Riassunto La rivincita della mano visibile PDF

Title Riassunto La rivincita della mano visibile
Course Storia delle relazioni economiche internazionali
Institution Università degli Studi di Genova
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La rivincita della mano visibile Prefazione Dalla crisi finanziaria del 2007 si è capito che la sfera finanziaria occupa una un’enorme spazio nell’economia. La dinamica che ha portato alla finanziarizzazione dell’economia, nel senso che l’economia reale è subordinata alla finanza speculativa, poggia su 3 pilastri: de-regolamentazione, de-intermediazione e la titolarizzazione o cartolizzazione. I governi hanno tollerato o addirittura visto di buon occhio il processo che ha portato alla marginalizzazione dello stato a favore del Mercato, 2 sono stati i motivi che hanno portato alla finanziarizzazione dell’economia: -politiche neoliberiste aventi come obiettivo il conseguimento di una maggiore competitività, attraverso una serie di strumenti (deregolamentazione, incoraggiamento dell’iniziativa privata e laissez-faire, ovvero la fiducia nella natura efficienza dell’allocazione del mercato) -crescente peso del settore finanziario, con conseguente sviluppo di un’economia speculativa. La necessità di avere crescita economica ad ogni costo, ha spinto a utilizzare sempre più gli strumenti finanziari e svilupparne di nuovi come i famosi «derivati», oltre a precarizzare la forza lavoro. Dopo lo scoppio della crisi si è capito che un Mercato che si autoregola non è realistico. Molte famiglie a cui erano stati concessi mutui immobiliari non sono state in grado di ripagare e si è aggiunta alla crisi finanziaria anche la crisi mobiliare e immobiliare di Europa occidentale, Stati Uniti e Giappone. -Prima crisi negli anni 30’ che segno un approccio Keynesiano-fordista, con lo Stato che interviene nei processi economici. -Seconda negli anni 70’, che portò alla rivoluzione conservatrice neoliberista degli anni 80’ e al boom degli anni 90’ (questa crisi è avvenuta in nome della rivincita del Mercato, con un modello di regolamentazione del mercato finanziario ). -Terza Grande Crisi del 2007, le cui radici andrebbero ricercate nel modo in cui è stata risolta la grande crisi della Stagflation. Dopo un lungo boom del dopoguerra in cui era dominante il Keinesismo, negli ultimi anni gli studiosi hanno visto in prevalenza il capitalismo solo come «economia di mercato», concentrandosi sulle condizioni che consentono ai mercati un equilibrio economico stabile ed efficiente senza bisogno di interventi esterni, a cominciare da quelli dello Stato visto come soggetto perturbatore dell’equilibrio. Dopo lo scoppio della crisi del 2007, molti hanno iniziato a rivalutare il ruolo dello Stato, dicendo che nessuna economia può funzionare senza un quadro istituzionale adeguato. ***1 La forma «concorrenziale» è solo una delle 5 istituzioni che regolano le basi di un’economia capitalistica, che sono: il regime monetario, il mercato inteso come costruzione sociale (quindi la forma concorrenziale vigente), la forma del rapporto salariale, la forma dello Stato, il rapporto con il sistema economico internazionale. Negli ultimi 2 secoli, il capitalismo occidentale avrebbe conosciuto 5 regimi d’accumulazione (ognuno con un modo di regolamentazione da parte dello stato, sfociati in genere in crisi strutturali, essi sono stati: -estensivo a regolamentazione concorrenziale, nella seconda metà del XIX secolo -intensivo con consumi di massa (fordista), dei gloriosi trentanni (1945-1973) -trascinato dalla finanza, degli ultimi decenni La crisi del 2007 è allo stesso tempo crisi del modo di regolazione, causata dalla finanziarizzazione dell’economia, e crisi del regime di accumulazione. Lo stato dovrebbe promuovere un modello che privilegi

