Lettera a una professoressa PDF

Title Lettera a una professoressa
Author Valentina Colle
Course Pedagogia della marginalita' e devianza minorile
Institution Università degli Studi di Trieste
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LETTERA A UNA PROFESSORESSA SCUOLA DI BARBIANA (40 anni dopo)

Come la stampa accolse nel 1967 “Lettera a una professoressa” Fatto scatenante – la bocciatura e l’umiliazione di due ragazzi (Enrico e il Biondo) della scuola di Barbiana quando essi si presentarono a Firenze per sostenere gli esami delle scuole magistrali. Questo fu l’input che spinse Don Milani e i suoi ragazzi a scrivere critiche e consigli per la Scuola Italiana. AUTORI – 8 ragazzi della scuola di Barbiana, con l’aiuto di altri compagni che avevano subito le loro stesse ingiustizie. Tutto era guidato dalla mano di Don Milani. Questi ragazzi sono dei poveri coscienti della loro dignità e consapevoli di appartenere ad un mondo ingiusto che va riscattato lottando contro i mali che lo affliggono, in primis l’ingiustizia. Vi sono giovani però che non reagiscono ma subiscono, non per colpa loro ma per colpa di un sistema che li aliena. I giovani della Scuola di Barbiana vanno dai 12 ai 25 anni, ma sanno già ciò che vogliono; sanno del loro valore, del loro scopo del mondo, vogliono sviluppare a pieno la loro personalità. Loro non sono degli alienati, reagiscono, convinti che le cose debbano cambiare e cambieranno se si è disposti a lavorare insieme. Da quello che scrivono, pare che il loro risentimento poco per volta li porti all’anarchia, all’odio – Giuseppe Cavalli sostiene invece che essi ci amano e ci rispettano più di quanto noi amiamo loro, perché dimostrano una grande fede nell’uomo e nella sua ripresa nonostante i mali. L’amore viene dimostrato sputando in faccia la verità. Il punto di vista della lettera è molto chiaro: occorre che siano tenute presenti le reali condizioni degli alunni, se si vuole che la loro educazione, di cui peraltro l’insegnamento scolastico ne è solo una parte, venga organizzata organicamente ed in profondità. Ordinariamente, un insegnante crede di essere dalla parte della giustizia quando afferma di dare 4 a un compito che vale 4, non facendo distinzione se esso sia stato fatto da un figlio di persone ricche o contadine  per gli autori della lettera, non c’è nulla che sia ingiusto quanto far le parti uguali fra disuguali. Il criterio auspicabile sarebbe quello – dato che si tratta di scuola dell’obbligo – non di bocciare o promuovere con discriminazioni che non risolvono le differenze ma, ne fanno solo motivazioni per una continua discriminazione. Il criterio, piuttosto, sarebbe quello di dare a tutti i ragazzi un massimo di cultura di fronte alla vita, indipendentemente dai risultati illusori ed effimeri degli esami tradizionali. Ma … è giusto il titolo “lettera a una professoressa”? È giusto l’indirizzo? I giovani autori se la prendono molto acerbamente con gli insegnanti ed i professori ma non mancano di certo critiche rivolte alla politica  abbiamo bisogno di una scuola pubblica, statale, unica, che sia democratica ed effettivamente uguale per tutti. Una scuola che non bocci ma promuova, che non perda i ragazzi ma che li porti tutti alle soglie della maturità con un bagaglio di saperi e conoscenze che ne faccia dei veri cittadini. LA DENUNCIA Don Milani espone l’idea di quella che secondo lui dovrebbe essere la scuola (a Barbiana: 12 ore al giorno*365 giorni). Il problema della scuola sono i ragazzi che perde. Vi sono professori che invece di rimuovere ostacoli, promuovono le differenze (ripetizioni a pagamento). La mattina sono pagati per fare scuola in modo eguale per tutti e la sera prendono denaro dai più ricchi per fare scuola diversa ai signorini. Affinché il sogno dell’uguaglianza non resti solo un sogno, vengono proposte 3 riforme: 1) Non bocciare 2) Dare la scuola a tempo pieno a coloro che sembrano cretini 3) Dare uno scopo agli svogliati

