Rconoscimento, libro di Honnet dove si mettono a confronto PDF

Title Rconoscimento, libro di Honnet dove si mettono a confronto
Author elisa tatina
Course Filosofia teoretica
Institution Università degli Studi di Milano-Bicocca
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molto dettagliato rirende tutte le lezioni del corso e aggiunge anche informazioni dei libri. consigliato per esame. 30....


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RCONOSCIMENTO – ALEX HONNETH STORIA DELLE IDEE E STORIA DEI CONCETTI: UNA PREMESSA METODOLOGICA Per la cultura democratica, è importante ripercorrere la genesi e lo sviluppo di quelle idee o concetti, su cui si fonda la nostra convivenza politico-sociale. questa riflessione storica si estende al concetto di riconoscimento, inteso come rispetto reciproco, come necessità o esigenza insopprimibile di riconoscere la specificità dell’altro o come legittimazione di minoranze (politiche di riconoscimento). L’idea di riconoscimento non corrisponde a un termine univoco: Rousseau parlava di “amour propre”, Smith di “osservatore esterno” trasferito all’interno, mentre Hegel e Fichte “riconoscimento”. È necessario quindi analizzare le diverse espressioni, le idee alla base, gli sviluppo e gli arricchimenti. Si tratterà di una storia delle idee, nel tentativo di comprendere come il concetto di riconoscimento si sia sviluppato in varie direzioni e significati. Non ci saranno elementi cronologici o causali tra autori, ma semplicemente un excursus argomentativo. Verranno analizzate anche le condizioni socio culturali di un certo paese e in quale misura queste abbiano influito sull’idea di riconoscimento. I diversi significati del termine, infatti, potrebbero derivare proprio dalle specificità delle diverse culture. Verranno infatti presi in esame diversi autori appartenenti alla medesima area linguistica, intesi come gruppo unitario accomunato da convinzioni teoretiche. Non si parlerà però di mentalità collettive o simili, ma di come le circostanza culturali e sociali possano aver indotto a condividere determinate concezioni di riconoscimento. Nel pensiero francese, ad esempio, l’idea di riconoscimento è accompagnata da un senso negativo (Rousseau, Sartre e Lacan), in quanto si ritiene che la dipendenza dal giudizio e dall’approvazione sociale comporti die rischi per l’individualità personale. Il fatto che la medesima concezione si ritortovi in autori diversi appartenenti alla stessa area linguistica, quindi, non sembra essere un caso. I paesi su cui si articolerà la ricerca saranno tre: Francia, Gran Bretagna e Germania. La scelta è innanzitutto pragmatica, in quanto gli sviluppi di pensiero dell’epoca moderna che interessano questi tre paesi sono molto conosciuti, seguita dal fatto che è proprio da questi paesi che provengono i classici del pensiero politico moderno. Koselleck affermava che a partire dal 17° secolo, le vicende di questi tre paesi abbiano rispecchiato i tre diversi modelli evolutivi della moderna società borghese, imboccando tre diverse linee di sviluppo nella modernizzazione (idea condivisa da Seigel): se queste ipotesi sono vere, allora sembra possibile affermare anche che le diverse sfumature del concetto di riconoscimento analizzate in questi tre paesi, potrebbero fornire uno spettro generale che vada a ricoprire l’intero continente europeo o comunque i suoi significati possibili. DA ROUSSEAU A SARTRE: RICONOSCIMENTO E PERDITA DI SE’ (FRANCIA) L’analisi comincia dalla Francia, dove l’idea di riconoscimento reciproco come base della vita associata ha trovato la sua prima solida formulazione. Fino a trent’anni fa si credeva che i primi a parlare di riconoscimento fossero stati Hegel e Fichte, ma ad oggi la situazione è mutata. Il primo avviso di un possibile cambio di rotta sembra arrivare da Hont, che nel suo libro Politics in Commercial Society, attribuisce a Hobbes il merito di aver per primo introdotto il significato decisivo del riconoscimento nella convivenza tra esseri umani, vedendo l’esigenza psicologica di distinguersi e di primeggiare come una spinta verso forme di vita sociale e di comunità. Ma per fare di Hobbes il padre fondatore della moderna