Docsity ragazzi ciechi augusto romagnoli PDF

Title Docsity ragazzi ciechi augusto romagnoli
Course Pedagogia speciale
Institution Università degli Studi di Enna Kore
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per l'esame...


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ragazzi ciechi, augusto romagnoli Pedagogia Università Kore di Enna 13 pag.

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Introduzione. Il libro narra l'esperienza dell'autore, nel 1912, come educatore di fanciulle non vedenti presso l'Ospizio Margherita di Roma, in cui vengono messe in pratica le idee maturate dal Romagnoli. Nei suoi programmi lascia comprendere che si tratta della stessa didattica che vale per i vedenti, che si fonda più sull’esperienza di vita che sulla scuola e, come dice Lombardo Radice nella sua introduzione «organizza la scuola come esperienza di vita». Romagnoli si fece portavoce dei ciechi, sostenendo che questi reclamassero la necessità che si parlasse di più di loro, affinché quelli che vedono, li riconoscano e li possano aiutare con discernimento e attenzione, pari alla benevolenza e alla pietà che nutrono per loro. Sostiene che la difficoltà principale dell'educazione dei ciechi sia il non conoscerli bene ed uno tra le principali cause fosse che le scuole dei ciechi, erano più dei ricoveri. Per far si che le sue idee fossero ascoltate, dopo aver avuto una profonda sfiducia nel utilità di scrivere sì impegnò particolarmente per la propaganda. Fu decisivo il quarto congresso per il miglioramento dei ciechi, del 1910 a Bologna, in cui sorse “la società pro cultura degli insegnanti cechi”, di cui Romagnoli fu incaricato alla presidenza e che in nome della società, presentò un suo programma al ministro Luzzatti, allora ministro dell'interno, il quale consigliò di fare pratica intanto presso qualche istituto già esistente, per attuare le trasformazioni e le integrazioni desiderate. Da qui, la scelta dell’ospizio Margherita per i ciechi in Roma fondato nel 1876, nato come ospedale per le malattie agli occhi curabili, scuola per gli educabili e ricovero per quelli che non potevano avere di meglio. Però la sezione ospedaliera era stata abolita, dopo la costruzione dell'ospedale a S. Onorofrio, e gli educandi erano pochissimi, poiché le suore adibite a quell'ospizio non erano sufficienti e nessuna aveva la preparazione necessaria, per questo si rivelava un’istituzione perfetta, cosi diede inizio alla sua opera, non più con le parole, ma finalmente con i fatti. Giuseppe lombardo Radice presenta in breve il libro di Augusto Romagnoli, quest'ultimo ripugnava alla sua intelligenza lavorare con astratti programmi; teorizzare l'istruzione dei ciechi. La cecità impoverisce la vita solo perchè il ragazzo che è colpito da tanta privazione, di cui nulla sa, non è aiutato ad acquistare fiducia in se stesso, ne a convivere da pari fra i vedenti. Il pensiero del Romagnoli è quello di giungere alla co-educazione dei ciechi coi fanciulli vedenti, dando fuori dalla scuola, le necessarie integrazioni. Romagnoli non fa differenza tra ciechi e vedenti circa la meta da raggiungere; la differenza è solo nei mezzi richiesti dalla diversità di stimoli psicologici dovuti al fattore di cieco o vedente. Augusto Romagnoli nacque a Bologna il 19 luglio del 1879, perse la vista a un mese di età a causa di una congiuntivite dei neonati, più tardi fece un'operazioni che gli consenti un residuo visivo, che gli permetteva di distinguere le ombre e i colori più accentuati, ma all'età di 30 anni perse anche quella poca vista che gli rimaneva, ciononostante continuò a muoversi con la stessa vivacità, ad interessarsi e a godere del mondo che lo circondava. Egli si rese conto delle difficoltà che bisogna superare per inserirsi nella società, portare in essa il meglio di sè in coordinazione con gli altri uomini, fece della sua cecità un'arma di

