Contro natura , una lettera al Papa, Remotti PDF

Title Contro natura , una lettera al Papa, Remotti
Author Elena Arlati
Course Antropologia
Institution Università degli Studi di Milano
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Summary

“CONTRO NATURA”, UNA LETTERA AL PAPA - F. REMOTTICap. 1: UN’ASPIRAZIONE CONDIVISAIn questo primo capitolo, Remotti illustra la contrapposizione secolare tra relativismo e universalismo. Il sostenitore del relativismo è Pascal, che a sua volta si era rifatto a Montaigne, mentre ad occupare la posizio...


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“CONTRO NATURA”, UNA LETTERA AL PAPA - F. REMOTTI

Cap. 1: UN’ASPIRAZIONE CONDIVISA In questo primo capitolo, Remotti illustra la contrapposizione secolare tra relativismo e universalismo. Il sostenitore del relativismo è Pascal, che a sua volta si era rifatto a Montaigne, mentre ad occupare la posizione universalista c’è Descartes, con la quale si identifica papa Benedetto XVI. Secondo gli universalisti, la natura umana esiste per certo ed è qualcosa di stabile e permanente, come la roccia che sta sotto a ciò che affiora in superficie. Secondo Pascal, invece, la natura umana non coincide con la stabilità, ma è qualcosa di mutevole, fluttuante, come lo sono i costumi o la cultura stessa; per questo motivo si comprende meglio perché gli uomini non siano in grado di pervenire a una verità certa. La prospettiva di Pascal, infatti, fa assurgere l’incertezza a una condizione “naturale” dell’uomo: per natura gli esseri umani brancolano nel buio, perché non dispongono di una natura umana stabile, certa, permanente. Descartes spiega invece il brancolamento nel buio come causato da ignoranza, da superstizione, dal prevalere dei costumi sull’uso della ragione. Per questo motivo, opera una netta separazione dell’umanità: da una parte gli illuminati, coloro che affermano di aver finalmente scoperto la natura umana, dall’altra coloro che ancora brancolano nel buio e che inevitabilmente hanno bisogno dell’aiuto dei primi. Gli illuminati possono vantare la loro superiorità a cospetto dell’ignoranza dei non illuminati. Pascal riconosce invece nell’incertezza e nel brancolamento la condizione generale dell’umanità. Non vi è la verità di alcuni e l’ignoranza degli altri, la superiorità dei primi e l’inferiorità dei secondi. Questa prospettiva, quindi risulta più vantaggiosa perché: a) Incoraggia un atteggiamento di comunicazione, di comprensione e rispetto reciproco; b) Non opera una separazione dell’umanità secondo uno schema gerarchico; c) Dimostra il fallimento del’universalismo e, al tempo stesso, la sua profonda aspirazione: se Descartes non raggiunge la roccia (perché non c’è) e brucia dal desiderio di trovarla, significa che il desiderio di stabilità è così forte proprio perché non disponiamo di un assetto stabile; d) Ci fa capire quanto sia importante studiare nelle culture umane non la “certezza”, la “stabilità”, ma i processi di “stabilizzazione”. Cap. 2: IL POTERE DEI COSTUMI Pascal non si limita a sostituire la natura con i costumi ma giunge ad intrecciare e quasi a identificare i due termini: se da un lato la natura viene concepita come fatta di costumi, dall’altro i costumi danno luogo ad una sorta di naturalizzazione. Questo tema della naturalizzazione dei costumi è stato già affrontato precedentemente da Montaigne. Montaigne 1

