P. Costa, Art. 10 Costituzione italiana PDF

Title P. Costa, Art. 10 Costituzione italiana
Author Mary Jackeline
Course Teorie e Istituzioni della cittadinanza in età moderna e contemporanea
Institution Università Cattolica del Sacro Cuore
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Pietro Costa, Art.10 – Costituzione Italiana Premessa • La Costituzione italiana nasce dalla volontà di lasciarsi alle spalle il Fascismo e di costruire un nuovo ordine politico-sociale, fondato su istituzioni che garantissero la partecipazione democratica e su principi che assicurassero al cittadino le libertà fondamentali e l'accesso al patrimonio economico e culturale della nazione. • I primi dodici articoli della Costituzione enunciano i principi fondamentali, che costituiscono la premessa e il quadro di riferimento dell'intero testo costituzionale. • Pietro Costa, in collaborazione con altri, ha deciso di dedicare una serie di brevi saggi a ciascuno dei 12 articoli in cui ricostruire l'origine storica del principio costituzionale, la discussione all'interno dell'Assemblea Costituente e l'applicazione del principio nell'Italia repubblicana con la valutazione della sua attualità. • La Costituzione italiana comprende 139 articoli ed è così strutturata: ◦ Principi fondamentali artt. 1-12 ◦ Parte I – Diritti e doveri dei cittadini artt. 13-54 ◦ Parte II – Ordinamento della Repubblica artt. 55-139 ◦ Parte III – Disposizioni transitorie e finali I-XVIII • A differenza di altre costituzioni, i principi fondamentali non sono racchiusi in un preambolo, non hanno una numerazione a sé, ma sono parte integrante del testo e, come dissero i costituenti, delineano “il volto della Repubblica”. • La redazione dei 12 principi fondamentali fu frutto di un lungo e meditato confronto prima tra i 75 membri della Commissione per la Costituzione ( Commissione dei Settantacinque), che poi affidarono ad un apposito comitato (Comitato dei Diciotto) il compito di redigere un testo, che dal marzo del 1947 fu discusso nell' Assemblea Costituente. • L'Archivio storico della Camera dei Deputati conserva le diverse versioni del testo, dalle quali si può vedere come nel corso dei lavori le libertà venissero sempre più ampliate ed estese (si passò da sette principi ai dodici attuali – cfr. pagg. XI-XII di Art. 10) e come la discussione si svolgesse in un clima di grande rispetto e di attenzione al presente e al futuro della nascente Repubblica Italiana. • La Costituzione fu approvata quasi all'unanimità (62 contrari su 515 votanti) il 22 dicembre 1947: un risultato straordinario, se si pensa che nel 1947 il Partito Comunista era stato allontanato dal governo e che era in corso una vivace campagna elettorale. I costituenti seppero svincolarsi dalla lotta politica e mantenere un atteggiamento imparziale, per assicurare all'Italia un testo costituzionale davvero condiviso e duraturo. • La Costituzione nasce infatti come una “promessa”, come un progetto per il futuro, che le istituzioni avrebbero poi dovuto realizzare. E soprattutto i 12 principi fondamentali, che non possono essere né cancellati né riformati e che sono la garanzia della democrazia costituzionale, non devono mai essere dimenticati, vanno sempre applicati e richiamati, verificando che non diventino vuote enunciazioni, ma effettivi valori di riferimento delle istituzioni e di tutti i cittadini. Introduzione • Se i primi articoli della Costituzione indicano i principi che devono ispirare l'ordinamento interno dello Stato, l'art. 10 e l'art. 11 danno indicazioni sui rapporti dello Stato con il mondo esterno, cioè con gli organismi sovranazionali, con gli altri Stati e con gli stranieri, cioè con gli individui che per diverse ragioni vengono a contatto con lo Stato italiano.

