Riassunto Pensieri - Blaise Pascal PDF

Title Riassunto Pensieri - Blaise Pascal
Author Maria Chiara Turra
Course Storia della Filosofia
Institution Università di Bologna
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Summary

Riassunto di due testi di Pascal:
- Pensieri: la condizione umana;
- Colloquio con il Signor de Saci su Epitteto e Montaigne...


Description

Pascal Francese (1623-1622) nasce in un epoca in cui si sta verificando la rivoluzione scientifica. P. studia la pressione corporea e si dedica a ciò che la scienza non può comprendere:l’uomo e le domande esistenziali di esso,studia ciò perché sostiene che tutti vogliono avere delle risposte a queste domande piuttosto che le cose scientifiche. P. nasce in periferia in una famiglia colta,quindi stimolante:suo padre era un esattore delle tasse e P. fin da piccolo dimostrò un talento scientifico (anche a 7-8 anni da delle risoluzioni geometriche). A 16 anni scrive un trattato di geometria ‘Delle sezioni coniche’ è anonimo ma ha un grande successo a Parigi. Fa costruire anche una macchina calcolatrice (la’pascalina’) ed è geniale. Sembrava che il suo destino fosse già segnato ma nel 1654 va soggetto ad un esperienza mistica e questa illuminazione gli cambia la vita:comincia a porsi delle domande che non hanno niente a che vedere con la scienza,si avvicina alla fede e spesso trascorre periodi di studio in un monastero a Port Royal guidato dai giansenisti (cristiani cattolici, vicini ai protestanti) chiamati i solitari di Port Royal dove andò anche sua sorella Racine (commediografa).Scrive la sua prima opera’Lettere provinciali’(1656-1657) difesa del giansenismo ed un accuso contro coloro che hanno un modo di intendere il cristianesimo. In seguito scrive un’apologia sul cristianesimo (dove non arriva la scienza arriva la fede)e inventò una carrozza per i trasporti. Muore a39anni (forse x tumore all’intestino) e lascia una serie di manoscritti che dovevano costituire l’apologia del cristianesimo ma non è riuscito ad ordinarli e la pubblicazione avviene nel 1844 ’pensieri’. La filosofia come ricerca esistenziale: P. occupa una posizione particolare nel ‘600: sostiene che questa debba servire a dare risposta in merito allo scopo dell’esistenza della vita perche la scienza in questa fallisce. È per questo che P. definisce la filosofia ricerca esistenziale, soffermandoci sulla parola ricerca viene attribuita perchè presenta comunque dei limiti. Sostiene che si riesce a sollevare il problema ma non a dare risposte del tutto corrette, bisogna cercarle in altri ambiti come la ragione. P. si chiede perché l’uomo tende a fuggire da queste situazioni, nel vivere quotidiano si allontana da esse e non vuole affrontarle. Come lo fa? Nel comportamento quotidiano l’uomo adatta il divertissement (distrazione, allontanarsi da qualcosa, ogni genere di attività che dell’uomo dal divertimento alle faccende di casa) in quanto attraverso ad esso non pensa. L’uomo si distrae perché se pensa arriva alla conclusione che gli uomini sono esseri finiti e mortali. Ci si distrae anche quando ci si annoia perché questo ci porta a pensare di conseguenza alla nostra situazione di’finitezza’. Secondo P. per schivare la noia siamo portati a fare qualsiasi attività che ci frastorna e ci impedisce di fermarci a pensare (anche questo è divertissement). P. sostiene che ci sono due tipi di tonalità emotive: quelle positive (felicità, gioia) e negative (tristezza, paura, angoscia) e dice che non siamo padroni di esse ma dipendono da qualcuno o qualcosa. Paura significa aver paura di qualcosa che si conosce mentre l’ansia in contrario. E la noia? è in mezzo perché c’è una forma di atonia del sentimento, la noia è anonima, con lei tutto tace, è piatta. Con le tonalità positive il tempo vola,con quelle negative non passa mai ed è più veloce la noia (sentiamo lo scorrere del tempo che non va avanti), è pesante mentre con le tonalità (sia negative che positive) pulsa il cuore mentre la noia lo ferma. Attraverso essa ci interroghiamo sulla nostra esistenza in quanto ce qualcosa che non va con il mondo. Le tonalità emotive positive sono inconsce mentre con il divertissement volontariamente schiviamo la noia e di conseguenza i dogmi esistenziali. La scienza non può dare risposta ai problemi esistenziali. P. introduce una distinzione sui modi di interpretare la realtà: 1. spirito di finezza, 2. di geometria (fondata sull’uso della ragione, su concetti astratti e generali e da dimostrazioni). Per queste domande si fa riferimento allo spirito di finezza che si basa sul cuore, sentimento e intuito e usa un linguaggio comune e strumenti semplici. Il rapporto tra i due:sono diversi ma non opposti, P. dice che lo spirito di finezza è la base di quello di geometria (concetti astratti che si concepiscono/conoscono grazie a quelli di finezza). Lo spirito di finezza è innato ed appartiene a tutti mentre quello di geometria si acquisisce tramite lo studio e ha una provenienza umana. Le ragioni del cuore: noi conosciamo la verità con la ragione e con il cuore, con quest’ultimo conosciamo i principi primi come l’esistenza dello spazio, del tempo e il ragionamento invano cerca delle certezze ma non è possibile darne una giustificazione razionale (debolezza della nostra ragione). Dalla filosofia alla religione: Pascal ritiene che per ottenere delle risposte giuste in merito all’esistenza dell’uomo bisogna cercarle nella religione (cristiana), questo perché solo Dio ci può risolvere il senso del mondo visto che corrisponde a lui stesso. Vengono posti a questo proposito due interrogativi: 1. chi non ha fede come deve fare?