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1) NON BOCCIARE IMP - Quasi mai una bocciatura è una sconfitta per l’alunno ma spesso lo è per gli insegnanti! Le bocciature colpiscono i più poveri, li allontanano inesorabilmente dagli studi, sono una delle cause che danno all’istruzione un aspetto piramidale: molti in prima elementare, pochi alle medie e meno ancora (e ricchissimi) all’università. I figli dei benestanti vengono indicati con il termine i “Pierini”. “La scuola non dovrebbe bocciare nessuno”  alla scuola tocca capire ed aiutare il ragazzo in difficoltà, non scaricarlo. Alla scuola tocca promuovere l’interesse nell’alunno e non accettare il suo disinteresse come un dato ineliminabile da far pesare negativamente sulla sorte dell’alunno stesso. Ciò riguarda naturalmente il contenuto dei programmi, il modo come vengono svolti, la scelta delle materie. Questo riguarda però in primo luogo un fattore classista  i ragazzi di Don Milani e lo stesso prete, sulla base di una paziente ricerca statistica e sociologica, dimostrano quanto l’origine di classe pesi sulle obiettive discriminazioni in atto nella scuola italiana; dimostrano come – con una scuola concepita nella maniera attuale – siano fatalmente i “poveri” a restare indietro. Son questi ragazzi a provenire da ambienti familiari che non li aiutano nello studio, da case nelle quali non esistono libri, possibilità economiche per viaggiare e conoscere e così via. Il figlio dei contadini “respinto” dalla scuola torna immediatamente nei campi, non arrivando a completare l’obbligo scolastico o, completandolo in un numero superiore di anni, quando le leggi lo considerano già un possibile lavoratore e le esigenze vitali della famiglia lo costringono a diventare in effetti un lavoratore. Il figlio di buona famigli invece, a parte i vantaggi iniziali (inizia la scuola che sa già leggere), ha tutto il tempo per un eventuale recupero … magari prendendo lezioni a caro prezzo dagli stessi insegnanti che lo hanno bocciato. Ma è possibile promuovere tutti? Sì, risponde Don Milani, con una scuola a tempo pieno, seria, impegnata, con classi differenziali e di aggiornamento, volte a di insegnare davvero prima di giudicare 2) IL TEMPO PIENO Al posto di far ripetere l’anno ai figli dei contadini e dare ripetizioni ai figli dei borghesi, la soluzione più giusta sarebbe il doposcuola. Il ragazzo ripete, ma non perde l’anno, non spende e gli insegnanti gli sono accanto uniti nella colpa e nella pena  Ciò però comporterebbe un aggravio di lavoro mentre tutti cercano di ridurre gli orari. Nelle scuole medie, a maggior ragione, ci dovrebbe essere il doposcuola dato che i ragazzi si trovano nella situazione di stare nei bar, per strada o nei campi a lavorare ma, invece ciò è assente. 3) DARE UNO SCOPO Dare un fine ultimo alla scuola che dovrebbe essere quello di aiutare il prossimo e gli altri.

CRITICHE ED OBIEZIONI (contro Don Milani)   





Bisogna rispettare la cultura e la scienza nelle scuole senza sminuirla o sottovalutarla. Don Milani accusato di avere uno stile marxista e pornografico. Si dichiarano autori 8 ragazzi della scuola di Barbiana ma subito ringraziano il loro Priore (Don Milani) il quale, è stato, in parole povere, l’autore, l’ispiratore e il realizzatore di quello che vorrebbe essere un documento di accusa e di condanna. Da un uomo che ha giurato fedeltà al Vangelo ci si aspettano parole amorevoli, di concordia, di solidarietà, di conciliazione e di fraterna sopportazione – vi è invece nel libro un filo conduttore continuo: quello dell’odio di classe, della necessità di vendetta contro i ricchi e addirittura l’incitamento alla loro fisica e totale oppressione. Vengono usate frasi e parole che sono ben lontane dal vangelo di Cristo e dai suoi insegnamenti. Alcune espressioni si avvicinano di più alla violenza, alla non amorevolezza, alla non fratellanza ecc.: “Le maestre sono come i preti e le puttane, si innamorano alla svelta delle creature e se poi le perdono non hanno tempo di piangere; “il padre di Gianni dovrebbe riprendere il mitra per punire gli 2



insegnanti che danno ripetizioni “… vengono poi definiti gli educatori, le maestre, i professori con termini dispregiativi come stupidi, cattivi, miseri. In “lettera a una professoressa” domina una visione unilaterale – non si può fare di un’erba un fascio, non si può fare un quadro solamente nero e negativo di tutto il sistema educativo…sicuramente avrà anche degli aspetti positivi.