Capitolo I: Il passato remoto 1. Dalla città allo Stato • Nel corso della storia europea dalla poliarchia [ più poteri ] medievale si passa alla monocrazia [ governo di uno] del sovrano: al termine di un processo secolare e a partire dalla pace di Westfalia del 1648, l'Europa si presenta come uno spazio governato da sovrani assoluti, che esercitano un potere indiscusso sui loro territori e che rivendicano la loro totale indipendenza nei confronti di altri Stati. • Questo sistema regge, pur con diverse modifiche, sostanzialmente fino alle guerre mondiali e vede via via delinearsi quello che Carl Schmitt ha definito lo ius publicum europeum [il diritto pubblico europeo] cioè un sistema di relazioni internazionali, che pur basato più su consuetudini che su norme effettive, cerca di regolare i rapporti tra gli Stati evitando l'anarchia. • Anche se gli Stati tendono a definire nettamente i loro confini, il loro territorio e le comunità di persone che li costituiscono, tuttavia l'uomo è per natura un migrante: da sempre gli individui si spostano da un territorio all'altro. • Già nell'Europa medievale la città con la sue mura delimita un microcosmo politico e sociale con una propria specifica identità, distinta dal “fuori”, dal mondo esterno. • Le mura però hanno porte, che possono essere aperte per chi proviene da “fuori”. La politica delle città nei confronti degli esterni, pur con tutte le differenze legate ai contesti storici e geografici, cambia generalmente a seconda di due variabili: ◦ le condizioni e le esigenze socio-economiche della città (ad esempio, una città in fase di espansione produttiva accoglierà esterni per aumentare la disponibilità di manodopera, ma sospenderà questa politica di accoglienza quando la sua situazione economica si modificherà) ◦ lo status dello straniero: nelle città medievali, che erano vivaci centri di scambio, erano sempre bene accolti i mercanti; altre figure di migranti che avevano libertà di spostamento erano i pellegrini e gli studenti universitari, mentre erano spesso respinti e rifiutati i poveri e i vagabondi, e molto difficile era anche la condizione degli esiliati dalla fazione nemica. • La città tende ad auto-proteggersi e respinge gli indesiderati, ma non può fare a meno di apporti esterni qualificati. • Con la formazione di Stati assoluti, dal potere fortemente accentrato, la città vede diminuire il proprio ruolo politico. Tuttavia anche lo Stato ha lo stesso problema delle città: il rapporto con gli altri Stati e con gli individui che si affacciano sui suoi confini. Certo per lungo tempo si è pensato più al rapporto tra lo Stato e i suoi cittadini che a quello con gli esterni, ma anche nei loro confronti si pongono due importanti quesiti: che cosa può chiedere lo Stato ai soggetti esterni? Che cosa può pretendere il soggetto dallo Stato? 2. L'età dell'assolutismo • Nelle monarchie assolute il sovrano è titolare dei beni dello straniero deceduto( droit d'aubaine), ma col tempo cresce l'esigenza di definire i diritti di coloro che viaggiano e abbandonano il paese d'origine. • Il teologo e giurista spagnolo Francisco de Vitoria, a metà del '500, elenca diritti che devono essere riconosciuti a ogni essere umano, fra i quali il diritto di viaggiare e la libertà di commercio, diritti strettamente connessi con l'espansione coloniale di Spagna, Francia, Portogallo e Inghilterra. • Anche Ugo Grozio, nel '600, riconosce il diritto di entrare ed uscire da un territorio, cioè il diritto di immigrazione e di emigrazione, purché questo non arrechi danno allo