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forza, un problema da risolvere che non andava drammatizzato né ignorato. All'età di 5 anni entrò nell'istituto dei ciechi, la sua intelligenza sì manifestò sin da subito, non lasciandosi influenzare dai pregiudizi delle persone, che credevano che non potesse fare della sua vita qualcosa di straordinario. Si preparò da solo per essere ammesso alla 4 ginnasiale, poi al liceo. Ottenne buoni profitti così, decise di iscriversi all'università di Bologna prima in lettere e poi in Filosofia, nonostante l’idea del padre, che a causa della sua cecità non ci sarebbe riuscito, e voleva evitargli questa delusione. Si laureò con il massimo dei voti, poi cominciò la sua opera di propaganda per il rinnovamento dell’educazione dei ciechi. Si sposò nel luglio del 1917 con una donna che lo amava e non per pietà. Nel 1908 insegnò, primo fra ciechi, filosofia nel liceo di Massa Carrara, lanciano e di Rieti, poi diresse per 4 anni l’ospizio per i ciechi di guerra fondato dalla regina Margherita di Savoia. Nel 1924 su ordine del ministero, ispezionò tutti gli istituti per ciechi e lavorò alla promulgazione della legge per l'istruzione obbligatoria per i ciechi. Nel 1926 fondò la scuola di specializzazione degli educatori dei ciechi che diresse fino alla morte. Romagnoli sosteneva che nella scuola, come nella vita, non vi doveva essere niente di artificioso o chiuso: voleva che ci fosse uno scambio di esperienze e di aspirazioni, dall'incontro alunno-maestro e degli alunni tra loro. Quindi nella classe dei non vedenti deve esservi collaborazione e attività che trascina i più pigri e disciplina i più fervidi. I così detti "giuochi" sono tutti di insieme; gli alunni si aiutano a vicenda e ne consegue educazione sociale, tanto necessaria a fare uscire il cieco dall'isolamento in cui lo confina spesso la società più che la natura delle minoranze. Lui inoltre pensava che minorati siamo un pò tutti e che l'educazione deve appunto farci vincere le nostre minorazioni, per questo, sentiva sempre di più il bisogno di allargare la cerchia di conoscenze.

L'ESPERIMENTO, prima parte. Le visite all'Ospizio Margherita di Augusto, iniziarono il 17 aprile del 1911. Li trovò 5 bambine di età inferiore ai 13 anni, in compagnia di una ventina di ragazze più grandi che erano cresciute nell'Ospizio, romagnoli le descrive con sentimento di umiltà e rassegnazione, con spalle e capo curvi anche per effetto del lavoro che svolgevano di norma, il lavoro della calza, paragonando la sua prima impressione a quella di chi ha visitato una catacomba e provato la tristezza e la pace che ispira. Ogni bambina era affidata a una più grande, le quali ne avevano cura come una sorella maggiore, erano poi tutte governate da una suora. Le 5 bambine di Augusto erano ben più sagge per la loro età. Come ad esempio, la più piccola, Anita, racconta ad Augusto, di aver trovato il vantaggio della privazione della vista, in quanto meno esposte ai pericoli del mondo, e meritare un posto migliore in paradiso, d’altronde distingueva non solo il colore di alcune stoffe al tatto, ma riconosceva anche tutte le compagne e le suore dal passo, toccando le loro mani o solo sfiorandone l’abito. La loquacità e la saggezza, che si sviluppano in modo precoce, come quello in Anita, sono illusorie, determinate dalla mancata educazione fisica che le porta a costruirsi un loro mondo di rappresentazioni irreali. Inizialmente si limitò ad ascoltarle o a raccontar loro qualche poesia, e

