Riassunto Damnum iniuria datum PDF

Title Riassunto Damnum iniuria datum
Author Simona Accardi
Course Diritto romano
Institution Università degli Studi di Torino
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DAMNUM INIURIA DATUM 1. IL DANNEGGIAMENTO NELLA DISCIPLINA PRE-AQUILIANA Disposizioni in tema di danneggiamento di beni altrui cagionati da atti dell’uomo sono contenute già a partire dalle leggi delle XII Tavole a cui poi si affiancarono leggi successive; specifico che si tratta di danni derivanti da atti dell’uomo perché in caso di danni derivanti da comportamenti spontanei di animali si prevedeva un’apposita azione reipersecutoria (nossale): l’actio de pauperie. Comunque, ritornando alla disciplina del danneggiamento derivante da atti dell’uomo, la disciplina decemvirale prevedeva, in seguito al verificarsi dell’evento dannoso: ● L’actio de pastu, nel caso in cui taluno avesse fatto pascolare il bestiame su terreno altrui; ● L’actio de arboribus succisis, un’azione per il taglio degli alberi, nel caso in cui il taglio riguardava le altrui piantagioni; La pena era fissata a 25 assi per ogni albero tagliato; ● Sempre la disciplina decemvirale prevedeva l’obbligo di risarcimento per il caso di incendio non doloso della casa o dei covoni situati in prossimità di essa; in caso di completa indigenza dell’autore dell’incendio, l’alternativa era rappresentata dalla possibilità di infliggergli pene corporali; ● Sanzione in caso di ossis fractio (frattura di un osso che non comportava la perdita della funzionalità dell’organo) di un servo (150 assi) o di un libero (300 assi). La disciplina decemvirale inoltre, contiene una norma ancora a noi molto oscura relativa a Ruptias : si sa per certo che non allude al membrum rumpere previsto dalle leggi delle XII tavole (lesione di un organo di un libero con perdita definitiva della funzionalità), sanzionato con la legge del taglione; è più verosimile che in questo caso ci si riferisca ad una lesione nei confronti degli schiavi, sanzionata con una pena fissa come nel caso di ossis fractio, per non parificare dal punto di vista socio-economico la figura del libero a quella del servo. Possiamo dunque concludere che il regime delle XII tavole in tema di danneggiamento cagionato da atti dell’uomo prevedeva la tutela dei beni di maggior pregio nella Roma del V secolo a.C (casa, raccolto, piantagioni); ciò ci induce a pensare che ci fossero anche apposite prescrizioni in tema di: ● Occisio del servo, anche se non sappiamo il tipo di sanzione prevista, se personale o patrimoniale. ● Danno cagionato agli animali da gregge, altro bene di pregio dell’antica Roma. Anche non siamo a conoscenza del tipo di sanzione prevista. Infine, possiamo individuare 2 caratteristiche proprie di questo regime: 1. La tipicità del danno, in quanto si sanzionava un certo evento materiale tipico (combustione, taglio degli alberi, lesione del servo);

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2. Sistema della condanna a pena fissa (derogato, ribadiamo, solo nel caso dell’incendio non doloso).

2. LA LEX AQUILIA E I PROBLEMI DELLA SUA DATAZIONE In questa disciplina si inserisce il plebiscito fatto votare dal tribuno della plebe Aquilio, che avrebbe superato la disciplina precedente e a cui fa capo il Damnum Iniuria Datum, la più importante figura in tema di danneggiamento e uno dei 4 delicta d  ello ius civile, fonte di obbligazioni. Incerta è la data del provvedimento; tuttavia vi sono certi elementi che spingono a pensare che sia precedente alla metà del II secolo a.C: ● Il giurista Bruto, operante in quel periodo, conosceva tale provvedimento; ● Vari elementi linguisitici: ad esempio, l’impiego della parola erus p  er indicare il dominus degli schiavi; Oppure l’utilizzo della espressione tantum damnas esto; E ancora i valori monetari espressi in aes; ● Qualche conclusione più concreta si è ricavata da un passo delle parafrasi di Teofilo, che ricollega la votazione di tale plebiscito ad una secessione della plebe. Le secessioni delle plebe furono 3: una nel 494, l’altra nel 449 e infine l’ultima tra il 287 e il 286. Le prime due vennero escluse per informazioni forniteci da Ulpiano; e dunque, la Lex Aquilia viene fissata al 286. Un’altra brillante tesi invece, venne presentata dallo Honoré; questi infatti ritiene che la Lex facesse parte di un programma volto a tutelare la proprietà e la colloca tra il 207 e il 195 a.C. Questo perché, il sistema della pena fissa sarebbe risultato valido in un periodo in cui il valore della moneta sarebbe rimasto stabile; Invece la Lex Aquilia presuppone un periodo di forte inflazione, come quello avutasi dopo la seconda guerra punica. Da qui la collocazione della legge in questo periodo, anche se comunque la tesi rimane una semplice congettura.

