Riassunto \"Segni, linguaggi e testi, semiotica per la comunicazione\" - Costantino Marmo (Capitoli 1,2,3,4,5,6 e 7) PDF

Title Riassunto \"Segni, linguaggi e testi, semiotica per la comunicazione\" - Costantino Marmo (Capitoli 1,2,3,4,5,6 e 7)
Course Semiotica 1
Institution Università di Bologna
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Riassunto di "Segni, linguaggi e testi. Semiotica per la comunicazione" - Costantino Marmo (capitoli: 1,2,3,4,5,6 e 7)...


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SEGNI LINGUAGGI E TESTI – COSTANTINO MARMO Capitolo 1 – Segni, testi e comunicazione Comunicare vuol dire far sapere, trasmettere qualcosa che spesso non è di ordine materiale: si tratta di pensieri, idee, sentimenti, notizie, segreti, date, impressioni, tutto quanto che può essere fatto conoscere. Ad esempio le foto sono sempre strumenti di comunicazioni, al pari di un manoscritto, e comunicano a prescindere dall’effettiva volontà di divulgare foto o testi da parte del loro autore. La significazione precede la comunicazione, quindi comunicare presuppone che qualcosa già significhi. Ad esempio quando al mattino ci svegliamo e riconosciamo il luogo in cui ci siamo addormentati la sera prima, quel luogo riacquista un senso. Allo stesso modo, gli oggetti e gli eventi della nostra vita quotidiana sono pieni di senso per noi, tutte le volte che li riconosciamo, li classifichiamo, li nominiamo servendoci delle risorse della nostra lingua o li rappresentiamo servendoci di strumenti tecnici di riproduzione. Nel modello postale il messaggio, passando attraverso l’apparecchio trasmittente codificatore viene trasformato in una serie di segnali che l’apparecchio ricevente decodificatore riconduce allo stato originario portando al destinatario il messaggio della sorgente. Un ruolo decisivo hanno il canale, attraverso il quale la comunicazione avviene, e l’eventuale rumore che può interferire nella trasmissione del segnale. A questo modello sono state mosse delle critiche: • •

è lineare e unidirezionale; si può applicare bene alle informazioni di scambio tra computer ma non a quello umano o animale;

Roman Jakobson ha proposto una revisione di questo modello al fine di individuare le funzioni fondamentali della comunicazione attraverso sei fattori: 1. 2. 3. 4. 5. 6.

Funzione espressiva o emotiva → l’emittente dà un’espressione al messaggio che vuole comunicare. Ad esempio l’allungamento della vocale nell’affermazione che da [si] diventa [si:]; Funzione conativa → sono le frasi imperative, ad esempio “Bevete!” che non può essere messa in dubbio dalla domanda “è vero o non è vero?”; Funzione referenziale → è legata al contesto, quasi sempre comunichiamo per dire qualcosa sul contesto. Ad esempio “Che bella giornata che è oggi!”; Funzione fàtica →è la funzione che tiene aperto il canale della comunicazione, attirando l’attenzione dell’interlocutore da parte del mittente o assicurandosi che l’interlocutore stia seguendo il discorso. Ad esempio “hm!, hm!”; Funzione metalinguistica → quando il discorso è incentrato sul codice, ovvero parla del linguaggio stesso. Ciò avviene ogni volta che chiedono spiegazioni su ciò che l’interlocutore intende dire, sul significato delle espressioni usate e così via; Funzione poetica →si realizza con la rima o con le varie figure retoriche, è utilizzato dai poeti.

Quali sono i tratti comuni dei segni? Per rispondere a questa domanda la semiotica ha fondato due modelli: •