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fino a qui tutto fu particolarmente facile; ma quando cominciò ad invitare le bambine alla corsa, si mostrarono le vere difficoltà: giudicavano il gioco pericoloso e troppo faticoso. Infatti i bambini cechi si fanno sedere ai banchi, senza affrontare la loro antipatia per il movimento e lo sviluppo fisico sensoriale, e gli educatori si giustificano facilmente, dando la responsabilità alla mancanza di attrezzi o alla mancata possibilità di fare altrimenti, in quanto un insegnante non può resistere a correre dietro ai ragazzi, o affermando, che la maggior parte dei bimbi cechi si rifiuta a fare movimento, bisogna forzarli. Romagnoli spiega che il fanciullo cieco, ancora piccolissimo, non è meno vivace di uno vedente, ma la paura dei parenti che non si faccia male, unita alla maggiore difficolta di orientarsi, lo portano ad abbassare sensibilmente la sua vitalità. Fare entrare in questo posto l’animazione del moto, lo paragona a scoperchiare una tomba, da qui la necessità di agire con molta parsimonia per non urtare la suscettibilità, limitando dunque alle 5 bambine il suo interessamento diretto: Bisognava anzitutto appassionarle al moto e al giuoco, ed il luogo era adatto a questo in quanto era una vecchia villa papale, Casale san pio 5, dai grandi spazi. Le condizioni di quelle creature appariva ad Augusto scolpita in un marmo raffigurante una giovane cieca seduta, con un libro aperto sulle ginocchia e la cui mano destra era in atto di leggere, con l’indice abbassato su una lettera e le altre dita tese in aria, ritraendo un erroneo ma consueto metodo, in uso ancora, di leggere con un solo dito, come se le altre fosse di impaccio; si diceva infatti che la statua ritraesse una giovane dell’istituto dei ciechi di Milano. Le ragazze la chiamavano Modesta e la consideravano come una sorella, quasi come se fosse viva, tant’è che quando Augusto passava davanti a lei, la salutava. La prima “palestra” fu il cortile, lungo , largo, senza dislivelli, con una grande sonorità, che rendeva più facile l’orientamento. Il primo giuoco fu di far rotolare un grande cerchio in questo corridoio, che creava in loro il desiderio di rincorrerlo invogliandole a muoversi, per raccoglierlo e farlo ruotare nuovamente. Il primo incentivo a correre all’aria aperta furono i confetti,” chi mi piglia, avrà un confetto” gridava una maestra. Le più svelte poi furono chiamate in aiuto alle maestre, passando dal rincorrere al essere rincorse. Dopo qualche settimana il diletto aveva preso il posto dell’esitazione, ed insieme all’agilità le bambine acquistarono maggiore percezione degli ostacoli. Due cose erano fondamentali, affinché questo potesse sempre avvenire e progredire, graduare le difficoltà, per evitare la facile scusa del non ci riesco, e la novità di nuovi obbiettivi, la necessità di inventare numerosi giuochi. Il primo esercizio è stato la corsa dietro qualcuno, perché in tal modo il rumore dei passi, di chi va innanzi serve di eccitamento e di guida. Chi sta avanti farà bene ad aumentare gli stimoli uditivi, battendo le mani o magari attaccandosi all’abito un sonaglietto. La corsa il linea retta o in larghe curve dovrà durare finché i fanciulli non abbiano acquistato una certa scioltezza e passione a questo esercizio. Poi si passa al successivo, dal rincorrere in luogo piano e aperto, il fanciullo passa ad essere rincorso, badando bene che esso abbia vivo l’interesse a non farsi pigliare, fino a raggiungere l’elasticità e l’attenzione sufficiente per passare senza pericoli, alla corsa in luoghi accidentali. I risultati raccontati da Augusto sottolineano, la differenza tra un bambino che nonostante le sue difficoltà ha comunque, in età infantile, provato il piacere del moto, rispetto a chi non l’ha mai fatto.