2. perché conviene puntare su Dio piuttosto che sulla sua assenza? In merito alla seconda domanda questo problema è passato alla storia con il nome di “la scommessa su Dio” in quanto P sostiene che se si vuole dare un senso alla propria vita è più conveniente credere in qualche cosa che non farlo. Nel caso specifico se Dio esiste tutto ha un senso mentre se non esiste non si perde nulla in quanto chi ci ha creduto, ma scopre che non esiste, ha comunque vissuto credendo in qualche cosa e quindi dava un senso alla propria vita, al contrario di colui che non crede in niente. Nella prima domanda, invece, P. sostiene che colui che non ha fede, per fare in modo di ottenerla, deve comportarsi come colui che invece ne ha; quindi deve pregare, andare in chiesa, fare riferimento ai testi sacri.. questo perché si ritiene che ripetendo abitualmente questi culti si acquisterà la fede. Dicendo ciò Pascal sta andando contro i principi del suo stesso Dio nonché l’ipocrisia. Le motivazioni di questo suo comportamento sono il fatto che anche i filosofi possono avere un pensiero contradditorio visto che la stessa filosofia presenta dei limiti ed essendo ora mai vicino alla morte, nel periodo in cui sostiene questi pensieri, e consapevole di ciò si pensa che abbia cercato di far si che anche gli altri potessero credere nell’esistenza di Dio.

Pensieri Il piano dell’apologia: Prima parte  Miseria dell’uomo senza Dio: la natura è corrotta, per mezzo della natura stessa. Seconda parte  Felicità dell’uomo con Dio: vi è un riparatore, per mezzo della scrittura. La conoscenza di Dio senza quella della propria miseria genera orgoglio, la conoscenza della propria miseria senza quella di Dio genera disperazione; la conoscenza di Gesù Cristo costituisce il giusto mezzo perché noi vi troviamo Dio e la nostra miseria.