Modello binario →È stato fondato da Ferdinand Saussure. La linguistica con lui è completamente cambiata. Il suo libro più importante è fatto da due suoi allievi. Noi oggi siamo abituati a ragionare con tanti linguaggi (visivi, musicali, gestuali), però non c'è dubbio che se abbiamo questa consapevolezza il linguaggio verbale è quello che tutti noi condividiamo. È il più importante ma anche il più usato. Il segno va interpretato con due facce che sono sempre unite, questi due piani del linguaggio sono il - SIGNIFICATO --> es. prendiamo la parola "asino" ognuno ha in mente una certa idea, è la parte ideale, concettuale - SIGNIFICANTE --> è la parte percettiva. La parte percettiva può essere variata, cambiata ad esempio per esprimere il concetto di "cane" posso usare i suoni delle 4 lettere italiane, scrivere la parola, disegno… Tutto questo ci dice che c'è una componente percettiva (significante, può essere reso in tanti modi diversi) e una astratta. Questo ci porta a che non c'è una relazione tra significante e significato. Modello triadico → C.S. Peirce contemporaneo di Saussure, è la distinzione di tre elementi. Non basta il significante e il significato ma c'è un terzo elemento di mediazione. Fa un modello: il triangolo peirciano (segno → oggetto → interpretante). Peirce distingue tre tipi di segni: - Simboli → “è un segno che si riferisce all’oggetto che esso denota in virtù di una legge”. Si tratta del tipo di segni più utilizzato dagli esseri umani per comunicare: parole, monete, segnali stradalo rientrano tutti in questa classe. Un esempio di regola potrebbe essere quella che associa a ogni lettera dell’alfabeto una sequenza di punti o linee (codice Morse). - Indici → “è un segno che si riferisce all’oggetto che esso denota in virtù del fatto che è realmente determinato da quell’oggetto”. Esempi di indici sono i sintomi di una malattia (febbre), lo spostamento di una banderuola segnavento

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lungo la direzione in cui soffia il vento, la reazione del sensore in un termometro. Ma ciò che li rende segni è la regolarità con cui si presentano, secondo leggi che sono non convenzionalmente stabilite, ma di tipo fisico/naturale. Icone → “un segno che si riferisce all’oggetto che essa denota semplicemente in virtù di caratteri suoi propri, e che essa possiede nello stesso identico modo sia che un tale oggetto esista effettivamente, sia che non esista. Ad esempio una statua o un dipinto, ma anche una cartina geografica. Negli anni ’60 e ’70 si è sviluppato un dibattito sull’iconismo. All’epoca il dibattito aveva visto opposti iconisti e iconoclasti: i primi sostenevano la sostanziale naturalità del rapporto di somiglianza tra immagini e oggetti rappresentati, i secondi facevano leva invece sulla componente culturale di questo rapporto per cui la somiglianza veniva concepita come posta piuttosto che data. Più un’icona somiglia all’oggetto rappresentato meno dovrebbe essere convenzionale. Il termine icona è un termine vago che comprende in sé fenomeni semiosici molto differenti: le repliche, i doppi, i grafi, disegni e dipinti e, in alcune teorie, anche riflessi speculari. Eco ripete a proposito degli specchi che l’immagine che si vede non è in alcun modo un segno: non fanno che aumentare le nostre capacità visive e funzionano come protesi. Ciò che si vede non è l’immagine reale, ma comunque è tale da indurre assoluta fiducia nella sua veridicità: se così non fosse non potremmo fidarci dello specchietto retrovisore mentre siamo in macchina. Il problema è che la tradizione aveva considerato l’immagine riflessa come un’immagine naturale, suscettibile di dare un’idea della progressiva emanazione e discesa dell’essere dal divino attraverso la grande catena dell’essere. La somiglianza tra due oggetti non è una proprietà naturale che si riconosca immediatamente, anzi in molti casi è determinata da convenzioni culturali, che possono essere anche molto sofisticate e perciò deve essere appresa. La somiglianza più che requisito di immagini sembra essere un effetto di senso: quando ci troviamo di fronte a qualcosa che ci viene rappresentato o riconosciamo come immagine, cerchiamo la somiglianza con l’oggetto rappresentato, cerchiamo cioè di capire per quali caratteristiche quell’immagine rappresenti efficacemente un certo oggetto. In questa direzione va l’uso degli identikit fini di identificazione di sospetti criminali.