l’innovazione tecnologica e organizzativa in modo da creare nuove forme istituzionali che sostituiscano quella dominata dalla finanza. ***2 Importante è stato anche l’affermarsi di nuove potenze, il perno dell’economia mondiale si sta spostando dall’Occidente in Asia (Asia di Nord-est, quindi Cina continentale e le sue marche marittime, penisola coreana e arcipelago giapponese, Vietnam e Singapore. Un elemento di coesione è stata la scrittura e il Confucianesimo. Il confucianesimo è un codice di norme morali che mira ad assicurare l’ordine e il buon funzionamento della società o del gruppo, guidando in modo gerarchico e armonioso le relazioni umane. Analizzando questi paesi asiatici è importante che si analizzi anche il contesto storico, il condizionamento culturale e il volontarismo politico. Lo stato sviluppista è uno stato fortemente interventista in economia, il cui scopo è lo sviluppo del paese, inoltre, non abbiamo il dilemma tra stato e mercato (il Partito Comunista Cinese ha fatto molte riforme capitalistiche. DEN XIAIOPING, il Piccolo Timoniere, definì l’economia cinese come «economia socialista di mercato», egli ha lanciato nel 1978 una serie di riforme per cercare di far inserire la Cina nel capitalismo globale. *** Il confucianesimo enfatizza l’importanza dell’armonia, dell’ordine sociale e morale. La sanzione per la violazione di tale norme non è il senso di colpa ma la vergogna. Questo atteggiamento tende al conformismo, all’armonia del gruppo, partecipazione sociale attiva svolgendo al meglio il suo ruolo nella società. I taoisti, invece, promuovono l’idea di non azione (non fare niente, e non c’è niente che non sarà fatto). Evidenti sono le divergenze sul piano politico tra queste 2 tradizioni culturali; allo stato interventista e paternalista del burocrate-confuciano si contrappone lo stato inattivo dei taoisti. Il potere viene dato all’imperatore che se non governa correttamente perde il mandato e il popolo ha diritto alla rivoluzione. *** La crisi andrebbe quindi collocata in una fase di transizione di un processo che ha visto in meno di 100 anni per ben 3 volte capovolto il rapporto tra mano invisibile del Mercato e mano visibile dello Stato. L’economia liberale classica, formulata principalmente dagli autori inglesi (da Locke a John Stuart Mill), esercitò un’influenza preponderante nelle relazioni economiche internazionali tra il 1750 e la Prima Guerra Mondiale. In questa fase divenne importante anche il liberismo economico (Smith, Ricardo, Pareto). Il liberismo mira alla gestione ottimale di un’economia di mercato per realizzare 3 obiettivi: l’efficienza produttiva, la crescita economica dello Stato e la massimizzazione del benessere individuale. La cosiddetta «mano invisibile» del mercato trasforma l’egoismo dei singoli in benessere collettivo senza interferenze politiche (senza l’intervento dello Stato). Keynes sosteneva la necessità di un significativo intervento dello Stato nel processo economico, attraverso una regolamentazione delle forze del mercato, al fine di attuare squilibri, disuguaglianze, crisi. In particolare, secondo Keynes, il sistema capitalistico non tende verso un equilibrio di piena occupazione, ma lo Stato può porvi rimedio mediante appropriate politiche fiscali e monetarie finalizzate ad accrescere la domanda aggregata. Nel dopoguerra il keynesismo divenne il modello dominante, e tale rimase per tutti i gloriosi trent’anni. Ci fu un diffuso ed incisivo intervento dello stato in campo economico. La pubblica amministrazione oltre che porre rimedio ai fallimenti di mercato (inquinamento, situazioni monopolistiche, ecc.) e a promuovere l’equità ridistribuendo il reddito a favore dei meno abbienti con strumenti fiscali e con spesa pubblica, a partire dagli anni 30’ ha avuto anche il ruolo di favorire la crescita economica e di stabilizzare il sistema. Attraverso la leva monetaria e quella fiscale lo Stato può influenzare i livelli di produzione, occupazione e inflazione. La crescita economica senza precedenti dell’Occidente (compreso il Giappone) durante i suoi gloriosi trent’anni deve molto all’applicazione con successo della politica keynesiana. Durante gli anni Settanta cambia nuovamente lo scenario; di fronte a gravi difficoltà economiche insorte (crescita dell’inflazione + stagnazione economica e conseguente aumento della disoccupazione), inizia la

