Ragazzi difficili - Piero Bertolini PDF

Title Ragazzi difficili - Piero Bertolini
Author Serena Baiguini
Course Pedagogia sociale 2
Institution Università degli Studi di Bergamo
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RAGAZZI DIFFICILI I RAGAZZI DIFFICILI 1. Tracce di vita 2. I «ragazzi difficili»: dare un nome e tracciare i confini Si dice che un ragazzo è suscettibile ad attenzione sociale quando supera la soglia di accettabilità sociale data dall'immagine-norma del bambino/adolescente (parametri instabili per le fluttuazioni storiche e culturali). Ci sono modelli che guidano le decisioni e le pratiche nei confronti dei minori e stabiliscono le soglie di accettabilità sociale delle loro condizioni di vita e del loro comportamento. In base a questi riferimenti un minore può essere considerato: a rischio, irregolare, disadattato o delinquente → ragazzi difficili = percezione di una difficoltà, di un problema. Se i comportamenti devianti diversi vengono letti alla luce della storia in cui si collocano, emergono profili biografici costellati da difficoltà, interruzioni nel processo di costruzione di sé come soggetto, schemi di relazione con il mondo e con gli altri profondamente disfunzionali. 3. La difficoltà come categoria pedagogica Il termine “difficile”, inteso in senso pedagogico, individua quelle condizioni in cui la soglia della problematicità viene superata provocando difficoltà, rendendo necessaria la costruzione di un intervento pedagogico (da un punto di vista pedagogico è poco influente la distinzione di «ragazzi difficili»). • Ragazzi a rischio. Si tratta di ragazzi che vivono in situazioni caratterizzate da carenze di ordine materiale (povertà, insicurezza economica, disagio abitativo, contesto sociale di degrado) o relazionale (forme di rifiuto o di abbandono, disgregazione della famiglia). I modelli deterministici affermavano che il futuro di un ragazzo era influenzato dal suo passato → condizione superata dai modelli probabilistici. È emerso che i ragazzi che vivono in aree urbane caratterizzate da un alto tasso di disoccupazione, degrado abitativo, insufficienza di servizi, installazione precaria di immigrati, sono con molta probabilità destinati a una carriera da delinquente. Da un punto di vista pedagogico, l'intervento educativo si fonda sulla necessità di costruire intorno al minore un contesto adeguato per risolvere il disagio attuale → se non si fa attenzione diventa un intervento controproducente • Ragazzi disadattati. In questo caso, il luogo delle difficoltà non è più individuato solo nel contesto di vita del ragazzo ma nella sua assunzione di atteggiamenti e comportamenti disadattivi. Sono adolescenti o preadolescenti che in risposta a situazione critiche assumono atteggiamenti lesivi di sé o del contesto in cui vivono: atteggiamenti svalutativi o oppositivi, o messa in atto di comportamenti irregolari (fuga da casa, furti, abbandono scolastico). A monte della condizione di disadattamento è possibile riconoscere difficoltà, spesso riconducibile a carenze di ordine educativo • Ragazzi delinquenti. Sono tutti quei minori che hanno infranto le norme del codice penale. Un ragazzo che che ha a che fare con la giustizia si trova indubbiamente in una situazione di difficoltà (esperienza con significato degradante). Questi ragazzi non esigono di un processo rieducativo diverso dagli altri ragazzi difficili, sono solo indice di un maggior stato di tensione e difficoltà nel processo di costruzione di sé. I minori coinvolti in attività di criminalità organizzata, non hanno solo difficoltà, ma si adeguano a un modello culturale costruito all'interno di un gruppo (stile di vita) 4. Da una categoria generale a un approccio locale L'aver proposto una classificazione unitaria dei ragazzi difficili non significa affatto optare per un processo educativo generale e standardizzato. Dietro un agire c'è sempre un soggetto e le sue motivazioni. DEVIANZA MINORILE E PARADIGMI POSITIVISTI 1. Individuare le cause: valori e limiti di una ricerca L'esigenza di spiegare il fenomeno del disadattamento minorile si è tradizionalmente sviluppata all'interno di un paradigma eziologico (modelli deterministici: problema → una causa). Si è alla ricerca di un nesso causale che spieghi il fenomeno sociale della devianza.

