Geografia Economica professoressa romei PDF

Title Geografia Economica professoressa romei
Author Alessandra Franco
Course Geografia economica
Institution Università degli Studi di Firenze
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GEOGRAFIA ECONOMICA CAPITOLO 1 La prima strategia di sfruttamento delle risorse è la strategia di caccia e raccolta, che consisteva nella ricerca quotidiana di risorse commestibili dall’ecosistema; da essa sono derivate una certa economia politica (distribuzione del lavoro) e una certa geografia economica (conoscenza degli ecosistemi). Nonostante il costante miglioramento delle tecniche adottate, la ricerca itinerante di cibo non permetteva alle bande di stabilirsi (erano nomadi) e di dare alla luce troppi figli. Poco più di 10.000 anni fa, nella Mezzaluna fertile, venne finalmente inventata l’agricoltura. Gli scheletri mostrano che gli agricoltori, rispetto ai cacciatori, erano molto più gracili e deboli a causa della mancanza di proteine e del faticoso lavoro nei campi; d’altro canto però una situazione stabile permise lo stanziamento e la crescita demografica. Per 4.000 anni l’agricoltura rimase pluviale, ovvero dipendente dalle precipitazioni; la prima testimonianza di un’agricoltura irrigua è quella di Uruk, in Bassa Mesopotamia. Diversi stadi di organizzazione politica: • la banda: poche decine di individui legati da vincoli di sangue, priva di gerarchia. Si basa sul regime di caccia e raccolta e sul principio della reciprocità, per cui ogni componente condivide con il resto del gruppo il frutto del suo lavoro. • la tribù: tra la gerarchia e l’organizzazione orizzontale, può presentare elementi di leadership (es. consigli degli anziani). E’ formata da più famiglie o clan ed è associabile alla lunga fase dell’agricoltura pluviale + caccia e raccolta. • il chiefdom: nasce la gerarchia e il prelievo tributario di risorse ottenuto con la coercizione (non esistono ancora le leggi). Si passa dal principio della reciprocità a quello della redistribuzione, secondo il quale tutte le risorse vengono ammassate al centro e poi redistribuite; tale redistribuzione viene fatta da una figura che pretende di appropriarsi di parte del surplus e arricchirsi. • lo Stato: il prelievo tributario non si basa più sulla minaccia ma su leggi scritte; il passaggio dal chiefdom allo stato è molto lungo e non facile da ricondurre a modello. Quando poi la tecnica irrigua si perfeziona, i villaggi diventano città e si creano i primi stati primitivi: questo è ciò che succede a Uruk; è la prima città fortificata e sede di architettura monumentale. Nel quarto millennio si aggirava sugli 80.000 abitanti e aveva creato un vasto sistema di insediamenti coloniali a distanza. L’agricoltura irrigua si sviluppa con grandi canalizzazioni in campi lunghi alcune centinaia di metri, lavorabili solo con aratri trascinati dai buoi. Nell’arco di un millennio la coltivazione si sviluppa così tanto da creare una grande quantità di surplus e un’enorme concentrazione di capitale sociale fisso. In questo contesto si crea un’articolazione di figure e ruoli (artigiani, mercanti, sacerdoti..) che producono un contesto urbano, il quale ha bisogno di procedure amministrative; ciò porta alla nascita della scrittura. La documentazione scritta ci dice che la produzione e la ridistribuzione sono gestiti dal Tempio. Il sistema di Uruk collassa dopo il 5.000 a.c. a causa della salinizzazione del terreno e dal declino delle rese. La loro esperienza verrà subito ereditata da altre città della Mesopotamia, specialmente da quelle che grazie alla loro vicinanza ai fiumi, potevano creare un grande surplus agricolo (Tigri ed Eufrate, Nilo, Indo, Yangtze). Poiché nei bacini idrici mancavano quelle risorse (pietre, legno, rame..) che servivano a costruire la città, nacque il commercio pubblico, gestito dal Tempio. Il commercio di Uruk è il primo documentato dalla scrittura ed il primo a venir realizzato in forma così organizzata. Man mano che i traffici si sviluppano, con essi si sviluppa il mercato: esso corrisponde al complesso di transazioni effettuate tra chi compra e chi vende. Le infrastrutture religiose e statali mantennero per lungo tempo il controllo sul commercio, poiché erano le uniche a fornire le due condizioni per la pratica commerciale: garanzia dell’adempimento dei contratti e affidabilità dei mezzi di pagamento. Le elite acquisiscono il controllo monopolistico

