RIASSUNTO de \"Il mito di Edipo: immagini e racconti dalla Grecia a oggi\" - Guidorizzi PDF

Title RIASSUNTO de \"Il mito di Edipo: immagini e racconti dalla Grecia a oggi\" - Guidorizzi
Author Abre Magique
Course Letterature comparate
Institution Università degli Studi di Catania
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Riassunto del libro "Il mito di Edipo: immagini e racconti dalla Grecia a oggi" di Guidorizzi...


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Il mito di Edipo: immagini e racconti dalla Grecia a oggi Di Maurizio Bettini e Giulio Guidorizzi Premessa Non esiste un solo Edipo, vi sono infatti innumerevoli racconti che differenziano il mito: da quello tribale a quello medievale, da Sofocle a Seneca e poi ancora nella versione moderna con l’ultima resurrezione del mito di edipo all’inizio del Novecento. Fondando la psicanalisi, Freud scelse proprio l’Edipo come mito di fondazione della sua teoria, perchè se scrive Freud- riesce a scuotere l’animo dell’uomo moderno tanto quanto quello dei Greci, la spiegazione può trovarsi soltanto nel fatto che esiste nel nostro intimo una voce pronta a riconoscere la forza coattiva del destino di Edipo. Il Edipo che accompagna il Novecento, delinea un tipo di uomo vicino alla mentalità contemporanea perchè in lui si manifesta con evidenza la parte più oscura della personalità davanti alle quali la volontà consapevole appare disarmata. Altro padre, oltre Freud, del nuovo Edipo sarà proprio Nietzsche il quale considererà il protagonista come criminale e salvatore che riscatta sè stesso passando attraverso il cerchio del dolore e dell’illuminazione dopo aver visto il tetro fondo di sè stesso. Ma non finisce qui: come accennato pocanzi, moltissime furono le varianti del mito e i relativi riadattamenti.

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Potremmo così dire che il mito di Edipo e tutte le sue varianti storiche e culturali non fanno altro che riflettere l’immaginario di altre epoche e di altri popoli. La carriera di Laio La storia di Edipo comincia molto prima della sua nascita: suo padre Laio infatti da giovane venne esiliato (parallelismo con Edipo) ed accolto nel Peloponneso presso la casa del re Pelope. Laio s’innamorò di Crisippo figlio di Pelope, lo rapì e lo violentò1 (si racconta che Laio fu il primo a inaugurare fra gli uomini l’amore omosessuale). Crisippo per la vergogna si uccise, mentre Pelope, padre della vittima, maledii Laio e gli augurò di essere ucciso da qualcuno della sua discendenza. A sua volta, molti anni prima, Pelope venne maledetto per aver rapito una fanciulla e averla sposata. Col passare del tempo, Laio si rese conto che stava invecchiando senza figli, si diceva fosse sterile. Così andò a consultare l’oracolo di Apollo e questo rispose: >. Laio sembrò capire, tuttavia un giorno in cui era ebbro si unì alla sposa Giocasta e concepì Edipo. Per timore della profezia -o istinto di conservazione che dir si voglia- Laio bucò così i piedi di Edipo con anelli d’oro e lo fece gettare sul monte Citerone. Laio è simile ad Edipo non solo fisicamente (come accenna Giocasta nella descrizione di Laio), ma perchè il padre rappresenta il lato oscuro del figlio che emergerà

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quando scoprirà di portare dentro di sè la cattiva ombra del padre che lo perseguita. Cercare di spezzare la catena padre-figlio, gettando Edipo sul Citerone, attirerà inevitabilmente l’uno sulla strada dell’altro. Anche Laio è quindi un essere deviato: ha stuprato il figlio di un benefattore, ha fatto violenza alla propria moglie e ha abbandonato suo figlio (anche se quest’ultima azione non è ritenuta “grave” dai Greci, anzi, era una delle opzioni che aveva il genitore e ne abbiamo la prova con tutti i bambini deformi che nascevano a Sparta e venivano gettati in un crepaccio chiamato per evitare la contaminazione della collettività). La vera colpa di Laio, per i Greci, non fu quindi quella di abbandonare il figlio ma di generarlo contro la volontà degli dèi con la conseguenza di aver contaminato il gruppo. Sofocle però ignora la colpa di Laio e tratta il tema dell’oracolo indipendentemente da ogni altra motivazione. Il nesso interno\esterno è spaziale e sociale allo stesso tempo: da un lato il suo destino è inquadrato all’interno di una famiglia, figlio legittimo di un re destinato un giorno a prendere il regno che gli toccherà. Dopo lo spazio oscuro della sua esposizione, lo troviamo nuovamente come figlio adottivo di una nuova famiglia, destinato anche in questo caso a diventare re di Corinto.

