a Luigi Grassi, aveva compiuto un restauro storico molto importante sulle due grandi tele di Rubens e degli Uffizi raffiguranti Storie di Enrico IV, tra il 1897 ed il 1901. Essi compierono un lavoro molto moderno, con intervento di consolidamento strutturale tramite foderatura, pulitura dagli infiniti rifacimenti presenti. Nel seicento e nel settecento, infatti, era esistita una rara metodologia che consisteva nello stendere una sorta di stucco, composto da gesso, colla, olio e un pigmento, anche sul retro della tela, con l’idea di rinforzare la struttura. Il restauro di Vermehren e Grassi era stato improntato a cercare di valorizzare l’espressione originale del pittore;l’idea guida era quella di un restauro che non cercava di accomodare dipinti, ma nemmeno di porre brutalmente in evidenza i difetti e le mancanze, alla Cavalcaselle -> evidenziare i valori dell’opera senza penalizzarla. Vermehren si trovò implicato nella controversia sulla pulitura del 1910: il Ritratto di Vincenzo Mosti di Tiziano, che era ridipinto in maniera evidente, vista la foggia seicentesca dell’abito indossato dal personaggio. Egli, con la sua mentalità scientifica e minuziosa, ma anche con senso artistico, essendo pittore, eliminò le ridipinture regalandoci l’aspetto oggi noto del ritratto, con l’abito tipico della moda maschile cinquecentesca. Ritratto di Moroni, Autoritratto di Rembrandt: dopo la fase di pulitura, il restauratore non aveva cercato di recuperare una intonazione complessiva, come suggerivano i manuali ottocenteschi. Questa prassi era effettuata con vernici leggermente pigmentate, così da conferire all’opera una sensazione di integrità garantita dalla patina. Procedura tipica della scuola lombarda. Le opere furono esposte dopo la pulitura e il ritocco, con la sola applicazione di una vernice trasparente. Questa metodologia che qui egli adottò rappresentava un atteggiamento decisamente moderno, per cui graduando il livello di pulitura e diversificandola per aree, giocando cioè con i vari livelli di sporco e pulito, senza dover poi riequilibrare l’aspetto con una consistente patinatura finale. Il pubblico rimase perplesso; il gusto corrente privilegiava un aspetto più ambrato. In questi dipinti il tono appariva più freddo. In seguito alle polemiche, il Ministero nominò una commissione d’inchiesta composta da storici dell’arte, tra cui figurava Luigi Cavenaghi. Egli, pur non condividendo la novità del collega, affermava che il restauratore non poteva essere accusato di aver danneggiato i dipinti, di aver tolto loro qualcosa. Egli sosteneva però che Vermehren era responsabile di non aver completato del tutto il suo lavoro perché dopo aver pulito i dipinti li aveva semplicemente trattati con una vernice trasparente, senza ripatinarli. Due mentalità diverse: il retaggio tradizionale del Cavenaghi e della cultura ottocentesca da cui proveniva, propria della scuola lombarda e del monto antiquariale e, all’opposto, un restauro più moderno, indirizzato ad un approccio più razionale e scientifico, come quello che si iniziava ad affermare nelle Gallerie fiorentine, che si basava su di una operatività molto meticolosa era tenta e non su operazioni di gusto, se pur sapienti. Questa polemica ci illustra il passato ed il futuro del restauro -> la scuola lombarda e la scuola fiorentina che si trovano a scontrarsi e che domineranno la scena nazionale. La prima con Cavenaghi e successivamente con Mauro Pellicioli rappresenterà una linea guida per l’attività del restauro italiano, influenzando la prima fase di attività del nuovo Istituto Centrale del Restauro di Roma. La scuola fiorentina assumerà sempre più importanza anche a livello internazionale. Un interessante restauratore attivo per le Gallerie fiorentine nei primi decenni del secolo fu Fabrizio Lucarini, artefice del restauro della Madonna con Bambino di Pietro Lorenzetti agli Uffizi nel 1929 che, al contrario di quanto sostenuto da Conti, costituisce un intervento ottimo dal punto di vista tecnico. Il dipinto non è più stato toccato dopo quel restauro ed è ancora in ottime condizioni. Il merito di questo va alla tradizione fiorentina e al suo approccio meticoloso, alla ricerca sempre di un’alta qualità dei materiali, preferendo l’uso solo di prodotti artigianali e non commerciali.