teoria di riconoscimento, sarebbe necessario ritrovare queste pulsioni psicologiche anche nella sia filosofia politica, ma non è questo il caso (aveva un’idea secondo cui esiste un contratto sociale, per cui tutti i cittadini per sopravvivere accettano di sottomettersi a un’unica autorità che garantisca sicurezza e stabilità politica, piuttosto che soddisfare il bisogno di riconoscimento sociale = incongruenza tra pensiero filosofico e politico). Honneth allora decide di tracciare una nuova strada, partendo da Rousseau e dai suoi precursori seicenteschi: i moralisti francesi. Quando cambia il vecchio ordine sociale, anche i rapporti sociali tradizioni e le appartenenze di classe cominciano ad allentarsi. Quando viene meno l’idea della gerarchia sociale come effetto della volontà divina, l’uomo comincia a domandarsi quale potrà essere la sua posizione all’interno della società. il passaggio dall’ordine feudale alla modernità, quindi, porta in primo piano il problema del riconoscimento. In Francia questo tema si articola inquadrando una sorte di antropologia negativa, che attribuisce al soggetto la volontà di apparire migliore o di posizione più elevata di quanto non sia in realtà, rendendo così l’atto del riconoscere faticoso, in quanto non si riesce a cogliere quale sia la realtà. Emerge così il concetto di amour propre, utilizzato dai moralisti francesi per mettere in discussione un’antica concezione della natura umana. La Rochefoucauld è il primo che riflettendo sulla tendenza dei suo contemporanei si interroga sulle cause di questa ipocrisia. Per fare questo riprende il concetto di superbia utilizzato da Agostino, che lui contrapponeva all’amore di sé, intendendolo come una passione naturale dell’uomo. Questo istinto verrà designato come amour propre, concetto cardine delle riflessioni di La Rochefoucauld, che spingerà gli individui a simulare talvolta qualità fittizie per apparire sotto una luce esemplare, finendo talvolta per perdere di vista la propria personalità. Si hanno effetti sia esternamente, mentendo agli altri, sia internamente, producendo e

rafforzando con il tempo un’immagine distorta di sé stessi. Entrambe le parti cominciano poi a dubitare sulla corrispondenza al reale delle qualità esibite. Per apprezzare una persona, si deve ri-conoscere il suo valore effettivo. Lo scopo dei suoi scritti, però, non era cogliere la natura dei rapporti intersoggettivi, ma piuttosto smascherare i suoi contemporanei. Non utilizza, infatti, ancora nei suoi scritti il termini riconoscimento, ma piuttosto smascheramento delle apparenze, volte principalmente ad ottenere il favore del sovrano e della corte (così viene sempre meno il concetto di autonomia). Con Rousseau, considerato il padre delle teorie moderne di riconoscimento, il concetto di amour propre e di riconoscimento di evolve, così come si evolve il piano sociale con l’imminente nascita della borghesia. La smania di primeggiare assume forme sempre più esasperate, sostenuta dal teatro, che diventa uno strumento importante per fornire al pubblico modelli da imitare. L’amour propre, quindi, si modifica e si rinnova in relazione ai criteri di valutazione sociale. Rousseau, infatti, riprende Agostino, secolarizzandolo, vedendo la contrapposizione tra amore di sé e vanità peccaminosa: è da qui che prende il via la teoria negativa del riconoscimento (testo – Sull’origine e i fondamenti della disuguaglianza). Rousseau pensa che la disuguaglianza sociale non sia da imputare a impulsi e passioni necessari alla sopravvivenza (amour de soi), in quanto non verrebbe spiegata la smania di tendere ad apparire eccellenti. Così entra in gioco il concetto di amour propre, ovvero la natura di imporsi come superiori agli occhi dei simili. Questo bisogno, a differenza di quanto pensavano i moralisti, non apparterrebbe alla natura umana ma a una seconda natura, culturale, che è entrata con il tempo nella dotazione di base. È proprio la contrapposizione tra amour propre e amour de soi che regola l’agire umano: seguendo quest’ultimo giudichiamo l’agire in base a criteri individuali e orientati su ciò che è giusto per noi (spettatore se stesso), seguendo il primo, invece, allora il