Senca lettera sul suicidio PDF

Title Senca lettera sul suicidio
Author Carla Caporali
Course Lettere e Filosofia
Institution Università Cattolica del Sacro Cuore
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Summary

riassunto degli argomenti più importanti del libro lettera al suicidio di seneca...


Description

SENECA LETTERA SUL SUICIDIO (70) nell'antichità da Platone in poi, la lettera sarà il genere letterario più diffuso per la comunicazione filosofica, assieme al dialogo. Le Epistulae ad Lucilium sono concepite da Seneca come mezzo per l'educazione filosofica e morale. Ci sarà poi un vero e proprio insegnamento delle dottrine stoiche. Le lettere dalla 1 alla 88 hanno carattere più parenetico, mentre le lettere 89-124 hanno carattere più dottrinale. In coerenza con le due linee di sviluppo anche i registri stilistici variano: nella prima sezione lo stile è più teso e aggressivo, sollecita la conversione del destinatario agendo sulla ragione. Seneca risulta come colui che esorta e che dallo scambio epistolare si sente sllecitato a mettersi in discussione. Seneca non risulta mai icona inattingibile di perfezione: in De Vita Beata vi è l'autodifesa del filosofo milionario: polemica di Seneca contro le accuse rivoltegli a chi lo accusava di ipocrita incoerenza. Seneca ribatte che in sé la ricchezza non è ne un bene ne un male: possederla non è vietato al filosofo, purché sia acquisita senza ingiustizia, ben impiegata e non se ne sia schiavi. MODELLI Le epistole senecane sono la prima raccolta di lettere revisionate dall'autore. La lettera privata può comunicare informazioni e considerazioni ma anche trasmettere congratulazioni, giustificare, raccomandare e consolare. Il genere epistolare si presenta anche come comunicazione surreale: si può scrivere a qualcuno senza sapere dove sia: come accade poeticamente negli Heroides di Ovidio. Ci sono anche lettere poetiche e scherzose, come quelle di Catullo. Cicerone con le sue oltre 770 lettere determina un netto sviluppo del genere; essendo quelle ciceroniane lettere reali rivelano ogni sfumatura del carattere dell'Arpinate. Quello ciceroniano fu modello degli epistolari successivi. Seneca conosceva le lettere ad Attico, infatti, nella consolatio ad Elvia afferma di essersi ispirato a vari carmi consolatori. Nelle epistulae morales ad Lucilium Seneca usa l'epistolario ciceroniano come fonte storica, per documentare lo scandalo di Clodio intrufolatosi a spiare i misteri della dea Bona. La differenza tra le lettere a Lucilio e quelle ad Attico si rivela in un passo senecano: Lucilio chiede a Seneca di scrivergli con più frequenza, lo scrittore gli risponde che ciò non gli impedirà di trattare questioni etiche d'interesse comune; non fa come Cicerone che aveva chiesto ad Attico di scrivergli tutto ciò che gli passava per la testa. Seneca afferma la superiorità delle sue lettere rispetto a quelle ciceroniane. È facile oggi cogliere la differenza tra le due raccolte: quella ciceroniana molto spesso è meramente informativa, mentre quella di Seneca è composta da veri saggi etici, prevale l'interesse filosofico. L'altro modello senecano è Epicuro, nelle raccolte dei due autori si trova una stessa atmosfera: vi è una familiarità verso i discepoli-amici; essa è il contubernium, ovvero la comunità di vita che contribuisce alla formazione filosofica e umana degli allievi. Ma rispetto ad Epicuro Seneca si propone come cercatore della verità, passa alle grandi questioni del pensiero filosofico e stoico: dedica alla lettera 58 la suddivisione platonica degli esseri in sei categorie, la 65 sul concetto di causa, la 70 sul suicidio. In Lucilio si devono identificare ogni uomo desideroso di progredire moralmente, per trovare pace nella filosofia, medicina dell'anima. Nelle lettere Cicerone racconta se stesso, i sui atti e progetti; Seneca invece descrive il suo rapporto con se stesso, le sue reazioni a situazioni e fatti, come punto di partenza per la riflessione filosofica. Seneca dice: “se la cosa migliore è vivere insieme, la lettera è il miglior strumento per ovviare la lontananza fisica”. EPISTOLA 70 e IL SUICIDIO A ROMA Schopenhauer dice: “la morte è il genio ispiratore della filosofia”. La morte è l'argomento capitare dell'opera filosofica di Seneca: la morte come esperienza quotidiana, o morte come annullamento dell'individualità. Più spesso fa capolino l'idea di una possibile sopravvivenza dell'anima, poiché la morte è un ritorno alle origini. La morte è un'esperienza del corpo non dell'anima; vivendo la morte come esperienza quotidiana ci incamminiamo verso di essa senza timore, anche nel caso in cui saremo noi a procurarcela. La lettera 70 della raccolta tratta del suicidio; Seneca si trova a Pompei, dove (come nell'incipit della