asserisce che gli individui appartenenti a un gruppo o una comunità vivono in una realtà formata da idee e pratiche (=costumi) socialmente diffuse e condivise, e che costituiscono il patrimonio culturale preesistente alla nascita stessa dei singoli individui. Queste idee, pratiche e costumi vengono “incorporate”, cioè generano dei comportamenti abitudinari, al punto da condizionare e modellare la nostra visione del mondo e, di conseguenza, assumono un significato di naturalizzazione: è naturale per noi che le cose siano organizzate e strutturate in questo modo. Gli esseri umani, infatti, non sono semplici automi ma attribuiscono un significato a tutto ciò che li circonda, per cui le idee singole e comuni finiscono per assumere un significato “generale” e “naturale”. La generalizzazione è un’operazione concettuale e Montaigne la abbina all’idea di natura e alla ragione : nel momento in cui le idee particolari vengono trasformate in idee generali vengono regolate da leggi che risiedono nella natura e che quindi vengono considerate razionali. Inoltre, secondo Montaigne, le nostre idee acquisite, incorporate e generalizzate esercitano una sorta di potere nei confronti degli individui che appartengono al nostro stesso gruppo e anche nei confronti degli altri, ma in ogni caso genera sofferenza: i primi si sentono avvolti e costretti dai propri costumi, i secondi subiscono un atteggiamento di inevitabile assimilazione oppure di separazione e rigetto. Ciò avviene perché i criteri della naturalità e della razionalità conferiscono una forza invincibile alla cultura tanto da esigere che le altre culture cessino di essere tali perché “ciò che è fuori dai cardini della nostra consuetudine lo si giudica fuori dai cardini della ragione”. Tuttavia, esiste un modo per sottrarsi al potere dei costumi: la liberazione avviene nel momento in cui gli individui decidono di prendere le distanze dai propri costumi e assumono un atteggiamento critico e riflessivo con cui si aprono a possibilità alternative. Cap. 3: CHI SI ACCONTENTA DEL RELATIVO… Tuttavia, esistono forme di stabilizzazione che non trasformano i singoli costumi in un modello universale ma rimangono nella dimensione relativa perché fondate sul criterio del riconoscimento delle differenze. Antropologi ed etnologi hanno dimostrato che ciò avviene nel totemismo (gruppi che utilizzano la natura per organizzare in maniera più stabile la loro società). Per esempio, il clan dell’orso, il clan dell’aquila, il clan del coccodrillo, sono tutte società che hanno organizzato la loro istituzione avvalendosi di una figura totemica (animali, fenomeni naturali, ecc..) con la quale costruiscono un legame sul piano mitologico, se considerano di discendere dall’animale antenato, sul piano rituale, se rivolgono forme di culto alla specie animale in questione, o sul piano alimentare se vietano di cibarsi del loro animale, e così via. Nei suoi studi sul totemismo, Lévi-Strauss ha fatto notare come sia importante non tanto lo studio del rapporto che intercorre tra il gruppo sociale x e la sua specie animale, ma il rapporto tra i vari gruppi sociali che compongono una società in relazione ai diversi fenomeni 2

naturali che essi hanno prescelto. I vari gruppi sociali, infatti, hanno dimostrato che è possibile adottare diversi criteri nella scelta del proprio totem, hanno scelto consapevolmente quale specie animale sia “buona da pensare” e non “buona da mangiare”, con cui identificarsi e stabilizzare il proprio comportamento. La natura è un potente fattore di stabilizzazione tant’è che, come ha fatto notare Lévi-Strauss, gli uomini sviluppano un sentimento di affinità fisica e psicologica con il loro totem: il clan del coccodrillo e del serpente sono bellicosi, il clan della razza è più pacifico. Nel momento in cui un gruppo sociale individua la specie animale con cui identificarsi si ottengono diversi effetti: 1. Stabilizzazione tra i membri interni del gruppo ottenuta costruendo un modello di comportamento riconoscibile e individuabile; 2. Costruzione di rapporti di cooperazione e complementarietà con i membri degli altri gruppi; 3. Generalizzazione delle proprie usanze e costumi che non si estende a tutta l’umanità e alla natura ma è relativa perché dimostra che esiste una pluralità di modi diversi di intendere e realizzare l’umanità. Questi casi di stabilizzazione, quindi, non sono altro che “soste” di un flusso continuo, ovvero processi che introducono dosi massicce di stabilità ma che al contempo riconoscono l’insopprimibile fluidità del reale.