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Racconta di Palmira, una delle 5 bambine, che dopo un paio di mesi era diventata molto agile, stancando anche le maestre vedenti, prima di lasciarsi acchiappare, una bimba di 12 anni interamente senza vista, perduta a 5 anni, e fino ad allora si era dilettata a correre e saltare, che la permanenza all’ospizio l’aveva solo intorpidita. Al contrario di Olga, un’altra giovane, che invece conservava da sempre un barlume di vista, ma che non era mai stata educata al moto nei primi anni, per cui ebbe più difficoltà ad accettare queste novità non raggiungendo l’agilità di Palmira. Un altro tema importante affrontato da Augusto è la co-educazione tra ciechi e semiciechi, spiegando che spesso chi conserva un po' di vista se non la sfrutta, il privilegio, potrebbe trasformarsi in false apprensioni, perché le ombre indistinte fanno temere ostacoli immaginari e distraggono l’attenzione uditiva. Inoltre si è spesso discusso se i semi-cechi debbano educarsi a parte, ed alcune volte per questo motivo sono stati rifiutati dagli istituti per i ciechi, ma anche dalla scuola dei vedenti. Romagnoli sostiene che la presenza dei semi ciechi è molto importante per chi è totalmente privo della luce, in quanto fungono da intermediari e interpreti del mondo luminoso, da cui anche i maestri possono trarne una collaborazione efficace. Quando le bambine furono in grado di correre da sole speditamente e con piacere, iniziarono i giochi di corsa collettiva, in cui per mantenere vivo l'interesse si cambiavano i nomi e gli accessori: il giuoco della mosca cieca, del gatto e del topo, ecc, durante i quali bisognava diminuire il rischio che si facessero male, allora sì pensò ad altri giochi che educassero le ragazze all’attenzione e alla prontezza dell’arresto. Utilizzando il gioco denominato del tramvai, svoltosi nel giardino della croce, diviso in 4 estremi, chiamate stazioni di S. Pietro, di Termini, di piazza del Popolo e del Colosseo, che le bambine attraversavano e con al centro la maestre con il fischietto per dare i segnali, un fischio indicava l’interruzione di corrente, per i tramvai, impersonificati dalle bambine, per cui dovevano fermarsi all’istante, in tal modo il gioco rendeva possibile, mettere sempre in guardia tutte le bambine da un possibile ostacolo o un passo falso, nel correre potevano incontrare oltre le altre che andavano nel senso opposto, anche Augusto fermo sul binario di uno dei tramvia in corsa, con lo scopo che questi li localizzassero, proseguendo trionfanti il cammino, senza rallentare. Quando il giardino della croce diventò un luogo troppo consueto, si cambia luogo con il terrapieno erboso, con un buon dislivello, rendendo il tutto più impegnativo e travolgente. Solo dopo si usarono ostacoli inanimati, perché il pericolo era maggiore, tuttavia le educande si divertivano di più, infatti, anziché evitarli talvolta ne andavano alla ricerca. Nelle ore particolarmente calde o nei giorni di pioggia, si stava a scuola a giocare con la creta, sempre preferita dalle bambine rispetto alla plastilina, perché la prima si adattava meglio alle loro mani lente e aveva un’odore molto più gradevole, per creare oggetti non troppo facili, che li avrebbero annoiate, istituendo “la fabbrica dei confetti, cioccolatini, pane, e altri simili commestibili, come la frutta. Poi tutto questo, il giorno dopo si vendeva, imparando a contare e moltiplicare, con delle vere monete, che poi tornavano in una scatola, eccetto alcune, che sarebbero state il premio alle venditrici più brave. A questo proposito Romagnoli esprime il suo non

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totale apprezzamento per l’industria del giocattolo, che porta il genitore ad educare il figlio, e renderlo felice, comprando qualsiasi cosa, crescendo dei bambini sempre più esigenti, impoverendo la loro originalità, che li porta a mettere in pezzi i preziosi giochi per vedere come sono fatti, finendo così per essere etichettati come ingrati. Giunta l’estate, Il duca Torlonia, presidente dell'ospizio, invita ad Augusto a presentargli un piano di rinnovamento dell'istituto secondo le sue idee, qui spiega che lo sviluppo dei bambini è inferiore alla media per la mancanza di educazione fisica e sensoriale, comune alla maggior parte dei ciechi. Augusto dopo. Le sue 44 visite, sviluppo il suo programma di costituire la scuola in tre parti: la prima parte sarebbe composta dal giardino d’infanzia e dalla scuola elementare, fino alla terza\quarta classe, mettendoli tutti insieme, perché separarli sarebbe dannoso, e dalla quarta elementare mandarli a fare gli esami con i vedenti nelle scuole comuni, a frequentare i corsi con gli altri, aiutandoli come si fa anche per molti vedenti, con i ripetitori. la seconda parte sarebbe la scuola di assestamento, per quei cechi che avevano ricevuto un’istruzione incompleta e non ne possono trarre sufficiente profitto per l’esercizio di una professione, all’ospizio la parte più numerosa alla quale Augusto propone dei corsi di cultura generale, cercando di indirizzare ciascuna dove mostra più disposizione. la terza parte sarebbe la scuola per gli aspiranti a diventare insegnanti di ciechi. Sottolineando come già esistessero i corsi per giardiniere, ma nulla per i cechi. Una scuola di 1-2 anni per giovani diplomati, impartendo lezioni sulla psicologia e pedagogia speciale, a cui si sarebbe dovuto rilasciare un diploma.