della terra e si appropriano del surplus articolo attraverso i tributi: è con il possesso della terra che si acquisiscono ricchezza e potere. Le coltivazioni si diramano in direzione della Cina meridionale, la penisola indocinese, la Guinea, e verso le aree dell’Africa mediterranea: nasce così il ceppo linguistico indoeuropeo. La geografia dell’agricoltura è molto varia, a causa della diversità dei climi, dei paesaggi, degli ecosistemi, delle specie zoologiche, ma anche delle tecniche utilizzate. Il commercio, invece è un fatto di movimento: sopravvive e si sviluppa mettendo in contatto luoghi distanti. Sarà proprio questo a ridisegnare la mappa del Mondo, creando rapporti, generando interazione culturale e facendo crescere certi luoghi piuttosto che altri. Iniziano a prendere forma le specializzazioni regionali—> facendo sempre la stessa cosa, si impara a farla bene e sempre meglio.. è necessario che esistano le condizioni ecologiche per la specializzazione, ossia che l’ecosistema fornisca un’adeguata quantità delle risorse necessarie. La specializzazione è la forma più efficace di produrre surplus; ma il troppo sfruttamento (unito al mutamento climatico) è anche ciò che porta alle crisi ecologiche (l’alternarsi di fasi plurisecolari di clima caldo e freddo). E’ la tecnologia che porta le soluzioni a tali crisi e permette comunque l’espansione dell’agricoltura e dei commerci; essa impatta anche sulla formazione dello Stato—> chi evolve prima, prende il potere. Gli studi mostrano una crescita inesistente nel I millennio d.C. ed una successiva crescita nei 500 anni dopo in cui la popolazione mondiale quasi raddoppia. Le flessioni demografiche sono dovute appunto ai secoli freddi che portano restrizioni ad allevamento, agricoltura, commercio… (es. crollo dell’impero romano). Dopo il 1300 il clima migliora di nuovo e favorisce soprattutto il commercio via mare—> Mediterraneo, oceano Indiano, Mar della Cina e Atlantico. Si crea così un autentico sistema mercantile che connette tutte le regioni conosciute del Mondo.

La prima globalizzazione (integrazione dei mercati oceanici dal XVI sec.) I mercati orientali erano molto più avanzati e redditizi di quelli occidentali—> l’Europa occidentale all’inizio partecipava ai traffici essenzialmente come importatrice, finché alla fine del XV secolo inizia a produrre le proprie navi a tre alberi in grado di affrontare l’Atlantico. A ciò seguirà la scoperta dell’America (1492) e la circumnavigazione dell’Africa. La colonizzazione comporterà la decimazione delle popolazioni indigene, operata per mano o dalle malattie degli europei, creando società stratificate e politicamente centralizzate. Il paese più ricco d’Europa in questo periodo è l’Italia, grazie alle sue città stato (Genova, Venezia, Firenze, Milano), alla centralità nei traffici mediterranei e al suo know how e cultura. Sarà poi l’Olanda a ereditare i profitti da traffico veneziani e le capacità finanziarie genovesi, unendo nelle sue due Compagnie delle Indie, la flotta militare—> controlleranno il commercio degli schiavi e delle spezie. Dopo l’Olanda la leadership passa al Regno Unito, che diventa anche fabbrica mondiale di prodotti industriali. L’accumulazione attraverso il commercio supera quella dell’agricoltura; nei territori asiatici i possessori di terra riuscivano a controllare l’arricchimento dei mercanti, mentre in Europa ciò non succedeva, grazie alle leggi a tutela della proprietà privata e delle libertà individuali. La maturazione delle tecniche produttive e il conseguente incremento demografico hanno portato all’utilizzo del capitale naturale che è sempre meno sostenibile—> Cina e India si erano specializzate in produzioni land and labour intensive, mentre l’Europa in produzioni capital intensive. La produzione industriale diviene presto l’attività umana in grado di generare la massima ricchezza, grazie alle scoperte in campo tecnologico in grado di moltiplicare l’energia disponibile e la produttività di lavoro e capitale—> durante l’era industriale la popolazione diventa 6 volte più grande. Si crea in questo modo una grande divergenza fra le condizioni di vita delle popolazioni del pianeta: le aree industrializzate accrescono notevolmente il loro PIL, mentre le zone del sud America, Africa e India rimangono “indietro”.

