Schein - Riassunto La consulenza di processo PDF

Title Schein - Riassunto La consulenza di processo
Author Paola Festa
Course Psicologia Generale
Institution Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli
Pages 32
File Size 331.7 KB
File Type PDF
Total Downloads 89
Total Views 140

Summary

Prima parte del libro consulenza di processo...


Description

Come costruire le relazioni d’aiuto e promuovere lo sviluppo organizzativo (Edgar H. Schein) Parte Prima Capitolo 1. Che cos’è la consulenza di processo? La consulenza di processo (PC) rappresenta ciò che succede tra una persona che fornisce aiuto e la persona/gruppo che lo riceve. Viene utilizzato il termine “processo” perché il come di quello che avviene all’interno della relazione interpersonale è importante almeno quanto il cosa viene portato a termine. La PC è un’attività chiave che si svolge all’inizio o addirittura per tutta la durata di ogni sviluppo organizzativo (SO) programma pianificato su scala di un’intera organizzazione, in cui le parti che lo compongono sono in genere costituite da attività che il consulente svolge in cooperazione con persone singole o gruppi. Per ogni programma è di fondamentale importanza la creazione di una situazione in cui persone o gruppo possano produrre apprendimento e cambiamento. Come deve agire il consulente per creare questa situazione? Innanzitutto deve acquistare la capacità di distinguere tra: 1. Agire da esperto, indicando al cliente le misure da prendere 2. Vendere soluzioni scelte dal consulente o l’uso di strumenti che il consulente sa come usare 3. Far partecipare il cliente a un processo che, alla fine di un’accurata ricerca, consulente e cliente giudicheranno adatto a fornire l’aiuto richiesto Queste 3 soluzioni riflettono 3 differenti interpretazioni del concetto di “aiuto”. Spesso i capi di un’organizzazione capiscono che non tutto procede bene o che la situazione è suscettibile di miglioramenti, ma non possiedono gli strumenti necessari a tradurre vaghe intuizioni in chiari concetti operativi, per cui il cliente, nella maggior parte dei casi non sa esattamente cosa cerca o quale sia esattamente il problema. Il consulente che opera secondo la PC non presuppone che il manager sappia cosa non va; perché il processo possa iniziare in maniera costruttiva, è necessario solo che qualcuno voglia ottenere un miglioramento della situazione e sia disposto a chiedere aiuto. Modelli di consulenza e loro assunti impliciti.

I tre modelli di base possono essere considerati sistemi operativi diversi e sono caratterizzati dai tre diversi ruoli in cui i consulenti possono operare nello svolgimento del loro lavoro; inoltre si basano su assunti molto differenti tra loro. Il motivo principale per cui si debba distinguere tra i 3 modelli è che chi da aiuto deve scegliere secondo il momento quale ruolo assumere o quale tipo di aiuto offrire, ma tutti e 3 i modelli implicano che l’aiuto è la funzione centrale della consulenza 1° principio: cerca sempre di essere d’aiuto. La consulenza consiste nel fornire aiuto. Ovviamente, se non ho intenzione di rendermi utile e d’impegnarmi in questo sforzo è improbabile che riesca a creare una relazione d’aiuto. Se possibile, ogni contatto dovrebbe essere visto in questa luce. Non possiamo sostenere tutti e 3 i ruoli allo stesso tempo, quindi dobbiamo essere consapevoli in ogni momento di quale ruolo vogliamo assumere. Tale consapevolezza si basa sulla nostra capacità di interpretare e sperimentare la realtà del momento e su quella di intervenire su di essa. Per realtà si intende la piena comprensione di quel che accade dentro di me e dentro l’altro protagonista o gli altri protagonisti della situazione, e insieme della natura intrinseca della situazione. 2° principio: rimani sempre aderente alla realtà corrente. Non posso fornire aiuto se non conosco la realtà di quello che succede in me e nel sistema del cliente, pertanto ogni contatto con qualunque persona del sistema cliente dovrebbe fornire sia al cliente sia a me informazioni diagnostiche sullo stato attuale del sistema cliente e sulla relazione esistente fra il cliente e me. Modello 1. Modello acquisizione d’informazioni o modello expertise (vendere e dire): Suppone che il cliente acquisisca dal consulente delle informazioni o un servizio specialistico che non sarebbe in grado di procurarsi da solo. Per esempio un manager potrebbe voler conoscere le idee di una particolare categoria di consumatori o la probabile reazione di un gruppo di collaboratori a una nuova politica del personale; incaricherà allora il consulente di condurre una ricerca per mezzo di interviste o questionari, analizzando poi i dati raccolti. Potrebbe anche volere particolari informazioni sulle imprese concorrenti (per esempio sulla loro strategia di marketing), quindi incaricherà il consulente di studiare altre imprese e di comunicare i dati emersi. In questi casi si suppone che il manager sappia quale tipo di informazioni o servizio cerca e che il consulente sia in grado di fornirli. La probabilità che questo modello funzioni dipende dal fatto che: 1. Il manager abbia o meno diagnosticato correttamente le proprie necessità

