Lettera ad una professoressa PDF

Title Lettera ad una professoressa
Course Sociologia dell'esclusione sociale
Institution Università degli Studi della Basilicata
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riassunto e analisi de "Lettera ad una professoressa" con commento...


Description

Lettera ad una professoressa Storia Don Milani fu inviato alle priore di Barbiana (frazione di Vicchio), un piccolo borgo sperduto sui monti della diocesi di Firenze, a causa di alcuni dissapori con il cardinale di Firenze. Qui incominciò un'esperienza educativa unica e rivolta ai giovani di quella comunità che, anche per ragioni geografiche ed economiche, erano fortemente svantaggiati rispetto ai coetanei di città.La scuola sollevò immediatamente delle eccezioni e molte critiche, gli attacchi ad essa furono tanti, dal mondo della chiesa (né Giovanni XXIII né Paolo VI intervennero mai a suo favore) e da quello laico. Le risposte a queste critiche vennero date con “Lettera ad una professoressa”, libro scritto dagli allievi della scuola insieme a don Milani (e infatti come autore del libro è indicato "Scuola di Barbiana"), che spiegava i principi della Scuola di Barbiana e al tempo stesso costituiva un atto d'accusa nei confronti della scuola tradizionale, definita "un ospedale che cura i sani e respinge i malati", in quanto non si impegnava a recuperare e aiutare i ragazzi in difficoltà, mentre valorizzava quelli che già avevano un retroterra familiare positivo. Commento “Dalla Lettera arriva ai nostri giorni una lezione più profonda da riconsiderare: tutte le invenzioni di don Milani ruotano attorno al perno centrale del simbolico…

Il grande fascino che la Lettera ancora esercita su di me è un fascino simbolico, perché mostra la presa di coscienza e di parola di un mondo – il mondo dei poveri – che fino a quel momento era muto.

… la contraddizione linguistica in Italia, forse in tutto l’occidente, è ancora più viva, e si presenta con tutt’altra configurazione… le nuove generazioni danno l’impressione di essere afasiche, ma, detto questo, il problema è sentirsi chiamata(o) dentro la contraddizione. Aprirsi alla questione che pongono. Sono le persone giovani o è la lingua e la comunicazione ad essere inadeguate? E’ una generazione persa alla lingua o mutezza e sordità sono sintomo di qualcosa di più profondo che è andato in crisi, sintomo di un cambiamento che investe anche me in prima persona?

… la Lettera è rimasta sostanzialmente incompresa e… nella scuola italiana sono entrati principalmente gli aspetti più meccanici e caduchi. Per es., negli anni ’70 il non bocciare, invece di essere una sfida per riuscire ad insegnare agli ultimi, è diventato l’appiattimento del 6 politico

… l’idea di dare più scuola ai Gianni perché i Pierini ce l’hanno già a casa 24 ore su 24, è diventata un’enfasi sul tempo scuola che in alcuni casi ha creato orari peggiori di quelli delle fabbriche fordiste, oppure ha dato vita a doposcuola oratoriali o di sinistra che non fanno che prolungare l’agonia di una scuola insensata

Anche l’argomento forte, perché inusitato e trasgressivo, di lavorare su repertori statistici per documentare la “piramide scolastica”, larga alla base (le elementari) e via via più stretta per l’espulsione dei poveri con “la

strage dei vecchi”, cioè dei ripetenti che hanno il lavoro minorile in nero a portata di mano, è diventato il prevalere di criteri quantitativi nel ragionare di scuola.

La lezione da trarne consiste non nel rifare quelle stesse cose, ma nel ricominciare a inventare pratiche… Le pratiche che più mi piacciono nella Lettera hanno tutte a che fare con la sua idea di una cultura viva e che serve alla vita. Per esempio il viaggio all’estero che è l’esame vero… Oppure l’idea, scaturita dalla necessità, di mettere i più grandi a insegnare ai più piccoli”.

