Riassunto Esperienza e Natura PDF

Title Riassunto Esperienza e Natura
Course Psicologia Generale
Institution Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli
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riassunto ottimo per ripetere,conciso con concetti più importanti...


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ESPERIENZA E NATURA CAP I E II Possiamo considerare quale punto di partenza ideale per esplorare il pensiero di Dewey alcune considerazioni sull’esistenza umana esposte in Esperienza e Natura (1925), una delle sue opere filosofiche più mature. Il carattere più evidente della condizione umana, osserva Dewey, è quello della sua precarietà ed instabilità. In qualsiasi momento l’essere umano è esposto al pericolo, nel bel mezzo della felicità può essere travolto dalla malattia o dalla morte, così come precari sono il suo successo in società e la fortuna economica. L’essere umano è un essere fragile, la cui vita costituisce un azzardo, un rischio continuo; il suo problema principale è quello di rendere più stabile la sua esistenza. Un primo tentativo di soluzione di questo problema sono la religione e la magia. L’uomo si illude di dominare il suo destino attraverso i cerimoniali religiosi e i rituali magici, facendo sacrifici agli dèi, cercando di ingraziarsi le forze della natura. Una soluzione più raffinata è quella della filosofia. Fin dalla sua nascita, la filosofia cerca di rassicurare, di mitigare l’angoscia esistenziale, di costruire un mondo stabile in cui rifugiarsi. La vita umana naturalmente non è fatta solo di elementi di incertezza e di instabilità, ma anche di cose stabili, positive, solide. Nell’esperienza comune le due cose sono strettamente, indissolubilmente legate. La filosofia, al di là delle sue correnti e delle sue apparenti alternative, è caratterizzata da un procedimento di fondo: gli aspetti stabili e solidi dell’esistenza vengono separati da quelli instabili e vanno a costituire un mondo superiore, considerato l’unica vera, piena realtà; tutti gli elementi di instabilità ed incertezza vengono invece declassati ad apparenza, confinati in un livello inferiore di realtà (qualcosa di non troppo diverso accade con le filosofie del divenire, che da Eraclito a Bergson ed Hegel hanno reso stabile e razionale il divenire stesso). La filosofia costruisce dunque un mondo perfetto, pienamente buono, con tutti gli elementi positivi dell’esistenza, e proclama questo mondo perfetto quale realtà autentica. Questa soluzione per Dewey non è meno illusoria di quella religiosa o magica. L’incertezza dell’esistenza non è apertamente combattuta; l’uomo viene piuttosto distratto da essa proponendogli l’orizzonte di un mondo perfetto, sia esso un mondo dei fini ideale o una realtà soprannaturale. Una tale separazione tra una realtà superiore ed una realtà inferiore, con il discredito che getta sull’esperienza quotidiana, ha conseguenze gravi. Esistono due forme di esperienza: un’esperienza grezza, primaria, che comprende ciò che gli uomini fanno nella loro vita quotidiana, ed un’esperienza secondaria, più raffinata, passata al vaglio della riflessione. Ora, la filosofia dovrebbe aiutare le persone ad orientarsi meglio nella loro vita quotidiana. Ciò non accade; al contrario: essa getta “una cappa di oscurità sulle cose dell’esperienza ordinaria”. La filosofia svaluta l’esperienza quotidiana come appartenente ad una dimensione inferiore, ed in questo modo rinuncia al ruolo stesso di guida e di orientamento della vita comune che dovrebbe avere. Questo è ciò che accade con quelle che Dewey chiama filosofie non-empiriche. Le conseguenze negative di questo atteggiamento sono tre. La prima è che le conclusioni filosofiche non vengono verificate. La seconda è che l’esperienza quotidiana non viene arricchita ed ampliata grazie al contributo della filosofia. La terza conseguenza è che la filosofia, perso il contatto con l’esperienza, si fa astratta e fine a se stessa. “Come risultato netto di questi tre inconvenienti – scrive Dewey – noi troviamo quello straordinario fenomeno che rende ragione dell’avversione nutrita da molte persone coltivate per ogni forma di