Riassunto Città ribelli Harvey PDF

Title Riassunto Città ribelli Harvey
Author Matteo Bordone
Course Teorie e modelli dello spazo
Institution Università di Bologna
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Summary

PREFAZIONE Verso gli anni '70 il contrasto con la Parigi emergente che minacciava di inghiottire la vecchia era davvero stridente. Già dagli anni '60 Parigi ha iniziato ad attraversare una crisi esistenziale: il vecchio non poteva sopravvivere, ma il nuovo si rivelava troppo brutto per farsi accetta...


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PREFAZIONE Verso gli anni '70 il contrasto con la Parigi emergente che minacciava di inghiottire la vecchia era davvero stridente. Già dagli anni '60 Parigi ha iniziato ad attraversare una crisi esistenziale: il vecchio non poteva sopravvivere, ma il nuovo si rivelava troppo brutto per farsi accettare. Molto probabilmente i movimenti urbani di quegli anni confluirono nelle rivendicazioni politiche e culturali del '68. Quando nel giugno 2007 movimenti sociali di ogni genere si riunirono al social forum statunitense di Atlanta e decisero di dar vita ad un'alleanza nazionale per il diritto alla città, lo fecero senza sapere chi fosse Henri Lefebvre, autore del Diritto alla città; l'idea era che uniti sarebbero stati più forti. L'idea di un diritto alla città non è frutto di una moda intellettuale del momento ma nasce come una richiesta di aiuto da parte dei popoli oppressi. Lefebvre comprese molto bene, dopo il lavoro sulla Comune di Parigi pubblicato nel '65, che i movimenti rivoluzionari assumono spesso una dimensione urbana. Oggi i movimenti rivoluzionari sarebbero sostenuti dal precariato piuttosto che dal proletariato. Egli comprese che la relazione tra urbano e rurale si stava trasformando: gli spazi rurali si stavano urbanizzando sia ridefinendo in modo consumistico il rapporto con la natura sia ridefinendo in termini capitalistici l'offerta dei prodotti agricoli nei mercati urbani. La città tradizionale è stata uccisa da uno sviluppo capitalistico sfrenato, vittima della sua continua necessità di spendere il capitale accumulato in eccesso, che ha determinato una crescita urbana esponenziale senza nessuna preoccupazione per le conseguenze sociali, ambientali e politiche. 1.DIRITTO ALLA CITTÀ: Nell'ultimo secolo la velocità e la portata sconvolgimenti dell'urbanizzazione hanno riconfigurato la nostra esistenza senza che ce ne accorgessimo. Ma un'urbanizzazione tanto spettacolare ha davvero contribuito al benessere umano? Oggi nel vortice di trasformazioni urbane ancora più frenetiche non è difficile stilare un elenco delle insoddisfazioni e delle ansie legate alla città; eppure non abbiamo il coraggio di proporre una critica sistematica. Reclamare il diritto alla città significa rivendicare il potere di dare forma ai processi di urbanizzazione, ai modi in cui le nostre città vengono costruite e ricostruite. Il diritto alla città non è solo un diritto alle risorse urbane, è il diritto di cambiare e reinventare la città in base alle nostre esigenze. Fin dalle origini le città sono nate come concentrazioni geografiche e sociali di un surplus produttivo (il capitalismo si fonda infatti sulla continua ricerca di plusvalore), ciò significa che il capitalismo riproduce di continuo il surplus produttivo richiesto dall'organizzazione. Ma i capitalisti devono trovare sempre nuovi mezzi di produzione e nuove risorse naturali, generando così pressioni sull'ambiente. Il capitalismo porta alla crisi quando il potere d'acquisto si rivela insufficiente, l'accumulazione si interrompe e il capitale si svaluta. Le merci in eccedenza possono perdere valore, gli impianti produttivi possono rimanere inattivi e la moneta può svalutarsi per l'inflazione. Le rivoluzioni del 1848 derivarono da una crisi urbana. Ci furono immigrazione e squilibri sociali. Fu una delle prime crisi europee determinata dall'eccedenza di capitale non reinvestito e di lavoro non impiegato; la borghesia represse i rivoluzionari senza risolvere la crisi. Il risultato fu l'ascesa di Napoleone III che si proclamò imperatore nel 1852, il quale organizzò un vasto programma di investimenti infrastrutturali; nel 1853 