Parafrasi-Canto VI - Appunti 1 PDF

Title Parafrasi-Canto VI - Appunti 1
Author Federica Velle
Course Letteratura italiana 
Institution Università degli Studi di Udine
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Summary

Parafrasi canto VI...


Description

CANTO VI Al tornare delle percezioni, che si spensero difronte a la compassione dei due cognati, che mi confuse tutto di compunzione (difronte al peccato, trestizia), Vedo intorno a me, comunque io mi muova e come io mi volga, e dove io giri lo sguardo nuovi tormenti e nuovi tormentati. Io sono al terzo cerchio, che è il cerchio de la pioggia eterna, maledetta, fredda e flagellante; quantità (regola-re, misura) e qualità non cambiano mai. Grandine grossa, acqua mista a neve e neve vengono qui per l'atmosfera oscura la terra che questo riceve ha un cattivo odore. Cerbero, fiera crudele e mai vista prima (diversa), latra caninamente con tre teste (sineddoche: 3 gole) sopra la gente che qui è sommersa. Ha gli occhi rossi, la barba unta e nera (atra), e il ventre largo (goloso), e unghia alle mani; graffia, scuoia e squarta gli spiriti. La pioggia li fa urlare come cani; (stato animalesco: mancanza autocontrollo) cercano di proteggersi da un lato o dall'altro (de l'un de' lati fanno a l'altro schermo); si girano spesso i miseri profani. (=coloro che non sono ammessi nel tempio, alphanum) Quando Cerbero ci scorse, il grande mostro, aprì le bocche e ci mostrò le zanne; non aveva membro che tenesse fermo (stato di frenesia). E il mio duca aprì le su mani, raccolse manate di terra, e con i pugni pieni gettò la terra dentro le bocche piene di brama. Al modo in cui il cane che abbaiando brama (il cibo), e si calma dopo che ha morso il cibo, perchè capisce e si sforza solo a divorarlo, simili divennero quelle facce sporche che il mostruoso Cerbero, che grida le anime così, che vorrebbero essere sorde. Noi camminavamo sopra le ombre che la pesante pioggia fiacca, e mettevamo i piedi (ponavam le piante) sopra il loro vuoto che sembra una persona. (vanità che par persona) Esse giacevano tutte quante per terra, apparte una che si alzò a sedersi, velocemente appena ci vide passare davanti.

"O tu che sei condotto per questo inferno", mi disse, "riconoscimi, se sai tu fosti venuto al mondo prima che io fossi morto". E io a lui: "L'espressione stravolta che hai (a causa della pensa, angoscia) forse fa sì che io non ti ricordi, così che par che io non ti avessi mai visto. Ma dimmi che sei che in un luogo così pieno di dolore sei messo, e sei punito con tale pena, che, se qualcuna altra è maggiore (maggio, uscite in nominativo e accusativo), nessuna è così schifosa. E lui a me: "La tua città che è piena d'invidia (lotta per il potere) così che già il sacco trabocca, fui fiorentino quando vivevo sulla terra. (seco mi tenne in la vita serena) Voi cittadini mi chiamaste Ciacco: per la colpa tale da condannarla della gola come tu vedi, sono afflitto dalla pioggia. E io anima dannata non sono sola, perchè tutte queste altre animi stanno a simil pena per il peccato della gola". E non disse più nulla. Io gli risposi: "Ciacco, la tua angoscia mi fa soffrire, che mi fa lacrimare; ma dimmi, se tu sai, fin dove arriveranno (la lotta civile, la presecuzione) dei cittadini della città spartita; se c'è qualcuno di giusto; e dimmi la causa per cui l'ha assalita tanta discordia". E Ciacco a me: "Dopo una lunga lotta arriveranno al sangue (alla guerra civile), e la parte selvaggia (la parte del contado) caccerà l'altro partito con grande danno. Poi subito dopo avverrà che questa cada nel tempo di tre soli, e che l'altra sconfitta la vinca (la sormonti) con l'aiuto di colui che adesso (testé) adula/ é rimasto neutrale. La sopraffazione durerà a lungo, (alte terrà lungo tempo le fronti) tenendo l'altro partito sotto una pressione severa, malgrado ne avesse da soffrire se ne adonti. (adontare, sentirsi umiliati; onta=offesa) Due sono giusti (agg. cose; nom. persone ??), e non vengono ascoltati superbia, invidia e avidità sono le tre faville che hanno infiammato i cuori". Qui smise di piangere. E io a lui: "Voglio (vo') che mi insegni e che tu mi faccia il dono di parlare di più. Farinata degli Uberti e il Tegghiano Aldobrandi, che fuori così degni, Iacopo Rusticucci, Arrigo Fifanti e il Mosca de Lamberti e gli altri che misero l'intelletto per il buon operare,

dimmi dove sono e fa che io li possa conoscere; perchè un grande desiderio mi stringe di sapere che il cielo li addolcisce o l'inferno li avvelena". (attosca=rendere amaro) E Ciacco: "Essi sono tra le anime più nere; differenti colpe li fa stare giù nel fondo dell'Inferno: se scendi tanto, là li potrai vedere. Ma quando tu sarai sulla terra, ti prego che tu mi faccia ritornare alla mente degli altri/alla memoria: più non ti dico e più non ti rispondo". Gli occhi dritti che prima erano dritti su di me strabuzzò di traverso; mi guardò un poco e poi chinò la testa: cadde (all'indietro) con essa come li altri dannati. E il duca mi disse: "Più non si sveglierà di qua dal suono della tromba dell'angelo, quando verrà la potenza avversaria del male: (nimica podesta) Ciascuno ritornerà al luogo della propria sepoltura, ci sarà la resurrezione della carne, e sentirà la sentenza definitiva". (ciò che in etterno rimbomba) Così passammo attraverso il miscuglio sozzo delle ombre e della pioggia, a passi lenti, parlando un poco della vita futura; cosicchè io dissi: "Maestro, questi tormenti cresceranno dopo la grande sentenza, o saranno minori, o così brucianti/forti?". E Virgilio a me: "Ritorna alla dottrina aristotelica, che afferma (vuol), quanto un ente è più perfetto, tanto più senta il bene, e tanto più sente così il male. (la doglienza) Per il fatto che questa gente maledetta malgrado non raggiungano mai la vera perfezione, aspettati di essere là più che di qua". Noi curvammo per una strada, dicendo molte più cose di quanto io riferisca; venimmo al punto dove si scende: qui trovammo Pluto, il grande nemico. (guardiano infernale)...


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