In particolare mi piace questo:

“La lezione da trarne consiste non nel rifare quelle stesse cose, ma nel ricominciare a inventare pratiche”. BASTA CHE PARLI Lettera a una professoressa è un testo che mi ha diviso l'anima: nel '68 è stato quasi una bibbia per me studentessa universitaria e poi giovane insegnante, l'ho successivamente rifiutato negli anni del femminismo e della Pedagogia della differenza, perché dedicava in tutto nove righe alle bambine e l'emblema della cattiva scuola era una professoressa. La Lettera, pubblicata nel '67 dalla Libreria Editrice Fiorentina, è stata scritta da un autore collettivo: Scuola di barbiana, cioè dagli allievi assieme al loro maestro don Lorenzo Milani, in un piccolissimo paese toscano. Destinata a insegnanti e genitori, è organizzata in forma di brevi capitoletti, accompagnati da parole o frasi guida sul margine laterale, ed è divisa in due parti: La scuola dell'obbligo non può bocciare e Alle magistrali bocciate pure, ma...; segue una Documentazione costituita da repertori statistici sulle ripetenze dal '54 al '65. IL PUNTO DI VISTA DEI POVERI Il grande fascino che la Lettera ancora esercita su di me è un fascino simbolico, perché mostra la presa di coscienza e di parola di un mondo - il mondo dei poveri - che fino a quel momento era muto. In quanto incapace di una parola propria il mondo dei poveri era raccontato da chi sapeva parlare, con giudizi, misure, punti di vista che pesavano sui giovani contadini e operai con la forza dei luoghi comuni e del pregiudizio. In quel momento storico l'essere senza parola toglieva ai poveri la possibilità di esserci nella società nonostante il diritto di voto. Negli anni '50, in Italia esisteva una povertà che oggi si stenta a immaginare. Nel '54 Barbiana era una frazione montana minuscola, nel Mugello, sul fianco nord del monte Giovi; quando don Milani vi venne trasferito perché era un parroco scomodo e vi apr" la sua scuola, in tutto vi abitavano 39 famiglie di contadini poverissimi che non avevano né la luce elettrica, né l'acqua. Ma Barbiana in quegli anni non era un'eccezione: non erano solo poche famiglie di montanari ad essere povere ma intere classi sociali, i contadini, gli operai erano poveri. Vivevano in forti ristrettezze materiali e tutti gli scritti di don Milani ce ne danno immagini vivide: bambini che per letto avevano il tavolo da cucina, ragazzi di 14 anni che lavoravano di notte. Di questa situazione di sofferenze materiali, Lettera a una professoressa coglie e mette a fuoco l'aspetto soggettivo, che si presenta come una malattia simbolica che pesa più della miseria. La Lettera parla prima di