Seconda Grande Crisi. Inizia il neoliberismo con 2 filoni molto importanti: la Scuola di Chicago che affermava la necessità della libertà individuale in politica e in economia e dello stato minimo, essi dicono che l’intervento dello stato lede la libertà personale e l’efficienza economica; Scuola delle aspettative razionali (Milton Friedman) che affermano che le politiche sistematiche non possono porre rimedio ai cicli economici e che per tale motivo le pubbliche amministrazioni, anziché intervenire per cercare di regolare ogni oscillazione del ciclo economico, dovrebbero assumere un atteggiamento passivo in campo fiscale e monetario. Agli inizi degli anni 80’ si adottarono politiche economiche ispirate al neoliberismo, smantellando anche il welfare state. Uno stato minimo avrebbe promosso congiuntamente libertà individuale e crescita economica. Si ebbe la separazione della politica dall’economia con Pareto e con la sua nozione di efficienza allocativa. In conseguenza della Terza Grande Crisi, la situazione è ancora una volta mutata con il ritorno dello Stato. La crisi è resa ancora più grave dal cumularsi di altre 3 sfide globali (minaccia ambientale provocata da un tipo di sviluppo ritenuto da molti non più sostenibile, crescita dell’iniquità sociale, gestione delle diverse culture) e dal verificarsi del radicale mutamento strutturale del Sistema Internazionale (spostamento del potere verso oriente). *** Il susseguirsi di regolamentazione e deregolamentazione, rileva che esiste effettivamente un problema intrinseco nella relazione tra mano visibile e mano invisibile; oggi si ha una visione meno rigida del capitalismo. Concezione di capitalismo liberale (anglosassone), sociale (Europa continentale), socialista (cinese), stato sviluppista (confuciano, che combina sia l’intervento paternalistico proprio della concezione politica confuciana con lo Stato inattivo della teoria taoista). La Cina oggi funge da locomotiva dell’economia mondiale e sta sfruttando la crisi per riequilibrare la struttura del proprio sistema economico, da una parte riducendo l’eccessiva dipendenza dalle esportazioni e dall’altra potenziando la debole domanda interna e allargando il raggio della crescita economica finora essenzialmente limitata alla ricca e sovrappopolata Cina costiera.

1.l’accumulazione fordista Anche la crisi del 1929 sembrava solo finanziaria, poi si estese anche agli altri settori ma non con la rapidità della crisi attuale. La prima grande crisi per alcuni fu scatenata da un cattivo funzionamento del libero mercato (cattiva autoregolamentazione del mercato e cattivo intervento pubblico americano); per altri fu causata essenzialmente dal sotto-consumo, determinata da una riduzione dei salari, riduzione resasi necessaria per liberare sufficiente profitto e ammortizzare gli investimenti crescenti; altri (keynes) vi videro una crisi del credito e una crisi della domanda, che lo stato poteva risolvere aumentando i salari e riducendo i tassi di interesse (per sostenere gli investimenti). Germania, Italia e Giappone erano caratterizzati da una dimensione politica in ritardo rispetto all’evoluzione economica che era stata velocizzata da un massiccio intervento statale, ma anche Stati Uniti, Inghilterra e Francia attuarono un massiccio programma di regolamentazione. L’intervento statale riguardò la protezione sociale, il far fronte alle conseguenze fisiche e finanziarie della guerra, ridurre la concentrazione delle imprese che le allontanava sempre più dal modello concorrenziale. Il Giappone ha iniziato col passaggio dal capitalismo finanziario allo zaibatsu, avvenuta verso la fine del Novecento, e successivamente, col militarizzarsi del Paese negli anni Trenta, alcuni l’anno definita «Capitalismo Monopolistico di Stato». Lo stato, durante la crisi del 1929, ampia il raggio delle sue responsabilità, salvando banche e imprese, va rilevato che ancora prima dell’attuazione della teoria Keynesiana come teoria per rilanciare l’economia il peso delle imprese pubbliche era già importante. Nel periodo tra le due