3. I TRE CAPI DELLA LEX AQUILIA Il testo della Lex Aquilia, si compone di 3 capi; del primo e del terzo ci sono pervenuti i testi originari. Capo I: “Se qualcuno abbia ucciso servo o serva altrui o un animale da gregge a quattro zampe, deve corrispondere quanto sia il maggior valore di mercato di quella cosa nell’anno precedente”. Significativo è l’accostamento del servo ai pecudes, il risultato di una considerazione patrimoniale dello schiavo. Capo II: Non abbiamo il testo originario perché nell’età classica smise di essere applicato e cadde in desuetudine; comunque si sa riguardava l’ipotesi in cui l’adstipulator, in frode allo stipulante, estingueva il credito con acceptilatio. Cadde in desuetudine perché i rapporti tra adstipulator e stipulante vennero inglobati nel mandato.

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Capo III: “Se qualcuno abbia cagionato ad altri un danno, poiché bruciò, frantumò, ruppe, deve corrispondere il valore della cosa nei 30 giorni precedenti”. Il primo capo contempla un’ipotesi specifica individuata nell’occisio di un servo o di un animale da gregge altrui mentre il terzo capo aveva carattere più generale, però non prendeva in considerazione un danno qualsiasi arrecato da terzi bensì solamente le ipotesi in cui il danno derivasse da urere, frangere  e rumpere nei confronti di una cosa appartenente al danneggiato. Comunque, risulta evidente come capo I e III sono volti alla tutela della proprietà e a punire eventuali offese ad essa, mentre il capo II era volto a proteggere il credito. C’è dunque una grande distanza tra i capi I e III, dal contenuto più omogeneo, e il II e dunque appare anche strana la posizione del capo II nella struttura della legge, schiacciato com’è tra gli altri due capi. A tal proposito si avanzano diverse congetture: • Si è pensato ad una Lex Satura, precedente alla disciplina aquiliana, che sarebbe stata composta di due soli capi che tutelavano l’una la proprietà e l’altra il credito; Nel III sec. a.C. si sarebbero poi modificati i capi e sarebbero state aggiunte disposizioni confluite nel capo III; • Pugsley ritiene che inizialmente i tre capi fossero tre leges distinte. • Si è pensato che il capo II sia stato erroneamente inserito tra I e III, prima contigui. • C’è inoltre chi ritiene che capo I e II si trovano accostati perché entrambi vedono la distruzione di una res, corporale il primo, incorporale il secondo. In realtà si possono fin da subito fare alcune osservazioni: innanzitutto, è improbabile che il capo III sia stato inserito successivamente ad una prima redazione della disciplina aquiliana perché è impensabile non contemplare nella disciplina ipotesi importanti attinenti al ferimento di schiavi e pecudes, comunque materia, ribadiamo, strettamente collegata a quella trattata nel capo I. Inoltre, non è pensabile che il capo II sia stato aggiunto successivamente tra il I e il III magari per l’analogia con il I sotto il profilo della distruzione di una res ; E inoltre, il forte senso della tradizione tipico dei Romani avrebbe indotto a rispettare la struttura originaria della legge e quindi aggiungendo in appendice la nuova disposizione. Comunque è particolare il fatto che capo I e II esprimano la tendenza casistica della legislazione arcaica mentre il capo III ha un’estensione applicativa più vasta.

