Prometeo, variazioni sul mito PDF

Title Prometeo, variazioni sul mito
Author Elisa Armandi
Course Letteratura latina
Institution Università di Bologna
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Riassunto libro...


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PROMETEO VARIAZIONI SUL MITO

1. “Molte migliaia di anni io soffrirò”. L’infinita fortuna di Prometeo. 1.1 Prometeo e la sua rupe: Il Prometeo, ha scritto Jan Kott, è una tragedia della verticalità dove gli dei stanno sopra e gli uomini sotto anche in senso figurato. Per fare un esempio di ciò che abbiamo appena detto, nel 1925 il Prometeo di Adolphe Appia , si era avvalso di una portentosa scenografia tesa a suggerire, l’esorbitante potere che sovrasta e soverchia il Titano prigioniero: scenografia che segna la storia del teatro Europeo. Nella realizzazione della scenografia, lo spazio scenico si dilata, fino a varcare “ la quarta parete ” e addirittura il confine stesso del teatro. Per esempio, nel 1984, altitudini e vertigini disegnano lo spazio dell’arca scenicoacustica progettata da Renzo Piano per il Prometeo di Luigi Nono. Un altro esempio è il Prometeo Siracusano di Luca Ronconi (2002) dove la rupe è immagine stessa del protagonista: un’immensa statua che rappresenta e insieme imprigiona il titano, incatenato al proprio monumento. Ancora più recentemente il Prometeo della compagnia Archiviozeta (2008) ricorre a una rupe naturale, per garantire all’illustre prigioniero l’immensità che merita. Per il Prometeo antico si sono immaginati tutti gli scenari possibili: - si è supposto che la rupe altro non fosse che la skenè (spazio scenico) dipinta nella quale il Titano stava sospeso secondo la regola del rito punitivo noto come apotympanismos. - si è ipotizzato che la rupe ci fosse e fosse roccia autentica, data l’identificazione, sul sito del teatro ateniese di Dioniso, di un originaria sopraelevazione rocciosa, in seguito eliminata pr fare posto alla spianata per l’orchestra. - si è supposto che una rupe lignea potesse surrogare la rupe mancante. - si è supposto che lo spazio sovrastante la skenè potesse essere messo a frutto per esibira la lunga prigionia del titano. -si è presupposto che, per rispariamare all’attore di rimanere sospeso tutto il tempo dell’azione su delle corde che lo tenessero ancorato alla rupe, si utilizzasse un fantoccio raffigurante il Titanoi e che l’attore doppiasse i dialoghi. - la critica ha anche presupposto che il Prometeo non fosse altro che un dramma “ da tavolino”e quindi non concepito per la rappresentazione scenica. Tutto può essere o quasi tutto, e queste sono supposizioni che continuano ad essere dibattute per via della mancnza di fonti; sembra strano però che nel V secolo a.C. la mechanè fosse presente nel teatro di Eschilo.

1.2 Chi, dove e quanto: la “questione prometeica”.

Ma se il Prometeo presenta problemi di messainscena pressochè ignoti a qualsiasi altro dramma antico, ciò non è altro che un aspetto marginale entro una “questione prometeica”