filosofia.” La filosofia che segue il metodo empirico si caratterizza per il ritorno all’esperienza primaria, ossia per il contatto costante con la vita quotidiana e le necessità dell’individuo e della società. Il problema di rendere più stabile l’esistenza è affrontato dalle filosofie non-empiriche su un piano teorico, e viene risolto costruendo una realtà avente tutti i caratteri della stabilità, che all’uomo non resta che contemplare. Da una filosofia empirica invece il problema viene correttamente posto come un problema pratico. Il pensiero deve contribuire a rendere concretamente più stabile l’esistenza, dando all’esperienza quotidiana il contributo dell’analisi razionale. Il pensiero ha dunque un carattere pratico e strumentale: per questo Dewey adopera per indicare la propria filosofia il termine strumentalismo. Attraverso il pensiero, l’uomo riesce a rendere più stabile, meno incerta e pericolosa la sua realtà. Ma la realtà umana non è separata da quella naturale. L’uomo è immerso nella natura, ne fa parte pienamente, ed il suo stesso pensiero è un’espressione della natura. L’attività con la quale l’uomo rende meno incerta la sua esperienza è dunque, al tempo stesso, un’attività con la quale la natura stessa viene condotta ad un livello più alto di organizzazione. Nel pensiero di Dewey la natura perde qualsiasi carattere di perfezione e di divinità, è una realtà complessa e contraddittoria, sospesa tra positivo e negativo, tra stabilità ed incertezza, esattamente come l’esistenza umana. E come l’esistenza, la natura può essere resa più stabile attraverso il pensiero e l’indagine razionale. Usualmente, osserva Dewey, l’esperienza e la natura vengono considerate realtà diverse e contrapposte. L’esperienza umana comprende cose come l’arte, l’etica, gli ideali umani, che poco o nulla incidono sulla natura, vista ora come realtà indipendente dall’uomo e regolata da meccanismi propri. CAPITOLO III NATURA,FINI E LE STORIE Complessivamente l’esperienza umana, nei suoi aspetti più grossolani e cospicui, ha tra le sue caratteristiche più rilevanti quella della ricerca del godimento diretto. Se l’esperienza delle cose fornisce una prova valida. La natura, in quanto ha delle qualità, ha ciò che nel senso letterale devono essere chiamati fini, elementi terminali, arresti,

conclusioni. Noi possiamo concepire il fine, la conclusione, come dovuti al compimento, al perfetto conseguimento, alla sazietà, alla stanchezza, alla dissoluzione, a qualche cosa che si è consumato o è venuto meno. Dal punto di vista del fatto empirico, i fini sono proiezioni di conseguenze possibili; sono fini-in-vista. Nel pensiero greco c’è una gerarchia esplicita: al primo e più basso grado ci sono i fini vegetativi, cioè lo sviluppo e la riproduzione regolare della specie; al secondo grado vi sono i fini animali, cioè il movimento e la sensibilità; al terzo i fini ideali e razionali tra i quali il più alto è il felice possesso contemplativo, mediante il pensiero, di tutte le forme della natura. Per Dewey invece la realtà non ha struttura e fini rigidamente fissati e immutabili, ma innanzitutto, la realtà è interazione tra natura e uomo. Per questo motivo egli nega la distinzione tra mezzi e fini, l’uomo non ha un fine ultimo, non c’è un modello a priori che stabilisce il valore di una cosa. Il fine deriva dall’effetto che produce, dall’attività continua, libera e intelligente dell’uomo. Poiché in natura nulla è finale in modo esclusivo, la razionalità è sempre anche mezzo, oltre che fine. La salute in questo caso non è di per sé un fine di un processo naturale, tanto meno un fine in se stesso. Quando si verifica è un bene goduto (così come la malattia è un male sofferto). Su questa base tutti i fini sono fini-in-vista; non sono caratteri ideali dell’essere, come invece erano nell’ambito della teoria greca, ma sono oggetti di intenzione consapevole. Quando vengono conseguiti “esistenzialmente”, essi sono fini in quanto sono oggetti conclusivi raggiunti come risultato di una precedente ricerca, proprio come un palo non è una meta in se stessa, ma diventa per esempio un traguardo per un corridore e la corsa cui partecipa. CAPITOLO