Capitolo 2 – Due sistemi di significazione a confronto: lingua vs. segnaletica stradale Primo livello di analisi e di confronto: fonemi e forme/colori La lingua può essere analizzata dal punto di vista dei suoni o del tipo di suoni (fonemi) di cui essa si serve. Forme e colori nei segnali stradali (caratteri plastici ), si combinano, analogamente ai fonemi, ovvero come unità minime prive di significato. In effetti, la forma, circolare o triangolare, di un segnale di per sé non pare veicolare particolari significati, così come neppure il colore rosso, bianco o blu. La loro combinazione in unità di significazione più complesse, quindi, potrebbe benissimo essere paragonata la combinazione in segni dei fonemi. Il parallelismo con la fonologia regge solo fino ad un certo punto. In primo luogo, se è vero che alcune forme (triangolari e cerchi) di per sé non significano nulla, grazie al codice esse acquistano un significato specifico, dal momento che sono caratteristiche rispettivamente dei segnali di pericolo (triangolo) e quelli di prescrizione (cerchio). In secondo luogo, l’individuazione di queste unità minime dotate di significato non avviene attraverso una prova di commutazione (consiste nel sostituire, in una parola un suono con un altro nella stessa posizione: se la parola rimane riconoscibile e il senso non cambia avremo individuato una variante del suono o del fonema; se invece la parola muta di significato o diventa irriconoscibile, avremo individuato due distinti fonemi della lingua cui appartiene quella parola), come invece avviene per i fonemi di una lingua: se io sostituisco alla figura del cerchio quella del triangolo, lasciando immutati gli altri elementi, ottengo un segnale diverso ma dotato di senso solo in pochissimi casi. Posso lasciare invariata la forma, quasi invariato il pittogramma, cambiando solo il colore di fondo e ottengo un altro segnale valido. Nella stragrande maggioranza dei casi non si ottiene nulla di sensato: se prendo un pittogramma della mucca che si trova al centro del segnale di pericolo e lo sposto all’interno di un segnale circolare dal fondo blu, ottengo un percorso per mucche, un segnale che potrebbe esistere ma di fatto non c’è nella segnaletica in uso. Se infine sostituisco al triangolo il quadrato o l’esagono, ecco che certamente produco un segnale impossibile per la segnaletica verticale attuale. Con i colori il discorso è analogo. Morfologia dei segnali stradali verticali: segnali come parole La morfologia, che si occupa di come si analizzano le parole, ci fornisce gli strumenti e la metodologia per scomporre le parole in unità minime di significato o di funzione, i morfemi . Prendiamo quattro serie di parole: nomi: tavolo, città, bellezza aggettivi: alta, velocissima, piano verbi: prendiamo, ricevendo, saltellare avverbi: molto, appartenente, ora La morfologia dell’italiano ci insegna che alcune parole si possono scomporre e altre invece sono già ridotte al minimo: tavolo → tavol- (morfema lessicale legato o radice) -o (morfema grammaticale flessivo o suffisso che esprime il genere e il numero)

bellezze → bell- (morfema lessicale legato o radice) -ezz- (morfema grammaticale derivazionale) -e (morfema grammaticale flessivo) città → non è ulteriormente analizzabile ed è chiamato morfema lessicale libero alta → alt- (morfema lessicale) -a (morfema flessivo) velocissimi → veloc- (morfema lessicale) -issim- (morfemi derivazionali) -i (morfema flessivo) piano → pian- (morfema lessicale) -o (morfema flessivo) e così via. Possiamo individuare dei tratti comuni ai vari gruppi di cartelli stradali, secondo la forma, il colore o la disposizione di alcuni colori. Per esempio i segnali di pericolo sono triangolari, quelli di obbligo e divieto sono generalmente circolari. Quelli di pericolo, di divieto e quelli di obbligo specifico hanno in comune la bordatura rossa, oltre allo sfondo bianco della parte centrale. La forma geometrica e la disposizione dei colori sono caratteristiche morfologiche paragonabili a quelle dei morfemi di una lingua, dal momento che si può individuare una forma generale che può essere o meno associata a una certa disposizione dei colori e a un certo pittogramma. Le barre oblique che si trovano in altri segnali stradali possono essere considerate varianti (allomorfi) della barra rossa. I pittogrammi sembrano svolgere la funzione dei morfemi lessicali: in primo luogo, sono segni a sé stanti, al pari di alcuni morfemi lessicali liberi; essi, inoltre, definiscono il contenuto specifico del segnale stradale. Alcune associazioni di forme/colori/pittogrammi, tuttavia, non sono ammesse, cos’ come non è possibile associare i morfemi di genere (maschile/femminile) alle forme verbali (escluso il participio passato, nei suoi usi aggettivali).