di ben più vasta portata. E’ assurdo infatti pensare che la l’opera Eschilea forse più amata fino all’Ottocento, sia oggi ritenuta spuria da una consistente parte della critica: ben più tarda di Eschilo e quindi inconciliabile con Eschilo almeno per quanto riguarda le scelte lessicali, la tecnica compositiva, gli usi morali, le credenze religiose e morali. Nel migliore dei casi si pensa che l’opera venne scritta da un proscutore impegnato a concludere l’opera incompiuta o, forse, a riscrivere in senso Sofistico- libertario un dramma teologicamente inappuntabile del vecchio e devotissimo Eschilo. Questa discussione da parte della critica inizio nel XIX secolo e perdura fino ad oggi; essa prese piede in Germania per opera di R. Westphal nel 1856 che negò per primo la paternità Eschilea dell’opera, che però all’epoca non conquistò molti seguaci. Quando però nel 1977 M. Griffith si scagliò contro l’autenticità dell’opera Eschilea, trovò grande seguito e successo nel mondo filologico, pur tra i forti contrattacchi degli autenticisti integrali, ridotti ormai a una piccola minoranza. Oggi come oggi dopo Grifth nessuno può sentirsi autorizzato a sposare con piena certezza l’una o l’altra delle tesi in campo. Un sostenitore dell’autenticità come G. Zuntz ha potuto definire la negazione della paternità eschilea una “ conclusione sbagliata nata da giuste osservazioni” e ha pronosticato il suo futuro tramonto, come per ogni moda critica. Per controverso M.L.West ha imputato ai sostenitori dell’autenticità un atteggiamento diensivo derivato più dall’istinto che dal raziocinio. E’ sintomatico che Dodds, molti hanni prima potesse richiamare, contro molti negatori della paternità eschilea, un analoga espressione: “ chiare e superflue prove di come la ragione dell’uomo sia debole, e forti le sue passioni”; ad indicare che erno ispirati più da delle ragioni morali che non da ragioni filologiche. Sia o no di Eschilo quest’opera, non è meno arduo determinare età e luogo della sua messa in scena. Usualmente si riconsoce un Eco periodica del Prometeo in più di un passo di Aristofane, specialmente negli Uccelli, che datano al 414 a.C. Anche il luogo di rappresentazione non è sicuro, si pensa potesse essere Atene ma si ipotizza anche che venne rappresentata in Sicilia presso la corte Siracusana di Ierone, ospite e committanete di Eschilo (ipotesi di Droysen). Ma comunque sempre di mere ipotesi si tratta.

1.3 Happy ending? Non meno ipotetici appaiono i tentativi di definire la trilogia tragica di cui il Prometeo Incatenato sarebbe stato parte integrante, ammesso e non concesso che la tragedia non costituisse un “monodramma”. I dati certi sono pochi. A Prometeo sappiamo intitolati almeno altri tre drammi eschilei. -un Prometeo, compreso nella trilogia di cui sopravvivono i Persiani del 472 a.C., che va forse identificato con il “ Prometeo accensore del fuoco pyrkaeus, noto come titolo di Eschilo grazie a un tardo ma dotto testimone (Polluce II a.C.). Tutto di essi ci suggerisce che siamo davanti a un dramma satiresco e non a un testo tragico. -un Prometeo Liberato lyomenos di cui possediamo una quindicina di frammenti, tra cui un ampio lacerto di un monologo volto in latino da Cicerone nelle Tuscolane.

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-un Prometeo portatore di fuoco pyrphoros di cui sopravvive almeno un verso salvato da Gellio. Dato tale quadro, l’unica certezza è che il Liberato costituisse l’immediato seguito dell’Incatenato: trama, struttura e riprese verbali infatti lo dimostrano e né mancano in merito esplicite testimonianze. Per il resto non si può che congetturare facendo varie ipotesi: 1. Se il Prometeo del 472 a.C fu un dramma satiresco, pare logico pensare a una compatta trilogia prometeica di cui il Portatore del fuoco costituisse il dramma di apertura ( se il titolo si riferisce al furto del fuoco avvenuto da parte del titano) e il liberato la conclusione. Tale ipotesi è stata resa celebre da F.G. Walcker, nel 1824, e gode tutt’ora di ampio credito. Ma appaiono indizi tali da orientare i pensieri verso un altro senso: 2. Secondo Westphal (1869) il nostro Incatenato era il dramma di esordio, seguito dal Liberato, e il dramma di chiusura era rappresentato dal Portatore del fuoco; quest’ultimo sarebbe stato dedicato alla fondazione del culto Prometeico in Atene, culto che aveva il suo rito fonadamentale nelle lampadrodomie: delle corse con le torce svolte periodicamente tra l’Accademia e il Dipylon. 3. Il Portatore del Fuoco è stato giudacato da non pochi però un titolo alternativo all’accensore del fuoco, che si può a sua volta identificare con il Prometeo (senza epiteti) del 472 a.C. In questo caso resterebbero in gioco soltanto due drammi, in cui molti vorrebbero vedere una dialogia. 4. Si è supposto inoltre che a chiudere la sequenza dell’Incatenato e del Liberato fosse un dramma di tema non prometeico: per esempio le Etnee, che sappiamo essere dedicato alla fondazione della città di Etna e commissionato a Eschilo da Ierone di Siracusa. Altri invece hanno pensato a un dramma dedicato alle vicende di Eracle, coprotagonista sicuro del Liberato, oppure alle nozze di Tetide e Peleo, dopo la scampata unione tra Zeus e l’Oceanina, destinata a generare un figlio tanto più forte del padre secondo la profezia a cui si allude più volte nell’Incatenato. In tanta incertezza però possiamo intravedere con chiarezza la trama del liberato. In esso Prometeo, riportato alla luce dalla sua prigionia sotterranea, come preannunciato da Hermes alla fine dell’Incatenato, è sottoposto al tormento dell’aquila, che periodicamente divora il suo fegato. In questo quadro di sofferenze il Titano riceve delle visite periodiche da parte die fratelli titani, evidentemente liberati da Zeus. Nel frattempo giunge in Scinzia Eracle, perduto sulla via che doveva condurlo al giardino delle Esperidi. E’ Eracle ad uccidere, con un colpo del suo arco, l’aquila che tormenta il Titano; e da Prometeo Eracle riceve delle indicazioni essenziali per la prosecuzione del viaggio. Fin qui la trama è facilmente ricostruibile, ed evidenti sono i parallelismi del Liberato con L’incatenato in un simmetrico e quasi spettacolare dittico. Ci sfugge purtroppo però come Prometeo e Eracle arrivassero a una rappacificazione: certo è che il Titano metteva in guardia il re degli dei dalla sua unione con Tetide. Un dei frammenti supperstiti, inoltre fa presupporre che nel Liberato trovasse posto una conclusiva commemorazione rituale della lunga prigionia subita dal ribelle trixster Prometeo: uno dei dettagli che rendono difficile presupporre un sequel della vicenda e quindi un ulteriore dramma a conclusione della