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Edipo sarà però estraneo a tutto questo: abbandonato dalla famiglia paterna, fuggitivo da quella adottiva e, infine, espulso dalla città e mendico.

1= omosessualità rituale: pratica che iniziava il ragazzo nel mondo degli uomini adulti. Il rapitore, in accordo con la famiglia, inscenava un rapimento allo scopo di trasmettere all’iniziato i modelli culturali della classe d’età degli uomini adulti. Spesso questi rapimenti rituali a sfondo iniziatico non duravano più di due lune e comportavano delle pratiche omosessuali CONSENZIENTI a cui il giovane era sottoposto da parte del rapitore. Al termine di questo rituale, il giovane veniva reintrodotto nella società e riempito di doni rituali. Per la famiglia, non permettere al ragazzo di essere rapito era considerata cosa vergognosa (Pelope non acconsentì al rapimento di Crisippo, nonostante Laio fosse l’educatore di Crisippo ed aveva il compito di istruirlo nell’uso del carro da guerra).

Figlio del bosco e del monte Tra i vari racconti Greci così come nel mito di Edipo stesso, un motivo ricorrente è quello dell’abbandono di un neonato su un monte2,3 . Il monte, infatti, risponde a una precisa logica, simbolica e narrativa: è il luogo nel quale avviene il passaggio dalla morte alla rinascita. Il bambino segnato dal destino muore simbolicamente agli occhi della famiglia, ma nello stesso momento in cui la civiltà lo espelle, il neonato viene raccolto e nutrito nel cuore del luogo selvaggio. Edipo viene raccolto da pastori: uomini nomadi, che vivono a contatto con gli animali e rappresentano una fase culturale più arcaica, lontana dalla vita degli uomini civili. Edipo assume quindi il punto d’incrocio fra natura e cultura: cacciato dalla famiglia, egli resterà per sempre legato a questi elementi “selvaggi”, arcaici. Egli infatti possiede sin dalle origini una doppia natura, nello stesso

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tempo selvaggia e civilizzata; figlio di un re destinato a diventare re, entra nella vita grazie a un gruppo di pastori che l’hanno introdotto in uno spazio diverso, facendo di lui un essere intermedio, partecipe di due mondi. Nel bosco o sul monte non ci sono ruoli: tutto si confonde tra belve, uomini ed esseri divini a differenza della città, dove ogni ruolo è già stabilito. Edipo infatti non diventerà mai completamente umano e civile; la sua eccezionalità sta appunto nell’essere in parte selvaggio, uomo e animale nello stesso corpo. Egli non si integrerà mai completamente nella civiltà umana, neppure quando diventerà re: sarà sempre un uomo in parte marginale, un essere che proprio per questo sa interpretare la voce degli animali ed è perciò capace di comprendere la domanda della sfinge, animale parlante. Nel mito di Edipo vedremo rientrare il monte in un secondo momento: la Sfinge, il mostro contro cui l’eroe compì la sua prova di valore, era appostata su un monte appena fuori Tebe chiamato Phikion. Anche questo monte ha una funzione simbolica: è un monte ma allo stesso tempo una porta da aprire, quando il pendolo della sua vita lo riporta sulla soglia del luogo dal quale era partito. Un monte, il Citerone, lo aveva fatto uscire dalla sua città, un altro, il Phikion, gli consentirà di rientrarvi. Nell’ Edipo a Colono4, questa doppia natura di Edipo (uomo della città\ uomo dei margini; reietto\prescelto) chiude il cerchio, costringendolo a vagare per sempre ai confini della civiltà.