2. Dalle cause organiche alle cause psichiche Per quanto i fattori di ordine biologico possano rivelarsi relativamente responsabili di comportamenti devianti, la loro validità esplicativa generale è estremamente debole (da fattori neurologico e cromosomici a comportamenti devianti). La componente biologica non appare a priori individuabile come causa generalizzante di comportamenti devianti. Bisogna focalizzare la ricerca della cause di un comportamento antisociale nell'individuo (es. immaturità, anaffettività, punitività, debole strutturazione dell'Io, aggressività). 3. Il contesto familiare Gli studi sul comportamento deviante hanno attraversato anche il tema del contesto familiare (carenza cure materne, recupero della figura paterna, disgregazione familiare). È possibile riscontrare statisticamente una incidenza significativa di tali fattori tra quei giovani definiti delinquenti, ma resta il fatto che non tutti i giovani che vivono in analoghe situazioni familiari passano all'atto antisociale. La disgregazione della famiglia, la carenza di cure parentali, l'appartenenza della famiglia ad una subcultura criminale, la presenza in essa di soggetti che hanno già intrapreso una carriera deviante, sono tutte condizioni che creano una situazione difficile, tuttavia non hano un significato univoco e non implicano una evoluzione del minore predeterminabile, poiché entra in gioco la variabile soggettiva. 4. Il contesto sociale Per quanto il contesto relazionale di alcuni minori devianti sia estremamente rilevante, esso non è però sufficiente a spiegare la genesi di comportamenti devianti socializzati o gruppali. L'idea comune è che basterebbe frequentare cattive compagnie per diventare delinquenti; in realtà molte persone che hanno contatti frequenti con persone devianti non diventano per questo devianti. È dunque necessario adottare un approccio interpretativo e interrogarsi sulle ragioni che hanno spinto quel ragazzo ad entrare in quel gruppo. 5. La costruzione sociale della devianza La costruzione sociale della devianza non è individuata più in situazioni, contesti e ambienti di vita ma nel valore simbolico di alcune pratiche e forme di comunicazione interpersonale. La maggior parte dei minori che compaiono tra gli arrestati nelle statistiche giudiziarie appartengono effettivamente alle classi sociali più svantaggiate o provengono da aree urbane marginali. I giovani delle classi inferiori non sono tanto quelli che commettono più reati quanto quelli che hanno maggiori probabilità di venire arrestati. L'implicita associazione causale tra delinquenza e povertà preordina inconsapevolmente l'attenzione dei dispositivi di controllo sociale facendo sì che questi giovani intercorrano più frequentemente degli altri nell'arresto. Molte ricerche hanno dimostrato che non esiste una relazione fortemente significativa tra atti delinquenziali e classe sociale del trasgressore e che alcuni reati (furti, aggressioni) vengono commessi con più probabilità da giovani appartenenti alla classe media. L'idea condivisa che il delinquente appartiene a ceti deprivati viene dal fatto che una volta che il reato è stato scoperto, lo status socioeconomico dell'individuo guida l'innescarsi dei vari stadi di controllo sociale (comportamenti). La correlazione statistica tra devianza e appartenenza a una certa classe sociale sembra circoscrivibile solo ad un numero ristretto di reati (arresto). Lo studio sulla costruzione sociale della devianza ha introdotto un ulteriore punto di vista sul fenomeno: insieme ai fattori di ordine biologico e psicologico, insieme a quelli di ordine economico o sociale, ha assunto rilevanza l'insieme delle percezioni condivise che spesso portano ad attribuire il significato di devianza a una certa azione e a definire delinquente un individuo → profezia dell'autoadempientesi 6. Verso un nuovo paradigma A partire dalla riflessione di Mead e con l'assunzione di un approccio interazionista, il tradizionale paradigma eziologico sul fenomeno della devianza è stato progressivamente abbandonato in favore di una nuova attenzione agli scambi comunicativi e alle interazioni simboliche che si stabiliscono tra i diversi attori sociali che partecipano ai processi generativi della devianza → cercare il contributo soggettivo nella costruzione della devianza. 7. Il soggetto: la variabile imprescindibile del paradigma pedagogico Da un punto di vista pedagogico, il paradigma positivista non solo si rivela inadeguato quanto alla descrizione e alle spiegazione dei processi che sottendono la manifestazione del comportamento deviante, ma soprattutto appare incapace di sostenere un intervento formativo mirato alla risoluzione di questa particolare forma di passaggio all'atto. Il paradigma teoretico di una pedagogia dei ragazzi difficili assume fin dall'inizio la