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trilogia. Era questo del Liberato un luminoso e risolutivo happy ending? È impossibile dirlo perché troppi dati mancano, al di là della nuda tama.

1.4 Prometeo prima del “ Prometeo”. Tale è la fortuna del titano che si rischia di dimenticare che il Prometeo non fu soltanto un punto di partenza per centinaia di successive riscritture: esso è anche innanzitutto un punto di arrivo. Il Prometeo incatenato è a sua volta, e struttralmente, riscrittura. Gli elementi “zero” di partenza sono sempre gli stessi: -un Dio o un demone che ruba il fuoco e ne fa dono ai mortali; -un trickster che inganna il più potente degli dei e sovverte, ricreandolo, l’ordine del cosmo; -l’umanità minacciata d’estinzione e miracolosamente salvata per l’intervento di un dio filatropo; -la creazione dell’uomo per opera dell divinità benigna; -l’invenzione deleteria della donna. Queste e altre costanti mitiche dominano la grande koinè medio-orientale, di cui la Grecia non è altro che una regione, per quanto a posteriori, privilegiata. Il greco Prometeo infatti non è altro che uno fra le tante incarnazioni di una figura che ha altrove altri nomi, altre vicende e addirittura altre fattezze ( per esempio quella di un mortale o di un animale). L’originalità del mito Greco sta semmai nell’incrocio di funzioni che rendono così variegata la fisionomia del Titano. Prometeo è insieme un rappresentante delle divinità pre-olimpiche, diocreatore e un briccone beffardo, un antagonista di zeus e un possibile alleato. Nella sua storia si intrecciano leggende teogoniche e antropogoniche, miti di successione e miti di fondazione, eziologie di ordine tecnologico e religioso. Non mancano però figure alternative a Prometeo, anche per i punti capitali della leggenda come l’introduzione del fuoco: -Il Re Foroneo: secono una credenza locale di cui è ancora testimone Pausania nel II secolo d.C. -Hermes: l’inventore del pyros-techne e cioè l’arte del fuoco secondo l’inno Omerico a lui dedicato. -Agni o Pramatih detto il “preveggente” colui che farà dono del fuoco agli uomini. -Il nordico Loki per le comuni virtù di indisciplinato briccone divino. -l’Iranico Atar, personificazione zoroastriana del fuoco e del suo potere. Si può evincere da tutto ciò, come diceva Harder, che ogni nazione può partorire in suo Prometeo. Talora però si è voluta comunque rintracciare l’origine della leggenda in una remota mitologia solarelunare, dove Prometeo rappresenterebbe l’oscurità notturna e l’aquila di Zeus la luce diurna. Il suo nome è stato connesso al al vedico Pramantha, il bastoncino che, sfrgato, suscita il fuoco; versione che troviamo nel I secolo a.C. in un opera di Diodoro Siculo. Secondo l’antico storico infatti, Prometeo altri non sarebbe che l’ingegnoso mortale inventore del Pyreion, nome greco per indicare lo stesso strumento. Si è anche pensato che il Prometeo dell’età storica, sia nato dalla sovrapposizione di due distinte figure mitico-cultuali: - un Prometeo ionico-attico, patrono delle festività Ateniesi, note come Prometheia, demone della metallurgia e della ceramistica. - un Prometeo beoto-locrese, di stirpe titanica, ladro del fuoco e antagonista di Zeus. La costanza del tipo folclorico noto come trickster, nonché universale diffusione delle leggende relative al furto del fuoco, radunate a decine da Frazer fin dl 1930, garantiscono a Prometeo insospettabili parentele in ogni luogo, tempo e cultura. Prometeo prima di Eschilo, veniva dipinto come una figura “meno-nobile” poiché, nella Teogonia e