IV NATURA, MEZZI E CONOSCENZA Uno strumento è una cosa particolare, poiché è una cosa in cui è incorporata una connessione, un legame sequenziale della natura. La sua percezione quanto il suo uso reale porta la mente ad altre cose. La lancia suggerisce la festa non direttamente ma attraverso la mediazione di altre cose esterne, quali il gioco e la caccia, al quale l’immaginazione viene portata dalla vista dell’arma. La tendenza egoistica dell’uomo lo porta a considerare uno strumento soltanto in relazione a se stesso, alle mani e agli occhi, ma la sua relazione primaria è volta verso altre cose esterne, come il martello è rivolto verso il chiodo e l’aratro verso il suolo. Solo attraverso questo legame oggettivo rende possibile la relazione dell’uomo con se stesso e con le sue attività. Uno strumento denota una percezione e un riconoscimento dei legami sequenziali della natura. Lo strumento, quindi, resta una cosa che viene usata come agente funzionale per produrre qualche evento conclusivo. È attraverso la consapevolezza del fine da raggiungere che vengono stabiliti i mezzi per perseguirlo. In questo senso se compio un lavoro che mi piace il mio lavoro non sarà svolto per un fine ben preciso (guadagnarmi da vivere) ma sarà esso stesso un fine in quanto gratificante di per sé. Queste considerazioni hanno un riscontro importante nell’arte. Un’opera d’arte non rappresenta soltanto il fine dell’artista ma è anche un mezzo per esprimere attraverso gli strumenti che utilizza la sua creatività; allo stesso tempo gli strumenti che utilizza non hanno un fine esterno a sé (come un martello che batte su un chiodo per fissarlo) ma vivono in relazione all’opera d’arte intesa come forma finale dell’insieme degli strumenti utilizzati. Così i mezzi sarebbero parti frazionari dei fini, cioè non qualcosa di esterno e puramente strumentale al fine, ma già una sua parziale realizzazione. Analogamente i fini sarebbero mezzi procedurali, cioè avrebbero essi stessi valore di mezzo nella procedura della loro realizzazione, poiché fungerebbero, per così dire da causa finale interna allo stesso procedimento. CAPITOLO V NATURA E COMUNICAZIONE Di tutte le faccende umane, la comunicazione è quella che suscita più meraviglia. Quando la comunicazione ha luogo, tutti gli eventi naturali diventano soggetti a riconsiderazione e revisione; essi vengono riadattati per far fronte alle esigenze della conversazione, sia che si tratti del discorso pubblico sia che si tratti di quel discorso in forma appena iniziale che viene chiamato pensiero. Gli eventi diventano oggetti, cioè delle cose con un significato. I significati degli eventi possono essere infinitamente combinati e ricostruiti dall’immaginazione e il risultato di questa sperimentazione interna, che è il pensiero, può dar luogo a una nuova interazione don gli eventi nel loro stato grezzo e grossolano. Quando emerge la comunicazione, le cose, assumono perciò stesso dei surrogati rappresentativi, dei segni e delle implicazioni che sono infinitamente più facili da organizzare, più duraturi e più In passato non ebbero a disposizione una concezione naturalistica della sua origine e della sua esistenza. Il Logos (dal greco “scegliere, parlare, pensare”) è stato correttamente identificato con la mente; ma il Logos e perciò la mente furono concepiti in termini soprannaturali. Come reazione a questa visione gli empiristi hanno tentato un approccio alla discussione sul linguaggio facendo riferimento a una qualche particolare funzione psichica. L’interazione e le istituzioni sociali sono state considerate come prodotti di una specifica facoltà fisica o mentale, escogitata ad hoc, in forza della quale il linguaggio agisce come tramite meccanico per trasferire osservazioni e idee che sono dotate di un’esistenza di ordine precedente e indipendente. Il linguaggio viene il tal modo considerato come

