Pirandello tema PDF

Title Pirandello tema
Author marialucia de crisci
Course Letteratura italiana
Institution Università degli Studi della Basilicata
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TEMA PIRANDELLO. Luigi Pirandello, nato ad Agrigento nel 1867 da famiglia borghese che viveva dell’industria del commercio di zolfo, si laureò a Bonn, dove condusse vari studi letterari. La solitudine dell’uomo moderno, cui si aggiunse l’indagine sulle condizioni di arretratezza del sud Italia, causate dal fallimento degli ideali risorgimentali, lo indussero a cercare un’interpretazione al senso della vita, come si legge nella raccolta in versi Mal giocondo (1889). La produzione novellistica di Pirandello, che ebbe inizio nel 1894 con la raccolta Amori senza amore, si estese per tutta la vita. L’editore Mondadori, dopo la morte dello scrittore nel 1936, ha pubblicato in quattro volumi la produzione novellistica pirandelliana con il titolo Novelle per un anno. Le vicende, ambientate per lo più in Sicilia e a Roma, hanno come protagonisti personaggi piccolo-borghesi e sono dominate da tratti umoristici e grotteschi. La scala tematica è molto ampia: la messa in scena di una tipica beffa paesana (LA GIARA), la nevrosi come lieve follia ricorrente (LA CARRIOLA e L’ERESIA CATARA), la natura che sorprende l’uomo col suo mistero (CIAULA SCOPRE LA LUNA), la tenerezza dell’infanzia (PENSACI GIACOMINO). Ai primi del ’900 un dissesto finanziario scatenò la crisi familiare che determinò la malattia mentale della moglie: questi eventi segnarono fortemente la vita di Pirandello e la sua produzione letteraria. Nel 1904 uscì a puntate il romanzo Il fu Mattia Pascal, al quale nel 1908 dedicò il saggio l’Umorismo. Pirandello è autore di sette romanzi (L’esclusa; Il turno; Il fu Mattia Pascal; Suo marito; I vecchi e i giovani; Quaderni di Serafino Gubbio operatore; Uno nessuno e centomila), in cui si compie gradualmente il passaggio da moduli veristi ad altri più innovativi, che risentono dell’influsso della cultura europea e della tesi sull’umorismo: un complesso sguardo di fronte alle vicende umane, composto di grottesco e di pietà, di coscienza delle contraddizioni e di comprensione per l’individuo. In questi anni le condizioni della salute della moglie peggiorarono: questo non rallentò la sua lena letteraria, ma influenzò la sua poetica. Alcuni luoghi a lui cari persero di valore, come la casa, carica di valori nella tradizione siciliana e nella società borghese, si svuotò per Pirandello di affetti e di significato, anche se a lungo egli si dedicò con attaccamento e dedizione ai suoi tre figli. Dal 1910 Pirandello comincia a dedicarsi al teatro, per il quale scrive diverse opere, e fonda nel 1926 una compagnia con la quale comincia a girare il mondo. La produzione teatrale di Pirandello si definisce come negoziazione della poetica naturalistica, perché la realtà oggettiva e unitaria rappresentata dai veristi diviene passibile di più interpretazioni. I personaggi, quindi, più che agire amano ragionare, nel tentativo di orientarsi all’interno di un mondo così frammentato. Poiché si sentono incapaci di agire sul proprio destino, non resta che accettare la propria solitudine, e indossare la maschera che gli altri hanno scelto per loro. Il teatro di Pirandello nasce dalle novelle che sono dialogate, il teatro viene inteso come degradazione dell'opera d'arte. Secondo il poeta la vita non è nient'altro che teatro, ed è il miglior luogo per rappresentare le maschere sociali. In tutto Luigi Pirandello ha composto ben 43 opere teatrali, alle quali diede il titolo complessivo di Maschere