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nelle Opere e i giorni di Esiodo (VIII secolo a.C.), veniva rappresentato intento in imprese tutt’altro che nobili ma come un “ Dio-Trickster”, tanto irriverente nella condotta quanto velleitario nei fini.

TRAMA DI PROMETEO NELLA TEOGONIA di Esiodo: Prometeo è figlio di Giapeto (fratello di Crono) e dell’Oceanina Climene; ni suoi fratelli sono Atlante, menezio e Epimeteo. Ben due crimini compie qui Prometeo davanti a Zeus: -quando Prometeo ruba le carni del sacrificio e raggira Zeus lasciandogli “ la moira”, la porzione peggiore del bue macellato. -il conseguente furto del fuoco, che Zeus avrà deciso di negare agli uomini. L’ultima mossa di ripicca di Zeus per il fuoco rubato sarà la creazione della prima donna, Pandora: l’Eva Greca, come si suol dire e cioè la capostipite di quella specie micidiale che sono per Esiodo le donne. ( seguono i versi da leggere sulla prigionia del titano a pag. 19). E’ nelle Opere e i giorni che, la vicenda di Pandora, con l’atteso riferimento di al ruolo di Prometeo e di Epimeteo, è evocata una digressione volta a giustificare l’esistenza del male, del dolore e del lavoro. E’ lo stolto Epimeteo, doppio e antitesi del previdente Prometeo, ad accogliere, nonostante gli avvisi del fratello, la bella Pandora nonché dono insidioso di Zeus; ed è pandora ad aprire incautamente il vaso pithos, in cui si celano malanni e disgrazie. Non sappiamo quante altre versioni del mito esistano ma sappiamo, per esempio, che ci fosse una versione di Saffo dedicata alla nascita di Pandora; oppure un più antico repertorio mitografico dell’opera di Acusilao del V secolo a.C., arricchivano la leggenda Esiodea del riferimento al suo tradizionale seguito: lo sterminio dell’umanità in un diluvio voluto da Zeus, e la sua rinascita ad opera di Deucalione, figlio di Prometeo che ha per compagna la figlia di Epimeteo e Pandora, Pirra. A partire poi dal V secolo a.C., a Prometeo si attribuirà addirittura la creazione, per plasmazione del fango, degli uomini e delle donne. E’ questa un ulteriore, coerente evoluzione di una figura che fin da Esiodo, mira a spiegare non il passato, ma il presente dell’umanità: cioè come l’uomo sia divenuto uomo, in un interminabile presente in cui Prometeo, come lascia intendere il tema Esiodeo, è ancora prigioniero.

1.5 L’invenzione di Prometeo: Certo è che da questo racconto tradizionale di Prometeo e del testo Esiodeo, l’autore del Prometeo Incatenato (Eschilo) ha saputo trarre tutto l’essenziale: i motivi mitici (titanomachia) e soprattutto il vocabolario fondamentale dei temi ricorrenti: -poikilos, aiolometis, ankylometes, techne: = astuzia, inganno, multiformità, versatilità, abilità. Inoltre come si è osservato, se in Esiodo Prometeo è colui che cela e nasconde, nell’Incatenato Eschileo è colui che rivela e manifesta. Se in Esiodo, a Prometeo non spettano che pochi versi, il protagonista loquacissimo di questa tragedia-monologo si oppone a un Zeus che spicca per silenzio e lontananza. E’ proprio questo l’asse portante della tragedia: un protagonista di corposa, quasi oscena, presenza e un dio nascosto, remoto e irraggiungibile; un prigioniero di cui rimangono solo le parole e un tiranno che tace, benchè solo di lui si parli. P TRAMA PROMETEO INCATENATO: Qui Prometeo è figlio di Themis-Terra, dunque un titano di primissima generazione e un tiranno giovane, felice e incontentabile. Un “principe nuovo” come direbbe Macchiavelli che, come tale, non può evitare il nome di crudele.