tutto della timidezza contadina. E' la timidezza del ragazzo contadino che a "scuola striscia lungo le pareti", della sua mamma che si "intimidisce davanti a un modulo di telegramma", del suo babbo che "osserva ascolta ma non parla" (pag. 9). Nel testo la timidezza contadina non è un aspetto del carattere, è un fatto politico. Don Milani lo ritiene importante tanto da scrivere in una lettera a Elena Brambilla: "Io so che la tragedia dei contadini è tutta nella solitudine, che tutti i loro mali sono nati dal piccolo numero dei loro incontri umani". Nei ragazzi di Barbiana, nel rapporto assiduo con il loro maestro, si fa strada la consapevolezza che l'esclusione dalla cultura, l'isolamento, la mancanza di incontri, il non saper parlare l'italiano costituivano una barriera che metteva le classi povere in uno stato di inferiorità sociale e umana e che per loro la scuola creata da don Milani significava uscirne. Così di fronte al disquisire degli esperti che criticano i metodi pedagogici della scuola di Barbiana perché i ragazzi non fanno sport, prende la parola Lucio: "Lucio che aveva 36 mucche nella stalla disse 'la scuola sarà sempre meglio della merda'. Questa frase va scolpita sulla porta delle vostre scuole. Milioni di ragazzi contadini sono pronti a sottoscriverla." (pag. 13) Lettera ad una professoressa è molto di più di un testo sulla scuola. Sono i ragazzi poveri che prendono la parola. La Lettera è da leggere come un'operazione simbolica con cui don Milani dà voce a chi non ce l'ha e del punto di vista dei poveri fa un punto di vista sul mondo. Al cuore del testo è il capovolgimento della gerarchia dei valori, dei criteri di giudizio, del senso delle cose. Le bocciature nella scuola dell'obbligo sono il "fatto" su cui avviene il capovolgimento di prospettiva: "Voi dite di aver bocciato i cretini e gli svogliati. Allora sostenete che Dio fa nascere i cretini e gli svogliati nelle case dei poveri ma Dio non fa questi dispetti ai poveri. E' più facile che i dispettosi siate voi". (pag. 60) I Gianni, i ragazzi poveri, che la scuola considera cretini e svogliati, si fanno avanti nella Lettera e si propongono come "la parte migliore dell'umanità". Si pongono come portatori di una cultura, che è un dono, che porta "un po' di vita nell'arido dei vostri libri scritti da gente che ha letto solo libri". (pag. 115) Nel rovesciamento simbolico operato nella Lettera sono invece i Pierini, i ragazzi ricchi, che "a 6 anni parlano come un libro stampato", e che sono già segnati anche loro, ma dal "marchio della razza pregiata", a pagar caro il loro privilegio. Pierino sì non ha perso classi, anzi è un anno avanti, ma è "deformato dalla specializzazione, dai libri, dal contatto con gente tutta uguale". Pierino non è timido, anzi è disinvolto con la professoressa, ma non è per niente maturo, si è solo "allenato ad affrontare adulti". Pierino nel capovolgimento del punto di vista risulta simbolicamente mancante e ai Gianni fa quasi compassione, tanto che a un certo punto lo invitano ad abbandonare il suo mondo e unirsi a loro. (pag. 96) IL TESTO NEL '68 E LA SUA CRITICA AL CLASSISMO Il passaggio ulteriore che i ragazzi di Barbiana fanno fare a chi legge è comprendere che se le cose sono invece percepite a scuola in modo differente -bravo e intelligente Pierino, cretino e svogliato Gianni- è perché la cultura che vi si insegna è quella che appartiene alla sola classe privilegiata. "Tutta la cultura è costruita così. Come se il mondo foste voi". I ragazzi di Barbiana sostengono che la scuola è di classe. Lo svelamento della natura classista della cultura è quello che più ha determinato la popolarità del testo tra noi giovani del '68. Ricordo che era diventato slogan da gridare nelle manifestazioni. Lettera a una professoressa portava le ragioni dei ragazzi poveri con tanta forza che le abbiamo fatte nostre, dava anche a noi del movimento studentesco delle università delle ragioni per dire l'antipatia che nutrivamo per la scuola che avevamo frequentato. Ne avevamo sentito il peso, la noia, il fastidio e non ne sapevamo il perché. Noi studentesse poi, da poco entrate in massa nell'istruzione superiore, che era un essere ammesse a una cultura che non ci comprendeva e che cancellava il femminile, avevamo ben più forti ragioni nostre da esprimere, ma in quegli anni tutto si riassunse, o si semplificò, nella funzione selettiva e classista della scuola. Soprattutto l'insegnamento del latino nella scuola dell'obbligo era sotto accusa perché, dicevamo allora, tagliava fuori chi in casa non aveva il sostegno di un ambiente colto.