nude. È stato scelto questo titolo perché nelle opere viene messa a nudo la verità nascosta, il mondo interiore dell'uomo. La novità introdotta con il teatro pirandelliano è il metateatro (o teatro nel teatro): il dramma teatrale riflette su sé stesso e sulla natura della finzione scenica. I temi che vengono messi in scena sono: contrasto tra l'essere e l'apparire; crisi d'identità; solitudine dell'uomo. Il teatro di Pirandello viene definito tortura perché ci invita a riflettere sull'esistenza legata al problema della soggettività. Secondo Pirandello infatti, l’uomo deve credere che la vita abbia un senso e perciò organizza l’esistenza secondo convinzioni che devono rafforzare in lui tali illusioni, l’esistenza è data dagli ideali che ogni individuo si pone. Tra le più significative opere ne ricordiamo alcune: Così è (se vi pare), la commedia che affronta il tema dell’assenza di una realtà conoscibile in maniera oggettiva, in cui i fatti sono passibili di diverse interpretazioni, tutte ugualmente possibili; Sei personaggi in cerca d'autore, in cui i personaggi di quest'opera teatrale non hanno un ruolo e ognuno rappresenta il proprio dramma, in cui viene messo in evidenza il contrasto tra persona e personaggio, tra vita e forma; Enrico IV, la commedia che affronta la cristallizzazione nella maschera del pazzo, imposta dalla sorte a Enrico e divenuta poi una scelta: il personaggio coscientemente accetta di vivere il distacco dalla vita e l la condanna all’incomunicabilità. Nel 1928 si apre la ‘fase dei miti’: attraverso il ricorso a soluzioni inventive e sceniche innovative lo scrittore affronta grandi problematiche (il rapporto fra utopie sociali e natura, il conflitto tra scienza e fede, la libertà dell’arte) in atmosfere simboliche e stilizzate. Appartengono a questo periodo La nuova colonia, Lazzaro, I giganti della montagna.

Nel saggio L’umorismo Pirandello presenta la sua poetica, che è l’insieme di una visione della vita e dell’arte. Lo scrittore deve, attraverso l’umorismo, rivelare la profonda differenza tra ciò che è e ciò che appare; non solo, ma anche la contraddizione tra l’immagine che gli altri hanno di noi e l’immagine che noi abbiamo di noi stessi. In questo senso l’umorismo è definito ‘sentimento del contrario’. L’umorista è il solo che possa cogliere la verità della vita, egli infatti conosce l’ipocrisia delle regole sociali e degli uomini che, pur costretti ad adattarvisi e subendo dolorosamente la costrizione, fingono coerenza e conseguenzialità. L’uomo, secondo Pirandello, tende ad assumere il ruolo che la famiglia e la società gli assegna e a nascondersi dietro diverse maschere, a seconda della situazione in cui si trova. La maschera è un altro elemento della poetica pirandelliana da cui deriva la constatazione che la vita è tutta una finzione: ognuno perde la libertà di essere sé stesso per coincidere con quello che gli altri vogliono. Quando l’uomo, però, si vede vivere e scopre che la sua coscienza non è unitaria rischia di andare in crisi. Una possibile soluzione a questo stato di cose è il rifugio nell’amara ironia di chi accetta la finzione sapendola tale, nella trasgressione o nella follia. La pazzia per Pirandello è liberarsi dalla maschera, solo in questo modo l’uomo riuscirà a mostrarsi per quello che è veramente. La follia è lo strumento di contestazione di una vita sociale sostanzialmente finta, così la scomposizione umoristica fa venire alla luce il fondo oscuro della psiche, che noi non sospettiamo e in cui non ci riconosciamo. Pirandello nel 1934 ottiene il premio Nobel per la letteratura. Muore a Roma nel 1936. Tra le