uno strumento di di utilità pratica ma privo di una rilevanza intellettuale fondamentale. Esso consiste di semplici parole, di suoni, cui capita di essere associati con percezioni, sentimenti e pensieri che sono quello che sono antecedentemente al linguaggio. Il linguaggio in tal modo esprime il pensiero nello stesso modo in cui un tubo è un mezzo di conduzione dell’acqua e svolge una funzione che trasforma il proprio oggetto. È assai probabile che le idee altro non fossero che una successione di parole pronunciate silenziosamente. Se noi non avessimo parlato con gli altri e gli altri con noi, noi non potremmo mai parlare a noi stessi e con noi stessi. A causa del colloquio con gli altri, dei mutui rapporti sociali, molteplici atteggiamenti organici diventano un insieme di persone impegnate nel colloquio, che conferiscono l’una con l’altra, che si ascoltano reciprocamente, che stanno in ascolto di osservazioni spiacevoli, che accusano e si scusano. Attraverso il linguaggio una persona si identifica drammaticamente con possibili azioni e imprese. Il linguaggio, considerato come un evento dell’esperienza dunque, ci rende capaci di interpretare ciò che accade nella realtà fin da quando l’esperienza “interna” e le esigenze ad essa connesse vennero scoperte dai moderni. Il linguaggio è una funzione naturale dell’associazione umana; e le sue conseguenze si ripercuotono sugli altri eventi, fisici e umani, conferendo loro significato e rilievo. Gli eventi naturali diventano dei messaggi da godere e da adoperare, proprio come i canti, le narrazioni, il dar consigli e informazioni. In tal modo gli eventi giungono a possedere dei caratteri; essi vengono identificati e contrassegnati. Il linguaggio è comunicazione; l’istaurarsi di un rapporto di cooperazione in un’attività in cui ci sono degli agenti compartecipi e in cui l’attività di ciascuno viene modificata dalla partecipazione. Il linguaggio è sempre una forma di azione e il suo uso strumentale è sempre mezzo di azione concertata in vista di un fine, mentre nello stesso tempo trova in se stessa tutti i beni delle sue possibili conseguenze. La parola è considerata non come un tipo di azione sociale adatto a realizzare i fini dell’associazione, ma come l’espressione di uno stato mentale già costituito, esclusivamente individuale. Il linguaggio è in modo specifico un tipo di interazione fra almeno due enti. Esso perciò è una relazione, non un fatto particolare ed isolato. L’invenzione e l’uso degli strumenti hanno avuto una parte di rilievo nel consolidare i significati, poiché uno strumento è una cosa che viene usata come mezzo in vista di certe conseguenze, anziché essere considerata direttamente e fisicamente. La prova ad esempio, che meglio convince il fatto che gli animali non pensano, è reperibile nel fatto che essi non fanno uso di strumenti ma si servono esclusivamente delle loro strutture corporee per produrre dei risultati. Un bastone, anche se è stato adoperato una volta come leva, ritorna al suo stato di bastone, a meno che non sia distinta e fissata la relazione tra esso e le sue conseguenze. Solo il linguaggio o qualche forma di segni artificiali, serve a registrare la relazione e a renderla utile in altri contesti di esistenza particolare. Lance, ceste, trappole, possono aver avuto origine accidentalmente nel corso di qualche conseguenza consumatoria degli eventi naturali. Ma solo la loro utilizzazione ripetuta mediante l’azione concertata spiega il fatto che siano divenuti istituzioni e strumenti e questa azione concertata dipende dall’uso della memoria e della comunicazione linguistica. La comunicazione è interamente finale e interamente strumentale. È strumentale in quanto ci livera della pressione degli eventi e ci mette in condizione di vivere in un mondo di cose che hanno significato. È finale in quanto è una partecipazione ad oggetti e arti preziosi per la comunità, partecipazione mediante la quale i significati sono abbelliti, approfonditi e resi coerenti nel senso della comune esperienza. Una parola viene adoperata quando può produrre un’azione. CAPITOLO VI In passato un individuo era membro di una totalità sociale. Fin dalla nascita era un sogetto che veniva assimilato e incorporato dalle tradizioni e dai costumi del gruppo. L’idea che la generalizzazione, le scelte ecc. , siano dei processi mentali individuali non ebbe origine finchè il concetto di esperienza non registrò un mutamento tale che le funzioni della