Parte I: L’uomo senza Dio Pascal afferma che a Montaigne non possono essere scusate le sue opinioni del tutto pagane sulla morte: per tutto il suo libro egli pensa solo a morire dolcemente e senza tensione; ciò che Pascal trova di cattivo in Montaigne avrebbe potuto essere corretto subito, se lo si fosse avvertito che raccontava troppe storie e che parlava troppo di sé. Poi, Pascal dice che non è in Montaigne ma è in se stesso che trova tutto ciò che vede in lui. Quando Pascal ha cominciato a studiare l’uomo ha capito che le scienze astratte non sono adatte all’uomo e che, continuando ad approfondirle, lo fuorviavano dalla sua condizione. È solo perché si è incapaci di studiare l’uomo che si cerca il resto. È necessario conoscersi, anche quando questo non servisse a trovare il vero, almeno servirebbe a regolare la propria vita e non ci sarebbe nulla di più giusto. Non si insegna agli uomini ad essere uomini per bene e si insegna loro tutto il resto, essi si vantano solo di sapere l’unica cosa che non viene loro insegnata. Se ci si converte, Dio risana e perdona. Capitolo I: Il posto dell’uomo nella natura Sproporzione dell’uomo. L’uomo non può vivere senza credere nelle conoscenze naturali e per questo Pascal crede che prima di addentrarsi in ricerche più profonde sulla natura, l’uomo debba esaminare anche se stesso e conoscere quale sia la sua proporzione all’interno della natura; inoltre l’uomo deve contemplare la natura intera nella sua alta e piena maestà. Se la nostra vista si arresta, l’immaginazione vada oltre: tutto questo mondo visibile non è che un segmento impercettibile all’interno della natura; la realtà delle cose è una sfera infinita il cui centro è ovunque e la circonferenza in nessun luogo, e in più è il più grande segno sensibile dell’onnipotenza di Dio. L’uomo deve considerare ciò che egli è in confronto di ciò che esiste: deve imparare a valutare se stesso in giusta misura. L’uomo nella natura è nulla in confronto con l’infinito, un tutto in confronto al nulla, è qualcosa di mezzo tra il nulla e il tutto. Egli è infinitamente lontano dal comprendere gli estremi, i quali sono per lui nascosti in un segreto impenetrabile. L’uomo percepisce qualche apparenza di ciò che è mediano nelle cose, in una eterna disperazione di non conoscere il loro principio né la loro fine. Non avendo contemplato questi infiniti, gli uomini si sono volti in modo temerario alla ricerca della natura. Il nulla e il tutto dipendono l’uno dall’altro, e l’uno conduce all’altro: queste estremità si toccano e si riuniscono a forza di essersi allontanate, e si ritrovano in Dio e in Dio soltanto. L’uomo dunque si deve rendere conto delle sue possibilità, essendo qualcosa ma non tutto; quel poco essere che l’uomo è sottrae la conoscenza dei primi principi che hanno origine dal nulla, e quel poco essere che l’uomo ha nasconde la vista dell’infinito. L’uomo è limitato quindi in ogni campo, la sua condizione occupa una posizione intermedia tra due estremi, e ciò si ritrova in tutte le facoltà umane, infatti i nostri sensi non