4. ANCORA SUL CONTENUTO DEL CAPO III DEL PLEBISCITO AQUILIANO Il capo III supera la tutela solo delle proprietà considerate più importanti e prevede una tutela anche per quei beni preziosi per la plebe minuta (come conigli, maiali, pollame, attrezzi da lavoro, ecc.) e per il ceto di commercianti che stava prendendo piede. Il plebiscito fu infatti accolto con grande favore dalla plebe. La portata di tale plebiscito verrebbe ridotta se si considerasse il capo III come riferito al solo danneggiamento di schiavi e pecudes; Si tratta comunque di una teoria è poco accettata perché, 3

ad esempio, se riguardasse solo pecudes sarebbe stato inusuale, in relazione ad essi, il verbo rumpere, poiché nel capo I si parla di occidere e, in altri testi, vulnerare. Dal Cannata v enne avanzata un’ipotesi che, se dimostrata, avrebbe comportato un’ulteriore riduzione alla portata generale del capo III. In particolare, lo studioso ritiene che, per la presenza dell’espressione ceterarum rerum, il capo III riguardasse la rottura, frattura ecc. di cose inanimate ovvero di tutte quelle res n  on contemplate nel capo I. Per cui i verbi urere, frangere e rumpere facevano riferimento alla eliminazione totale della cosa dal punto di vista economico. In realtà, tale tesi conosce varie obiezioni: innanzitutto, come detto precedentemente, era impensabile non contemplare l’ipotesi di danno cagionato a servi e pecudes e, inoltre, non si spiega il riferimento al mese (corrispondere il valore della cosa nei 30 giorni precedenti) questo perché la maggior parte dei beni non subiva variazioni stagionali. Comunque, a parte il verbo urere che prendeva in considerazione un’ipotesi già contenuta nella disposizione decemvirale (appunto l’incendio non doloso di casa altrui o covoni situati in prossimità di essa), i verbi frangere e rumpere indicavano un concetto affine e risulta evidente l’influenza della disciplina precedente che appunto concepiva, con riferimento ai servi, le ipotesi di ossis fractio e membrum rumpere. Il testo della legge, dunque, portava a fare in modo che la somma liquidabile nelle ipotesi di ferimento di un servo non fosse diversa da quella che sarebbe conseguita per la sua uccisione: l’accecamento di un servo infatti, avrebbe avuto gli stessi effetti economici che sarebbero conseguiti alla sua uccisione.

5. L’INSERIMENTO DEL PLEBISCITO AQUILIANO NELLA DISCIPLINA ALLORA VIGENTE IN TEMA DI DANNEGGIAMENTO Dunque, il capo III costituiva una delle novità più significative introdotte con la Lex Aquilia . Esso doveva riformulare ipotesi preesistenti unificandole in un’unica disposizione di portata più generale: si viene così a delineare la netta differenza tra l’imposizione casistica propria della legislazione arcaica, evidente nei primi due capi, e invece l’applicazione più vasta del capo III (come già accennato sopra). L’influenza della tradizione però si fa sentire con il richiamo dei verbi urere, rumpere e frangere (quest’ultimi che rappresentano concetti tra loro affini, quello del membrum rumpere e della ossis fractio con riguardo ai servi), che comunque esauriscono le ipotesi più significative e vincolavano al requisito  della materialità dell’azione lesiva. Quest’ultimo requisito in particolare si collega con l’idea che la Lex appartenesse ad un programma volto a tutelare la proprietà (teoria proposta, come sappiamo, dallo Honoré) ma che la renderebbe inidonea per garantire una protezione più ampia della sfera patrimoniale. Dunque, tra le principali funzioni della Lex abbiamo: ● Unificare in un unico testo tutte le principali ipotesi di danno; ● Derogare lo schema della pena fissa (inizialmente derogabile solo in ipotesi dell’incendio non doloso, vd. sopra), considerato ormai inadeguato in un periodo di forte svalutazione monetaria.