La stampa 25 anni dopo I riflettori su “lettera a una professoressa”, Don Lorenzo e la sua scuola si riaccesero in occasione del 25° anniversario della sua morte. Nel giugno del 1992 il dibattito si sviluppò dopo la pubblicazione su La repubblica di un articolo di Sebastiano Vassalli che riproponeva in modo polemico l’esperienza di Barbiana. Sebastiano Vassalli – critica a Don Milani 30 Giugno 1992 - Lorenzo Milani visto come uomo-simbolo della contestazione degli anni ’60. Vassalli ritiene che la Scuola di Barbiana altro non era che una sorta di pre-scuola o doposcuola parrocchiale, dove un prete di buona volontà aiutava come poteva i figli dei contadini a conseguire un titolo di studio, e se non ci riusciva, incolpava i ricchi…Questa esperienza didattica era simile a molte altre, con l’unica differenza che era arricchita di un ingrediente rivoluzionario: l’odio di classe. Il furore antiideologico di Vassalli fu la molla che lo spinse a scrivere contro Don Milani – egli ritiene che la selezione di classe sia un’invenzione ideologica. “Lettera a una professoressa” era destinata a diventare il manifesto dell’antiscuola, negli anni delle lotte delle masse e della contestazione scolastica (ricorda i sessantottini). Don Milani ci appare oggi come fu davvero: un maestro manesco e autoritario che non credeva in nessuna pedagogia (all’infuori della propria), e che trattava con insufficienza e sarcasmo chi si azzardava parlargli di libero sviluppo della personalità degli alunni. In Lettera a una professoressa” si delinea molto chiaramente una concezione collettivistica dell’educazione vista come indottrinamento. Berardi ci mostra poi come vi fosse un uso consapevolmente distorto e sapientemente mistificato delle statistiche sulla cosiddetta “mortalità scolastica”, cioè sugli abbandoni della scuola dell’obbligo e superiore, negli anni 1950/1965  tutti sanno che in quegli anni si erano verificate le più grandi trasformazioni economiche e sociali d’Italia (dopo la II guerra mondiale si riprende uno sviluppo economico notevole), con migrazioni bibliche da sud a nord e dalle campagne alle città  attribuire perciò, come fa Don Milani, tutti i mali agli insegnanti del tempo e alla scuola, fu una mascalzonata: migliaia di insegnanti serie preparati, che avevano l’unico torto di voler continuare a fare il loro lavoro nonostante la paga misera, le attrezzature insufficienti, gli edifici scolastici cadenti, i doppi e tripli turni nelle città … si trovarono da un giorno all’altro braccati dall’ira delle folle. Erano loro la causa di tutti i mali e di tutti i dissensi della scuola italiana! Il programma che avrebbe voluto introdurre Don Milani nella scuola italiana, al posto dei programmi classici e tradizionali era tutto incentrato sull’utilitarismo e sul presentismo (servivano lezioni pratiche e utili alla vita di tutti i giorni, come saper leggere il giornale e un contratto di lavoro). Le uniche statistiche che egli contribuì ad incrementare furono quelle dei passaggi dalla scuola pubblica di Stato a quella privata anche se, gli scopi della sua lettera erano totalmente diversi! Da uomo intelligente e ben informato qual era, Don Milani sapeva che non erano gli insegnanti i soli e veri responsabili dei mali della scuola italiana; sapeva che al di sopra degli insegnanti c’era il potere legislativo e burocratico (all’epoca democristiani). Sapeva che gli insegnanti non sono responsabili dei programmi e degli orari della scuola in cui insegnano e che il loro massimo potere, quello di bocciare, non era individuale ma collegiale. Don Milani sapeva tutte queste cose ma volle ugualmente dividere il mondo come allora si usava: tutti i buoni da una parte e tutti i cattivi dall’altra, scegliendo come bersaglio comodo gli insegnanti. Se don Milani avesse alzato il tiro contro l’istituzione scolastica, era consapevole che l’arcivescovo lo avrebbe costretto a fare le valigie da Barbiana. Sempre Vassalli accusa a Don Milani di essere un mascalzone, un maestro improvvisato, manesco e autoritario. La famosa Lettera sarebbe stata scritta sotto l’impulso della rabbia per i ragazzi bocciati; 3

