Sintesi Schein La Consulenza di Processo PDF

Title Sintesi Schein La Consulenza di Processo
Author Domenico De Falco
Course Psicologia del lavoro e dell'organizzazione
Institution Università Cattolica del Sacro Cuore
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Summary

Ottimo riassunto de "la consulenza di processo" di schein, utile per fissare bene i concetti, anche sostitutivo completamente del manuale....


Description

La consulenza di processo

SINTESI DEL MATERIALE D’ESAME

“La consulenza di processo” (Edgar H. Schein) Sintesi materiale d’esame, con evidenza delle parole chiave, della terminologia e delle informazioni più significative.

(ottimizzato per la stampa doppio lato, 2 pagine per foglio; per stampare doppio lato 1 pagina per foglio, eliminare la prima pagina bianca)

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INDICE

PARTE PRIMA: DEFINIRE LA CONSULENZA DI PROCESSO...........................................3 1 2 3 4

CHE COS’É LA CONSULENZA DI PROCESSO...................................................................3 PSICODINAMICA DELLA RELAZIONE D’AIUTO...............................................................9 I PROCESSI EQUILIBRATORI DELLA RICERCA ATTIVA E DELL’ASCOLTO.............................11 IL CONCETTO DI CLIENTE......................................................................................13

PARTE SECONDA: RICONOSCERE LE FORZE E I PROCESSI LATENTI..........................16 5 6

PROCESSI INTRAPSICHICI: IL CICLO ORGI...............................................................16 DINAMICHE “FACCIA A FACCIA”: INTERAZIONE E COMUNICAZIONE................................18

PARTE TERZA: INTERVENIRE AL SERVIZIO DELL’APPRENDIMENTO..........................21 7 8 9 10

COMUNICAZIONE E FEEDBACK ATTIVO......................................................................21 INTERVENTI DI FACILITAZIONE DEI PROCESSI: I GRUPPI DI LAVORO..............................22 INTERVENTI DI FACILITAZIONE DEI PROCESSI: LE RELAZIONI INTERPERSONALI................23 INTERVENTI DI FACILITAZIONE DEI PROCESSI: IL DIALOGO..........................................24

PARTE QUARTA: LA CONSULENZA DI PROCESSO IN AZIONE.....................................25 11 LA CONSULENZA IN AZIONE: AVVIO, SETTING, METODI….............................................25 12 LA CONSULENZA DI PROCESSO E LA RELAZIONE D’AIUTO IN PROSPETTIVA.......................26

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1 – Che cos’è la consulenza di processo PARTE PRIMA: Definire la consulenza di processo La consulenza di processo è una filosofia dell’attività d’aiuto a persone, gruppi, organizzazioni e comunità. Gran parte dell’attività d’aiuto dei consulenti in quest’ambito è basata sull’assunto centrale che un sistema umano può essere aiutato solo ad aiutarsi da sé. Il consulente non sa mai abbastanza sulla particolare situazione e cultura di un’organizzazione per poter dare consigli specifici su quello che i membri dovrebbero fare per risolvere i loro problemi. D’altronde, una volta che sia stata posta in essere un’efficace relazione d’aiuto, cliente e consulente sono in grado di diagnosticare insieme la situazione e sviluppare gli opportuni interventi. Il fine ultimo della consulenza di processo è pertanto quello di stabilire un’efficace relazione d’aiuto. Argomento centrale di questo libro è che cosa il consulente debba necessariamente sapere, quali capacità debba sviluppare, quale attitudine mentale gli sia necessaria per costruire e mantenere in essere un’efficace relazione d’aiuto.