convocò Georges Eugene Haussmann per affidargli i lavori sulla capitale. Il sistema funzionò molto bene per quasi 15 anni, poi però nel 1868 il sistema finanziario e gli istituti di credito, sottoposti ad uno stress eccessivo, crollarono. Haussmann fu costretto a dimettersi e Napoleone III dichiarò guerra alla Germania ma venne sconfitto. Nel vuoto che seguì la sua caduta si impose il governo della Comune di Parigi, uno dei più importanti episodi rivoluzionari della storia del capitalismo urbano. Nel 1942 apparve un lungo articolo dedicato all'opera di Haussmann firmato da Robert Moses, l'architetto che dopo la Seconda guerra mondiale sarebbe intervenuto nell'area newyorkese, proprio come Haussmann fece a Parigi. Moses concepì i processi urbani su una scala più vasta, gettando le basi per riassorbire l'eccedenza prodotta e risolvere il problema del surplus di capitale; questa suburbanizzazione modificò lo stile di vita. Ciò però innescò la crisi degli anni '60, che fece cadere in disgrazia Moses (il '68 non fu solo l'anno della rivolta ma anche quello della crisi finanziaria). La crisi finì per coinvolgere l'intero sistema capitalista, trascinato dallo scoppio della bolla del mercato immobiliare mondiale del 1973 (che precede la crisi internazionale del petrolio) e dalla successiva bancarotta della città di New York del 1975. Come ha dimostrato William Tabb, l'uscita dalla crisi fiscale di New York nel '75 fu frutto di una complessa alleanza tra poteri dello stato e istituti finanziari, la quale inaugurò una soluzione neoliberista al problema aprendo la strada alla deregolamentazione dei mercati. Il capitalismo internazionale è sopravvissuto fino ad arrivare al collasso globale nel 2008. La Cina ha continuato la sua politica di urbanizzazione “ad alto rischio” e oggi è uno degli epicentri del processo di urbanizzazione che ha assunto proporzioni globali. Come in tutte le fasi precedenti, anche la più recente espansione del processo urbano ha prodotto grandi trasformazioni negli stili di vita, che hanno portato a isolamento, ansie e nevrosi; viviamo in città sempre più frammentate e conflittuali in cui la nostra visione del mondo e delle possibilità dipende dal lato della strada in cui abitiamo. Haussmann fece radere al suolo i vecchi quartieri poveri di Parigi ricorrendo al potere di espropriazione in nome di una presunta pubblica utilità; prendiamo oggi il caso di Mumbai, in cui vivono 6 milioni di persone negli slum che hanno acquisito un enorme valore finanziario, grazie al progetto di creazione di un polo finanziario; non

mancano i ricorsi alla violenza per liberare le aree. A Seul addirittura furono assunti ex lottatori di sumo per demolire le aree in cui in seguito sarebbero sorti i grattacieli. Oggi le istituzioni finanziarie di Washington propongono esperienze di microcredito e microfinanza per risolvere il problema della povertà globale, ma in realtà sono solo modi per rimanere intrappolati in una sorta di schiavitù del debito. Oggi i movimenti rivoluzionari non sono davvero connessi; la soluzione sarebbe un maggiore controllo democratico sulla produzione e l'uso di surplus, dato che oggi il diritto alla città è in mano ai privati. 2. LE RADICI URBANE DELLE CRISI CAPITALISTICHE Dal 1973 si sono susseguite centinaia di crisi finanziarie e fra queste non sono poche quelle originate dal mercato immobiliare o da processi di sviluppo urbano; era abbastanza chiaro che a partire dal 2001 stesse succedendo qualcosa di molto grave nel mercato immobiliare statunitense, ma da alcuni invece come Robert Schiller questo veniva considerato come un evento eccezionale. Si potrebbe obiettare che tutti i casi sono eventi regionale, ma ci furono dei contraccolpi internazionali. Di recente il National Bureau of Economic Research ha messo in luce un ulteriore esempio del ruolo scatenante svolto dai boom immobiliari nelle profonde crisi del sistema capitalista. Come ovvio, boom e crolli del mercato immobiliare sono strettamente intrecciati ai flussi finanziari e speculativi e, in entrambi i casi, determinano serie conseguenze sulla macroeconomia in generale e sull'ambiente. Dato che la teoria borghese si rivela miope nel cogliere il nesso tra sviluppo