Seconda parte, il primo biennio a scuola. Le suore avevano paura che questa nuova educazione potesse turbare le loro alunne, e che correre e saltare fossero attività più da maschi che da femmine, ed era una responsabilità molto grave trattandosi di ragazze che non vedevano, tutta via, i giornali parlarono molto bene della nuova scuola, paragonata a quella della Montessori, la quale venne a visitarla. A disposizione di Augusto fu messa una camera presso il casale, fu anche autorizzato a introdurre sotto la sua disposizione persone che lo potessero aiutare nella sua opera educativa e gli fu inoltre concesso di portare le ragazze fuori l'ospizio per passeggiate e visite istruttive, a condizione che una suora le accompagnasse. Augusto avrebbe preferito che ad aiutarlo nel suo programma educativo, vi fossero delle suore con un minimo di preparazione pedagogica, ma gli venne detto che le poche suore diplomate erano tutte occupate altrove. Augusto divise le alunne in due gruppi: le 5 che avevano già iniziato che facevano circa la 2 elementare e quelle nuove che invece dovevano fare qualcosa di uguale al giardino d'infanzia, per poi passare alla prima classe. Si accorse di una ragazza che era riuscita ad acquistare una certa cultura, molto seria e la nominò vice maestra. Scelse altre 3 ragazze intelligenti e le educò, per assegnargli un gruppetto di alunne, in modo da riuscire ad insegnare a più classi. C'erano diversi orari da rispettare all'ospizio, e le ore disponibile per dedicarsi al suo programma, erano sei al giorno, da dividere in esercizi di educazione fisico-sensoriale, per il lavoro manuale educativo, per un pochino di musica e per la scuola elementare:

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inizialmente si facevano esercizi di lettura, scrittura, di calcolo e di memoria. Nel pomeriggio, invece, i giochi di moto avevano la massima parte, alternandosi con riposi tra i banchi a lavorare la creta. Augusto si poteva fidare delle maestre cieche anche se non avevano più l'età buona per partecipare ad alcuni esercizi, ne comprendevano tutto il valore ed erano ottime consigliere per le assistenti, in quanto capivano se facevano bene o male. La vecchia superiora aveva molta stima di Augusto e anche dopo le tante discussioni finiva sempre per assecondarlo, anche per i buoni risultati però era preoccupata che qualche alunna potesse farsi male, con i giochi in luoghi che diventavano sempre più pericolosi, perquisito affermava che il momento dove poteva stare più tranquilla era quando andavano tutti a dormire. Augusto Romagnoli si sofferma su una questione per lui fondamentale, mentre negli altri istituti il primo posto spetta al direttore, il secondo alle maestre ed il terzo agli assistenti, in un istituto di ciechi è indispensabile sopprimere la distinzione tra assistenti e Maestre. In quanto gli assistenti, agiscano direttamente sull'attività spontanea degli educanti, durante le ore di pranzo, di passeggio, di ricreazione, ecc invece che nelle ore giornaliere di scuola, sono fondamentali, per una formazione completa, intellettuale e motoria. Gli istituti invece, ci racconta Augusto, affidano l’ufficio di assistenti, a giovani studenti che non hanno voglia di perdere tempo coi ragazzi o vecchi acciaccati obbligandoli all’immobilità. L'educazione del cieco deve essere, quasi individuale per far toccare a ciascuno ciò che i vedenti possano osservare, tutto in una volta, ma è soprattutto necessario che nelle ricreazioni, nelle passeggiate e ovunque si può dire, i ragazzi siano guidate e vigilati, al fine di giungere a una notevole indipendenza e correttezza di movimento e d’attività. Romagnoli non avendo tutto il personale speciali...


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