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Che cos’è la consulenza di processo

Molti analisti del processo di consulenza sostengono che esso funziona soltanto quando il cliente sa esattamente quello che cerca e quando il consulente è in grado di fornire consigli specialistici strettamente pertinenti al problema. La Consulenza di Processo (PC: Process Consultation) si applica in realtà a situazioni di difficoltà in cui le persone non identificano il problema e non sanno che tipo di aiuto ricercare (sebbene spesso si raccomandi di non chiedere aiuto se non si sa con esattezza ciò di cui si ha bisogno). La Consulenza di Processo non dà per scontato che il cliente abbia la soluzione pronta: è il processo di Consulenza stesso che aiuta a definire gli interventi diagnostici (diagnosi) che consentiranno di impostare la corretta sequenza di passi risolutivi: in tal modo il cliente imparerà per il futuro a risolvere i suoi problemi senza l’aiuto del Consulente. è pertinente anche a situazioni del tipo genitori/figli, amicizie, rapporti di coppia: quando qualcuno è alla ricerca di aiuto. Schein tenta dunque di formulare alcune ipotesi, a prescindere da un contesto specifico, che dovrebbero costituire una “teoria generale dell’aiuto”.

Modelli di consulenza e loro assunti impliciti I tre modelli base qua discussi possono essere considerati sistemi operativi diversi, e sono caratterizzati dai tre diversi ruoli in cui i consulenti possono operare nello svolgimento del loro lavoro. Il motivo principale perché si debba distinguere tra i tre modelli è che chi dà aiuto deve scegliere secondo il momento quale ruolo assumere o quale tipo di aiuto offrire, ma tutti e tre i modelli implicano che l’aiuto è la funzione centrale della consulenza.

1° Modello dell’Acquisizione di informazioni o Modello Expertise: “vendere e dire” Il punto centrale di questo modello è che il cliente ha già identificato il problema, l’intervento e a chi rivolgersi per avere aiuto.

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1 – Che cos’è la consulenza di processo Il manager o un gruppo dell’organizzazione ritiene però che non può o non è capace o non ha la convenienza e fare da solo e pertanto si rivolge ad un Consulente esterno. Esempio + classico per tale modello, assumere un analista programmatore per fargli sviluppare una procedura informatica, oppure quando un manager ha bisogno di conoscere le preferenze di una certa categoria di consumatori. In sostanza il cliente dice al consulente il suo problema, ne richiede una soluzione e paga. Funziona se: 1. La diagnosi del cliente è corretta 2. Il Consulente ha le competenze giuste (la responsabilità della corretta scelta è del cliente!) 3. Il cliente comunica correttamente il problema, che cosa gli interessa acquisire e il Consulente capisce correttamente 4. Il cliente accetta eventuali conseguenze circa l’ottenimento delle informazioni richieste (se emerge un problema, lo affronta? Se non lo farà la situazione potrà aggravarsi ulteriormente perché ora gli impegnati sanno che il problema è a conoscenza del management!). L’ironia di questo modello è che l’Esperienza e la competenza vengono attribuite al Consulente, mentre il ruolo più critico è proprio quello del cliente. Quando la situazione è troppo complessa, si ricorre agli altri modelli. 2° Modello Medico-Paziente È una variante elaborata del precedente modello. Al Consulente spetta anche il compito della diagnosi e di indicare le informazioni e le competenze necessarie a risolverlo. Il cliente avverte difficoltà/disfunzioni organizzative, ma non sa di cosa si tratta né come porvi rimedio. Queste sono le stesse condizioni che possono dare avvio anche ad una Consulenza di processo quindi sarà il Consulente a decidere se intervenire come medico o come Consulenza di Processo (è fondamentale conoscere le conseguenze associate alla scelta del modello). Funziona se: 1. Diagnosi considerata utile di per sé: in molte situazioni non è possibile separare la diagnosi dall’intervento. Anche se il mandato è solo quello della diagnosi, la presenza e le domande del Consulente suscitano nelle persone interrogativi e sensazioni. 2. Il cliente interpreta bene i sintomi e localizza l’area malata correttamente. Un’interpretazione erronea può essere quella di additare certe manifestazioni come sintomi di disagio, quando invece si tratta di condizioni transitorie (indici finanziari, livelli di produttività, livelli di morale o di turnover, ecc.) Esiste un rischio di diagnosi scorretta: cliente ansioso di avere aiuto e Consulente di vendere il servizio (è facile cadere nel circolo vizioso di una diagnosi scorretta); soprattutto quando si interviene su sistemi umani, meno se sistemi economici o finanziari 3. La parte malata collabora fornendo informazioni corrette per la diagnosi, senza occultare o esagerare i sintomi, cosa che invece è facile accada con climi di diffidenza e insicurezza, per paura di ritorsioni (in ogni caso vi sono spesso fonti di distorsione sistematica). Se invece il clima è di fiducia e trasparenza le persone vedono il contatto con il Consulente come un’opportunità. È importante che prima di incontrare le persone per fare domande, il Consulente osservi attentamente un reparto e che venga invitato dal reparto, altrimenti dovrà essere il committente ad assumersi la responsabilità della decisione.