Quando venne scritta la Lettera c'era stata da pochi anni ('62) l'attuazione della media unificata che aveva abolito la divisione tra avviamento e scuola media e prolungato l'obbligo a 14 anni. Il latino era diventato facoltativo, ma evidentemente in troppi luoghi la scuola dell'obbligo continuava a impartire una cultura di stampo gentiliano, con modalità che ne facevano un insieme di nozioni e di atteggiamenti per riprodurre la classe dominante e mantenere la funzione di criterio di inclusione/esclusione sociale. Rileggendo il testo mi sono chiesta quale sia stata la radice della critica al classismo, che lo percorre tutto e che in un passo si rispecchia in un fine lavoro sul significato stesso delle parole classismo, anticlassismo, interclassismo: "La mattina e d'inverno la scuola la farà lo Stato. E seguiterà a farla 'interclassista' (attenzione ai vocaboli: il classismo dei ricchi si chiama interclassismo). Nel pomeriggio e d'estate bisogna che la faccia qualcun altro e che la faccia anticlassista (attenzione ai vocaboli: l'anticlassismo i ricchi lo chiamano classismo)." (pag. 89) Per passi del genere Don Milani, soprattutto dalla stampa di destra, è stato accusato di essere un prete rosso, di essere in combutta con i comunisti, ma niente è più lontano da lui del comunismo. Non è un prete operaio, come ce ne sono stati in quegli anni, anzi si rincresceva delle possibili strumentalizzazioni da parte dei comunisti, possibili soprattutto per l'incomprensione del suo operato da parte della gerarchia ecclesiastica che gli poneva a ogni piŽ sospinto dei veti a cui lui -ribelle obbedientissimo- immediatamente si sottoponeva. La sua era una intransigente applicazione del vangelo, che aveva conosciuto e abbracciato già grande, era una ricerca di giustizia universale. Del vangelo di Luca applicava alla lettera: "Preparate la via del Signore, fate retti i suoi sentieri. Ogni valle sarà colmata, ogni monte e ogni colle sarà abbassato; le vie torte diventeranno una via dritta e le vie scabrose vie piane; e ogni uomo vedrà la salvezza in Dio". E' sempre il vangelo ad ispirargli atteggiamenti di classismo all'incontrario che lui sosteneva essere da sempre della chiesa: "Anche alla distribuzione della minestra ai poveri i ricchi non sono ammessi. Il classismo in questo senso non è dunque una novità per la chiesa". Crede solo - così dice - ai 10 comandamenti e in nome del vangelo rifiuta un'idea di amore universale. Si rifiutava per es. di "perder tempo" con persone che avendo letto i suoi libri lo andavano a trovare a Barbiana e così lo motivava: "Se rispondessi loro con pazienza e se credessi al comandamento che essi continuamente mi rinfacciano e cioè che bisogna amare tutti, mi ridurrei in pochi giorni un prete da salotto cioè da cenacolo mistico-intellettual-ascetico e smetterei di essere quello che sono cioè un parroco di montagna che non vede al di là dei suoi parrocchiani". Don Milani non vuol essere un prete da salotto che usa la parola tra pochi intellettuali, ma ha accettato una situazione che non aveva neanche scelto e di quello che gli era stato imposto è riuscito a fare la sua scelta. La segue con rigore, rimanendo tra i suoi parrocchiani poveri e in questo esserci in mezzo a loro agisce anche con la parola. In una lettera a Mario Lodi , Don Milani spiega la sua intenzione: "Quando ho davanti uno studente o un cittadino faccio di tutto per umiliarlo, levargli un po' di sicurezza di sé. Quando ho un contadino o un operaio cerco proprio il contrario: di dargli un po' di sicurezza di sé". Don Milani fugava la malattia simbolica della timidezza dei suoi ragazzi con pratiche robuste mirate ad essere quotidianamente "inezioni di superbia ai poveri e iniezioni di umiltà ai ricchi". Un uomo giusto non si adatta a condizione ingiuste e don Milani l'ha mostrato con tutta la sua vita. LA SCUOLA DELL'INVENZIONE La precisazione di questi aspetti mi permette di capire e dire meglio che cosa posso (possiamo) imparare da Lettera a una professoressa, e da che cosa voglio prendere decisamente le distanze, mettendomi così in condizione di ragionare alla luce di una consapevolezza femminile. A riconsiderare oggi le questioni poste dai ragazzi di Barbiana, mi sono accorta che la Lettera è rimasta sostanzialmente incompresa e che nella scuola italiana sono entrati principalmente gli aspetti più meccanici e caduchi. Per es., negli anni '70 il non bocciare, invece di essere una sfida per riuscire ad insegnare agli ultimi, è diventato l'appiattimento del 6 politico e l'idea di dare più scuola ai Gianni perché i Pierini ce