mente individuali fossero produttive di opere oggettive e perciò fossero suscettibili di essere osservate dall’esterno. Quando accadde questo ebbe luogo una straordinaria rivoluzione. Il concetto di individuo cambiò completamente. La teoria più antica aveva affermato che lo stato esiste per natura. La teoria moderna afferma invece che lo stato nacque da un accordo fra individui che hanno istituito per scelta volontaria l’ordine civile. Possiamo affermare che gli stati che gli individui si trovarono attorno esistevano realmente per natura: ma era proprio questo il punto. Tali stati infatti erano prodotti naturali, in quanto prodotti dalla forza del caso, della frode e della tirannia. Dire in modo significativo >, invece di limitarsi a dire >, significa accettare e dichiarare esplicitamente una responsabilità e avanzare una pretesa. È chiaro dunque che oggetto e soggetto non sono due realtà che possono essere scisse. Questo perché un soggetto che opera all’interno di un ambiente non è mai separato da esso. Per soggetto si intende in particolare “quell’organismo che diventa conoscente in virtù del suo impegno in operazioni di ricerca controllata”; mentre per oggetto si intende quella parte di esperienza che il soggetto considera un insieme di elementi permanentemente definiti come una realtà separata da esso (ecco cosa si intende per “ricerca controllata”, la selezione da parte del soggetto di ciò che può essere oggetto della sua indagine, ossia di ciò che è separato da sé). Naturalmente le funzioni del soggetto e dell’oggetto sono interdipendenti: non esiste oggetto se non c’è un soggetto che lo indaga e non esiste soggetto se non c’è un oggetto da indagare.

CAPITOLO VII NATURA, VITA, CORPO-MENTE La natura veniva concepita secondo un modello rigorosamente meccanicistico. L’esistenza in natura e come parte di essa di un corpo dotato di vita, il quale porta i segni del pensiero e i moti della coscienza, era un mistero. Il mondo è il contenuto oggettivo della conoscenza, perché la mente di è sviluppata nel mondo; Ogni mente che noi conosciamo è in connessione con qualche corpo e ogni corpo esiste in un ambiente naturale, col quale instaura qualche relazione di adattamento: la pianta con l’aria, l’acqua e il sole, gli animali con queste cose e con le piante. La cosa essenziale che per Dewey deve essere tenuta a mente è che il processo della vita come faccenda empirica non è qualche cosa che proceda al di sotto della superficie epidermica di un organismo; è sempre una faccenda inclusiva che è caratterizzata dalla connessione, dall’interazione tra ciò che si trova all’interno del corpo organico e ciò che si trova all’esterno nell’ordine spazio-temporale e con gli organismi superiori che vivono all’esterno. A proposito del rapporto mente – corpo dunque: Dewey sostiene che non esiste dualismo tra loro, ma l’uomo è un’unità psico-fisica. Essi rappresentano ancora una volta due funzioni dello stesso organismo. Stesso discorso vale per la coscienza: essa non è come per i realisti qualcosa di indipendente rispetto alla realtà e non è nemmeno, come volevano gli idealisti, qualcosa che racchiude in sé tutta la realtà e la riduce a se stessa. Per Dewey la coscienza è il momento in cui l’esperienza rivela la sua dimensione problematica: se cammino semplicemente per strada sto interagendo con l’ambiente circostante; ma se per strada incontro delle pozzanghere prendo coscienza del mio camminare perché l’ambiente mi sottopone ad una situazione problematica che mi porta non semplicemente ad interagire con l’ambiente, ma anche a trasformarlo o correggerlo (dovrò correggere continuamente la direzione dei miei passi per non sprofondare in una di quelle pozzanghere). Dunque la coscienza non ha valore ontologico ma ha una funzione relativa all’esperienza. CAPITOLO VIII L’ESISTENZA E LE IDEE Analizzando la parola “coscienza”, si tratta di una parola dal significato non ancora definito. Abitualmente con questa parola vengono designate due faccende completamente diverse. Da un lato essa viene adoperata per indicare certe qualità nel loro immediato apparire, qualit...


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