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1 – Che cos’è la consulenza di processo 4. Il cliente accetta di dipendere dal Consulente, ne comprende correttamente la diagnosi e ne segue le prescrizioni; in questo, il Consulente deve essere chiaro e trasparente. È un problema quando il cliente comprende la diagnosi corretta ma non può attenersi a quanto suggerito, per es. a causa di una non corrispondenza con precedenti impegni presi dal cliente nei confronti dell’organizzazione. Questi sono aspetti nascosti dell’organizzazione, cioè sono radicati nella cultura, e possono non essere stati svelati al Consulente. 5. Il cliente guarisce stabilmente al termine della Consulenza: vale a dire che il problema che si risolve attraverso l’utilizzo di tale modello non dovrà ripresentarsi, altrimenti si dovrà ricominciare da capo dato che l’organizzazione (il cliente) non ha imparato le modalità per far fronte al problema, ma ha soltanto “preso la medicina prescritta dal dottore”. Il Consulente deve essere cauto ad applicare questo modello e scoraggiare il cliente che insiste in tal senso quando può generare effetti indesiderati, altrimenti il cliente non imparerà a curarsi da solo. 3° Modello – Consulenza di Processo Qui l’importanza cade sul modo in cui il Consulente imposta la relazione col cliente e non su cosa fa il cliente. L’avvio del processo avviene come nei casi precedenti, tuttavia il Consulente non è tenuto a rispondere alla lettera alla richiesta esplicita del cliente. Premessa centrale: il cliente possiede il problema dall’inizio alla fine della Consulenza e il Consulente lo aiuta senza mai appropriarsene. Questo fondamentale concetto Va chiarito bene dato che solitamente il cliente tende a passare la patata bollente. Il Cliente deve partecipare attivamente a diagnosi e terapia: solo lui conosce cultura e organizzazione e che cosa si può fare o meno Il Consulente non deve essere esperto nel campo, ma delle relazioni umane; suggerisce alternative e tecniche di intervento e incoraggia (anche energicamente) il cliente ad assumersi la responsabilità della decisione finale e delle azioni operative. Se servono contributi specialistici, aiuterà il cliente a procurarseli. Altra premessa: diagnosi e intervento sono inscindibili. Porre domande e sollevare questioni sono già interventi, come la presenza del Consulente (messaggio all’organizzazione). È Tale premessa che rende le tattiche della Consulenza di Processo diverse da quelle degli altri 2 modelli e che aiuta a chiarire come Consulenza e management convergano. Anche il Manager di successo (che agisce secondo Consulenza di Processo) sa che porre domande è già un intervento spesso più potente di dare ordini e che non serve essere un esperto per avere influenza. La Consulenza di Processo Funziona se: 1. Il cliente non conosce l’origine della sofferenza o non sa come curarla 2. Il cliente non conosce i servizi consulenziali sul mercato 3. Il cliente ha bisogno di aiuto per identificare la natura del problema, ma trae anche beneficio partecipando alle fasi di diagnosi: la maggior parte dei problemi che causano malesseri organizzativi diffusi non dipendono in genere da questioni tecniche, ma riguardano una o più persone (cultura aziendale, interazione di gruppo, valori e soprattutto comportano in certa misura sensazioni, sentimenti e giudizi del cliente stesso); tutte queste informazioni il Consulente le può identificare solo con la collaborazione del cliente.