percepiscono nulla di estremo. Le cose estreme sono per noi come se non esistessero e noi non esistiamo nei loro confronti; questa è la nostra vera condizione ed essa ci rende incapaci di conoscere con certezza e di ignorare in modo totale. Non si deve cercare sicurezza né stabilità perché nulla può fissare il finito tra i due infiniti che lo racchiudono e lo fuggono. Se l’uomo studiasse se stesso per prima cosa, capirebbe quanto sia incapace di andare oltre, infatti come potrebbe una parte conoscere il tutto? E ciò che completa la nostra impotenza a conoscere le cose è che quelle sono semplici, mentre noi siamo composti di due natura opposte e di diverso genere, di anima e di corpo: se noi siamo semplicemente materiali non possiamo conoscere niente del tutto, e se siamo composti di spirito e di materia non possiamo conoscere alla perfezione le cose semplici, spirituali o corporali. Capitolo II: Miseria dell’uomo. Le facoltà ingannatrici L’uomo non ha alcun principio giusto del vero ma ne ha moltissimi del falso; la più forte causa dei suoi errori è il dissidio che esiste fra i sensi e la ragione. L’uomo è un soggetto pieno di errore naturale. I due principi di verità, la ragione e i sensi, oltre che mancare ciascuno di sincerità, si ingannano reciprocamente l’un l’altro. Le passioni dell’anima turbano i sensi e procurano ad essi false impressioni. L’uomo, per natura, non può vedere tutto e quindi si basa su ciò che i sensi apprendono, il ché è sempre vero: noi non siamo mai sicuri di scegliere il vero in quanto l’unica sicurezza è data dai nostri sensi. La memoria è necessaria per tutte le operazioni della ragione. L’intelletto crede per sua natura e la volontà ama per sua natura, di modo che, in mancanza di oggetti veri, diventa loro necessario affezionarsi a quelli falsi. L’immaginazione è la parte predominante dell’uomo, ed essa p maestra d’errore e di falsità. Questa potenza, nemica della ragione, si compiace di controllarla e di dominarla per dimostrare quanto potere abbia su ogni cosa, ha formato nell’uomo una seconda natura. Essa sorprende i sensi e li fa agire. La facoltà immaginativa dona il rispetto e la venerazione alle persone, alle opere, alle leggi, ai grandi. La ragione non domina mai completamente l’immaginazione, mentre l’immaginazione ha il potere di far scomparire la ragione. L’immaginazione dispone di ogni cosa, essa crea la bellezza, la giustizia e la felicità che nel mondo è tutto. Questa facoltà ingannatrice sembra esserci stata data espressamente per indurci necessariamente nell’inganno. La giustizia e la verità sono due punte così sottili, che i nostri strumenti sono troppo ottusi per raggiungerle con esattezza, e se ce la fanno ne smussano la punta e si appoggiano tutt’intorno, più sul falso che sul vero. La nostra immaginazione ci ingrandisce talmente il tempo presente e diminuisce tanto l’eternità che noi facciamo dell’eternità un nulla e del nulla un’eternità; da questo tutta la nostra ragione non ci può difendere. Il costume Quando vediamo che un effetto si produce sempre nello stesso modo ne concludiamo una necessità naturale, come ad esempio che domani farà giorno; la natura però ci smentisce e non si assoggetta alla sue stesse leggi. I nostri principi naturali sono i principi della nostra abitudini: una diversa consuetudine ci darà altri principi naturali, questo si constata per esperienza. La consuetudine è una seconda natura che distrugge la prima. La natura dell’uomo è tutta naturale, non c’è nulla che non si possa rendere naturale e non v’è nulla di naturale che non si possa far scomparire. La ragione rende i sentimenti naturali, e i sentimenti naturali sono cancellati dalla ragione. La cosa più importante in tutta la vita è per l’uomo la scelta del mestiere ed è il caso che ne dispone; la consuetudine fa i mestieri. La consuetudine coarta la natura e qualche volta la natura sormonta la consuetudine, e trattiene l’uomo nel suo istinto, malgrado ogni consuetudine, buona o malvagia. L’amor proprio – la vanità La natura dell’amor proprio e di questo io umano è di non amare che se stesso e di non considerare che se stesso; secondo Pascal però esso non potrà impedire che l’oggetto del suo amore non sia pieno di difetti e di miserie. Questa difficoltà in cui si imbatte provoca in lui la più ingiusta e criminosa passione perché egli concepisce un odio mortale contro questa verità che lo rimprovera e lo convince dei suoi difetti. L’amor proprio desidererebbe annientarla e non potendo mette tutto il suo impegno nel coprire i propri difetti agli altri e a se stesso. Infatti noi odiamo la verità e quelli che ce la dicono, ci fa piacere che essi si ingannino in nostro favore e vogliamo essere stimati da loro diversi da quello che in realtà siamo. Una prova di questo che Pascal ne da è quello della religione cattolica, la quale non obbliga a svelare i propri peccati ma tollera che si tengano nascosti a tutti gli altri uomini ma ne esclude uno solo.

Esistono diversi gradi di avversione per la verità ma si può dire che essa si trovi in tutti in qualche grado perché è inseparabile dall’amor proprio. Dire la verità è utile a colui al quale la si dice ma svantaggiosa a coloro che la dicono perché si fanno odiare. Così la vita umana non è che un’illusione, non si fa che ingannarsi e adularsi a vicenda; l’unione fra gli uomini non è fondata che su questo inganno reciproco. L’uomo non è che dissimulazione, menzogna e ipocrisia, verso se stessi e verso gli altri; l’uomo non vuole che gli si dica la verità ed evita di dirla agli altri, e tutte queste disposizione, così lontane dalla giustizia e dalla ragione, hanno una radice naturale nel suo cuore. Tutti gli uomini si odiano per natura l’un l’altro. Ci si è servito della concupiscenza (bramosia, desiderio, passione) per farla servire al bene comune, ma è soltanto una finzione, una falsa immagine della carità perché in fondo c’è solo odio. Si sono fondate sulla concupiscenza e ricavate da essa mirabile norme di ordine civile, di morale e di giustizia. L’io ha due qualità: è ingiusto in sé in quanto si fa centro di tutto, ed è scomodo agli altri in quanto li vuole asservire, infatti ogni io è il nemico di tutti gli altri e vorrebbe esserne il tiranno. Non bisogna giudicare della natura in funzione di noi stessi ma secondo quello che essa è in se stessa. 140....


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