lettera 49) nel vedere i luoghi d'origine del suo amico si risvegliano in lui dei ricordi molto vividi. La riflessione sui ricordi si sposta sulla velocità del tempo. Seneca trae spunto per parlare del suicidio: la morte non deve terrorizzare, poiché essa è un porto, e se la navigazione terrena è breve non bisogna dolersi, ma ricordare che alcuni sono stati macerati dall'attesa. Non conta la durata ma la qualità della vita, muore prematuramente chi, pur in tarda età, capisce di aver sprecato la sua vita. Oggi il suicidio è un problema etico-morale, visto come atto estremo di una persona disperatamente infelice. La dottrina della libertà stoica si basava sulla liceità di liberarsi della vita in qualsiasi momento. Il sapiens stoico vivrà tutto il tempo in cui deve vivere non tutto il tempo in cui può vivere: appena egli perde la libertà di autodeterminarsi deve considerare attentamente se sia arrivato il momento di porre fine alla vita. A volte la scelta di togliersi la vita può essere una scelta poco consona: caso di Druso di Libone, cui la zia consigliò di non suicidarsi ma di attendere il carnefice. Per chi vuole morire la via è aperta e una volta deciso, si scelga il modo più consono alla propria indole: “sopratutto nella morte dobbiamo assecondare il nostro animo”. Ma se mancano le occasioni si opti per la prima disponibile: a chi non manca il coraggio non difetterà l'ingegno. Tale fu il caso del gladiatore che prima di scendere in arena si tolse la vita col bastone cui era fissata la spugna per pulire la latrina. Qualcuno obbietterà che si sia ucciso in modo poco elegante e poco pulito; ma Seneca si chiede se ci sia qualcosa di più stupido che dell'essere inutilmente schizzinosi al momento della morte:“una morte sudicissima è da preferire ad una schiavitù pulitissima”. L' exemplum apre la parte finale della lettera dove lo scrittore elenca vari suicidi eroici, tutti vie di fuga da una vita insostenibile. Nella prima parte della lettera Seneca ammoniva a riflettere sulla qualità della vita, non sulla durata, se poi si verificano circostanze che ne sconvolgono la serenità il saggio semplicemente si “chiama fuori”. IL SUICIDIO NEL MONDO ROMANO Seneca afferma che le morte si inscrive nell'ordine cosmico, e accettarla significa disinnescare l'influenza negativa. Se la società contemporanea ha rimosso la morte, il mondo antico con essa conviveva assai più naturalmente. Se in Platone il problema della morte è metafisico in Seneca è etico. Bisogna saper “imparare a morire” ovvero sfuggire dal vivere male. Spesso il suicidio si attuava tramite l'apertura delle vene, ci si colpiva alla gola, al petto, al ventre o al fianco; a volte ci si lasciava cadere sull'arma. Esistevano poi suicidi indiretti, come per esempio la pratica della devotio: si intende una pratica religiosa dove, un comandante dell'esercito si immolava ai dei Mani e offriva la sua vita in cambio della salvezza e vittoria dei suoi uomini. Negli alti ranghi dell'esercito troviamo notizie di personaggi che affidano il compito di dar loro la morte a un amico. Il suicidio per dissanguamento fu frequente, Tacito riferisce che si diffuse presto nelle vittime del potere imperiale (Petronio). Esistevano anche suicidi per strangolamento. L'impiccagione era la forma tradizionale di suicidio tra i ranghi inferiori, disprezzata dalle classi elevate. Trasversale ad ogni classe sociale era il suicidio con il veleno; raro era il suicidio per precipitazione: i romani erano impressionati dalla mutilazione fisica e dall'idea di arrivare negli inferi con il viso martoriato. Il suicidio per inedia (malnutrizione) era considerato il più crudele; si ricorda anche nella novella della matrona di Efeso che essa, dopo essere rimasta quattro giorni a digiuno, viene sedotta da un miles che la distoglie col cibo dai propositi suicidi. ALTRE ANALISI per Seneca è vergognoso il comportamento di quel rodinese che gettato in gabbia disse che: “finchè un uomo vive deve nutrire ogni speranza”. Alla pari, il comportamento di Mecenate è indegno al suo stato di uomo libero. Persino Orazio in un carme lo esorta a “lasciarlo stare con i suoi lamenti”. Scarsa fermezza la si vede anche in Messalina che non ebbe il coraggio di togliersi la vita come disse Tacito. Tacito documenta anche altri suicidi: quello di Seneca e di Petronio. La morte di Seneca è modellata sull'exemplum socratico. Ricevuto l'ordine di togliersi la vita, Seneca, dice ai suoi amici di guardare alla sua vita, perché grazie ad essa acquisteranno fama di virtù. Mentre Socrate quale alla domanda: “quali ultime volontà vuoi che i tuoi amici compiano per te?”