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1 – Che cos’è la consulenza di processo 4. Il cliente è disposto a collaborare col Consulente e le sue motivazioni e i suoi obiettivi sono eticamente accettabili dal Consulente: uno dei compiti più importanti del Consulente durante i primi contatti col cliente, è di accertare la presenza di possibili finalità occulte e valutare se gli sia possibile accettarle o no. Il consulente deve anche essere pronto a roncare o ridefinire i rapporti se le condizioni dell’intervento non sono conformi (es. caso di personali battaglie politiche che si celano dietro alla richiesta di una Consulenza). 5. È il cliente che può stabilire le forme di intervento adatte al contesto aziendale (può accadere che il Consulente non abbia la possibilità di conoscere i vincoli insiti nel problema); i consigli, anche se richiesti, in genere non funzionano perché le difese psicologiche del cliente gli impediscono di accettarli, molti clienti preferiscono trovare da sé le risposte, significa ammettere l’esistenza di un problema), ma la resistenza del cliente diviene così un’altra fonte di informazioni da interpretare. 6. Il cliente è in grado di imparare a diagnosticare e a risolvere i problemi della sua organizzazione: non esiste una soluzione che possa andar bene per sempre, quindi il cliente deve imparare a diagnosticare e trovare nuove soluzioni continuamente. Se il cliente non è capace di imparare ad imparare la Consulenza di Processo non è adatta. La mancanza di tale capacità di apprendimento costituisce un fatto grave per un’organizzazione, perché non permette la sua sopravvivenza a lungo (per questo i Manager devono essere Consulenti di Processo). Uno degli scopi della Consulenza di Processo è quello di fare in modo che il cliente impari ad imparare. Il modello delle competenze e quello del medico risolvono il problema, mentre la Consulenza di Processo vuole incrementare la capacità di imparare del sistema cliente per fare in modo che questo possa in futuro risolvere da solo i propri problemi.

Il processo d’aiuto dovrebbe sempre cominciare con il metodo della Consulenza di Processo, in quanto, finché non abbiamo indagato e rimosso la nostra ignoranza, non possiamo sapere realmente se sarebbe più comodo adottare il modello delle competenze o quello del medico. Successivamente, se sia la definizione del problema sia la natura della soluzione sono chiare, sarà appropriato il modello dell’acquisizione di competenze. Se la definizione del problema è chiara, ma non lo è la soluzione, allora il medico dovrà collaborare con il paziente allo sviluppo del genere di misura correttiva più adatta basandosi sulle proprie conoscenze specialistiche. Qualora non fossero chiari né il problema né la soluzione, il consulente dovrà all’inizio basarsi sulla consulenza di processo fino a che sia stato chiarito quale sia la situazione, quale aiuto possa essere necessario e come possa essere ottenuto.

Definizione della consulenza di processo

La consulenza di processo è la creazione di una relazione con il cliente che permette a quest’ultimo di percepire, comprendere e agire sugli avvenimenti che si verificano nel suo ambiente interno ed esterno, allo scopo di correggere la situazione secondo la definizione del cliente stesso.

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1 – Che cos’è la consulenza di processo La consulenza di processo è finalizzata alla costruzione di una relazione tra cliente e consulente, che permetta loro di operare sulla realtà, eliminando le zone di ignoranza del consulente, allo scopo di fornire al cliente informazioni su quello che accade intorno a lui, dentro di lui e in interazione con altri. Sulla base di queste informazione, il cliente viene poi aiutato a comprendere cosa debba fare per migliorare la situazione. I clienti devono essere aiutati a non rimanere mai passivi e di conservare l’iniziativa sia nel campo della diagnosi sia in quello della correzione da apportare. I problemi infatti appartengono solo a loro, solo essi conoscono la situazione in tutti i suoi aspetti e sanno che cosa potrà funzionare per loro nella cultura in cui vivono.