urbano e disastri macroeconomici, ci si sarebbe potuti aspettare che i critici marxisti denunciassero invece gli espropri selvaggi inflitte ai lavoratori da parte dei capitalisti; nei fatti però non è stato così. Marx infatti si interessa poco alle questioni ambientali concentrandosi quasi esclusivamente sulla questione della produzione di plusvalore. Il pregio dell'approccio di Marx consiste nell'offrire una chiara descrizione delle leggi generali di movimento del capitale; il capitale monetario accantonato deve sempre essere maggiore di quello impiegato nella produzione di plusvalore per potersi adattare ai diversi processi di rotazione che possono liberare parte del capitale accantonato in precedenza. Questo capitale liberato deve sostenere una funzione importante quando si sviluppa il sistema creditizio, necessario alla circolazione del capitale; quando si giunge all'analisi del sistema creditizio si scopre che il tasso di interesse è stabilito congiuntamente alla domanda e dall'offerta e dalla concorrenza. Per Marx ovviamente ricchezza e plusvalore vengono creati solo nel processo produttivo. Nel corso dell'intera storia del capitalismo, l'urbanizzazione è stata un mezzo fondamentale per assorbire le eccedenze di capitale e di lavoro. Ma ad un boom nell'edilizia residenziale su un lato dell'Atlantico corrisponde un crollo da un'altra parte, così come accade oggi tra Cina e Usa. Il capitale manipola tanto l'offerta quanto la domanda di nuovi lotti abitativi e immobili commerciali; il rapporto domanda offerta è però sbilanciato perchè il tempo di produzione e circolazione del mercato di immobili residenziali e commerciali è molto lungo rispetto a quello di altre merci. I contratti infatti vengono chiusi molto prima che possano cominciare le vendite. Stimolare la domanda con imposte ed espedienti di politica pubblicitaria o con altri incentivi non produce necessariamente una crescita dell'offerta: si limita piuttosto a gonfiare i prezzi e a incentivare la speculazione. È esattamente quello che è accaduto negli Stati Uniti: ingenti quantità di capitale fittizio scorrevano nei canali della finanza immobiliare per alimentare la domanda, ma di queste solo una parte è stata destinata alla costruzione di nuove abitazioni. Se i rapporti del Nber sono corretti, il collasso del boom immobiliare dopo il 1928, che si manifestò con una perdita di 2 miliardi di dollari nell'industria edilizia, ha avuto un ruolo importante nella crisi del '29; non stupiscono allora i disperati tentativi dell'amministrazione Roosvelt di rivitalizzare il settore edilizio negli anni ‘30. Vennero ideati incentivi fiscali di ogni tipo così che l'aumento della domanda provocò un aumento costante del valore dei beni. Durante gli anni '50 e '60 queste politiche funzionarono con effetti a livello globale. Il problema è che questo processo di urbanizzazione si rivelò tanto dinamico quanto ecologicamente insostenibile e mente le periferie si espandevano, i centri ristagnavano: la classe operaia bianca prosperava, ma non le minoranze. Ciò portò ad una lunga serie di sollevazioni che culminò con l'assassinio di Martin Luther King. Dopo il 1968 furono erogati cospicui fondi federali fino a quando Nixon non dichiarò la crisi conclusa. Si calcola che a causa delle pratiche predatorie dei subprime la popolazione afroamericana a basso reddito perse tra i 71 e i 93 miliardi di dollari del valore delle sue proprietà, in due ondate (tra il '95 e il '98 e dopo il 2001). Molti dei pignoramenti si sono rivelati illegali se non addirittura fraudolenti. Casi come questi hanno una lunga storia come Baltimora. Gli investimenti urbani in genere richiedono tempi lunghi per produrre e tempi ancora più lunghi per rendere. La frenetica urbanizzazione e il boom di investimenti che stanno riconfigurando la geografia complessiva dello spazio nazionale cinese poggiano in parte sulla capacità del governo centrale di intervenire arbitrariamente nel sistema bancario in caso di incidenti. È noto che lo stato ha impiegato a questo scopo, alla fine degli anni '90 quasi 45 miliardi di dollari delle sue riserve in valuta estera. Intanto all'interno della Cina si possono trovare intere città appena costruite e quasi prive di residenti e attività economiche. Ma il boom immobiliare non è visibile solo in Cina, anche tutti i paesi Bric stanno seguendo il modello. Tutto questo comunque deve