Cap. 4: …E CHI VUOLE L’ASSOLUTO Ma ci sono anche società, come la nostra ad esempio, che preferiscono ricorrere a stabilizzazioni assolute. Queste intendono la natura come una categoria totale, un mondo unitario, anche se non presenta un concetto univoco e uniforme perché è soltanto un espediente, un mezzo culturalmente inventato per provvedere a una stabilizzazione definitiva. Gli espedienti di stabilizzazione definitiva più comuni sono tre: natura, ragione e rivelazione divina, che non necessariamente costituiscono delle categorie a sé stanti ma possono combinarsi tra loro. La nostra civiltà, che da tempo ha voluto denominarsi “moderna” è proprio una di quelle che pretende di approdare a qualcosa di più stabile e sicuro, probabilmente perché intende contrapporsi alle società “tradizionali” che invece ‘si perdono nei loro costumi strani e bizzarri, nelle loro tradizioni oscure e inconcludenti dovute a ignoranza e superstizione’. La scienza, come specchio della natura, è stata per la modernità il più importante e decisivo fattore di stabilizzazione, sia sul piano intellettuale, sia sul piano sociale. Francis Bacon e Galileo Galilei ritenevano che soltanto attraverso la scienza, e quindi la natura, era possibile

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liberarsi dai costumi, dalle “opinioni fallaci” degli uomini che Bacon chiama idola, per conquistare un terreno solido e stabile. Secondo Descartes, invece, è la ragione lo strumento che ci permette di sfrondare i costumi e di raggiungere la natura in quanto la ragione non si trova nei costumi ma nell’io, una realtà naturale in cui natura e ragione si congiungono formando giudizi puri e solidi. Nel corso dei secoli della modernità, però, l’idea di natura cambia radicalmente: non è più considerata una categoria fissa, stabile e ordinata ma appare sempre più come una realtà in continuo divenire e imprevedibile, per cui il processo di stabilizzazione definitiva si sposta verso l’io. Kant afferma che l’io, che il filosofo chiama “ragion pura” si trova all’interno di ogni uomo, è qualcosa di indipendente dai costumi, dalla società, dalla natura esterna. È una sorta di natura interna duratura e perenne. Nell’ottocento Hegel stravolge completamente i miti della stabilità moderna: diffida dai processi di stabilizzazione di tipo naturalistico e rivolge la sua attenzione non più sull’io ma sulla società, passa dalla natura alla storia. Spostandosi dalla natura alla storia la stabilizzazione acquisisce certamente una nuova forma. Si tratta di un sapere che pretende di conoscere la storia dell’umanità intera e il cui fine ultimo è quello di raggiungere lo “spirito del mondo” che Hegel fa coincidere con il Dio del Cristianesimo. Questo enorme progetto di stabilizzazione ha un’impostazione rigorosamente monistica; monismo significa un’unica via, un unico Dio, un’unica verità e implica la riduzione drastica delle molteplicità. Secondo Hegel l’Europa, in cui vivono gli uomini moderni, rappresenta “il punto centrale della storia”, il continente che detiene la verità rivelata da Dio attraverso il Cristianesimo; a questa si contrappone l’Africa, una terra senza storia e senza umanità, dove regna l’immobilismo più totale. Gli uomini africani sono al grado zero de loro sviluppo, sono dominati dalle passioni, si trovano ancora a uno stadio animale, uno stato di natura. Attraverso quest’immagine cruda ed eccessiva che Hegel conferisce all’Africa intende da un lato risaltare il progresso dell’Europa, dall’altro l’inaffidabilità del concetto di natura, che tende ad offuscare e imprigionare l’uomo come se si trovasse in un edificio che sta per crollare. La stabilizzazione del movimento storico è perfettamente condivisa da Marx, il quale ha formulato a proposito della colonizzazione europea un «giudizio storico positivo», in quanto, pur con la violenza e la distruzione, ha costretto le altre società a uscire dai loro stagnanti angoli di mondo e a immettersi nel fiume della «storia universale», di cui noi, moderni ed europei rappresentiamo il punto più avanzato. Cap. 5: IN NOME DELLA NATURALITA’ Nei programmi di stabilizzazione assoluta, natura, Dio e ragione sono nozioni che si combinano tra loro con notevole facilità. Nella modernità, i grandi stabilizzatori che hanno puntato sul carattere permanente della natura, sulla certezza dell’ordine naturale, hanno trovato in Dio il garante finale di questo ordine: descrivere la natura significava 4