La seconda globalizzazione Grazie alla diffusione del telegrafo elettrico e della posa di cavi sottomarini, l’informazione cessa di muoversi a velocità animale e inizia a godere di una rete di circolazione globale. Così, il binomio navigazione a vapore + cavi telegrafici riesce ad integrare il mercato mondiale—> nuova ondata di colonialismo dell’Africa e dell’Asia. Nella seconda metà dell’800 l’effetto congiunto del telegrafo elettrico di Morse e della ferrovia connette i mercati locali con rapidità ed economicità—> tutti i mercati regionali si saldano in unico mercato interno; le imprese iniziano a reperire lavoratori e capitale su scala nazionale e strutturano reti di vendita nazionali. L’industria modifica la base economica urbana, rendendola industriale e saturando le città di impianti produttivi che domandano lavoro e attirano flussi migratori—> le zone rurali si svuotano e le città divenute industriali si riempiono. Il modello geografico della produzione cambia, poiché le industrie tendono a concentrarsi tutte negli stessi territori, in cui ricorrono specifiche condizioni materiali o la possibilità di approvvigionarsi facilmente—> stare vicini è più efficiente ed economico. Secolo britannico—> Ottocento—> prima rivoluzione industriale Secolo americano—> Novecento—> seconda rivoluzione industriale Il secolo britannico è quello del dominio dei mercati manifatturieri che fanno della sterlina la valuta di riferimento internazionale e di Londra la vera piazza finanziaria del pianeta: il Regno Unito si trasforma in impero mondiale, incorporando Asia, Africa e Caraibi. L’America reagisce alla potenza britannica creando un mercato nazionale unificato, eliminando i dazi interni, erigendo una barriera doganale per proteggere le proprie industrie dalle importazioni inglesi e promuovendo il ruolo delle banche al fine di stabilizzare la moneta—> negli anni Ottanta dell’Ottocento supera il Regno Unito in ricchezza. Il punto di forza dell’America risulta essere l’abbondanza di terra coltivabile, praterie, foreste e disponibilità idriche: i rendimenti di scala sono crescenti e i salari reali sono maggiori di quelli inglesi. Un ulteriore elemento di distinzione è la tendenza alla standardizzazione, ossia alla produzione in serie, che produce economie di scala. Anche in America, grazie all’effetto del telegrafo e della ferrovia, si va formando un mercato interno molto vasto, ma per addizioni di spazio vergine sottratto con forza ai nativi o al Messico—> i mercati degli USA diventano oligopolistici, eliminando la concorrenza fra piccole imprese e sostituendola con mercati dominati da un numero limitato di grandi imprese. Devono risolvere il problema della loro organizzazione e dell’ottimizzazione delle capacità produttive ci riusciranno Taylor (che riprometto il layout delle fabbriche per aumentare la produttività) e Ford (crea la catena di montaggio). La catena di montaggio apre il secolo americano, rivoluzionando la logica industriale—> c’è bisogno di più domanda per coprire una così ampia offerta. Scoppia la crisi negli anni Trenta (bolla speculativa) a causa dell’espansione del credito al consumo—> Keynes prescrive il controllo delle variabili macroeconomiche per assicurare equilibrio tra domanda e offerta, piena occupazione e gestione dell’inflazione. La zona più produttiva in USA è la Manufacturing Belt (a nord-est) che riceve numerosi flussi migratori prevalentemente dagli stati del Sud. La Guerra fredda, ovvero il conflitto tra blocco occidentale (USA) e blocco orientale (USSR), unita al processo di decolonizzazione, porta conseguenze su scala globale: la crescita demografica e l’allargamento della forbice della ricchezza—> gigantesca asimmetria geografica nella distribuzione mondiale della ricchezza.