novelle pirandelliane trasposte in opere teatrali abbiamo: Pensaci, Giacomino! La novella Pensaci, Giacomino! fa parte della raccolta La giara (1927) ed è stata pubblicata inizialmente nel 1910 sul «Corriere della Sera» e rielaborata per il teatro (prima in siciliano, poi in italiano) fra il 1916 e il 1917.La composizione in siciliano fu realizzata per soddisfare le richieste di un affermato attore comico, Angelo Musco. Inoltre nel 1936 se ne fece una riduzione cinematografica ad opera di Gennaro Righelli, avente per interpreti lo stesso Angelo Musco, Elio Steiner e Dria Paola. Il titolo dell’opera rimane immutato sia nella novella che nella commedia e parzialmente illustra quello che è il punto centrale della storia: il discorso Giacomino-Toti. Riprende la battuta che nella novella conclude il narrato e che invece nella commedia è una semplice parte del dialogo finale. Nella novella Pirandello narra di Agostino Toti, un anziano professore di settant’anni con un animo molto generoso che, dopo aver già raggiunto una situazione economica stabile grazie alla sua carriera, ha anche ereditato la pensione di un suo fratello morto scapolo. Spinto dalla sua grande generosità l’uomo prese in sposa una giovane venticinquenne, Maddalena, figlia del bidello della scuola. Quello di Toti è un gesto disinteressato e volto a far del bene a una giovane di bassa estrazione sociale (“se l’è presa povera e l’ha innalzata”). Il professore è consapevole tuttavia di non poter pretendere l’amore della moglie, che lui stesso ama come fosse sua figlia, e non è quindi nemmeno contrario alla relazione della ragazza con il giovane Giacomino, che era stato uno dei suoi alunni prediletti al liceo. Dal loro rapporto nacque anche un bambino, che il professore adora e accudisce. Così Toti ha deciso di aiutare anche “il suo buon Giacomino” trovando al ragazzo un posto alla Banca Agricola, dove nel frattempo ha messo al sicuro la somma di denaro ereditata. La strana famiglia viene derisa dai compaesani che non riescono a capire i nobili sentimenti del professore, che viene così fatto oggetto di scherno circa la paternità del bambino. Nonostante questo però la famiglia è serena, fin quando accade che la moglie da tre giorni è agitatissima e non vuole più uscire dalla camera da letto. Per porre fine alla situazione il signor Toti decide di far visita a Giacomino insieme al bambino con l’intento di capire cosa stia succedendo. Gli apre la porta la sorella Agata che inizialmente non vuol farlo parlare con il ragazzo, ma poi cede alla gentilezza del professore e chiama il fratello. Quest’ultimo è molto in imbarazzo e spiega al professore che nonostante tutto il bene ricevuto, si è alla fine fidanzato con un’altra ragazza e quindi non potrà prendersi cura di Maddalena e del bambino dopo la sua morte. Il signor Toti si arrabbia molto, non può accettare che i suoi piani vengano stravolti, così cerca di far cambiare idea al ragazzo ma non riuscendoci alla fine minaccia Giacomino di andare con il bambino a fare una scenata dalla sua nuova fidanzata e di fargli perdere il lavoro che gli aveva trovato in banca. Prima di andarsene, sulla soglia, il professor Toti ha l’ultima parola: “Pensaci, Giacomino! Pensaci!”. La commedia teatrale è molto differente, tanto per struttura quanto per svolgimento e carattere di personaggi e situazioni. Prima di tutto ci troviamo davanti ad una commedia in tre atti che si svolge nell’arco cronologico di circa tre anni, con tre spostamenti di ambientazione. Vengono inoltre aggiunti altri personaggi, che contribuiscono alla maggiore caratterizzazione di quelli già esistenti.