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- Lucarini condusse un lungo restauro, dal 1910 al 1921, anche sull’Incoronazione della Vergine di -

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Botticelli degli Uffizi, dipinto che possedeva una naturale tendenza al sollevamento del colore causata da un difetto intrinseco negli strati preparatori. Gran parte della veste di un angelo in alto è ad oggi un restauro imitativo dell’originale. La mancanza era grande e gli esperti avevano optato, data l’eccezionalità, per un intervento ricostruttivo. Il dibattito era stato molto acceso: evidentemente nel secondo decennio del Novecento presso le Gallerie Fiorentine non era considerata una cosa ovvia rifare una porzione consistente del dipinto, ma doveva richiedere una speciale approvazione. La commissione scelse una tra le varie soluzioni proposte e lo stesso Lucarini la realizzò con un intervento rigoroso che è rimasto intatto nel tempo, grazie alla qualità dei materiali. Per quanto riguarda il campo dei dipinti murali, importante fu il gruppo di restauratori che fece da ponte tra la generazione di Domenico Fiscali ed i restauratori moderni, e che apparteneva ad una grande bottega familiare a Firenze: quella dei Benini. Essi coniugano la tradizionale abilità tecnica della scuola fiorentina a mezzi più moderni. Di questa bottega si servì anche Ugo Procacci per un intervento di manutenzione sulle due cappelle giottesche di Santa Croce, la Peruzzi, scoperta e reintegrata ampiamente dal Marini e dal Pezzati, e la Bardi, sulla quale era invece intervenuto il Bianchi, nel secolo precedente. Per le celebrazioni del centenario giottesco del 1937 a Firenze si fecero iniziative nel campo artistico e conseguentemente del restauro: tra cui l’organizzazione di una grande mostra antologica di dipinti su tavola della pittura medioevale toscana In tale contesto, Procacci fece effettuare alla bottega dei Benini una leggera revisione delle due cappelle (operazione di manutenzione più che di restauro vero e proprio) affiancata da un’attività di studio e ricerca sulla tecnica grottesca, con il rilievo delle giornate per la parte eseguita ad affresco e con l’esatta individuazione delle parti originali e di quelle del restauro ottocentesco. I Benini furono anche i protagonisti di un intervento nella cappella Tornabuoni decorata dalla bottega del Ghirlandaio in Santa Maria Novella. La fase decorativa del Ghirlandaio non era la prima che aveva interessato le pareti della cappella: in precedenza i lavori si erano fermati nella parte alta, e non erano state decorate le pareti. Ugo Procacci decise di utilizzare la grande capacità dei Benini ancora una volta a scopo conoscitivo. Nelle vele della volta a crociera dovevano esserci i quadrilobi con teste di santi e di profeti trecenteschi dell’Orcagna, appartenenti alla prima fase decorativa, rimasti al di sotto della nuova pittura del Ghirlandaio. Procacci se ne rese conto e fece effettuare ai Benini dei saggi di pulitura che fornirono risposte positive alle aspettative. Allora autorizzò il distacco delle pitture quattrocentesche di Ghirlandaio e, dopo aver portato alla luce le pitture dell’Orcagna, fece staccare anche quest’ultime e ricollocare nuovamente le prime. I quadrilobi dell’Orcagna si trovano ora esposti nel museo attiguo alla Chiesa, sono stati cioè musealizzati, dopo essere stati applicati su supporto mobile, fornendo così una maggiore conoscenza delle vicende storiche del complesso. La cappella Tornabuoni da allora è stata ripetutamente restaurata, a causa di un intrinseco problema nella struttura muraria che tende a provocare il degrado degli intonaci. Negli anni 30, i Benini proseguirono gli stacchi iniziati da Domenico Fiscali intorno al 1909-1910, nel Chiostro Verde di Santa Maria Novella. Dopo gli affreschi più celebri di Paolo Uccello vennero staccati di dipinti monocromi di mediocre esecuzione, auspicando una loro migliore conservazione, essendo il chiostro all’aperto ed esposto agli agenti atmosferici. Su questo grave problema Procacci chiese l’aiuto degli esperti dell’I.C.R., guidato da Brandi. Nella seconda metà degli anni trenta realizzarono un intervento che porterà loro delle pesanti critiche nella cappella Bardi di Vernio in Santa Croce, dipinta da Maso di Banco. Gli affreschi, che si presentavano abrasi e consunti, vennero “ringranati” forse un po’ eccessivamente, assumendo una spiacevole sensazione di falso. In quegli stessi anni a Firenze un grande storico dell’arte, Roberto Longhi, redasse una stroncatura a questo intervento. La sua posizione è stata di stimolo per un’attenzione e un rispetto sempre maggiore; ma furono anche parzialmente contraddittore e influenzate: le maggiori obiezioni da lui sollevate riguardavano la perdita di un’autenticità provocata da un eccesso di intervento soprattutto nella fase di ritocco, ma questa sua impostazione apparentemente rigorosa sembra contrastare con la sua preferenza per i restauratore Mauro Pelliccioli, che era invece il massimo interprete proprio di tutti i possibili trucchi per la presentazione, esteticamente gradevole, dei dipinti.