Il periodo 1950-1973, cosiddetto Golden Age, vede una crescita del PIL mondiale del 4,9%, dovuto alla nuova strategia industriale scale and capital intensive—> le risorse naturali vengono sostituite con materie artificiali (es. plastica) che non scarseggiano mai. L’enorme concentrazione di popolazione e attività produttive genera livelli di inquinamento altissimi, e la comunità scientifica inizia le sue preoccupanti proiezioni per il futuro. Nel 1973 ha luogo il primo shock petrolifero causato dall’ OPEC (di matrice araba), un’organizzazione che raggruppa i paesi produttori di petrolio—> immediata causa politica nella guerra del Kippur tra Egitto e Israele. Il modello fordista alla lunga genera eccesso di rigidità e diminuzione dei profitti—> il costo del lavoro aumenta—> il lavoro viene sostituito con la tecnologia (globalizzazione). La terza globalizzazione Periodo a partire dagli ultimi decenni del Novecento. Le tecnologie devono riuscire a dare flessibilità all’intero ciclo produttivo e permettere l’organizzazione a distanza delle varie attività dell’impresa—> viene ottenuto con la software industry, in grado di creare sistemi gestionali per ottimizzare la logistica e la produzione. Il fattore tecnologico sarebbe stato inutile se non fosse intervenuto il fattore politico, ovvero se i mercati non fossero stati integrati con l’amministrazione Reagan (1981-1989, post Guerra Fredda), che creò con gli alleati un mercato unico privo di vincoli alla circolazione di capitali e investimenti. Tale integrazione in realtà era principalmente mirata a restituire alle imprese americane il dominio che avevano perso durante la guerra, essendosi trovati a dover favorire lo sviluppo economico degli alleati (Europa occidentale e Giappone)—> gli USA erano gli unici a possedere le nuove tecnologie microelettroniche, che avevano sviluppato e protetto durante la guerra. Mentre il vecchio mondo industriale aveva favorito l’affermarsi di una middle class sempre più ampia, i nuovi assetti della globalizzazione portavano la società a polarizzarsi, separando un nucleo di abbienti da una quota rilevante di poveri. La globalizzazione mette lo Stato nell’impossibilità di sottoporre a fiscalità le proprie imprese che operano al di fuori della sua giurisdizione—> sono aumentate le tasse ai cittadini e vengono tagliate spese su salute, istruzione, ricerca… Si tratta della cosiddetta crisi Stato-nazione, che costringe lo Stato a trasferire parte delle sue competenze ad istituti sovranazionali (es: moneta unica) e a cedere la sua sovranità ad istituzioni sub-nazionali (es: regioni) in modo che sviluppino delle politiche adatte al territorio. Globalizzando i flussi, la produzione, l’informazione e la comunicazione, le attività antropiche hanno esasperato gli ecosistemi—> centrali nucleari esplose, petrolieri e oleodotti spezzati, crisi umanitarie, eventi climatici estremi. Così emerge la questione ambientale.