guerre Giappone e Germania ebbero un grande sviluppo basato sull’industria bellica e sugli interessi capitalistici. Dominante in questo periodo fu il modello «fordista» di organizzazione della produzione, di accumulazione del capitale e di regolamentazione in cui la mano visibile ha una funzione determinante. In senso stretto il fordismo indica il modo di organizzare la produzione di massa standardizzata in un settore complesso come quello dell’automobile; Henry Ford sviluppò una forma di organizzazione produttiva particolarmente efficace ma disumanizzante; già qualche anno prima della Grande Guerra, Henry Ford aveva introdotto su larga scala nel suo stabilimento la catena di montaggio, nonché la standardizzazione (e intercambiabilità) di alcuni componenti, contribuendo alla grande espansione dell’industria americana. Lo sviluppo è la crescita Il modello fordista ha le seguenti caratteristiche: -Illimitatezza della domanda: mercato infinito, in continua espansione. Domanda illimitata. Il limite all’espansione è costituito dalla capacità produttiva della forza lavoro e degli impianti. La fabbrica decide quindi cosa produrre, quanto produrre, tempi e metodi di produzione. Fabbrica di grosse dimensioni e centralità delle operazioni con verticalizzazione organizzativa con anche 14 livelli decisionali. La fabbrica rappresenta la centralità sociale. -Standardizzazione ed economia di scala: catena di montaggio, standardizzazione e intercambiabilità dei pezzi, aumento dei volumi (gigantismo industriale) e quindi riduzione dei costi per effetto delle economie di scala, consentendo un aumento dei salari. Importante attrarre lavoro per aumentare la capacità produttiva. - Antagonismo tra forza lavoro e capitale: si cerca di utilizzare meno personale possibile ma anche di appropriarsi di più forza lavoro per far crescere la fabbrica. - Territorializzazione del capitale e del lavoro: la fabbrica è ancorata al territorio e poco aperta internazionalmente. Nell’organizzazione fordista si ha un antagonismo tra il fatto che si cerca di avere più lavoratori possibili, ma si cerca di ridurre i lavoratori al massimo. La fabbrica è molto ancorata nel territorio. C’è la politica keynesiana, si sostiene la domanda quando questa è debole (welfar state). La formazione del prezzo avviene sommando ai costi il profitto desiderato e non in base al mercato, è un regime di accumulazione in cui l’economia di scala fa aumentare i profitti abbassando i costi, e il consumo di massa è garantito da una parziale distribuzione a tutti i lavoratori degli utili.

2.crisi dello stato e rivincita del mercato Agli inizi degli anni 70’ il mercato era divenuto esigente e sparagnino e tende a sostituirsi alla fabbrica come centro della società stabilendo quanto e come produrre, questo fa andare in crisi il modello fordista. È la Seconda Grande Crisi, la crisi della stagflation, provoca l’affermarsi dei «libertari» che considerano lo stato come opprimente, fonte di correzione e inefficienza, inutilmente macchinosa e dispendiosa. Si vede che l’America non riesce più a garantire l’equilibrio dell’economia capitalista: -l’equilibrio monetario e finanziario, con la fine della non convertibilità del dollaro (non più la convertibilità aurea), anche perché si erano apprezzate la moneta tedesca e lo yen (Giappone). -l’equilibrio energetico, con gli incontrollabili shock petroliferi dagli effetti devastanti per le economie dell’Occidente (soprattutto gli Stati Uniti). -l’equilibrio della concorrenza internazionale, con l’entrata in scena di nuovi paesi industrializzati (Cina e India) -militare: Afghanistan e Irak Presidente Usa Ronald Reagan Le cause della Seconda Grande Crisi sono l’eccessiva indicizzazione (in generale la regolamentazione) e la globalizzazione, con trasformazione del salario da elemento determinante della domanda (in quanto più