2. Egli abbia o meno comunicato correttamente queste necessità al consulente 3. Egli abbia o meno valutato esattamente le capacità del consulente di fornire le info o il servizio 4. Egli abbia o meno riflettuto a fondo sulle conseguenze derivanti dalla raccolta di queste info o dall’attuazione dei cambiamenti che esse implicano o che il consulente potrebbe consigliare 5. Esista o meno una realtà esterna che possa essere obiettivamente studiata per ricavarne conoscenze utili al cliente Sono parecchie le ipotesi che devono avverarsi affinché il modello possa funzionare, ecco perché sono frequenti i casi di insoddisfazione nei confronti dei consulenti. Inoltre in questo modello il cliente perde potere, una volta affidato l’incarico al consulente, non ha più la possibilità di intervenire. Gran parte della resistenza al consulente nelle fasi successive potrebbe derivare da questa dipendenza iniziale e dal senso di frustrazione che, a livello più o meno cosciente, ne può derivare al cliente. Il consulente potrebbe inoltre essere tentato di vendere qualunque cosa sappia, con il pericolo di fuorviare il cliente nella scelta di info o servizi veramente utili. L’alternativa PC. La filosofia PC invece coinvolge da subito sia il cliente sia il consulente in un periodo di diagnosi congiunta, che porterà alla conoscenza della realtà, poiché tale realtà, nella fase iniziale di contatto, non è ancora conosciuta abbastanza né dal consulente né tantomeno dal cliente stesso. Per cui il consulente è disposto ad entrare in un’organizzazione senza una missione ben precisa, grazie all’assunto fondamentale che persone, gruppi e organizzazioni possono sempre migliorare i propri processi. Non esistono strutture o processi organizzativi perfetti, ogni organizzazione ha punti di forza e di debolezza. Lo scopo principale della PC è quello di aiutare il manager a compiere questa diagnosi e sviluppare un valido piano d’azione basato su essa. Implicito è l’assunto, quindi, che cliente e consulente debbano lavorare insieme. Dal punto di vista della PC, il consulente non deve sostituirsi al cliente, ma riconoscere che il problema appartiene solo a lui. Tutto quello che deve fare è fornire al cliente tutto l’aiuto che gli serve per risolvere il problema da solo. L’importanza della diagnosi congiunta deriva dal fatto che il consulente raramente riesce a conoscere un’organizzazione abbastanza a fondo da rendersi veramente conto di quale azione operativa potrebbe risultare migliore. Un altro assunto centrale della filosofia PC recita che la soluzione dei problemi sarà più duratura e i problemi stessi saranno risolti in maniera più efficace se l’organizzazione imparerà a occuparsene da sola. Il consulente ha il compito di insegnare come acquisire capacità diagnostiche e di soluzione dei problemi, ma non dovrebbe cercare di risolverli in prima persona.