Stato. Grozio parla in particolare di coloro che emigrano perchè minacciati o condannati dal sovrano del loro paese: se chi fugge è un criminale, Grozio auspica la collaborazione tra gli Stati, perché il colpevole sia arrestato nel paese straniero o consegnato al paese d'origine per essere punito; nel caso in cui il fuggitivo sia innocente, deve godere del diritto di asilo nel paese straniero, diritto che era già riconosciuto nel mondo antico. Grozio parla delle vittime delle persecuzioni perché le guerre di religione, che insanguinavano l'Europa, avevano causato la migrazione di molte persone perseguitate nei loro paesi d'origine per la loro fede, ma il suo modello sarà poi adottato anche in futuro consentendo agli Stati o di collaborare nella repressione del crimine (con l'arresto nel paese straniero o con l'estradizione) o di concedere il diritto di asilo ai perseguitati negando l'estradizione. • Alla fine del '600 Pufendorf pone dei limiti alla libertà di movimento e di commercio, sostenendo che il sovrano la può negare per il bene dello Stato, mentre nel Settecento i giuristi distinguono tra diritti perfetti, che non possono essere negati, e diritti imperfetti, tra cui quello di asilo, che possono essere concessi a discrezione del sovrano. Si mette quindi in discussione il diritto d'asilo, considerato sacro e inviolabile nel mondo antico, perché su qualunque diritto prevale l'autorità del re: è il sovrano che decide chi sta dentro e chi sta fuori dallo Stati e quali diritti e doveri si debbano attribuire a chi è ammesso. 3. La Rivoluzione francese • Tutto cambia con la Rivoluzione francese: nella Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789 i diritti sono garantiti al soggetto non perché appartiene ad un gruppo, ad un ceto o ad una nazione, ma perché membro del genere umano. • La Rivoluzione, mentre sancisce l'uguaglianza e l'universalità dei diritti e una visione cosmopolita (cosmopolitismo= sentirsi cittadini del mondo), fonda una nuova concezione dello Stato, basata su un ordinamento politico-costituzionale e sui diritti del cittadino. • Cambia anche lo nozione e la condizione dello straniero: viene abolito il droit d'aubaine, vengono introdotti nuovi e numerosi modi per ottenere la cittadinanza. Lo spirito di uguaglianza e l'amore per la libertà portano a ridurre la contrapposizione tra Stati e nel 1790 si arriva ad abolire con un decreto la guerra di conquista e di aggressione. • La Costituzione francese del giugno 1793 riconosce il diritto d'asilo per gli stranieri esiliati per la libertà, ma poi la situazione politica muta rapidamente e nell'agosto dello stesso anno una nuova legge prevede l'espulsione degli stranieri indesiderati. 4. Gli Stati nazionali fra Ottocento e Novecento • Nell'Ottocento in Europa dominano gli Stati, solo in Italia e in Germania l'unificazione si compirà nella seconda metà del secolo. I diritti dell'individuo perdono importanza a favore dei diritti del cittadino che appartiene allo Stato-nazione, l'organizzazione politica che ha il compito di rappresentare e governare la collettività nazionale. Sull'identità nazionale e sul senso di appartenenza il potere fa leva quando vuol disporre di una massa di persone pronte a difendere la nazione dagli attacchi esterni. • Lo Stato pensa quasi esclusivamente ai propri cittadini, ma ovviamente non può ignorare gli stranieri che vengono a contatto con lo Stato-nazione. Nei confronti dello straniero vale il principio della reciprocità: uno Stato tratta gli stranieri così come i suoi cittadini sono trattati dallo Stato da cui lo straniero proviene. In questo caso allo straniero vengono riconosciuti diritti non perché è un uomo, ma perché è cittadino di un altro stato e sono le relazioni tra stati (lo ius publicum europeum ) a determinare i diritti dello straniero. • Solo l'Italia dopo l'Unità, nel Codice civile del 1865, e l'Olanda riconoscono allo

















straniero gli stessi diritti dei cittadini, senza rifarsi al principio di reciprocità. Nel caso dell'Italia prevale infatti la dottrina liberale fondata sullo scambio e sul libero movimento di uomini e di merci, che influenza anche altri Stati, in cui però si tende a non aprirsi agli esterni, ma a mantenere il primato dello Stato e il criterio della reciprocità. Nella cultura liberale di primo Ottocento si apre un vivace dibattito sul reato politico, che per i liberali assomiglia troppo al reato di lesa maestà con cui nelle monarchie assolute si condannava qualsiasi forma di opposizione: la definizione di reato politico è così generica che c'è il rischio che esso venga utilizzato per limitare e colpire la libertà di opinione. In questo clima il giurista olandese Provò Kluit, nel 1829, pubblica un trattato in cui