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6.2 La scuola lombarda nel Novecento 6.2.1 Luigi Cavenaghi (1844-1918)

- Egli operò nel settentrione, in seno alla scuola lombarda. Alla morte di Molteni nel 1867, Cavenaghi, -

grazie all’amicizia di Giovanni Morelli e di Bertini, ottenne molti incarichi di restauro che si allargarono anche al resto d’Italia, una volta raggiunta l’Unità. Restaurò gli affreschi dell’oratorio di Santa Cecilia a Bologna dal 1874 e poi la Camera degli Sposi di Mantegna a Mantova, restauro diretto da Morelli stesso che, dopo diverbi con il Ministero e con Cavalcaselle, lasciò l’onere. Nel 1884 iniziò una collaborazione con i Bagatti Valsecchi; poi collaborò con il conte Poldi Pezzoli che stava allestendo la sua casa-museo. Cavenaghi, in quest’ultima occasione, intervenne su circa quindici dipinti con tutte le modalità proprie del restauro antiquariale: rifacimenti, ingrandimenti e completamenti, come si poteva osservare nel San Nicola da Tolentino di Piero, trasformato da anta di polittico in dipinto autonomo. Altri committenti milanesi furono gli aristocratici locali (es. i Visconti Venosta) oppure esponenti del nuovo ceto imprenditoriale (es. i Crespi o i Turati). Dagli anni ottanta operò anche su scala europea. Incarichi prestigiosi: Pietà del Crivelli del Fogg Art Museum, la Presentazione al Tempio di Giotto, il Gesù fra i dottori di Paris Bordon. Tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento lavorò stabilmente per la Fondazione Poldi Pezzoli, la Biblioteca Ambrosiana, i Musei Civici, la Pinacoteca di Brera e la collezione Carrara di Bergamo. Nel 1898 l’Ufficio regionale per la Conservazione dei Monumenti attirò l’attenzione degli esperti sulle cattive condizioni del Cenacolo di Leonardo. Venne creata una commissione di studio che lo includeva, insieme ad altri grandi nomi (fra cui Camillo Boito). Tale commissione lo incaricò delle prime prove di pulitura. Giudicate positivamente, tra il 1906 ed il 1908, Cavenaghi eseguì un intervento che, se non risolutivo delle cattive condizioni dell’opera, non ha certo provocato nuovi danni. Già pienamente affermato, iniziò a proporre il restauro come strumento di conoscenza e di indagine, in quanto strumento per riconoscere la vera natura dell’opera, consentendogli di compiere delle importanti scoperte. Nel 1909 viene nominato Direttore Artistico per le Gallerie e le altre pitture dei Sacri Palazzi Apostolici. Nel 1914, per conto del Ministero, venne chiamato ad intervenire su un’opera estremamente danneggiata: l’Annunciazione di Antonello da Messina di Siracusa. Il colore era molto sollevato, l’opera presentava numerose cadute. Il Cavenaghi effettuò il trasporto del colore e poi nascose con un sapiente equilibrio di ritocco la situazione. Alcune lacune vennero lasciate a vista, mentre altre sparirono completamente. Al tempo di Brandi, l’opera è stata nuovamente restaurata e furono rimossi tutti i ritocchi eseguiti da Cavenaghi. In seguito al terremoto di Messina del 1908, fu chiamato ad intervenire su un polittico di Antonello. Nelle parti dove il colore era caduto, non effettuò una ricostruzione, ma si limitò ad un semplice collegamento lineare in maniera grafica, disegnando cioè il profilo delle parti mancanti. 1912: Convegno degli Ispettori onorari degli scavi e dei monumenti: propose il superamento dei neutri del Cavalcaselle e la necessità dell’introduzione di moderni solventi chimici in una pulitura orientata sempre più alla lettura storico-artistica dell’opera.