inevitabilmente parlare anche di Dio. Se la natura e la storia, nella modernità, hanno bisogno di Dio per imporsi come sistemi unitari, anche Dio ha bisogno della natura (e della storia) affinché il suo messaggio possa propagarsi in maniera universale. L’ebraismo rappresenta una forma di stabilizzazione relativa perché Dio si rivela esclusivamente al popolo ebraico, che diventa quindi il popolo eletto e detentore della verità, differenziandosi da tutti gli altri. In questo caso la nozione di Dio si slega dall’ordine naturale e abbraccia la cultura: il popolo ebraico è stato scelto da Dio mentre tutti gli altri assistono attoniti alla rivelazione. Viceversa, Cristianesimo e Islam si contraddistinguono dall’Ebraismo per la loro netta vocazione al proselitismo. Esse non si rivolgono soltanto ad un popolo e rappresentano forme di stabilizzazione assoluta in quanto la rivelazione divina permette il raggiungimento della natura umana. Come è noto, per quanto riguarda il Cristianesimo, è stato soprattutto Paolo di Tarso a elaborare una strategia di universalizzazione, nella quale non si trattava più di attendere che Dio si rivelasse anche agli altri, ma di andare personalmente ad ammaestrare le genti, senza limiti culturali ed etnici. Lo stesso avviene nell’Islam, anche se questa religione presenta un rapporto di vera e propria compenetrazione con la natura e la condiziona in maniera molto più pervasiva. L’Islam, infatti, riesce a naturalizzare anche quegli aspetti che al Cristianesimo risultavano invece legati alle tradizioni storiche di un popolo particolare. È il caso della circoncisione, che il Cristianesimo con Paolo ritiene un’usanza senza dubbio importantissima per l’Ebraismo ma se ne libera perché non la ritiene necessaria per una prospettiva universalistica; l’Islam, invece, la ingloba e la trasforma da elemento culturale a elemento naturale. Rispetto all’Ebraismo, quindi, Cristianesimo e Islam procedono all’universalizzazione e successivamente alla naturalizzazione, anche se in modi e tempi diversi. Tuttavia, si presenta anche il problema di come intendere e trattare i costumi (nostri e altrui), in quanto sono inevitabilmente un elemento di disturbo e inciampo sulla strada della naturalizzazione e della universalizzazione, ma come abbiamo già detto, l’Islam procede con l’assorbimento dei costumi mentre il Cristianesimo con la loro rinuncia e liberazione (probabilmente per evidenziare la discontinuità con l’Ebraismo, considerata una religione vecchia e incompleta). Un altro punto importante da considerare è l’analogia tra il Cristianesimo e la cultura della modernità, accomunati (chi per motivi di rivelazione religiosa, chi per motivi di rivelazione scientifica della natura) da un atteggiamento di polemica contro i costumi e di distruzione delle singole tradizioni, come è avvenuto con il colonialismo. Se inizialmente si sono trovati in contrasto, ciò è avvenuto perché la cultura della modernità ha avuto spesso la pretesa di offrire, con la scienza, un terreno più solido di quello che poteva offrire la religione. Ma adesso, forti delle loro stabilizzazioni universali (religiosa l’una, laica l’altra) si sono trovati alleati nei procedere alla distruzione delle altre culture. Anche l’antropologia ha partecipato a questa operazione di presentazione della società occidentale come di una società “naturale”. Morgan, considerato l’iniziatore degli studi di 5