Pagina 6  di 19 2= peripezia dell’eletto: schema narrativo assai diffuso nella mitologia comparata in cui il fanciullo, abbandonato al momento della nascita e miracolosamente preservato dal destino per diventare in futuro re, dopo aver superato una prova nella quale tutti gli altri hanno fallito, caratterizza per eccellenza tutti gli eroi fondatori (vedesi Romolo e Remo). Questa peripezia avviene attraverso due schemi narrativi: l’abbandono in un luogo selvaggio oppure il passaggio attraverso l’acqua. Il mito di Edipo presenta entrambe le versioni. Nella prova delle acque, il prescelto ha la grazia degli dèi: si tratterebbe di una forma di Ordalìa che affida agli dèi il compito di decidere se e come il bambino si salverà (l’ordalia, nello specifico la pratica delle acque -chiamata anche salto nel mare-, veniva utilizzata per capire se una donna accusata di stregoneria fosse colpevole o no). 3= L’abbandono di un figlio non era nè un reato nè un atto amorale. Sino al momento in cui il padre non presentava il figlio alla famiglia e gli imponeva un nome in quello che era un tipo rito famigliare di aggregazione, il neonato non era ancora un essere umano nel vero senso del termine 4= Colono: terra ai confini dell’Attica considerata il margine della vita civile.

Il corpo dell’eroe In genere gli eroi sono giovani e belli, ma questo non è il caso di Edipo,che il suo è un nome parlante: per i Greci era l’uomo dai piedi gonfi (oidào=sono gonfio + pòus=piede), ovvero un menomato. Questa impronta fisica, però, gli offre un nome e gli permette di essere riconosciuto nella società, di avere un’identità. Questo non è solo il caso di Edipo: l’immaginario mitico creava spesso nessi fra il nome dell’eroe e la sua peripezia, come con Melampo, ovvero l’uomo dai piedi neri perchè sua madre lo abbandonò in un luogo esposto al sole e questo gli abbronzò i piedi che non erano coperti dalle fasce. Se i piedi deformati sono il punto di partenza della storia di Edipo, la cecità diventerà il punto terminale, l’approdo senza ritorno a cui il fine arriva. Perciò il corpo di Edipo

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non è un corpo come un altro, ma diventa una struttura mitico-psicologica. L’edipo di Omero non era cieco e in alcune varianti folkloriche non aveva i piedi forati e neppure gli occhi strappati: la storia avrebbe potuto proseguire normalmente anche senza la presenza di essi, appunto per questo la loro presenza diventa portatrice di significati. L’eroe greco non è di rado deforme e queste deformità non sono certamente casuali: delineano un’equivalenza mitica. Zoppia o menomazioni alle gambe caratterizzano vari eroi: Achille morì per una ferita al tallone, unico suo punto vulnerabile5. Zoppia e cecità: generalmente basta una di queste deformità6 a caratterizzare un eroe, ma Edipo le presenta entrambe. Egli infatti, più che zoppo in senso letterale lo è simbolicamente. L’accecamento di edipo sembra chiudere il cerchio della vicenda recuperando lo stesso motivo simbolico nei due momenti cruciali della trama: il padre gli trapassò le caviglie, egli stesso si trapassa gli occhi accecandosi con la spilla strappata alla veste della madre. Ma perchè Laio gli trapassò le caviglie? La mutilazione degli arti era un tipo di pratica mediante la quale, nel mondo tribale, il vincitore non solo segna il suo possesso sul cadavere del morto imprimendogli un marchio d’infamia, ma si cura ad impedire la vendetta del fantasma adirato che è stato ucciso, che senza gli arti

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non può inseguirlo. Ciò che Laio fece è dunque un atto di magia apotropaica. C’è dell’altro: il marchio (stigmè) è un tratto che separa chi ne è segnato dal mondo civile: un simile oltraggio, infatti, s’imponeva a schiavi e criminali per renderli pubblicamente distinguibili ed emarginarli. Quando Laio segnò per sempre il corpo del figlio voleva non solo renderlo inoffensivo, ma anche dissimile da sè. Nel caso di Edipo il marchio assume però un valore ambivalente. Se infatti da un lato chi lo imprime intende offendere la persona che lo riceve, dall’altro accade che, come nel caso di Edipo, esso caratterizzi l’eccezionalità di un destino. Lévi-Strauss ha proposto un’interpretazione del mito di Edipo divenuta a suo modo classica sul tema dello zoppo e della zoppia, dove secondo lui tutta la genealogia di Edipo (Da Labdaco -il nonno- a Laio) era zoppa. Tuttavia, si tratta di una teoria errata, tant’è che successivamente si trovò costretto a modificarla, asserendo che il tema della zoppia fosse solo metaforico e non effettivamente fisico. Qualunque critica si possa fare alla teoria di LéviStrauss, certo è che riuscì ad individuare la presenza semantica, nel mito di Edipo, del tema della zoppia. Lo zoppo risponde, nell’immaginario collettivo dei Greci, a una serie di funzioni: l’uomo che ha anomalie o segni sugli arti inferiori è caratterizzato da una mente astuta e da capacità quasi magiche di comprendere e di operare sulla realtà.