6.2.2 Mauro Pelliccioli

- Il continuatore del Cavenaghi. Allievo della bottega degli Steffanoni, famosi come restauratori “meccanici”.

- Fu attivo come restauratore dal 1905 al 1965. - Divenne, dopo Cavenaghi, restauratore di riferimento dell Pinacoteca di Brera. Il suo operato si caratterizza per una invidiabile rapidità d’esecuzione.

- La Pala di Castelfranco di Giorgione, per esempio, restaurata nel 1934 era un’opera che aveva sofferto

moltissimo. Ampie parti furono ricostruite integralmente da Pelliccioli con una tale maestria che, anche negli interventi successivi, non sono state rimosse, in quanto avrebbero reso inutilmente frammentaria l’opera.

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- Un altro famoso lavoro da lui eseguito fu l’intervento di restauro della Camera degli Sposi di Mantegna, -

impegnativo tecnicamente dovendo confrontarsi con una parete dipinta ad affresco ed una eseguita ad olio, oltre che al problema derivato dalla grande infiltrazione di sali presente nella stanza. Altro intervento fu nella chiesa superiore di Assisi a partire dal 1938 con una equipe di altri restauratori lombardi, fra cui Pigazzini. Qui incontrò Cesare Brandi, direttore dell’Istituto Centrale del Restauro che era appena stato fondato nel 1939 e che era incaricato di seguite i restauri della Basilica. Brandi lo convinse ad iniziare a lavorare per l’Istituto Centrale come capo restauratore, e per questo i lavori ad Assisi proseguirono sotto l’egida del nuovo Istituto Centrale nel 1941 e anche successivamente, sino all’ultimo intervento seguito al terremoto del 1997. Con l’ICR a Roma partecipò ai restauri dei Caravaggio di San Luigi dei Francesi. Nel 1948: restauro del Raffaello di Brera con lo Sposalizio della Vergine. Mantenne la sua popolarità anche nel dopoguerra, soprattutto nell’Italia settentrionale e a Milano, dove legò il suo nome alla seconda riapertura di Brera e al salvataggio del Cenacolo Vaticano colpito dai bombardamenti. Il rapporto fra Pelliccioli e Brandi finì per guastarsi quando nel 1952 l’I.C.R. venne coinvolto per la prima volta nella questione degli affreschi di Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova. Pelliccioli iniziò subito il restauro, senza attendere indicazioni del direttore Brandi. La collaborazione di Pelliccioli con l’I.C.R. finì, il lavoro fu lasciat...


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