essere compreso alla luce delle misure concrete che il governo cinese ha adottato per far fronte alla crisi del 2007-2009. Il principale effetto della crisi in Cina fu il crollo improvviso del mercato delle esportazioni, allo stesso tempo il governo centrale ha autorizzato le banche a concedere a tutti i progetti di sviluppo locale come strategia per assorbire la forza lavoro in eccedenza. Questo programma è stato concepito per avviare la ripresa economica. In qualche modo lo sviluppo cinese imita ed esaspera quello degli Stati Uniti nel secondo dopoguerra, che non fu solo scellerato per il consumo di energia e suolo ma anche per la crisi tra le popolazioni urbane marginalizzate ed escluse. 3. LA CREAZIONE DEI COMMONS URBANI La città è il luogo in cui persone di ogni provenienza e classe sociale si mischiano e finiscono per produrre una forma mutevole e contingente di vita in comune. La metropoli viene ritenuta la fabbrica della produzione del comune e a questo proposito è opportuno citare Hardin per la metafora del bestiame, come forma di proprietà privata di soggetti interessati a massimizzare il profitto, che viene portato a pascolare su un terreno comune; i proprietari guadagnano individualmente dall'incremento del bestiame mentre le perdite del terreno in termini di fertilità causate dal pascolo riguardano tutti. Le questioni relative ad una gestione razionale delle risorse di proprietà comune che sorgono ad una determinata scala non riconducono necessariamente a problemi generali come il riscaldamento globale; per questo la metafora di Hardin è fuorviante perchè opera come se non ci fosse nessuna difficoltà nel passare da un livello all'altro. C'è molta confusione anche sul rapporto tra i beni comuni e i mali attribuiti alle enclosures. A livello generale una qualche forma di recinzione si rivela spesso il modo migliore per proteggere alcuni beni in comune preziosi, come per esempio le biodiversità e le popolazioni indigene dell'Amazzonia, ma nel caso specifico potrebbe sorgere un ulteriore problema: per salvaguardare le biodiversità può rivelarsi necessario espellere le popolazioni indigene da certe zone di foresta, quindi un bene comune può essere protetto alle spese di un altro. Alcune forme di comune sono di libero accesso (aria), altre per quanto teoricamente aperte sono gestite dai privati (strade) e altre ancora sono fin dall'inizio appannaggio esclusivo di un particolare gruppo sociale. I beni collettivi di carattere culturale sono oggi mercificati, così come il sapere collettivo. Tra spazi o beni pubblici e beni collettivi esiste una differenza fondamentale; i primi rimandano all'autorità statale e alla pubblica amministrazione e hanno sempre svolto un ruolo cruciale per lo sviluppo capitalista. La strada è uno spazio pubblico che l'azione sociale ha trasformato in bene comune del movimento rivoluzionario. Il comune, pur non essendo una merce, può sempre essere scambiato, anche quando non può essere delimitato; la particolare atmosfera di una determinata città, per esempio, è sempre effetto del lavoro collettivo dei suoi abitanti, ma è il mercato del turismo a sfruttare commercialmente quel bene collettive per estrarre rendite monopolistiche. Secondo Locke, la proprietà individuale è un diritto naturale che nasce nel momento in cui gli individui creano valore unendo il proprio lavoro alla terra e i frutti che ne derivano appartengono a loro, i quali socializzano quel diritto attraverso lo scambio; ma la teoria di Locke ha un corollario inquietante: gli individui che non riescono a produrre valore non hanno alcun diritto alla proprietà. Marx smaschera la finzione lockiana presentandocela per quello che è, ovvero un sistema fondato sulla parità nello scambio di valore che produce un surplus di valore per il capitalista proprietario dei mezzi di produzione attraverso lo sfruttamento del lavoro. La tesi di Locke viene confutata in modo ancora più plateale quando si affronta la questione del lavoro collettivo, come quello della fabbrica in cui Marx auspica