giudizio sarò orientato all’approvazione e al riconoscimento dei simili (i simili sono i giudici del comportamento). Questo pensiero viene ripreso probabilmente da Hume, che però non vedeva il giudizio sull’adeguatezza del comportamento altrui come qualcosa di necessariamente negativo (anche Smith condividerà questa idea), come invece faceva Rousseau. Il giudizio, secondo il filosofo ginevrino, non sarebbe finalizzato alla correzione dei comportamenti, ma all’incentivazione della smania e l’impulso di primeggiare e di mostrarsi superiori agli altri. Forse la differenza tra il filosofo francese e i filosofo scozzesi prima citati, non sta solo nella differente situazione socioculturale e governativa dei paesi, ma anche nella definizione di comportamento nobile o superiore: se per questi ultimi si intende un atteggiamento corretto nel pieno rispetto delle regole, per Rousseau si intende la messa in mostra delle capacità individuali. Il riconoscimento sociale che avviene quindi in questo secondo caso, è due volte relazionale (così definito da Neuhouser): da un lato si vuole prevalere nel confronto con gli altri, e dall’altro è necessario che esistano dei criteri con cui confrontare ciò su cui si vuole prevalere (standard di valore socialmente riconosciti). Ed ecco perché secondo Rousseau il giudizio sociale contiene un male possibile, nato dalla smania di ostentare qualità fasulle, e destinato a terminare in una spirale di autoinganno. Le patologie sociali esaminate da Rousseau nel suo Secondo Discorso, avrebbero origine proprio in questo rischio di perdita di sé. Una volta messa in moto l’azione dell’amour propre, questa non conosce più limiti, in quanto non ha un termine di confronto assoluto e finisce per consumare ogni segno di distinzione sociale. Si crea così un regime di concorrenza permanente (teatro come palestra per l’amour propre, detestato da Rousseau perché insegna i trucchi necessari per ostentare requisiti perdendo la propria natura). In Contratto sociale, il filosofo ginevrino, esporrà una visione in contrasto con la precedente, sottolineando le premesse ottimistiche e le possibilità di autodeterminarsi individualmente, facendo emergere il “problema Rousseau”, così definito da Cassier. Dent ha provato a spiegare questa contraddizione, che nel discorso fa emergere la dipendenza dell’uomo dall’opinione pubblica, e nel contratto sociale l’autonomia umana, individuando forme eccessive e forme moderate di amour propre. In realtà, secondo Rousseau, l’amour propre sarebbe semplicemente dotato di plasticità, che gli permetterebbe di modificare la propria natura in base alle situazioni socioculturali. La smania di eccellere potrebbe trasformarsi in un bisogno socialmente accettato se nel rispetto e nel riconoscimento della propria autonomia (possibile in società con basi egualitarie). Anche nell’Emile si allude a misure pedagogiche volte alla metamorfosi dell’amour propre, cercando di riconoscere negli altri lo stesso bisogno di riconoscimento sociale, in modo da soffocare sul nascere l’ambizione di primeggiare. È proprio nel contratto sociale che viene esposta l’ipotesi per cui l’amour propre possa modificare la propria fisionomia con il variare dell’ordine sociale e assumere anche a volte la forma di un vero e proprio rispetto tra uguali. Non è solo il contratto sociale ma anche la formazione di una volontà generale dei soggetti di riconoscersi reciprocamente come autonomi a far sembrare il bisogno di distinguersi eliminato. Analizzando i due scritti di Rousseau, ne emerge un’immagine complessa: l’amour propre è esigenza di apparire come soggetto che merita rispetto e ha diritto sociale all’esistenza; questa esigenza, inizialmente innocua, degenera pericolosamente quando il soggetto in determinate condizioni sociali o educative, perde di vista il bisogno di rispetto che anche gli altri individui hanno, trasformando così il desiderio naturale di riconoscimento in smania di superiorità. Quindi Rousseau crede che la perdita di sé e la dipendenza dal giudizio degli altri, si verifichino solo nelle società in cui non vi è possibilità di partecipazione e inclusione. Riprendendo il concetto di contratto sociale, la volontà generale che si dovrebbe