Capitolo 3 – Lingue, linguaggi e testi Sistema e processo Prendiamo come esempio un’esperienza comune: andare al ristorante. Una volta seduti al tavolo, il cameriere si avvicina, ci chiede cosa vogliamo mangiare e noi ordiniamo. Non ordiniamo in maniera totalmente libera, in base ai nostri desideri o alla nostra fantasia, ma sulla base di una lista di opzioni che è detta menù. Mangiare al ristorante presenta due aspetti: il processo, in cui una serie di elementi (le portate nel nostro esempio) sono posti in successione, e il sistema, in cui questi elementi sono considerate in liste o gruppi omogenei, come nel menù, dove i piatti sono organizzati secondo lo schema delle portate. A livello di sistema possiamo dividere due aspetti: la lista, in cui ogni elemento è alternativo agli altri, che costituisce l’aspetto paradigmatico, e la successione regolata dalle portate, che ne rappresenta l’aspetto sintagmatico. L’opposizione tra processo e sistema si può ritrovare nel modo in cui ci vestiamo. Quando la mattina dobbiamo decidere cosa indossare, scegliamo dal nostro guardaroba gli elementi di vestiario secondo le esigenze della giornata che ci attende, e seguendo lo schema di composizione del nostro abbigliamento abituale. Anche in questo caso, scegliamo da un repertorio di possibili elementi organizzati (sistema), e combiniamo gli elementi scelti (processo). Anche qui, a livello di sistema, riscontriamo l’ulteriore distinzione tra aspetto paradigmatico (il repertorio dei vestiti che è contenuto nel guardaroba), e un aspetto sintagmatico (che detta le regole di composizione: non indossiamo la biancheria intima sopra ai pantaloni). Una lingua, può essere esaminata da molti punti di vista: se ne possono studiare i suoni tipici (fonemi) nella fonologia, oppure le forme dotate di significato o funzione (morfemi) e le parole che risultano dalla loro composizione nella morfologia, il modo in cui le parole si combinano in frasi nella sintassi. In ognuno di questi ambiti della linguistica, la lingua (parlata) presenta il duplice aspetto messo in luce sopra: da un lato, ci sono i fonemi linguistici, ovvero ciò con cui il parlante ha a che fare: quello che Saussure chiamava parole, ovvero l’esecuzione di un discorso da parte di un individuo. Dall’altro, ci sono i repertori di elementi cui il parlante attinge per produrre quei fenomeni (aspetto paradigmatico) e le regole che presiedono alla loro combinazione (aspetto sintagmatico): ciò che Saussure chiamava langue. Louis Hjelmslev ha indicato con l’espressione asse del sistema l’insieme dei paradigmi o repertori di elementi che possono prendere il posto di altri elementi in una certa sequenza linguistica, così da formare espressioni differenti, e con l’espressione asse del processo le concrete sequenze linguistiche così producibili. Ad esempio la parola “pelle” è pronunciata con il primo fono [p] ed è riconosciuto dall’interlocutore come un suono elementare o fonema /p/ della lingua italiana. Al posto del suono [p] si potrebbe pronunciare un altro suono ad esempio producendo una diversa sequenza sonora: celle. Se prendo in considerazione tutte le possibili sostituzioni della consonante iniziale che producono una diversa parola della lingua italiana, avrò costruito il repertorio delle sue possibili variazioni, quella che il linguistica è detta serie minima: belle, celle, delle, ielle, pelle, selle.