CAPITOLO 2 Le radici della geografia affondano nella cultura dell’antica Grecia—> Erodoto descrive i paesi del Mediterraneo e dell’Asia Minore; Eratostene usa per la prima volta la parola geografia; Strabone indica e riconosce come variabile essenziale per la ricchezza la posizione geografica e le caratteristiche del suolo. Il periodo tra il XV e il XVI sec. è l’epoca delle grandi esplorazioni geografiche da parte degli Stati europei: viaggi marittimi e terrestri legati a motivi religiosi, politici, militari o scientifici (Darwin, Marco Polo, Colombo, Vespucci, de Gama..)—> tra il 1487 e il 1522 sono cartografici i 3/4 della Terra. Verso la fine del Settecento la corsa alle conquiste coloniali e al commercio extraeuropeo portano ai viaggi marittimi di Cook, Livingstone, Scott… Nascono le prime società geografiche, che contribuirono a diffondere lo studio della geografia, a promuovere la produzione cartografica e a divulgare viaggi, esplorazioni e scoperte. La geografia come scienza moderna nasce nell’Ottocento in Europa; si ricorda la scuola tedesca con Humboldt (descrizione fisica del mondo), Ritter (ricerca storico-geografica) e Ratzel (fondatore della geografia umana e politica, studia la migrazione dei popoli) e quella francese con Reclus (padre della geografia sociale e studia gli impatti dell’umanità sull’ambiente) e de la Blache

(concetto di genre de vie, inteso come l’insieme delle tradizioni, dell’organizzazione sociale, dei valori radicati in un territorio e delle caratteristiche culturali). Anche grazie all’influsso delle teorie di Darwin sull’evoluzione della specie legata al loro ambiente di vita, vennero tratte due interpretazioni delle relazioni tra uomo e natura: il determinismo geografico e il possibilismo geografico. Il primo ha come riferimento filosofico il positivismo (di Comte), secondo cui i caratteri e la morfologia dell’ambiente naturale influiscono direttamente sui caratteri della popolazione e sulle forme di organizzazione sociale e territoriale. Per la corrente del possibilismo ha senso chiedersi quali relazioni intrattengono le società umane di oggi con l’ambiente naturale—> ormai l’uomo non subisce più passivamente la natura, ma può organizzarla come preferisce. Poi Reclus va oltre il possibilismo mettendo l’accento sulle relazioni e interazioni tra l’ambiente naturale e l’ambiente storico (modificato dall’azione umana); tra l’ ecosistema naturale, caratterizzato dalle interazioni biologiche, e il sistema socio-economico, caratterizzato dalle relazioni sociali e produttive. Negli anni 60 del Novecento si pose l’attenzione sulla Teoria Generale dei Sistemi (TGS), messa a punto da von Bertalanffy—> l’idea era quella di abbandonare il modello di causalità lineare e iniziare ad applicarne uno di causalità circolare che tenesse in considerazione l’interazione tra le parti. Un sistema è un complesso di elementi in interazione reciproca, formato da un insieme di relazioni che si sviluppano nel tempo e nello spazio. Nel 1865 Clausius conia il termine “entropia” per indicare il processo di trasformazione e di scambio di energia. I sistemi termodinamici possono essere di tre tipologie: a) sistemi isolati, assenza di scambi (alta entropia); b) sistemi chiusi, scambio di energia ma non di materia (entropia tende a crescere); c) sistemi aperti, scambi di energia e di materia (bassa entropia). I sistemi territoriali per svilupparsi devono essere “aperti” (scambi commerciali, di comunicazione, di popolazione)—> essenziale per ridurre la loro entropia tramite i flussi provenienti dall’esterno. Roegen applica i principi della termodinamica all’economia ed elabora una teoria secondo cui ogni processo produttivo non diminuisce (perciò aumenta o lascia uguale) l’entropia della Terra: l’energia che si trasforma in stato indisponibile è sottratta alle future generazioni. I sistemi viventi interagiscono con l’ambiente esterno mediante un meccanismo di azione-retroazione: i feedback possono essere positivi se spingono i sistemi verso l’entropia (lo scioglimento dei ghiacciai porta al riscaldamento dell’ambiente che porta a ulteriore scioglimento), oppure negativi se diminuiscono le perturbazioni e le crisi e aumentano la stabilità del sistema. I caratteri fondamentali dei sistemi sono: • capacità di elaborare informazioni • capacità di adattamento al cambiamento • capacità di auto-organizzarsi • capacità di auto-mantenersi Le condizioni necessarie affinché un sistema possa auto-organizzarsi sono la non linearità delle relazioni e l’ apertura del sistema (sollecitazioni dall’esterno, ambiente mutevole). L’autoorganizzazione permette di massimizzare i benefici minimizzando gli sforzi. Lo studio dell’analisi sistemica dell’organizzazione spaziale si compone di tre livelli: -I livello: elementi/attributi (matrice degli attributi spaziali di riferimento). -II livello: relazioni/organizzazione (analisi delle strutture e delle reti dei flussi). -III livello: apertura (sistemi chiusi-aperti; innovazione-conservazione); autoreferenzialità (riproducibilità, autopoiesi); processo (orientato verso un fine). I geografi economisti si sono occupati di tutte quelle attività produttive che trasformano lo spazio economico e i territori: agricoltura, industria, risorse, reti di trasporto e di comu...


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