ad una forma di proprietà affidata al lavoratore collettivo che produce per il bene comune. L'aspetto più importante è che il lavoro collettivo che oggi produce valore deve produrre diritti di proprietà collettivi e non individuali. Ma tornando alla tragedia dei commons oggi, chi ha saputo creare uno spazio comune migliore, è più a rischio che venga depredato dai privati. Di solito le questioni dei commons su dimensione metropolitana sono affrontate attraverso strumenti statali per il fatto che le risorse comuni devono essere gestite su scala metropolitana e regionale, perchè sicuramente più efficaci delle caotiche amministrazioni locali; ricerche recenti però hanno dimostrato che non è così perchè nelle circoscrizioni più piccole è più facile realizzare forme di azione collettiva con una forte partecipazione degli abitanti locali. 4. L'ARTE DELLA RENDITA Negli ultimi decenni il numero dei lavoratori impegnati in attività legate alla produzione culturale è aumentato considerevolmente; che la cultura sia una forma di bene comune e che si sia trasformata in un qualche tipo di merce appare innegabile. La rendita monopolistica origina dal fatto che alcuni attori sociali sono in grado di realizzare maggiori flussi di reddito su un arco temporale prolungato in virtù del loro controllo esclusivo su un dato articolo, che sotto certi aspetti risulti unico. La categoria di rendita monopolistica si realizza su due situazioni particolari: •la prima si ha quando determinati attori controllano delle risorse speciali (vigneto che produce un vino di straordinaria qualità e che può essere venduto ad un prezzo monopolistico, che crea la rendita); non sono cioè la terra, le risorse o la posizione uniche a venire scambiate, ma la merce prodotta. •nel secondo caso la terra, la risorsa o attività è direttamente scambiata (vigneti che vengono venduti a multinazionali per scopi speculativi); questo tipo di rendita si può estendere alla proprietà di opere d'arte, come un Picasso. In tal caso

è l'unicità del Picasso a costituire la base per il prezzo di monopolio. Due contraddizioni incombono sulla categoria di rendita monopolistica: in primo luogo laddove l'unicità è fondamentale per definire le qualità speciali, il requisito di vendita implica che deve avere un valore in denaro, in secondo luogo alcuni prodotti potrebbero non essere facili da sfruttare indirettamente, in questo caso più i prodotti risultano commerciabili, meno appaiono unici e speciali. La vacua omogeneità che si accompagna alla mercificazione cancella i vantaggi del monopolio e i prodotti culturali non diventano poi tanto diversi dalle merci in generale. I capitalisti tendono al monopolio perchè è proprio il potere di monopolio della proprietà privata che è origine ed esito dell'intera attività capitalista. Un esempio lampante sulla guerra alla conquista del monopolio è il commercio del vino, in cui i francesi si sono battuti per mantenere il loro primato. Ma qui nasce una terza contraddizione: se è vero che tutti i capitalisti sono attratti dalle prospettive di lucro offerte dai poteri monopolistici è anche vero che gli attori globali più avidi sosterranno direttamente ogni sviluppo locale in grado di produrre rendite monopolistiche, anche se l'effetto di tale sostegno crea un clima ostile alla globalizzazione. Come nel commercio del vino, tutte le rivendicazioni di unicità sono tanto l'esito di costruzioni discorsive e di lotte quanto direttamente legate alla realtà materiale. Molte, infatti, si appoggeranno a narrazioni storiche, reinterpretazioni di memorie collettive, significati attribuiti a determinate pratiche culturali; per la maggior parte delle persone non esisterà nessun luogo all'infuori di Londra, Barcellona, Milano, Istanbul o San Francisco in cui poter accedere a quel quid particolare che si presume appartenga solo a tali luoghi. Ad entrare in gioco, in questi casi, è il potere del capitale simbolico collettivo e di particolare segni distintivi che caratterizzano un determinato luogo e hanno la capacità di agganciare flussi di capitale più generali. Questo capitale simbolico collettivo garantisce grandi vantaggi econom...


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