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Ecco che la Lex Aquilia permette il superamento della disciplina precedente in tema di danni anche se, accanto all’actio legis Aquiliae, sono esercitabili altre azioni, ciascuna delle quali prevede una specifica situazione anche di danneggiamento della proprietà: 1. Actio aedium incensarum, che escludeva dal risarcimento le ipotesi di incendio doloso; ipotesi poi equiparate a quello non doloso per cui rientranti nella disciplina Aquiliana a partire dall’età classica; 2. Actio de pastu e actio de arboribus succisis (vd. sopra). In particolare, Labeone, giurista proculiano, afferma che queste due azioni e la legis actio Aquiliae fossero cumulabili.

REQUISITI PER LA CONCRETIZZAZIONE DELL’ILLECITO: 6. Il damnum facere Ecco che, requisito imprescindibile per la concretizzazione dell’illecito era la causazione di un danno (economico). In realtà, la legge richiedeva il verificarsi di un damnum solamente nel capo III; Tuttavia, ciò non significa che per le ipotesi previste al capo I e II si richiedesse, per la concretizzazione dell’illecito, la sola realizzazione dell’azione in essi contemplata. Infatti la Lex Aquilia, quale legge generale de damno, comportava implicitamente la sussistenza di tale requisito. Ho sottolineato che dovesse trattarsi di un danno economico perché per damnum si intende un pregiudizio di carattere patrimoniale cagionato al proprietario di una res e non il mero danneggiamento della stessa. ● Inizialmente, tale danno economico preso in considerazione coincideva esclusivamente con la perdita del bene o con una diminuzione del valore dello stesso dipendente dall’illecito; Ad essere sanzionati, infatti, erano quei comportamenti volti a distruggere o lesionare un certo bene: era la proprietà ad essere tutelata, non il patrimonio. ● Solo successivamente, si inizia a tenere conto dell’incidenza dell’illecito sull’intero patrimonio del danneggiato: ecco che damnum si identifica come perdita patrimoniale e si viene in considerazione delle spese necessarie per ripristinare o restituire la cosa (evidenti sono i rimandi ai nostri concetti moderni di danno emergente e lucro cessante). Risulta evidente che l’azione aquiliana non possa esperita nel momento in cui il danno cagionato non incide sul patrimonio del danneggiato o comunque non va a diminuire il valore del bene e non preveda alcun risarcimento dei danni morali (affectiones) in quanto non idonei ad influire sul valore economico del bene.

7. Occidere

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Oltre alla causazione del danno economico, un altro requisito è rappresentato dal fatto che il danno dovesse dipendere da un’azione qualificata: servum, quadrupedmve occidere e urere, rumpere, frangere aliquid. In questa sede ci occupiamo della prima ipotesi. Una nota definizione del verbo occidere è dato da Giuliano, il quale contrappone un significato più tecnico, propria della legge, ad un significato più comune: in particolare, in quest’ultima accezione si intende l’uccisione comunque cagionata (in qualsiasi modo) mentre per la Lex Aquilia si intende qualsiasi azione materiale compiuta sul corpo del danneggiato (ricollegando il verbo occidere  alla medesima radice di caedere, ovvero percuotere).