centralità del soggetto e dei processi attraverso cui egli percepisce le sue condizioni di esistenza. Esso individua un oggetto specifico di riflessione e intervento pedagogico: il contributo del soggetto alla costruzione del proprio modello di interpretazione del mondo e di azione nel mondo. Il soggetto non si dispone all'azione soltanto in risposta a un bacino di pressioni deterministiche ma anche in funzione di un progetto (interpretazione soggettiva). Anche all'interno di un paradigma centrato sul contributo attivo del soggetto, resta pertinente l'attenzione alle condizioni reali della vita dell'individuo. IL PARADIGMA FENOMENOLOGICO 1. Senso oggettivo e senso soggettivo È solo il soggetto, il ragazzo difficile, visto nella sua globalità, che può fornirci gli indizi per cogliere il senso del suo comportamento. Se vogliamo comprendere il perché del comportamento antisociale di un ragazzo non basta arrestarsi ad una diagnosi, né limitarsi a una definizione, attribuendo così un significato oggettivo a quel comportamento: si tratta si prendere in esame il senso soggettivo che egli attribuisce al suo comportamento. Il senso «oggettivo» è costruito dall'osservatore e rischia di non corrispondere, di non essere adeguato al senso «soggettivo» ossia a quel nesso che il soggetto sente come significativo per lui. Se nella prassi ri-educativa non si tiene conto della componente soggettiva, l'intervento difficilmente potrà incidere sul ragazzo. 2. Verso una propria visione del mondo: il soggetto nel mondo e con gli altri Da un punto di vista fenomenologico, ogni individuo in quanto soggetto vivente ha nell'intenzionalità della coscienza. La coscienza attribuisce un significato e un valore all'oggetto (soggetto e oggetto si costruiscono reciprocamente). • Attribuire significato al mondo. La coscienza di fronte al mondo si fa punto di vista che coglie alcuni aspetti del reale, tracciando figure rilevanti sullo sfondo paradigmatico di tutti gli aspetti possibile dell'oggetto. La soggettività umana, in quanto coscienza intenzionale, si rapporta alla realtà dando ad essa un significato e un valore che non è già dato. • Il mondo-per-l'altro come legittimazione del mondo-per-sé. Il riconoscimento dell'Altro garantisce la possibilità che la mia esperienza del mondo sia in qualche modo oggettiva. 3. Il soggetto tra autonomia e dipendenza Costruire la propria visione del mondo non è un'attività visionaria, una elaborazione autarchica indifferente a qualsiasi costruzione esterna, ma un processo di continua mediazione tra i vincoli del reale e le possibilità del soggetto. Le tappe essenziali di questa mediazione: • Corpo e immagini del corpo. La prima e più immediata forma di dipendenza è quella che lega il soggetto al corpo, luogo e strumento del suo incontro con il mondo (il corpo è la condizione della percezione del mondo naturale). L'attività del corpo non dipende solo dal suo funzionamento organico ma anche dalla sua rappresentazione culturale (ogni cultura elabora una visione del corpo e delle sue attività). • Il sapere condiviso: uno sfondo vincolante. Il corpo non è l'unico vincolo da cui dipende la costruzione di una personale visione del mondo, influiscono anche la dimensione intersoggettiva e le particolari visioni del mondo proprie dell'Altro. La storia personale rinvia continuamente ed è influenzata ad una storia extraindividuale: della famiglia, della classe sociale, della cultura. • L'intenzionalità dell'Altro: un altro vincolo. I modi particolari con cui l'altro intenziona il mondo, le forme tipiche del suo significare attivo influiscono sulla capacità del soggetto di intenzionare a sua volta 4. Dal concetto di causa all'idea di motivazione L'intenzionalità della coscienza non si esaurisce in una relazione costitutiva con l'oggettività, ma si precisa in un significare attivo: in una scelta di ciò che del mondo, anche già classificato, è pertinente per il soggetto e in un continuo investimento di valore su un mondo già valorizzato. La relazione tra oggettività e soggettività non si configura in termini di causalità, ma si articola intorno a una continua mediazione tra dipendenza dai vincoli del mondo reale (e della cultura) e autonomia del soggetto. Per comprendere la genesi di una certa visione del mondo, bisogna interrogarsi sul tipo di motivazione che relaziona soggetto e mondo.