creare sarebbe in teoria l’insieme delle volontà individuali, ma non è chiaro verso cosa dovrebbero tendere. Ci saranno sempre idee, sviluppate individualmente, che formeranno delle correnti devianti rispetto alla volontà generale e che saranno un pericolo per questa. Il tema della perdita della propria genuina personalità, però, rimane in primo piano, e l’ostacolo più grande da superare sembra quello della dipendenza dal giudizio dell’osservatore esterno. Se prima però si trattava di una questione morale, ora l’attenzione si sposta e di concentra sul piano cognitivo della conoscenza di sé. Questo tema viene trattato anche nelle ultime opere del filosofo, pubblicate addirittura dopo la sua morte. Eliminare i giudizi provenienti dall’esterno per trovare e identificare il proprio vero io sembra sempre più difficile. Il problema cognitivo ha due aspetti distinti: o abbiamo tentati di ingannare gli altri finendo per auto ingannarci, o abbiamo ingannato l’opinione altrui, entrando in un circolo da cui è difficile uscire perché non si hanno altri appoggi cognitivi. In entrambi i casi l’io è intrappolato e non trova più la strada verso di sé. L’amour propre, quindi, contiene due pericoli di fondo: da un lato il rischio di assegnare una gerarchia sociale ingiustificata e fittizia, dall’altro il problema di non riuscire a riconoscere il vero essere (nella realtà sociale le cose generalmente vanno di pari passo, ma è possibile porre l’accento sull’una o sull’altra). Il rischio più grave, però, secondo Rousseau rimane la nostra dipendenza dal riconoscimento sociale che ci rende incerti su chi realmente siamo (non usa espressamente il termine riconoscimento, ma riprende, così come i moralisti francesi, la definizione del termine francese re-connaissance). Rousseau in altre pubblicazioni che seguono il 1780, offre anche dei consigli ai suoi lettori, vedendo nell’isolamento dal gruppo sociale e dalle loro opinioni e nella contemplazione dei fenomeni naturali l’unica via per trovare se stessi e le proprie vere qualità. La natura non parla, non giudica, e non alimenta l’amour propre. Per concludere, dai moralisti francesi a Rousseau, il tema del riconoscimento assume una nota negativa che talvolta sfocia nella perdita di vista dell’individualità, o amour de soi; anche se Rousseau ad un certo punto, con il contratto sociale, sembra approdare alla convinzione che in determinate situazioni educative e sociali omogenee, si possa approdare al rispetto reciproco tra simili, alla fine prevarrà il suo scetticismo, secondo cui la dipendenza dal giudizio esterno preclude una conoscenza adeguata dell’io. Secondo lui i singoli, da quando ha cominciato a svilupparsi e inculcarsi la seconda natura dell’amour propre, combattono non tanto per avere un attestato di rispetto morale, ma per il riconoscimento di requisiti pubblici. Il riconoscimento però avviene da soggetti esterni anche essi presumibilmente persi in un circolo vizioso di finzione e smania di superiorità, rendendo tutto confuso e portando il soggetto a chiedersi chi sia veramente. Con il passare del tempo il problema del rapporto intersoggettivo sollevato da Rousseau passa in secondo piano, ritornando poi nel Novecento, con l’imposizione della fenomenologia e il metodo husserliano. Di questo tema se ne occuperà principalmente Sartre anche se diversamente da Rousseau. Se quest’ultimo sosteneva che fosse possibile distinguere la natura umana originaria da quell’elemento secondario che ci rende dipendenti dal riconoscimento degli altri, Sartre era lontanissimo dallo studiare i bisogni umani da un punto di vista così oggettivistico. Era convinto che fosse possibile parlare di ogni esperienza umana solo nella prospettiva di un soggetto che riflette sui propri atti di coscienza. Nella sua opera “l’essere e il nulla” adotta una strategia diversa da quella di Rousseau per parlare del rapporto con l’altro. Indaga se e come si modifica lo stato esistenziale del soggetto nel momento in cui ne incontra un altro, giungendo nonostante la metodologia differente, ad un risultato pressocché simile. Sartre sostiene che il soggetto prima di incontrare un soggetto-altro, sia