Può avvenire anche in seconda, terza, quarta e quinta posizione. L’insieme delle variazioni in ogni posizione, per ciascun sintagma costituisce un paradigma. Espressione e contenuto I fenomeni linguistici e di significazione presentano una duplicità, la distinzione tra un piano dell’Espressione e un piano del Contenuto. Quando udiamo una frase o leggiamo una frase, percepiamo la manifestazione di una serie di segni linguistici e insieme comprendiamo quel che le parole significano. Se incontriamo un semaforo rosso, sappiamo cosa significa e cosa dobbiamo fare. Secondo una definizione tradizionale di Agostino, un segno è una cosa (res) distinta, anche fisicamente, da ciò cui rimanda, indica qualcosa d’altro che può essere conosciuto attraverso di esso. Così per esempio una parola è un segno in quanto presenta un aspetto fonico ed è collegata ad un concetto. Il segno è sia un oggetto sia un veicolo di conoscenza ed è inoltre punto di partenza di un ragionamento o inferenza (cioè un’argomentazione che, partendo da alcune premesse, conduce a una conclusione). La distinzione tra questi due aspetti del segno, sensibile e intelligibile, è la costante della storia della semiotica, il tratto che ha permesso di riunificare due filoni di pensiero fino a quel momento distinti: la riflessione sui segni e sul linguaggio. Saussure, ha messo in discussione la natura sensibile dei segni e l’identificazione del segno con l’oggetto significante, per giungere ad elaborare la distinzione tra due aspetti. Saussure infatti definisce il segno (linguistico) non più come qualcosa che sta per qualcos’altro, ma come l’unione inscindibile di un’immagine acustica (o significante) e di un concetto (o significato). I successivi studi, in ambito linguistico e semiotico, accentuano in modo ancor più marcato, e deciso, il carattere astratto del significante e del significato, e giungono con Hjelmslev a riformulare la distinzione tra significante e significato, in quella, più generale, tra piano dell’Espressione e un piano del Contenuto, legati da una o più funzioni. I semafori, sul piano di Espressione, sono costituiti da tre luci colorate, di forma circolare, disposte una sopra l’altra su una o più facce di un oggetto a forma di parallelepipedo disposto a un lato della strada poco prima di un incrocio che si accendono una per volta secondo un ordine fisso. Concentrandosi sull’aspetto paradigmatico: forma circolare, colori e disposizioni delle luci sono un carattere fisso che vale per tutti i semafori e per questo rappresentano la forma del piano d’espressione del dispositivo di segnalazione. Questa descrizione vale per tutti i semafori, ma si applica anche al singolo semaforo. Il verde potrà apparire in una sfumatura diversa da quello del semaforo che abbiamo incontrato prima, ma questo non ci impedisce di riconoscerlo come verde semaforico. Quindi la sfumatura è totalmente irrilevante. I tre colori di base sono dette sostanze di quelle forme. Possiamo dire che lo spettro del visibile costituisce un continuum della materia dell’espressione, da cui la forma – intesa come posizione all’interno di quel continuum – estrae le sostanze che costituiscono i singoli semafori. Un altro esempio possono essere i pittogrammi che, affissi alle porte dei bagni pubblici, indicano quali siano riservati alle femmine e quali ai maschi. Anche in questo caso, il continuum o materia dell’espressione è costituito, da un lato, dal piano della rappresentazione pittografica, dal quale sono ritagliate le silhouettes di due persone di genere determinato e, dall’altro, dal continuum delle tinte acromatiche che prevede agli estremi la tinta del bianco e quella del nero. La forma dell’espressione unisce la tinta e la sua disposizione sul piano e crea l’effetto silhouette. Passando alle lingue naturali possiamo dire che un certo suono emesso da un singolo parlante in diverse occasioni, viene riconosciuto come parlante di una certa lingua dai suoi ascoltatori, a prescindere dal fatto che, dal punto di vista strettamente fonetico di quelle emissioni sonore possano essere di volta in volta diverse. Le categorie di suoni sono appunto i fonemi tipici di una lingua, ovvero elementi minimi del piano dell’espressione che costituiscono le forme di base dell’espressione della lingua. I singoli suoni emessi dal singolo parlante sono invece le sostanze dell’espressione di quella lingua; la materia dell’espressione è costituita infatti dal continuum sonoro. Biplanarità e monoplanarità Le lingue producono un livello di forme non significanti (o figure d’espressione) il cui numero è limitato ma la cui combinazione consente di produrre tutte le espressioni di cui si serve una lingua. Si tratta della caratteristica della doppia articolazione, tipica delle lingua naturali. È caratteristico delle lingue essere costituite di...


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