alto è il salario, maggiore sarà la domanda, nell’idea fordista) a fattore competitivo dell’impresa (quindi avvantaggiata dal basso salario). Negli anni Settanta e Ottanta si è verificato un vero e proprio cambiamento sistemico, con la crescente deregolamentazione, a cominciare dal salario-lavoro e dai mercati finanziari, ha posto le basi per il boom degli anni 90’ e per la futura globalizzazione, creando allo stesso tempo le premesse per il ristabilimento del dominio globale del settore finanziario statunitense sia per il processo che avrebbe portato alla Terza Grande Crisi. Alla crisi degli anni Settanta, quindi, si risponde con politiche basate su una esasperata ideologia neoliberista e una concezione ultra-individualistica. Si vuole ridurre l’intervento dello stato ritenuto dannoso per l’economia, inefficiente e corrotto. Le potenze capitalistiche hanno risposto deregolamentando, privatizzando, riducendo le tasse e liberalizzando i flussi economici. Un grosso problema del liberismo diventa il precariato del lavoro. Caratteristiche del liberismo sono: -internazionalizzazione dei processi produttivi, al contrario del fordismo che era caratterizzato da una limitata apertura internazionale. -la globalizzazione -crescente ineguaglianza distributiva -finanziarizzazione Per combattere la stagflazione (combinazione di stagnazione e inflazione, indica una situazione in cui sono presenti in un determinato mercato contemporaneamente un aumento generale dei prezzi (inflazione), sia una mancanza di crescita economica in termini reali (stagnazione)) e la disoccupazione; secondo Weitzan, per favorire il pieno impiego, il salario dovrebbe essere flessibile, basato sulla condivisione dei profitti dell’impresa (ricorda il sistema giapponese dove 2 volte l’anno viene dato ai lavoratori un bonus in base ai profitti dell’impresa), dovrebbe essere dato un salario minimo fisso e una parte indicizzata in base ai profitti dell’impresa; altre considerazioni riguardano il ritorno alla flessibilità estrema dei mercati del lavoro, che favorisce non solo i livelli occupazionali ma anche l’innovazione e la crescita. Per formare il prezzo si tiene conto dei costi (variabile indipendente)+ utile (variabile dipendente) Si inizio ad applicare il Toyotismo.

3. Toyotismo Per toyotismo si intende il modello di organizzazione del lavoro applicato alla Toyota. Negli anni 70’ con le condizioni di mercato «finito», sofisticato e competitivo, il modello forsista non va più bene e inizia ad affermarsi questo modello di produzione, basato sul fatto che la domanda è limitata e ha come obiettivo la produzione di beni diversificati, di buona qualità e a basso prezzo. La Toyota produce molte più vetture per dipendente rispetto alla ford e alle altre case automobilistiche. Il cliente decide cosa vuole dal mercato e la fabbrica deve adattarsi a cosa vogliono i clienti. La fabbrica deve essere in grado di mutare l’organizzazione delle risorse umane, l’uso dei macchinari e delle scorte a seconda della quantità e della qualità dei beni richiesti dal mercato (si tratta di una fabbrica senza sprechi). Per aumentare la produttività quando le quantità non aumentano si deve produrre in modo flessibile, estremamente efficiente che alla riduzione dei costi aggiunge l’alta qualità. Si tratta di una produzione senza sprechi (a 6 zeri): senza ritardi, difetti, stock, tempi morti di produzione, carte burocratiche, sovrapproduzione. Questa riduzione degli sprechi si è tradotta nel just in time, mentre nel fordismo si tendeva a tenere scorte in eccedenza in caso di necessità. Il just in time presuppone che la manodopera sia flessibile, che non significa licenziare in caso di esubero ma attuare una mobilità intra-aziendale molto elevata e variabilità dell’orario di lavoro al fine di ottimizzare l’allocazione uomini-macchine. La fabbrica deve essere trasparente per capire subito dove ci sono delle strozzature e dei problemi. Il prezzo viene fatto dal mercato e allora per avere un profitto si devono ridurre gli sprechi. Importante la formazione continua e polivalente del dipendente e la forte partecipazione collettiva alla vita aziendale (le aziende in Giappone sono quasi come delle famiglie e il lavoro è visto come coinvolgimento etico in un progetto collettivo, da ciò si ha il lavoro a vita nella stessa azienda, carriera

basata sull’anzianità di servizio e sindacalismo aziendale). La flessibilità della fabbrica è ottenuta con l’introduzione nelle linee di produzione di dispositivi meccanici e organizzati...


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