Il metodo della PC è necessario all’inizio di qualsiasi tipo di processo d’aiuto, essendo l’unico metodo in grado di rivelare quale sia esattamente la situazione e quale tipo d’aiuto sia necessario. La realtà è che, all’inizio di una relazione, il consulente non si rende conto esattamente di che cosa gli venga richiesto o sia necessario. È da questa situazione d’ignoranza che deve partire per decidere come procedere nelle fasi successive. Il consulente deve saper condurre una ricerca attiva tesa a uscire dalle proprie zone d’ignoranza, essendo tutti noi pieni di preconcetti, meccanismi di difesa, assunti impliciti, stereotipi, ecc. Bisogna affrontare tutto ciò. 3° principio: riconosci la tua ignoranza. L’unica maniera in cui mi sia possibile scoprire la mia realtà intrinseca consiste nell’apprendere a distinguere quello che so da quello che presumo di sapere, e da quello che non so affatto. Non mi è possibile stabilire quale sia la realtà corrente se non entro in contatto con quello che ignoro circa la situazione, e non possiedo l’intelligenza di informarmene. Modello 2. Modello medico paziente. Succede a volte che un manager scopra sintomi di malessere, per esempio un calo delle vendite, senza però saper diagnosticare la causa di questi problemi. Il consulente viene introdotto nell’organizzazione perché scopra che cosa non va e in quale settore, e quindi ci si aspetta che proprio come fa il medico, consigli una terapia o prescriva dei rimedi. Si noti che questo modello accresce ulteriormente il potere del consulente, il quale diagnostica, prescrive e attua la cura. Il cliente non solo rinuncia alla responsabilità di operare lui stesso una diagnosi, aumentando in tal modo la propria dipendenza dal consulente, ma presume anche che un operatore esterno all’organizzazione possa comprendere a pieno la situazione, identificare i problemi e porvi rimedio. L’offerta di diagnosi specialistiche e la prescrizione di misure riparatrici giustificano le alte tariffe imposte dia consulenti. La versione forse più diffusa di questo modello è quella che vede i consulenti accordarsi con gli alti dirigenti dell’organizzazione per la conduzione, presso l’organizzazione cliente, di interviste a tappeto tese a scoprire che cosa stia succedendo. Sui dati emersi sarà basata la diagnosi e in seguito saranno consigliate al cliente misure correttive. Questo modello presenta molte difficoltà nonostante il favore incontrato. Quando i consulenti operano secondo questo modello hanno spesso l’impressione che i clienti siano colpevoli di quale cosa, di non sapere che cosa vogliono, di non riconoscere la verità quando gliela si mette sotto gli occhi, o di opporsi al cambiamento e di non volere in realtà essere aiutati. Per comprendere queste difficoltà e mettere a fuoco il modello PC, è necessario analizzare alcuni assunti impliciti del modello medico-paziente:

1. Una delle difficoltà sta nel presupposto che il consulente sia in grado di reperire da solo precise informazioni diagnostiche. L’unità organizzativa spesso può essere riluttante a rivelare il genere di informazioni necessarie al consulente per compiere una diagnosi corretta. Ad esempio questionari ed interviste possono presentare sistematiche distorsioni , la cui direzione dipenderà dal clima esistente nell’organizzazione: se il clima è di sfiducia allora le persone tenderanno a non fornire informazioni potenzialmente pericolose, per timore di rappresaglie da parte dei capi; se il clima è di grande fiducia, allora le persone considereranno il contatto con il consulente come un’occasione per dire tutto quello che pensano e tenderanno a esagerare qualsiasi problema presente nell’organizzazione. A volte può anche capitare che le persone considerino i test come un’invasione della propria privacy per cui tenderanno a dare risposte distorte. 2. Un’altra difficoltà altrettanto grave è che il cliente potrebbe non essere disposto a prestar fede alla diagnosi o ad accettare le misure correttive proposte dal cliente. Medico e paziente non operano insieme in una realtà comune. Se il consulente si occupa da cima a fondo della parte diagnostica mentre il cliente se ne sta passivamente ad aspettare che gli sia prescritta la cura, è probabile che ne consegua un difetto di comunicazione che farà apparire diagnosi e prescrizione poco significative o sgradite. 3. Una terza difficoltà consiste nel fatto che nei sistemi umani, e in realtà in tutti i sistemi, il processo diagnostico è esso stesso un intervento di cui non è possibile conoscere in anticipo le conseguenze. Il processo diagnostico, cioè sottoporre i dirigenti a un test, condurre indagini attitudinali in determinati settori, intervistare delle persone, ecc. può provocare delle reazioni nei dipendenti, potrebbero iniziare a chiedersi cosa stia succedendo nell’organizzazione che ha chiamato i consulenti, potrebbero credere che il management stia pensando ad una riorganizzazione o a dei licenziamenti, e così via. 4. Una quarta difficoltà è che, anche se diagnosi e misure consigliate sono valide, il paziente potrebbe non avere la capacità di mettere in atto i cambiamenti proposti. Nel contesto organizzativo questo è forse il problema più comune. Spesso al consulente esterno quel che si deve fare risulta chiarissimo, mentre la cultura dell’organizzazione, la sua struttura o le sue politiche impediscono la concretizzazione dei consigli. Il grado di utilità del modello medico-paziente dipende dal fatto che:

1. Il cliente abbia o meno identificato con esattezza la persona, il gruppo o il settore “malato” 2. Il “paziente” sia o meno motivato a rivelare informazioni esatte 3. Il “paziente” accetti o meno la diagnosi del dottore e vi presti fede, accettando la cura prescritta 4. Le conseguenze derivanti dall’applicazione dei processi diagnostici siano o meno perfettamente comprese e accettate 5. Il cliente sia o meno in grado di attuare i cambiamenti consigliati. L’alternativa PC. Il metodo PC è invece focalizzato non soltanto sulla diagnosi congiunta, ma anche sulla trasmissione al cliente della capacità del consulente di fare diagnosi e risolvere problemi. Secondo un assunto chiave della PC, il cliente deve imparare a vedere da solo il problema nel corso della sua partecipazione al processo diagnostico ed essere attivamente impegnato nella generazione di una correzione. La ragione di questo coinvolgimento è che il processo diagnostico costituisce esso stesso un intervento, e che il vero responsabile di ogni attività in questo senso è il cliente, a cui, infatti, l’intervento spetta di diritto. Il ruolo del consulente potrà essere molto importante al momento di precisare la diagnosi e suggerire azioni correttive che non sono venute in mente al cliente, il quale tuttavia dovrà essere incoraggiato a prendere le decisioni definitive circa le azioni diagnostiche e correttive da intraprendere. Si noti inoltre che il consulente può anche non essere un esperto dei problemi specifici che attendono una soluzione. Quando si inizia a operare con il metodo PC, la competenza specifica è meno importante della capacità di coinvolgere il cliente nell’autodiagnosi e di aiutarlo a trovare una cura adatta alla sua particolare situazione e alle necessità che gli sono proprie. Il consulente deve essere esperto e competente nell’attività d’aiuto e nello stabilire con i clienti una relazione che gli consenta di fornire aiuto e dalla quale possa nascere una realtà condivisa in cui sia possibile la comunicazione. La PC si propone prima di tutto la creazione di canali di comunicazione che permettano di compiere diagnosi e risolvere problemi in cooperazione. Il fatto che la modalità della nostra attività diagnostica abbia delle conseguenze per il sistema cliente mette in luce un quarto principio basilare da aggiungere a quelli già elencati. Dobbiamo riconoscere che tutto quello che il consulente fa costituisce un intervento. La pura diagnosi non esiste. 4° principio: qualsiasi azione costituisce un intervento. Come ogni interazione rivela informazioni diagnostiche, allo stesso modo porta conseguenze sia al cliente che a me. Devo quindi sentirmi responsabile di tutto quello che faccio e valutarne le