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Infatti Edipo, l’uomo dai piedi gonfi, solo tra tutti è capace di risolvere l’enigma della sfinge. Lo stesso Aristotele aveva notato che coloro che hanno i piedi piatti sono individui capaci di tutto. L’intelligenza dello zoppo è di tipo particolare: impossibilitato per com’è a competere con coloro che sono sani, egli sviluppa una forma d’intelligenza intuitiva, fatta di vigile attesa e di capacità di saper cogliere l’istante. Inoltre, la zoppia nell’immaginario collettivo dei Greci è collegata a un’anomalia sessuale secondo un rapporto che lega i piedi all’apparato sessuale: del resto significava metaforicamente . Quando l’oracolo impose al re di Atene, Egeo, di non unirsi a nessun’altra donna prima di essere tornato in patria, il dio pronunciò questo responso: . Ancora, un proverbio recitava:>. Peraltro, se lo zoppo è sessualmente sregolato, risulta per converso poco fertile: Edipo procrea una stirpe malata di figli maledetta e destinata a estinguersi presto. Il piede marchiato, l’andatura irregolare, il lento ma inesorabile procedere dello zoppo, sembrano fatti apposta per per simboleggiare il cammino sotterraneo della vendetta. Edipo è un vendicatore zoppo. Edipo oltre ad essere zoppo è anche cieco. Lo diviene, secondo Sofocle, di sua mano per autopunirsi7. Non c’è dubbio che questo fu un’atto

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compiuto in un raptus di disperazione, di cui poi infatti si pentì. L’accecamento non era un tipo di supplizio particolarmente ben visto dai Greci, , che anzi lo vedevano con raccapriccio: sprofondare nel buio, in quella che era la , è una forma di morte un po’ meno assoluta di quella reale. L’accecamento di Edipo si configura quindi come una sorta di suicidio simbolico; chiusa la fonte della vista, egli si chiude in un mondo di dolore che sarà tutto suo per sempre. La cecità, però, come per la zoppia comporta un incremento di poteri. Nell’Edipo a Colono, infatti, il protagonista diventa proprio come Tiresia8 un profeta. Chi subisce la mutilazione degli occhi penetra in una sfera inaccessibile a quella degli occhi umani. Il cieco si avvicina più facilmente alla sfera del sacro. È evidente quindi che, nell’Edipo a Colono, l’accecamento assume i caratteri della purificazione e avvicinano il protagonista all’essere sacro. Nella variante dell’Edipo re, invece, l’accecamento assume i caratteri della punizione che rendono così Edipo un essere da dimenticare.

5= la madre Teti, nel tentativo di renderlo immortale, l’aveva tuffato nell’acqua dello Stige reggendolo per un tallone e così la magia riuscì efficace solo in parte. 6= più varianti di deformità: una vuole edipo con i piedi forati da anelli d’oro, un’altra voleva i piedi del neonato stretti tra delle corde che gli gonfiarono i piedi 7=autopunizione simbolica: Edipo si acceca perchè i suoi occhi non avevano saputo vedere la verità.

Pagina 11  di 19 8= accecamento Tiresia: del suo accecamento abbiamo due versioni. La prima è che mentre faceva il pastore aveva percosso con il bastone due serpenti che si stavano congiungendo e per questo era stato trasformato in donna. Poi, consigliato dall’oracolo, aveva percosso altri due serpenti che si trovavano nello stesso luogo e riprese il suo sesso. Perciò, quando Zeus ed Era si misero a discutere per gioco se durante l’amplesso il piacere maggiore toccasse all’uomo o alla donna, furono d’accordo nel prendere Tiresia come arbitro avendo provato entrambi i sessi. Tiresia sentenzio che il piacere maggiore spettasse all’uomo; perciò Era, indignata, gli tolse la luce degli occhi ma Zeus lo compensò attribuendogli il dono della profezia. La seconda versione diceva che Tiresia, quando era un giovane pastore, ebbe la sfortuna di sorprendere la dea Atena che si lavava nuda. Allora la dea gli sfiorò il viso e lo rese cieco perchè aveva osato vedere cose che un essere mortale non doveva vedere. Però Atena, impietosita, gli concesse di intendere le voci profetiche degli uccelli.