5. Genesi passiva e genesi attiva in prospettiva La costruzione per genesi passiva è la premessa indispensabile, il punto di partenza necessario della sua genesi attiva. La costruzione per genesi attiva si da essenzialmente come una progressiva elaborazione del dato che produce senso risignificando continuamente il mondo. Questa rivisitazione si realizza in una presa di distanza dal mondo-dato-perscontato. Attraverso l'attività intenzionale della sua coscienza, ogni soggetto cerca la reale realtà oltre il pregiudizio e l'interpretazione già sedimentata e al di là delle stratificazione di senso già acquisite. La formazione del soggetto procede da una duplice presa di coscienza. In primo luogo si tratta di prendere coscienza di sé, del proprio corpo come indispensabile mediatore tra sé e il mondo e della propria coscienza come condizione di possibilità di un rapporto attivo con il mondo. In secondo luogo si tratta di prendere coscienza della dimensione intersoggettiva in cui ogni individuo è irrimediabilmente inserito. 6. I luoghi dell'educazione Il versante passivo dello sviluppo del soggetto rappresenta contemporaneamente il principale luogo del processo di comunicazione e trasmissione culturale. Da questo punto di vista, ogni intervento pedagogico deve ripercorrere i momenti passivi della formazione della soggettività di un ragazzo, interrogarsi su quei vincoli e comprenderne il peso che essi hanno avuto sulla costruzione della sua soggettività. Un intervento pedagogico non può prescindere dall'esperienza che è stata trasmessa al ragazzo e dai modelli a cui è stato esposto. L'attenzione alla costruzione per genesi passiva della soggettività, si traduce in uno sguardo alla storia familiare e culturale del ragazzo, in una necessità di conoscerne il passato per trovare in esso le tracce che possano guidare la comprensione del suo comportamento antisociale. • Il corpo. L'azione educativa non può ignorare il peso che il corpo naturale, le sue possibilità o i suoi deficit hanno nel mediare l'incontro tra il ragazzo e il mondo che lo circonda. Un intervento pedagogico non può limitarsi a ratificare un passato, ma significa intervenire per rimodulare le dipendenze che legano il soggetto al suo corpo e all'immagine che egli ne ha. • I modelli di intenzionalità. Non è solo la visione del mondo del soggetto che dipende dalle sue prime esperienze, anche la sua stessa capacità di intenzionare il mondo è in parte influenzata dalla capacità di intenzionare di chi gli è accanto. L'intervento pedagogico deve recuperare le potenzialità racchiuse in quelle dipendenze che legano il soggetto all'incontro con l'altro. • Il mondo dato-per-scontato. L'iniziale visione del mondo del soggetto è influenzata da quel mondo già classificato e valorizzato offerto al soggetto dallo scenario collettivo in cui egli è immerso. L'intervento pedagogico cerca di sensibilizzare il soggetto a cogliere la parzialità di ogni punto di vista sul mondo. L'educazione ritaglia dunque i suoi spazi di intervento recuperando le potenzialità dei vincoli e delle dipendenze che legano ogni soggetto al mondo. Lo sforzo educativo dovrebbe dirigere il soggetto verso la progressiva conquista della sua coscienza come coscienza intenzionale, verso la consapevolezza della sua capacità di intenzionare attivamente il mondo. La relazione educativa è centrale nell'indirizzare il processo di formazione della soggettività. Educare e ri-educare non significano liberare il soggetto dalle dipendenze naturali, storiche, culturali, ma portarlo alla consapevolezza della sua autonomia da tali dipendenze. 