risponde: “vivere seguendo la filosofia sviluppata insieme”. Siccome durante il suicidio di Seneca il sangue sgorgava lentamente egli chiese di farsi somministrare della cicuta per velocizzare il tutto, ma essa non funzionò. Seneca fu così messo in una vasca d'acqua calda per fare accelerare l'afflusso di sangue. Con solennità asperse poi gli schiavi dicendo loro che era un'offerta a Giove Liberatore. Diversa è la morte di Petronio, che visse con gusto paradossale. Il poeta si fece incidere le vene e poi,di nuovo, se le fece riaprire a suo piacimento, mentre discorreva con gli amici, senza mai toccare argomenti seri o solenni. TESTI 1. dopo tanto tempo sono tornato a visitare la tua Pompei. E sono ritornato al cospetto della mia giovinezza; e tutto ciò che feci nella mia giovinezza mi sembra di poterlo fare ancora, come se lo avessi fatto poco tempo prima. 2. Siamo andati avanti nella navigazione della vita , Lucilio, come in un mare, come diceva il nostro Virgilio: “sia terra che città indietreggiano”; così, in questa corsa rapidissima del tempo, abbiamo visto prima svanire l'infanzia e poi la prima giovinezza, poi tutto quel periodo intermedio tra l'essere giovane e vecchio, entrambi posti ai confini della vita, poi i migliori anni della vecchiaia stessa; e per ultimo ha iniziato a mostrarsi la comune fine del genere umano. 3. Noi riteniamo, follemente, che essa sia uno scoglio: è un porto, talvolta da desiderare, mai da rifiutare, se ci si entra nei primi anni non ci si deve lamentare, ne più di quanto uno che i è entrato navigando velocemente. Meglio di un altro, della quale il vento tranquillo se ne prende gioco, che lo sfibra dandogli il tedio di una persistente bonaccia; un altro invece viene trascinato subito a destinazione da un vento costante e velocissimo. 4. Devi ritenere che lo stesso accade a noi: per alcuni la vita li ha condotti velocissimamente dove dovevano arrivare, anche se avessero voluto temporeggiare; altri li ha fatti imputridire (macerare) e disseccare (cuocere). E questa vita, come tu sai, non dev'essere sempre conservata; non è un bene il vivere, ma lo è il vivere bene. Perciò il saggio vivrà quanto deve, non quanto può. 5. Vedrà dov'è destinato a vivere, con chi, in che modo, e per fare che cosa. Pensa sempre alla qualità della vita, non alla quantità. Se si presentano molte circostanze moleste e che sconvolgono la sua serenità, si chiama fuori. E questo non lo fa soltanto nell'estrema necessità, ma non appena la sorte inizia a sembrargli sospetta, in modo diligente si guarda attorno per capire se è il momento di farla finita. Se egli ritiene che non ha abbia per lui alcuna importanza, se porre (suicidio) o ricevere (farsi uccidere) la fine, se farlo lentamente o velocemente: non la teme come un grande danno; nessuno subisce una gran perdita dalla caduta di alcune gocce (sgocciolamento) di sangue. 6. Non è importante morire più veloce o più lentamente, ma lo è morire bene o male; il morire bene è lo sfuggire dal rischio di vivere male. Dunque io giudico molle la frase di quel noto abitante di Rodi, che essendo stato gettato in una gabbia da un tiranno, ed essendo stato nutrito come un animale, a quello che gli ha detto di astenersi dal cibo gli ha detto: “ un uomo finché vive deve nutrire ogni speranza”. 7. Ma anche se questo fosse vero, la vita non dev'essere comprata ad ogni prezzo. 8. Qualche volta tuttavia, quando a lui sarà inflitta una pena di morte certa, non presterà la sua mano per il suo supplizio: lo farebbe se ciò lo accomodasse (moralmente). È stoltezza morire per timore della morte: chi ti uccide sta arrivando, attendi. Perché lo vuoi prevenire? Perché vuoi prenderti la responsabilità dell'altrui crudeltà? Forse sei invidioso del tuo carnefice, o lo vuoi risparmiare? 9. Socrate avrebbe potuto porre fine alla sua vita astenendosi dal cibo, e morire d'inedia piuttosto che con il veleno; tuttavia, ha trascorso trenta giorni in carcere esigendo la morte, non con questo animo, come se tutto potesse ancora accadere, come se un tempo così lungo