l’avrebbe scritta di pugno Don Milani, i ragazzi non erano che una scusa. La notizia che nella scuola di Barbiana si usavano le mani e la frusta per punire i ribelli che volevano botte, è stato lo stesso Don Milani a darle il quale, del resto, non aveva mai negato di avere una concezione autoritaria ed autocratica nel ruolo dell’insegnante. Sostenitori di Don Milani Dopo gli articoli di Vassalli, sono pervenute numerose testimonianze a favore di Don Milani. Il male antico della scuola italiana di base rimane ancora oggi un problema – la scuola italiana, a 25 anni dalla lettera, continua a non riuscire a portare alla licenza media l’8% dei ragazzi, il 16% nel sud e il 30-35% nei grandi centri urbani, dove regna il nesso terribile tra mancata scolarità e precoce manovalanza criminale. La Lettera parlò a molti ma i molti non hanno saputo (ancora) cambiare la scuola di base. È vero che per generazioni di insegnanti e alunni, la Lettera era diventata un testo fondamentale – diceva il vero rapporto fra scuola e società: dice tra l’altro, l’importanza della cultura, diceva il ruolo vero delle autorità (non era quello autoritario) e quindi insegnava la vera democrazia. Dava dignità ai figli dei poveri e dei contadini di Barbiana ed affermava la loro cittadinanza in un paese che li negava. Mostrava con i fatti quanto contino le testimonianze, anche piccole, contro la prepotenza dei soldi e dei mass media. Per molti suoi sostenitori, Don Milani era una figura presente, ricca di spiritualità e con un gran desiderio di libertà. Viveva con i suoi ragazzi in una piccola comunità senza farsi portatore di visioni universali o planetarie. Era obbediente alla Chiesa ed era chiuso ad amicizie intellettuali…diffidava dagli uomini di cultura. Dalle pagine del suo libro, emanava un insegnamento: la ricchezza degli uomini sta nella loro capacità di comunicare, nei metodi di utilizzare il linguaggio. Detta allora, e con quella potenza, era una novità sconvolgente. Non credeva nella scuola italiana, ne criticava i programmi, ne sottolineava la natura di classe. Diffidava della pedagogia ufficiale e del modo con cui veniva applicata nella partica fra i banchi. Derideva gli esami e il modo in cui essi venivano condotti. È forse da chiedersi se in queste sue critiche non vi sia un eccesso di incomprensione e insensibilità verso il lavoro degli insegnanti, svolto spesso in condizioni difficili. Chi difende Don Milani ritiene che l’articolo di vassalli sia disonesto  Milani educava alla cultura dell’obiezione, del saper dire no alla rassegnazione, al conformismo, all’abitudine di fare quello che fanno tutti; educava alla cultura e alla responsabilità (ognuno è responsabile di tutto). Egli non insegnava come si deve fare scuola, non ha mai preteso di avere e di proporre un metodo pedagogico; insegnava, cercava di insegnare come si deve essere e come si deve vivere, per poi fare scuola. Milani nella sua vita si batté solo per offrire maggiori aiuti a che disponeva di minori strumenti … dare una voce a chi non ce l’ha. “Lettera a una professoressa” è fondamentalmente e ossessivamente scritta per valorizzare la scuola dell’obbligo e resta un esame di coscienza per la classe dirigente ed educante; come difesa dei contadini ed analfabeti, è una critica feroce ad una società che sfrutta in ogni senso l’ignorante; è la denuncia di quel cieco moralismo accomodante che sa dire, di fronte alla bocciatura di un ragazzo di 1 media: >. Lo scopo della sua vita fu proprio quello di amare quei pochi bambini analfabeti, figli di contadini che la scuola respingeva – egli con la scuola li fece uomini capaci di difendersi e di difendere i poveri. La scuola come coscienza critica, come responsabilità, come strumento di sviluppo, come occasione di crescita è un itinerario comune ma, poi, Don Milani inizia a crederci troppo: vuole il celibato agli insegnanti, la loro casa aperta ai ragazzi, un amore incondizionato, la conversione del cuore. Milani chiede e pretende dalla scuola un’esemplarità, un amore totale un impegno personale propri del monaco  è questo che lascia perplessi … ma allora definirò Milani come un utopista o un sognatore, non di certo come un mascalzone (Vassalli). Milani riconosceva alla scuola il potere e le responsabilità di NON DOVER PERDERE NESSUNO: essa deve attrezzarsi di un fine che apra i ragazzi alla responsabilità, alla solidarietà e li obblighi all’essere interessati all’oggi (leggere il giornale ad esempio). Chiede alla scuola dell’obbligo di PREPARARE I RAGAZZI ALLA VITA. Milioni di ragazzi aspettano di essere fatti uguali agli altri; è compito dell’insegnante stare accanto a questi ragazzi, incoraggiandoli e prendendo le parti di chi regge meno – fare ciò significa dare una scuola a tempo pieno o un doposcuola a chi non ce la fa. 4