Sommario, implicazioni e conclusioni

La maggior utilità della consulenza di processo si ha all’inizio dell’incontro, essendo il metodo dotato di maggiori possibilità di chiarire che cosa il cliente voglia realmente e quale comportamento cooperativo possa risultare più efficace. La capacità che si chiede al consulente è quindi quella di avere in ogni momento l’esatta percezione della realtà corrente e di scegliere il procedimento cooperativo più appropriato alla situazione immediata e adatto alla costruzione della relazione d’aiuto. Nessuno di questi modelli sarà utilizzato per tutta la durata del processo. Il consulente potrà al contrario uniformarsi a uno solo di essi secondo il momento.

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1 – Che cos’è la consulenza di processo

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2 – Psicodinamica della relazione d’aiuto 2

Psicodinamica della relazione d’aiuto

L’obiettivo fondamentale della ricerca di consigli o assistenza professionale è quello di poter ricevere aiuto per un problema del quale si è avuta percezione. Spesso però i consigli non aiutano, in quanto suscitano nella persona che ha chiesto aiuto fenomeni di resistenza, o attivano meccanismi di difesa. Se vogliamo comprendere questa resistenza, dobbiamo esaminare a fondo la psicodinamica della relazione d’aiuto e passare in rassegna le condizioni da rispettare perché l’azione del dispensatore d’aiuto possa ottenere successo. L’asimmetria iniziale nella reazione d’aiuto Molte culture attribuiscono la massima importanza al saper contare sulle proprie forze, e valutano positivamente la capacità di risolvere da soli i propri problemi. Il fatto di chiedere aiuto, rendendosi in tal modo temporaneamente dipendente da altri, è in pratica una confessione di debolezza o fallimento, in particolare nelle società competitive come quelle occidentali. All’inizio di una relazione d’aiuto, le due parti si trovano in una situazione sbilanciata, o asimmetrica, con la persona che fornisce l’aiuto “più in alto” e quella che lo chiede “più in basso”. A causa di questa posizione di inferiorità, è possibile prevedere che il cliente potrà avere, più o meno coscientemente, una o più reazioni tese a riequilibrare, o “livellare” la relazione. Possibili reazioni e sentimenti del cliente 1. Risentimento e atteggiamento difensivo (contro-dipendenza), che il cliente manifesta cogliendo tutte le occasioni per denigrare il consulente, sminuendo il valore dei suoi consigli. 2. Sollievo per avere finalmente condiviso problemi e frustrazione con qualcuno che potrebbe essere in grado di dare aiuto. 3. Dipendenza e subordinazione che il cliente manifesta, cercando soprattutto rassicurazione, consigli e appoggio. 4. Transfert, basato su esperienze passate, di percezioni e sentimenti sul consulente attuale. Reazioni e sentimenti del dispensatore d’aiuto Le reazioni del cliente possono facilmente indurre il consulente ad accettare la situazione di superiorità e la posizione di potere offerti dal cliente, traverso azioni di diverso genere: 1. Utilizzare il potere e l’autorità per dispensare consigli prematuri, e con ciò aggravare ulteriormente la posizione d’inferiorità del cliente. 2. Accettare la dipendenza e reagire in maniera esagerata , in genere dispensando appoggio e rassicurazione anche nei casi in cui questo sia inopportuno. 3. Reagire ai meccanismi di difesa aumentando la pressione. 4. Rifiutare di dare corso alla relazione, perché la rinuncia alla posizione di potere richiede che il consulente possa essere influenzato ad apportare cambiamenti alla propria percezione della situazione. 5. Contro-transfert, vale a dire proiezione sul cliente da parte del consulente di sentimenti e percezioni che ricreano relazioni del passato.

Negoziare ruolo e posizione impliciti Nel corso degli incontri iniziali il cliente potrebbe a volte nascondere qualche elemento anche a se stesso, e molti di questi elementi non verranno alla luce fino a che la relazione non avrà trovato un terreno di fiducia reciproca. Pertanto è necessario che il consulente crei prima di tutto una relazione capace di far ritrovare

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2 – Psicodinamica della relazione d’aiuto al cliente l’autostima, riequilibri la rispettiva posizione di consulente e cliente e riduca i...


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