La novella, umanamente più credibile, mostra come Toti dopo il matrimonio comprenda il diritto della moglie a non sacrificare la propria gioventù, diritto che invece nella commedia è accettato per partito preso fin dall’inizio, ed un po’ anche per ribellione contro le istituzioni ed i luoghi comuni, quasi a voler maggiormente far risaltare la satira sociale. Ad un Toti che nella novella è quasi vittimizza della società, Pirandello ne sostituisce nella commedia uno più ribelle, personaggio più forte, che non si offre più tanto agli effetti comici derivanti dalla macchietta del marito tradito, anche se a volte Toti ha un po’ troppo il sapore di idealizzazione eroica, con i piedi non tanto puntati a terra. Potrebbe essere un esempio la parte finale del discorso con Giacomino, svolta con tono declamatorio, che aggiunge alle battute già utilizzate nella novella (che enfatizzano in termine rovina…rovina…rovina…) quelle della commedia, che invece sottolineano il diverso ruolo che egli si ha scelto di difendere, appunto insistendo sul concetto “difendo” la madre… “difendo” questa creaturina…” difendo” te ingrato. Dunque più che mai in questa commedia Pirandello pare comprendere le tecniche della rappresentazione, le aspettative del pubblico, tra l’altro già teorizzate nei suoi scritti saggistici. Importante anche perché si tratta della prima opera teatrale che Pirandello costruisce prestando attenzione a quelle che sono le potenzialità sfruttabili dell’attore prescelto, in questo caso Angelo Musco. Resta però da osservare la caratteristica dello scrittore che, pur lasciandosi sempre più prendere dal ruolo di commediografo, resta sostanzialmente un narratore, polemico nei confronti della necessità che ha il genere teatrale di dover ricorrere ad un mediatore tra il mittente (scrittore) ed il destinatario (pubblico); cosa di cui non necessita la narrativa. Si tratta di un concetto, questo, di cui Pirandello ha già parlato nel saggio “Traduttori, attori, illustratori “del 1908, ove paragona appunto gli attori ai traduttori i quali, malgrado le loro grandi capacità artistiche, non potranno mai cogliere per intero il messaggio che l’autore intende trasmettere, rendendo la loro interpretazione sempre soltanto una maschera, mai vera incarnazione. Trasportando il tutto nell’ambito dell’opera teatrale, si può considerare il testo dell’autore come “opera originale”, da cui si trae la messa in scena che è soltanto una copia, per quanto splendida. Egli inoltre denuncia quella che era la “moda” dell’epoca degli ATTORI-MATTATORI, così detti perché, utilizzando quel palcoscenico per soddisfare il proprio desiderio di egocentrismo, non rispettavano il testo teatrale, che volevano sottomesso ai loro capricci. Motivo per cui Pirandello si oppone all’attrazione esercitata da questi attori sulle folle, anche per il fatto che in tal modo essi non imparavano (e quindi non comprendevano realmente) il testo e la parte del loro personaggio, utilizzando troppo la figura del suggeritore. Il finale della commedia continua quanto la novella aveva lasciato in sospeso: qui il professor Toti dimostra un carattere più risoluto, una più decisa ribellione contro l’ipocrisia, un più forte impegno morale e capacità di convinzione. Perché quando nessuna protesta o minaccia appaiono più valide, restano ancora da muovere le più intime corde dell’umanità; e Toti lo fa, ponendo in braccio a Giacomino il figlio. E la commedia finisce proprio con l’inaspettata critica contro il “cattivo prete”, per la quale Toti utilizza il linguaggio biblico quasi a mostrargli da che parte è realmente il giusto. Sia nella novella che nella commedia teatrale si evincono alcuni temi della poetica pirandelliana. Il professor Toti è un personaggio chiaramente umoristico e veicola il fondamentale “sentimento del contrario”: dal punto di vista dei paesani e di Giacomino egli è solo comico e diverso, ma in realtà egli diventa invece umoristico, perché scorge, dietro la maschera sociale, un sottofondo drammatico. Il poeta sottolinea la vita quotidiana e, di conseguenza, la mentalità dei personaggi del Meridione, un contesto sociale chiuso, costituito da pettegolezzi che spingono il professore a non comprendere il vociferare della “trista gente” del paese, rappresentando così lo scacco di un uomo non più in sintonia con la società, e rimane sconcertato dal comportamento del Giacomino disposto a rifiutarsi di essere padre. Quindi i temi trattati sia nella novella che nell’opera teatrale, ruotano attorno a un argomento principale pirandelliano: egli condanna una società erroneamente fondata non sull’essere, bensì sull’apparire. Attraverso i vari personaggi si rivela una società in cui l’individuo è costretto a celare i propri sentimenti e a portare una maschera nella quale egli non si identifica, ma è costretto ad accettare per sfuggire all’emarginazione sociale e all’accusa di pazzia, punizione per chi sceglie di non fingere. Spesso le situazioni descritte nelle opere pirandelliane sono paradossali, consentono infatti di mettere in luce la fragilità di tutto quello che hanno faticosamente costruito. Il compito del teatro pirandelliano è dunque quello di spingere lo spettatore o il lettore a toglier via quella maschera che porta a fare della sua vita una commedia....


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