Don Milani: simbolo del ’68? Vassalli – assolutamente sì! Don Milani fu un simbolo del ’68 e di quelle contestazioni. Lo fu indipendentemente dalla sua volontà e da quella di chi lo conosceva, e lo fu come autore di un solo libro, quella Lettera a una professoressa che venne poi usato negli anni successivi come manifesto dell’antiscuola. Don Milani cominciò a buttare via i libri di matematica e di pedagogia della scuola magistrale, e i suoi seguaci sessantottini buttarono poi via tutto il resto. Nacque il “donmilanismo”: che forse era lontano dalle intenzioni di Don Milani, ma che fa parte integrante del suo mito e non può essere trattato separatamente dalla sua figura.

Oppositori - Don Milani fu accusato da molti di essere un anticipatore dei temi e dei comportamenti protestatari del ’68 ma, in realtà, ciò è dovuto solo da una coincidenza, da un fattore cronologico: il libro “lettera a una professoressa” porta la data del 1967, fatalità un anno prima della ventata contestazione studentesca del ’68. Anni ’68  rivoluzioni di massa per rivendicare il miglioramento della società, sulla base del principio di uguaglianza., l’anti corruzione della politica in nome della partecipazione di tutti alle decisioni, l’eliminazione di ogni forma di oppressione sociale e di discriminazione sociale. La figura di Don Milani e il suo libro sono stati un po' strumentalizzati in questi anni, sia dalla gerarchia ecclesiastica che da quei giovani che vedevano in lui un campione d’eversione (uno che tende a sconvolgere l’assetto sociale e statale). Venne accusato di aver fatto vacillare la scuola e il sistema scolastico quando essa era già scombinata dal bisogno di un’istruzione di massa. OGGI – ogni insegnante è consapevole che il suo lavoro si scontra quotidianamente con la disuguaglianza sociale e con la diversificazione delle opportunità di crescita e di sviluppo che essa induce. La crisi planetaria della scuola è concentrata tutta attorno a 3 grandi nodi:   

Un’istruzione di alto profilo per tutti i cittadini La parità delle opportunità culturali in presenza della disuguaglianza sociale L’esigenza extrascolastica d selezione

È nella difficoltà del provare a sciogliere questi nodi che gli insegnanti sperimentano la loro impotenza e la scuola la sua incapacità. Il nocciolo di verità della Lettera di Don Milani, 25 anni fa, fu proprio chiarire che la scuola non stava affrontando, combattendo e non appianava gli ostacoli della disuguaglianza sociale. Considerava la disuguaglianza sociale come un puro difetto di cromosomi, come la disuguaglianza naturale. E agiva selettivamente di conseguenza. Oggi, più di allora, viste le numerose classi multirazzialimulticulturali, è necessario non smarrire la verità di Don Milani.

Le testimonianze Tra le testimonianze pubblicate, oltre quella di Pucci vi sono quelle di altri 3 studenti all’ uscita della Lettera e poi impegnati nell’insegnamento: Mario Capanna rivendica l’apporto positivo della Lettera alla stagione del ’68, a “quegli anni formidabili”, nei quali “ci aiutò a studiare come pazzi (contrariamente alla vulgata secondo cui avremmo coltivato l’ignoranza), certo in modo nuovo e anche divertendoci. Il Ses...


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