in uno stato ontologico definito “essere per sé”, non intendendolo come un ente fisso e chiuso in se stesso (essere in se), ma come in costante rapporto con un futuro aperto, nei confronti del quale deve costantemente determinarsi (riprende analisi di Heidegger). Tra il soggetto e un altro soggetto anche lui “per sé”, nascerà una sorta incontro-scontro, preceduto da un qualcosa, ripreso da Hegel, che sarà il concetto di riconoscimento. Il soggetto una volta resosi conto di essere osservato – o interpellato - da un altro acquista di colpo la certezza di “essere con altri” consapevole anche di essere stato a sua volta riconosciuto dall’altro come un “essere per se” e destinato alla libertà. Subito dopo segue un momento di dramma. Il soggetto osservato scopre che il suo essere “per sé” gli viene sottratto perché lo sguardo esterno lo fissa a determinate qualità che lo rendono un “in sé”. Per Sarte questo è l’inizio di un continuo conflitto tra soggetti, che a vicenda si riducono a uno schema fisso. Il punto fondamentale è però che il riconoscimento da parte dell’altro contiene, secondo il filosofo, anche un disconoscimento del proprio essere per sé e quindi della propria libertà. Una volta incontrato un soggetto-altro, il soggetto si rende conto di essere un “essere per sé” tra gli altri, libero e attore intenzionale, ma contemporaneamente anche un “essere in sé” perché lo guardo dell’altro lo fissa a determinate proprietà. Si tratta quindi di una conferma e una negazione di essere “essere per sé” che avviene contemporaneamente. Sia Sartre che Rousseau, quindi, ritengono che l’essere riconosciuti abbia una conseguenza negativa: per Rousseau si tratta di incertezza riguardo al proprio io (conferma pubblica di qualità senza capire se ci appartengono davvero oppure no), mentre per Sartre di perdita della libertà individuale e quindi dell’essere per sé (lo sguardo dell’altro ci fissa in alcuni aspetti che ci privano della possibilità di riprogettare di continuo il nostro essere). lo sguardo di cui parla Sarte, non ha una funzione o una connotazione valutativa, ma si limita a prendere atto che l’altra persona esista, negandone fatalmente il suo “essere per sé”.

Anche lui, così come Rousseau, si distacca quindi da un piano morale o normativo, e si avvicina ad un piano cognitivo. questo non permette di affermare o di pensare che le posizioni dei due pensatori siano le stesse, ma anzi si differenziano molto anche solo per il modo che utilizzano per procedere (denotato anche dai 200 anni di storia che separano i due): Rousseau descrive dalla prospettiva antropologica dell’osservatore , mentre Sartre adotta il punto di vista del soggetto riflettente. La conclusione però è stranamente la medesima, ovvero la perdita di una parte del proprio io. Successivamente al pensiero di Sartre, che assieme a quello roussoniano lascia pensare ad un’idea negativa del riconoscimento, la corrente del post-strutturalismo non fa che ribadire il concetto. Sembra strano pensare che si possa ancora parlare di riconoscimento come tema centrale in una corrente che destruttura l’idea di un soggetto centrale concentrandosi su un complesso di strutture sociali o cognitive di natura anonima. Ma in realtà il riconoscimento non avviene necessariamente tra soggetti, ma può anche essere pensato come meccanismo operativo che agisce a livello dell’intero sistema sociale. la differenza tra autori post-strutturalisti come Lacan e Althusser, e Sartre, sta nella negazione dei primi di un’esistenza a priori di un soggetto che si rapporti riflessivamente a se stesso, credendo invece che il soggetto diventi autoriflessivo solo una volta interpellato da un soggetto-altro, rendendo il riconoscimento un meccanismo sociale di identificazione della propria autocoscienza. Althusser cerca con questa ipotesi e con la teoria dell’ideologia, la ragione per cui gli esseri umani sono disposti in generale a svolgere quelle attività richieste allo scopo di conservarsi e riprodursi. Si tratta di una sorta di schiavitù volontaria, in cui istituzioni e pratiche sociali fanno sì che gli individui vengano riconosciuti come i s...


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