a necare, ricollegando il primo al verbo caedere , per cui Festo invece contrappose il verbo occidere  si intende l’uccisione cagionata ictu, mentre il verbo necare sta ad indicare l’uccisione sine ictu. Ecco che poi, in seguito, il verbo occidere va ad assumere un significato più ampio, andando ad includere anche i casi in cui la morta dipendesse da fame. Ecco che, nonostante all’epoca della votazione del plebiscito fossero conosciute espressioni come morti dare o comunque la semplice necare  , ci si domanda per quale motivo nel capo I si contempla la semplice ipotesi dell’occisio, andando così a porre un limite alle possibilità di perseguire ipotesi oggettivamente dannose. 1. Una prima soluzione può essere rappresentata dal fatto che le ipotesi non contemplate fossero assai rare e che anzi, alcune di esse, fossero dei meri esempi di scuola. 2. Un’altra spiegazione invece può essere data valutando il fatto che l’uso di tale verbo andava ad indebolire la responsabilità esclusiva del convenuto, escludendo dunque tutte quelle situazioni in cui, per il danneggiamento del servo o del quadrupede, andavano a inserirsi cause ulteriori (come uno stesso comportamento assunto dallo schiavo o dall’animale). Risulta evidente come occorreva un nesso di causalità immediata e diretta tra il colpo cagionato dal convenuto (anche attraverso uno strumento) e la morte della vittima. Dunque, anche se non chiarissime le motivazioni della scelta del verbo occidere, certo è che vi dovesse essere un danno corpore, tuttavia non c’era di fatto la necessità che ci fosse il rapporto fisico con la cosa (es. è occidere la freccia scagliata o il peso lasciato cadere). La morte doveva dunque necessariamente essere causata ictu anche eventualmente con utilizzo di qualche strumento. (es. caso controverso del cane che uccide un servo altrui: per Proculo sarebbe stato colpevole chi avesse aizzato semplicemente il cane contro il servo; invece Giuliano e Ulpiano lo ritengono responsabile solo nel caso in cui tenesse il cane al guinzaglio questo perché per Giuliano, per soddisfare il requisito corpore, occorreva che la cosa si staccasse dalle mani del danneggiante). E’ considerato occidere il servo gettato giù da un ponte perché comunque la morte dipende da un’azione materiale (la spinta) mentre come strumento viene utilizzata l’acqua; così come il caso del fanciullo schiacciato da un sasso. Ecco che comunque, per l’occisio non occorreva soltanto l’esercizio di un’azione materiale contro il corpo del danneggiato, bensì Giuliano ritiene che occorra anche l’impiego della forza, l’esercizio di 6

un’azione violenta. Quindi, per la concretizzazione dell’illecito, i requisiti per ora sono la causazione di un danno, l’esercizio di un’azione qualificata accompagnata, per Giuliano , dalla vi ; mentre Labeone ritiene occisio anche i casi in cui non si verifica esplicazione della forza (es. ipotesi del veleno dato da un’infermiera alla serva).

8. L’enucleazione del concetto di causam mortis praebere Ecco che appare evidente l’inadeguatezza della Lex Aquilia a garantire tutela per tutte le altre ipotesi in cui si fosse verificata la morte di un servo o un animale in cui però non ricorreva una occisio; è per questo motivo che essa venne affiancata da azioni pretorie in factum. Tra le prime, annoveriamo quella di Ofilio, nell’ipotesi del servo caduto da un ponte, disarcionato dal cavallo reso furioso da un terzo. Risulta evidente, comunque, che tali azioni riguardano ipotesi di morte in cui non ricorreva un occidere. Significativo è, in questo contesto, l’intervento della Lex Cornelia, di Lucio Cornelio Silla dell’81 a.C in cui compare per la prima volta l’espressione causam mortis praebere (fornire le circostanze di morte), che andava ad integrare i crimini previsti dalla stessa Lex, riguardanti progettazione e preparazione di morte mediante produzione e vendita di sostanze tossiche o attraverso la falsa testimonianza in un processo capitale. Si tratta di un caso in cui la morte viene cagionata indirettamente: da qui la distinzione tra causae  remotae scelerum e causae proximae . La Lex Aquilia è applicabile solo in ipotesi di uccisioni dirette; in caso contrario, si sarebbero applicate le leges in factum. Si venne dunque a delineare la contrapposizione tra causam mortis praebere per indicare ipotesi di causalità mediata e occidere, per le ipotesi di causalità diretta.

9. Urere, frangere, rumpere aliquid Il fatto che non venga utilizzato il verbo vulnerare ci testimonia come il capo III non prenda solo in considerazione le ipotesi di ferimento dello schiavo o del pecudes. ● Urere: impiegato nei casi di incendio, doloso e non, della casa, delle piantagioni e il caso di ustione del servo; ● Frangere: pochi esempi: l’artigiano che rompe l’altrui calice che doveva decorare o colui che sfonda o scassina la porta altrui; ● Rumpere: dei tre verbi è quello più significativo. Inizialmente, rumpere  viene qualificato come danneggiamento, rottura di un oggetto al di fuori di urere e frangere. Tuttavia, con il capo III il legislatore voleva esaurire ogni altra ipotesi di danno materiale tant’è che il carattere onnicomprensivo del verbo rumpere è indubbio: stava ad indicare tutte le ipotesi di danneggiamento nei confronti degli anima...


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