condanna l'estradizione per reati politici, che troverà grande consenso: la stessa tesi è infatti sostenuta anche da Guizot in Francia e da Lord Palmerston in Inghilterra. A metà Ottocento, in un'epoca in cui i moti liberali del 1848-49 incrementano il numero dei rifugiati per reati politici, la concessione dell'asilo è praticata da molti Stati. E' una vittoria della dottrina liberale: il cittadino perseguitato per le sue opinioni politiche gode del diritto d'asilo e non viene estradato. Così facendo lo Stato estende la sua tutela anche su degli stranieri che vedono minacciati i loro diritti civili e politici. Il limite di queste posizioni consiste nel fatto che sono consuetudini e non leggi: si continua cioè ad attribuire allo Stato il compito di decidere in materia giuridica. Lo Stato che concede l'asilo agli stranieri deve poi stabilire delle regole per la loro gestione: la Francia, che accoglie profughi polacchi, italiani e di altre nazioni, con una legge del 1832 definisce lo status di rifugiato. Sul rifugiato pende però sempre il rischio dell'espulsione, spesso decisa in modo arbitrario dalle forze di polizia. Nella prima metà dell'Ottocento tale rischio è ridotto perché i rifugiati sono pochi e, essendo di elevata condizione economica e culturale, godono dell'appoggio dell'opinione pubblica. Le cose cambiano quando nella seconda metà dell'Ottocento le migrazioni diventano un fenomeno di massa: gli Stati tendono a limitare l'accoglienza e a stabilire regole sempre più restrittive. Il fenomeno è evidente persino negli Stati Uniti, che, pur accogliendo un flusso incessante di immigrati, cominciano molto presto a selezionarli in base a pregiudizi razziali. E in Europa: la liberale Gran Bretagna, dopo un lungo periodo di frontiere aperte, emana l' Aliens Act (1905), che pone molte restrizioni all'ingresso degli stranieri e rafforza le procedure di espulsione; la Francia nel 1899 stabilisce un numero massimo di lavoratori stranieri e aumenta i controlli. In Italia, dopo l'Unità, i confini restano ufficialmente aperti (anche perché l'immigrazione era molto limitata, mentre era sempre più grave la migrazione interna da Sud a Nord e l'emigrazione degli italiani), ma in nome dell' ordine pubblico si tende a fare una selezione (per es. si verificano le condizioni economiche, perché lo straniero non diventi un “ozioso vagabondo”), ad effettuare severi controlli in ingresso, ad espellere coloro che abbiano commesso reati o che possano rappresentare una minaccia La dottrina liberale anche in Italia riconosce la libertà di movimento, anzi la ritiene utile all'economia, ma, quando l'emigrazione degli italiani cresce, lo Stato si preoccupa di non ridurre troppo la sua forza lavoro e il suo potenziale militare: ancora una volta quindi è l'interesse dello Stato a prevalere sulla libertà del cittadino. In Europa gli Stati liberali di fine Ottocento sono Stati di diritto, che quindi dovrebbero agire sempre rispettando la legge e, nel caso degli stranieri, prevedere precise norme di ammissione e di espulsione, ma di fatto i tanto celebrati diritti non

vengono sempre riconosciuti e le decisioni vengono affidate alle forze di polizia, che troppo spesso considerano lo straniero un soggetto pericoloso. • Di fatto ancora agli inizi del Novecento, come dice lo studioso di diritto Ranelletti, la sovranità dello Stato è assoluta e lo straniero è un soggetto debole, che non ha veri diritti e per il quale l'ingresso e la permanenza in uno stato estero sono decisi dallo Stato stesso in base ai propri interessi. 