Uccidere il padre L’assassinio del padre è un elemento sempre presente in tutte le varianti del mito greco. La versione canonica del parricidio è quella che ci giunge attraverso Sofocle: il delitto avviene all’incrocio fra due strade. Un incidente banale, una rissa per la viabilità finita tragicamente. C’è un elemento in questo racconto che però salta all’occhio: tra Laio ed Edipo non viene scambiata neppure una parola. Una corrente istintiva di odio si sprigiona immediatamente tra i due. Gli incroci sono i luoghi in cui nel mezzogiorno le ninfe si ritrovano e ogni uomo che indugi lì corre il rischio di essere assalito da una di loro, con la conseguenza di ammalarsi o perdere la ragione; per questo motivo, la religione popolare prescriveva di preparare nel punto in cui le strade si incrociano un po’ di pane, miele e latte per placare le ninfe. Lo scontro fra Laio e Edipo sembrerebbe una manifestazione del delirio di uomini posseduti dalle ninfe se non fosse stato preparato da tanto tempo nella mente

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degli dèi e non avesse dato compimento al destino fissato da un oracolo. La furia che scatena i due uomini pare assurda: ciascuno di loro agisce senza rendersi conto del significato delle sue azioni. È un atto di pura violenza. L’atteggiamento di Laio, riproduce l’impasto di paura e ferocia che lo aveva indotto, molti anni prima, a cacciare il figlio neonato dalla reggia. In un modo o nell’altro, si direbbe che Laio non voglia condividere il proprio spazio con il figlio, non accetti di coesistere con lui e di riconoscergli il diritto di camminare lungo la strada della vita che egli sta percorrendo. Il fatto che Laio abbia voluto attraversare la strada prima di Edipo ha un valore simbolico e risponde a una logica ben precisa: come osserva Jean-Pierre Vernant, Laio ed Edipo vogliono passare nello stesso punto e allo stesso momento sia in senso proprio che in senso figurato, dato che rifiutano la legge naturale secondo la quale le generazioni si succedono in modo ordinato fra loro, prima la vecchia e poi la nuova, e come essi cerchino di passare insieme in un punto per il quale un solo uomo può passare, così tutti e due possiederanno la stessa donna, sovvertendo ciò che la natura prescrive. La sferza con cui Laio percuote il figlio due volte è un . Il simbolismo di questo gesto è evidente: doppia è la sferzata di Laio, doppia è la maledizione dei genitori che sta per abbattersi sul figlio.

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Il segno più tangibile di questa maledizione sarà la pestilenza che si abbatte su Tebe dopo che Edipo ne è diventato re. Edipo a sua volta si avventa su Laio e lo uccide a colpi di bastone, ovvero lo strumento del viandante: non un’arma, dunque, ma un primitivo strumento di difesa. Esso è allo stesso tempo un oggetto carico di un valore metaforico e ricompare nella vicenda di Edipo con regolarità, assumendo via via significati diversi: 1) il bastone è l’arma con cui il figlio dà morte al padre; 2) è lo scettro che Edipo, diventato re, impugna come segno di autorità; 3) è il puntello a cui Edipo, diventato cieco, si appoggia strisciando per il mondo alla fine della sua esistenza. Il bastone è esattamente il contrario di un’arma eroica: è la prima, elementare, arma di difesa; e questo perchè, collegandoci ad Edipo, egli non sarà mai un essere pienamente civile. Abbattere un nemico a colpi di bastone o di pietra non è un atteggiamento che dia particolare onore a chi vince, ed è forse il motivo per cui Edipo, diventato re, non si vanterà di questa sua impresa. La scelta di quest’arma nel mito Edipico non sembra casuale, ma concorre anch’essa a connotare il tema della marginalità, dello scontro estraneo a qualsiasi legge civile fra padre e figlio.

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Dopo il parricidi...


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