l'hanno già a casa 24 ore su 24, è diventata un'enfasi sul tempo scuola che in alcuni casi ha creato orari peggiori di quelli delle fabbriche fordiste, oppure ha dato vita a doposcuola oratoriali o di sinistra che non fanno che prolungare l'agonia di una scuola insensata che dà compiti su compiti. Anche l'argomento forte, perché inusitato e trasgressivo, di lavorare su repertori statistici per documentare la "piramide scolastica", larga alla base (le elementari) e via via più stretta per l'espulsione dei poveri con "la strage dei vecchi", cioè dei ripetenti che hanno il lavoro minorile in nero a portata di mano, è diventato il prevalere di criteri quantitativi nel ragionare di scuola. L'essenziale invece di quella scuola è stata la capacità di dare forza simbolica ai poveri. Don Milani conosceva il segreto della soggettività, della passione, infatti sosteneva che "Barbiana non è esportabile" e quando gli amici insistevano perché scrivesse il metodo, i programmi, la tecnica didattica, rispondeva: "sbagliano la domanda, non dovrebbero preoccuparsi di come bisogna fare scuola, ma solo di come bisogna essere per poter fare scuola". Da quella piccola scuola di montagna viene un insegnamento per la grande capacità di don Milani di inventare pratiche, alcune sono straordinarie. Nascono da tutto il modo di essere di don Lorenzo, dall'amore che ha per i suoi ragazzi, nel testamento dice: "Ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho speranza che lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto sul suo conto". La lezione da trarne consiste non nel rifare quelle stesse cose, ma nel ricominciare a inventare pratiche, per le esigenze del nostro tempo che non può più prescindere dalla differenza femminile. Le pratiche che più mi piacciono nella Lettera hanno tutte a che fare con la sua idea di una cultura viva e che serve alla vita. Per esempio il viaggio all'estero che è l'esame vero: "Nella nostra scuola l'andare all'estero equivale ai vostri esami. Ma è esame e scuola insieme. Si prova la cultura al vaglio della vita. In conclusione è un esame più severo dei vostri, ma almeno non si perde tempo sulle cose morte". (pag. 101) Oppure la lettura dei giornali per 500 ore l'anno o l'idea, scaturita dalla necessità, di mettere i più grandi a insegnare ai più piccoli. LA SCOMMESSA SULLA LINGUA Dalla Lettera arriva ai nostri giorni una lezione più profonda da riconsiderare: tutte le invenzioni di don Milani ruotano attorno al perno centrale del simbolico, che fa da bussola, orienta la scelta di cosa fare o non fare nella sua scuola, e il simbolico stesso - imparare a parlare - è messo a tema come insegnamento principale da impartire. Ciò di cui i poveri hanno bisogno è la lingua, è l'italiano. Dicono nel testo: "noi che non si parla e s'ha bisogno di lingua d'oggi e non di ieri, di lingua e non di specializzazioni". (pag. 96) Negli anni 50/60 la società italiana era molto più nettamente di oggi divisa in classi sociali rigide e uno dei aspetti era la contraddizione linguistica che vedeva le classi privilegiate usare correntemente l'italiano e le classi povere parlare e intendere prevalentemente il dialetto. Sono anni in cui attorno alla questione della lingua c'è un grande dibattito intellettuale a cui partecipa anche la gente comune C'è una scommessa politica sulla lingua che è -lo dico con le parole di Pasolini- "una strada di rinnovamento dell'italiano dal basso, di italianizzazione dell'Italia attraverso la presenza rivoluzionaria del popolo, e attraverso un'idea gramscianamente nazional-popolare della letteratura." Don Milani fa parte di questa temperie culturale con una sua caratterizzazione specifica: don Milani è un inventore di lingua. E' a mio parere questa la soluzione che dà alla complessa questione del rapporto tra la lingua, povera, lessicalmente scorretta, frammista al dialetto dei suoi allievi ( scrivevano "ito" per "andato", "enno" per "sono", "unguanno" per "quest'anno") e la lingua nazionale colta. Fa un'opzione decisa per l'italiano, ma come lingua viva. Ne fa una lingua asciutta, scarna, di una chiarezza cristallina. Le regole dello scrivere in Lettera a una professoressa sono: "Aver qualcosa di importante da dire e che sia utile a tutti o a molti. Sapere a chi si scrive. Raccogliere tutto quello che serve. Trovare una logica su cui ordinarlo. Eliminare ogni parola che non serve. Eliminare ogni parola che non usiamo parlando. Non porsi limiti di tempo." (pag. 20) La Lettera stessa ne è un esempio. Le frasi sono brevi o brevissime, poche le subordinate. Lo stile è antiretorico. Non ci sono

parole di difficile comprensione. Il testo una volta finito è stato fatto leggere a contadini e operai e ogni parola che risultava troppo difficile è stata sostituita con una di uso più corrente. La lingua ne esce completamente rivoluzionata. In quegli anni io ero una giovane studentessa e ricordo che invece a scuola, nell'insegnamento dell'italiano, si privilegiava in prev...


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