conseguenze, per assicurarmi che corrispondano al mio proposito di creare una relazione d’aiuto. Modello 3. Modello della consulenza di processo (PC). Di seguito sono elencati gli assunti principali del modello della consulenza di processo. Non sempre gli assunti elencati sono presenti, ma quando questo accade, è essenziale che la situazione in cui si fornisce aiuto sia affrontata con il metodo PC. 1. I clienti spesso ignorano che cosa esattamente non funzioni e hanno bisogno di essere aiutati a diagnosticare i loro veri problemi. Tuttavia, il problema appartiene soltanto a loro. 2. Spesso i clienti non sanno quale genere di aiuto possano ricevere dai consulenti, hanno quindi bisogno di essere aiutati a sapere quale tipo di aiuto devono cercare. I clienti non sono esperti nella teoria e nella pratica di aiuto. 3. La maggior parte dei clienti ha la volontà di migliorare le cose, ma deve essere aiutata a capire che cosa si debba migliorare e in che modo si debba farlo. 4. Molte organizzazioni potrebbero essere più efficienti se manager e collaboratori imparassero a diagnosticare e gestire i loro punti-forza e le loro debolezze. Nessuna forma organizzativa è perfetta. 5. Solo i clienti sanno che cosa in realtà potrà funzionare nella loro organizzazione. I consulenti non possono arrivare a conoscere abbastanza la cultura organizzativa da essere in grado di suggerire nuovi comportamenti operativi di sicura affidabilità. 6. Se i clienti non impareranno a riconoscere da soli i problemi e a trovare autonomamente delle soluzioni, sarà meno facile che riescano ad applicare le misure consigliate e che imparino a risolvere gli stessi problemi se dovessero ripresentarsi. Il metodo PC è in grado di offrire delle alternative, ma la decisione di adottarle deve rimanere prerogativa del cliente. 7. La funzione centrale della PC è quella di trasmettere le competenze necessarie a diagnosticare e intervenire in maniera costruttiva, permettendo in tal modo ai clienti di migliorare la propria capacità di continuare autonomamente. In un certo senso, sia il primo che il secondo modello sono modelli correttivi, mentre quello della PC è allo stesso tempo correttivo e preventivo. Il primo e il secondo modello risolvono il problema, mentre la PC vuole incrementare la capacità d’imparare del sistema cliente per fare in modo che questo possa in futuro risolvere da solo i propri problemi Qualsiasi processo d’aiuto dovrebbe iniziare con il metodo PC, successivamente per decidere se continuare con la PC o adottare un altro metodo bisognerebbe chiarire

alcuni aspetti del genere di problema che ci troviamo davanti. Se sia la definizione del problema che la soluzione sono chiare, allora sarà adeguato adottare il primo modello. Se la definizione del problema è chiara, ma non lo è la soluzione, allora il medico dovrà collaborare con il paziente allo sviluppo del genere di misura correttiva più adatta. Qualora non fossero chiari né problema né soluzione, il consulente dovrà all’inizio basarsi sulla consulenza di processo fino a che sia stato chiarito quale sia la situazione, quale aiuto sia necessario e come possa essere ottenuto. Definizione della consulenza di processo. La consulenza di processo è la creazione di una relazione con il cliente che permette a quest’ultimo di percepire, comprendere e agire sugli avvenimenti che si verificano nel suo ambiente interno ed esterno allo scopo di correggere la situazione secondo la definizione del cliente stesso. Essa è finalizzata soprattutto alla costruzione di una relazione che permetta sia al consulente sia al cliente di operare sulla realtà, elimina le zone d’ignoranza del consulente, riconosce che qualsiasi atto del consulente costituisce sempre un intervento, e tutto questo allo scopo di fornire al cliente informazioni su quello che accade intorno a lui, dentro di lui e in interazione con altri. Sulla base di queste informazioni, la PC aiuta poi il cliente a comprendere che cosa debba fare per migliorare la situazione. La filosofia alla base è che i clienti devono essere aiutati a non rimanere mai passivi, nel senso di conservare l’iniziativa sia nel campo della diagnosi sia in quello della correzione da apportare. I problemi identificati infatti appartengono solo al cliente, solo lui conosce la situazione in tutti i suoi aspetti e sa cosa potrà funzionare. 5° principio: problema e soluzione appartengono al cliente. È mio compito creare una relazione in cui il cliente abbia possibilità di ricevere aiuto. Non è invece mio compit...


Similar Free PDFs