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Non ci stupisce che, data la funzione eziologica della leggenda, la figura del titano abbia assunto, nel corso del V secolo a.C., più aggiornati e ambiziosi valori essendo influenzato da quella matrice del movimento sofistico e dell’evoluzionismo antropogonico; il progresso stadiale dell’umanità diviene quindi un tema caratterizzante della riflessione greca. Non sapremo mai con certezza se il mito di Prometeo, narrato da Platone nel Protagora, rappresenti un opera attribuibile al filosofo ma di sicuro, ha tracciato i tratti più tipici dell’Incatenato. (testo pag 22.) Nel testo che abbiamo appena letto emerge che: -Prometeo, padre di tutte le technai, ora non è più padre dell’arte più importante: la technè politikè= arte della politica. Ricordiamoci che non si possono dimenticare i caratteri salienti di quel boomeconomico e politico, e quel clima di rinnovata mobilità sociale e fermento culturale, entro cui il protoilluminismo sofistico fu principale espressione e condizionamento per la scrittura dell’opera. Il linguaggio di Prometeo nella tragedia infatti, è “ aristocratichese” e quindi esprime i valori più aristocratici del titano. E’ dunque quindi una lotta politica, innanzitutto, quella che viene portata avanti nell’Incatenato; lotta tra opposte e simmetriche visioni: -Prometeo è il colpevole e il condannato; -Prometeo è il dio più vecchio ma l’unico padrone del futuro. -Prometeo è un anti-dio prima che partigiano dei mortali. Con Prometeo inizia ufficialmente la storia umana! Cosa permette a questo mito di assicurarsi il successo attraverso i secoli? La disponibilità a recepire nuovi contenuti, capaci di colmare e rinnovare l’irrisolta contrapposizione su cui la tragedia si regge.

1.6 Prometeo si fa uomo: Dopo l’incatenato a Prometeo continuerà a toccare ogni sorta di destino. -Lo si vorrà chiuso in una caverna e non incollato a un’eterna rupe (Apollodoro). -Lo si vorrà crocifisso e non inchiodato (Luciano) ma che presto rappresenterà la Cristianizzazione di Prometeo, perché Cristo è il vero Prometeo che nulla ha a che fare con le “croci del caucaso”. Solo allora il caucaso diverrà il Golgota, il becco dell’aquila la lancia, le oceanine le pie donne sotto la croce. In alternativa la storia del Titano può divenire una favola da declinare in spassosi apologhi: come la forma del corpus espoico, oppure emblema di sofferenza e pazienza, o più ironicamente simbolo di sofistica intelligenza. E’ quanto accadrà nel Prometeo o il Caucaso di Luciano: Qua l’intera vicenda del Titano diviene gara di eloquenza fra due gran parlatori come Hermes e Prometeo stesso, e i crimini dell’accusato si riducono a inezie di poco conto. Qui gli uomini sono crati da Prometeo a maggior gloria degli dei, per sottolineare che gli dei stessi, altro non siano che una semplice invenzione umana. Tuttavia si può sostenere che l’antichità non conosce quella definitiva rarefazione simbolica, che tramuterà Prometeo fra il Rinascimento e il Romanticismo. Il suo mito sopravvive al naufragio dell’antichità, grazie a poche ma rilevanti testimonianze Latine, come Orazio e Ovidio , che lo consegnano al Medioevo. La prima testimonianza Medievale che abbiamo di un repertorio Prometeico rielaborato è presente nelle Genealogie deorum gentilium di Boccaccio, stilate negli anni 60 del XIV secolo: in esse è banale la materia ma non meno banale l’interpretazione che Boccaccio da del mito prometeico. Prometeo, spiega Boccaccio, è duplex come è duplice l’uomo che da lui nasce. Il Primo prometeo è il Dio vero e onnipotente, che per primo creò l’uomo dal fango della terra. Il secondo Prometeo è “l’uomo sapiente” che si ritira per meditare, dove la prigionia caucasica rappresenta il classico otium

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del saggio, per poi tornare a ricreare , quegli uomini di pietra, in uomini civili. Da qua si intuiscono le fertili simbolizzazioni che porteranno Prometeo a...


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