parentela, riteneva che il nostro modo di organizzare i parenti, dividendoli tra parenti lineari (per esempio, padre, figlio, nipote) e collaterali (fratello del padre, sorella della madre), costituisse un “sistema naturale” e che quindi tutte le altre culturale che non seguivano questo tipo di organizzazione (come gli Irochesi da lui studiati) fossero confusionarie, in contraddizione con la natura. Ciò che Remotti intende illustrare è proprio una convergenza che si è venuta a creare tra modernità e Cristianesimo sul concetto di naturalità della famiglia, in particolare facendo perno sulla famiglia nucleare e monogamica. Cap. 6: AVRAI UN’UNICA FAMIGLIA Secondo la visione occidentale, la famiglia è un dato ‘naturale’, qualcosa che ci è stato dato o abbiamo appreso dalla natura. Naturalizzare la nostra famiglia è una modalità di stabilizzazione del nostro vivere sociale. Per noi Italiani, che la famiglia sia una realtà “naturale” è addirittura scritto nella Costituzione. L’articolo 29, infatti, recita così: “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare”. Questa affermazione naturalizza l’istituzione della famiglia, che in realtà è un’istituzione estremamente variabile. La forma che essa assume nella nostra società è l’effetto di un processo di naturalizzazione che tutte le società tendono a mettere in atto per conferire stabilità ai propri costumi. L’idea della famiglia come società naturale è stata ripresa e fatta valere con particolare vigore soprattutto dalla Chiesa Cattolica, che considera la famiglia come l’unione definitiva tra un uomo e una donna. La Chiesa infatti ritiene che si debba ripristinare il senso della naturalità della famiglia eliminando una volta per tutte . Non sono ben accetti anche i matrimoni plurimi in successione temporale, tanto è forte l’idea di unicità e indissolubilità. In effetti, o la morte di un coniuge dissolve per sempre un matrimonio, e ciò significa che l’amore è più forte dell’amore, oppure un vedovo o una vedova che ha deciso di risposarsi si ritrova poi nell’aldilà con le rispettive mogli e i rispettivi mariti, creando una situazione simile alla poligamia. Ma Remotti non può fare a meno di notare (e far notare a noi) la presenza di un episodio contraddittorio e inquietante che riguarda proprio la concezione che Gesù stesso ha della famiglia. Nel Vangelo secondo Matteo, vediamo infatti Gesù parlare delle condizioni di scioglimento dell’unione matrimoniale, che avviene in vista di adulterio o incesto commesso dalla donna e i discepoli gli domandano se a questo punto conviene sposarsi e Gesù, facendosi misterioso, devia in qualche modo il discorso, quasi a dire che c’è ben altro oltre i problemi della 6

famiglia normale. C’è infatti una via che porta al di là delle questioni familiari e dei problemi di convivenza domestica, ed è il farsi eunuchi da sé (rinunciare al sesso e alla procreazione, dunque anche al matrimonio con una donna) . Dunque c’è proprio una gerarchia di importanza di argomenti: da un lato il livello delle questioni familiari (sposarsi, non sposarsi, ripudiare la moglie), dall’altro c’è un livello superiore, formato da gente che abbandona i propri nuclei familiari per raggiungere il . Gesù, infatti, opera una vera e propria svalutazione della famiglia, e chi intende seguirlo e raggiungere la via di salvezza deve imitarlo in questa scelta di abbandono e odio. I discorsi e gli atteggiamenti di Gesù, così come almeno sono stati esposti nei Vangeli di Matteo e di Luca, ci aiutano non a confermare l’idea della “naturalità” della famiglia ma a mettere in luce l’esigenza di uscire dalla cerchia ristretta della famiglia e di contrastare con violenza il suo potere costrittivo. Nel Vangelo secondo Matteo, Gesù dice “nemici dell’uomo saranno quelli di casa sua” perché l’uomo deve abbandonare la famiglia per seguire il Signore. Dopodiché Remotti mette in atto un lavoro di decostruzione dei temi fondamentali che riguardano il concetto di naturalità della famiglia monogamica: a) La naturalizzazione di un tipo di famiglia implica che questo venga riconosciuto e privilegiato a scapito di altri, che vengono ignorati o degradati; b) L’unita coniugale, sancita con il matrimonio, diventa indissolubile non per volontà o per impegno degli individui, ma per volontà divina; c) L’unicità del vincolo coniugale è tale sia dal punto di vista sincronico (condanna alla poligamia) sia dal punto di vista diacronico (condanna della successione di più matrimoni da parte dello stesso individuo); d) Per il Cristianesimo la scelta ideale è quella del celibato, mentre il matrimonio rappresenta una seconda scelta, fatta da coloro che non riescono ad abbandonarsi completamente a Gesù. Cap. 7: TANTE FAMIGLIE, MA UNA SOPRATTUTTO Gli antropologi hanno da sempre dovuto fare i conti con la molteplicità: essi hanno constatato che non esiste un unico tipo di famiglia ma che ci sono tanti modi diversi di organizzare i rapporti familiari. L. H. Morgan aveva dato inizio agli studi sulla parentela riconoscendo che non vi era un ...


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