7. Verso una prassi pedagogica L'azione educativa deve essere fin dall'inizio sensibile alla libertà personale dell'educando e aperta alla prospettazione di punti di vista e valori non stereotipati e accettati come consuetudine. Una relazione educativa per essere autentica deve fondarsi su una reale comunicazione con l'altro. DEVIANZA MINORILE E PARADIGMA PEDAGOGICO 1. Ragazzi difficili: perché? Ricostruire la storia attraverso cui un individuo giunge alla costruzione di sé come soggetto è la premessa necessaria per analizzare e comprendere quelle storie che presentano esiti diversi e spesso dolorosi per chi li vive e per chi vive con lui. Lo sviluppo di un individuo non dipende esclusivamente dalle situazioni a lui esterne, ma anche e sopratutto dall'attività intenzionale della coscienza individuale. Individuare le zone d'ombra tra il mondo e il ragazzo difficile è la premessa indispensabile per poter formulare gli

orientamenti pedagogici e le metodologie d'intervento. 2. L'assenza dell'intenzionalità: la disperazione di non voler essere se stessi Il disadattamento può essere considerato il prodotto di un mancato o alterato funzionamento della coscienza intenzionale. Tutti i casi di irregolarità della condotta possono essere ricondotti a dei limiti nello sviluppo della coscienza intenzionale; gli studi effettuati evidenziano che tali limiti sono: l'assenza di intenzionalità e la distorsione dell'intenzionalità. Con «assenza di intenzionalità» si intende l'incapacità del soggetto di riconoscere l'intima struttura relazionale della realtà; più precisamente, indica una presenza eccessiva dell'oggetto nella visione del mondo del soggetto. Il soggetto appare incapace di trasformare la realtà che lo circonda in modo che sia significativo per lui e compatibile con i progetti e valori degli altri. Egli rimane costretto entro i limiti di una visione del mondo dominata dal senso della nullità del sé di fronte alle cose del mondo che gli appaiono dotate di una forza autonoma (non si sentono attivamente implicati nella costruzione della propria esistenza). Questo genera un atteggiamento nella vita quotidiana di dispersione nell'immediato e dunque un fatalismo devastante: il ragazzo rifiuta di essere se stesso, lasciandosi passivamente trascinare dalla fattualità → disadattamento prima di tutto interiore. • Di fronte a questo «eccesso di mondo». La classificazione dei comportamenti: - ricerca esclusiva della soddisfazione immediata: questa ricerca autocentrata di una soddisfazione è condannata a una perenne sconfitta. Il ragazzo incapace di considerarsi produttore di un progetto, non può regolare il suo comportamento in funzione di un fine da raggiungere, neanche nel raggiungimento di un piacere personale (adeguazione di sé al mondo) → soddisfazione illusoria - «la fuga da sé»: lo scetticismo porta alla non accettazione di sé e delle proprie possibilità, e a una svalutazione di sé → sparizione dal mondo a causa dei fallimenti nel diventare un altro - «svalutazione consapevole di sé»: nasce da un certo livello di consapevolezza, esprimendo un giudizio negative su se stessi → autosvalutazione (es. teppismo o suicidio) 3. La distorsione dell'intenzionalità: la disperazione di voler essere se stessi Con «distorsione dell'intenzionalità» si intende un limite nello sviluppo della coscienza intenzionale. Si tratta sempre di un'incapacità a cogliere la genesi relazionale dell'io e del mondo, ma che nasce da una sorta di eccesso dell'io. Questi ragazzi difficili non riconoscendo i limiti oggettivi impostigli dalle cose e dal loro e...


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