5. Dalla Prima Guerra Mondiale al fascismo • Alla fine dell'Ottocento, allontanandosi dall'ideale di un'Europa di nazioni libere e uguali, gli Stati accentuano l'ideologia nazionalistica e la loro politica espansionistica e aggressiva, che sfocia nella Prima Guerra Mondiale con una mobilitazione di uomini e mezzi senza precedenti. • In nome della situazione eccezionale determinata dalla guerra, si ritiene lecito superare i limiti dello Stato liberale, ridurre i diritti dei cittadini e, ancor più, quelli degli stranieri. Si tende a chiudere sempre più i confini: nel 1915 lo straniero per entrare in Italia deve avere il passaporto e il visto, deve dire dove intende risiedere e comunicare ogni spostamento alle forze dell'ordine. • Quasi tutti gli Stati in guerra adottano provvedimenti di internamento nei confronti di persone sospettate di collaborare con il nemico solo per la loro origine: tedeschi e austriaci in Francia e in Gran Bretagna, inglesi, francesi e russi in Germania diventano dei nemici anche se residenti da anni, coniugati con cittadini/e e possessori di beni. Provvedimenti simili, che interessano centinaia di migliaia di persone, vengono presi ovunque durante la guerra e giungono fino al trasferimento di masse di civili in ghetti o campi di lavoro. Nel dopoguerra esplode il problema dei profughi. • L'irrigidimento dei confini permane tra le due guerre e in Italia viene rafforzato con l'avvento del fascismo, che si basa su una politica aggressiva e sulla difesa dell'identità nazionale. Nel 1931, con il Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, si limita l'ingresso degli stranieri e si prevede l'espulsione di quelli indigenti. Nel 1942 viene introdotto nel Codice civile il principio di reciprocità. • Il fascismo non fa che riprendere la politica dello stato autoritario, che entro i confini nazionali limita i diritti dei cittadini e in politica estera pratica il colonialismo e l'imperialismo. Capitolo II: Il dibattito costituente 1. La centralità della persona e i diritti fondamentali • Sconfitto il fascismo, le forze che avevano organizzato la resistenza danno vita ad un'Assemblea costituente in cui esponenti di partiti politici molti diversi ideologicamente trovano punti di convergenza per fondare un nuovo ordine statale. • I punti condivisi sono: ◦ il “no” al fascismo e ad ogni tentativo di ripristinare un regime totalitario ◦ il progetto di un governo democratico fondato sui diritti della persona, di cui lo Stato deve essere garante. • Giorgio La Pira, membro della Commissione dei Settantacinque e relatore della Sottocommissione sui Diritti e doveri dei cittadini, spiega che il rapporto tra Stato e diritti va invertito: non sono i diritti che dipendono dallo Stato, che li concede a sua discrezione (come era stato fino all'Ottocento), ma è lo Stato che nasce come strumento per realizzare i diritti dei cittadini. • Giuseppe Dossetti, superando le incomprensioni tra cattolici e comunisti, sostiene che si deve affermare “l'anteriorità della persona rispetto allo Stato”: un principio che

tutti i costituenti condividono, a prescindere dalle ideologie di partito, perché risponde a quel bisogno di recuperare il valore della persona e dei suoi diritti annientati dal fascismo e dal nazismo. Anche la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (1948) si fonda sugli stessi principi. • L'Assemblea costituente non si preoccupa solo di stabilire che la sovranità in politica interna deve essere al servizio dei cittadini (lo Stato non è un padrone dispotico, ma è al servizio dei cittadini di cui deve garantire i diritti), ma anche che la sovranità in politica estera non deve più essere intesa come una forma di chiusura autosufficiente e aggressiva: lo Stato deve sentirsi parte di una comunità internazionale impegnata ad evitare nuovi conflitti e a garantire la pace. In questo clima nasce l'art.10 della nostra Costituzione. 2. Le genesi dell'art.10 Art.10 della Costituzione italiana: L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. (comma 1) La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. (comma 2) Lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge.(comma 3) Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici.(comma 4) Il comma 1 dell'art.10 era già stato formulato, prima della Costituente, da una commissione istituita nel 1945 e presieduta da Ugo Forti. Due dei giuristi che ne facevano parte, Roberto Ago e Gaetano Morelli, sostennero infatti l'adattamento automatico delle norme italiane al diritto internazionale, compresi i trattati. Dopo lunghe discussioni tra Dossetti, Togliatti e altri, la Commissione approvò la formula proposta del repubblicano Perassi: L’ordinament...


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