avesse lasciato aperte molte speranze, ma per offrirsi alle leggi, per concedere agli amici di concedere della presenza di Socrate sino all'ultimo. Cosa c'è di più stolto del disprezzare la morte e temere il veleno? 10. Scribonia, donna autorevole (seria, solenne), era zia di Druso Libone, un giovane tanto stolto (sciocco) quanto nobile, che nutriva speranze superiori a quelle che in quell'epoca chiunque avrebbe potuto nutrire, o a quelle che lui stesso avrebbe potuto sperare in alcuna epoca. Essendo stato riportato indietro dal senato, soffrente, in lettiga, con un seguito sicuramente non numeroso (infatti tutti i congiunti avevano abbandonato quello che ormai non era un accusato ma un funerale), comincì a deliberare se infliggersi da solo la morte o aspettarla. Al quale Scribonia disse: “che piacere trovi nel togliere il compito altrui?”. Non lo persuase: rivolse le mani a se stesso, e non senza motivo. Infatti se avesse vissuto pr altri tre o quattro giorni il destinato a morire avrebbe vissuto per arbitrio del suo nemico, facendo l'interesse altrui. 20. Poco fa, in uno spettacolo (durante dei giochi) uno dei germani, che si preparava per lo spettacolo mattutino, si ritirò per bisogni corporali- in nessun altro posto era concesso stare da soli; là, vi era un bastone di legno predisposto, con una spugna attaccata, per pulire le sozzure della latrina, se la cacciò tutta in gola e morì per soffocamento. Questo è stato farsi gioco della morte. Certo, in modo poco pulito e poco decoroso:ma che cosa c'è di più stolto che morire schizzinosi? 21. Oh, che uomo forte, oh che uomo degno colui ai quali è concesso decidere il suo destino! Con che forza d'animo avrebbe potuto usare la spada, con che animosità si sarebbe potuto gettare nella profondità marine o giù da un picco. Destituito di ogni risorsa, è riuscito a procurarsi sia la morte che un'arma, perché devi sapere che a morire non c'è niente che ti possa ostacolare se non la volontà. Ognuno pesni come crede circa l'azione contro se stesso, finché sia chiaro, che una morte sudicissima è da preferirsi ad una schiavitù pulitissima. 22. Siccome ho iniziato a fare esempi sudici (volgari), continuerò; infatti ciascuno pretenderà di più da se stesso, se ha visto che la morte può essere disprezzata anche dagli uomini più disprezzati. I Catoni e gli Scipioni, della quale siamo soliti sentire parlare con ammirazione e sono posti al di là di ogni imitazione: ora dimostrerò che ci sono persone che possiedono queste virtù anche in uno spettacolo di gladiatori con le belve, quanto tra i condottieri della guerra civile. 23. Poco tempo fa, un tale portato dalle guardie allo spettacolo della mattina, dondolava sotto l'effetto del sonno, e abbassò la testa a tal punto da infilarla tra i raggi delle ruote, e rimase così tanto a lungo fermo sul suo sedile da rompersi il collo con il movimento della ruota, con lo stesso veicolo che lo conduceva alla pena si liberò. 25. Vedi anche come gli ultimi tra gli schiavi, quando il dolore li ha pungolati, vengono stimolati nella loro intelligenza e riescono ad ingannare anche la più abile delle guardie? Quello è un uomo grande, non solo si è imposto la morte ma l'ha saputa trovare. Ti ho promesso più esempi tratti dal medesimo ambiente degli spettacoli gladiatori....


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