Appunti Geografia Economica-Politica PDF

Title Appunti Geografia Economica-Politica
Course Geografia Economica-Politica
Institution Università Ca' Foscari Venezia
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Lezione 1 – 09/09/Capitolo 1 – Globalizzazione e territorio: la morte della geografia?La parola “globalizzazione” ha un significato vastissimo, sia dal punto di vista concettuale che da quello pratico, ed è oggetto di una contesa intellettuale e di una battaglia di idee notevolissime. Molti autori t...


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Lezione 1 – 09/09/2020 Capitolo 1 – Globalizzazione e territorio: la morte della geografia? La parola “globalizzazione” ha un significato vastissimo, sia dal punto di vista concettuale che da quello pratico, ed è oggetto di una contesa intellettuale e di una battaglia di idee notevolissime. Molti autori tracciano l’inizio della globalizzazione dalla scoperta dell’America, altri si riferiscono al periodo del colonialismo europeo, altri ancora al periodo successivo a Bretton Woods (1944), quando nacquero il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, e quando il GATT definì l’architettura istituzionale che favorì l’espandersi del capitalismo multinazionale, del commercio internazionale e degli investimenti diretti esteri. A partire dagli anni Ottanta la globalizzazione fece però un salto di qualità enorme, guidato da due fattori fondamentali: a. L’innovazione dei trasporti, non solo da un punto di vista della mobilità delle persone (basti pensare al trasporto aereo), ma anche da un punto di vista del settore dei trasporti marittimi (l’esplosione dell’utilizzo dei container fu infatti fondamentale per l’articolazione transnazionale delle filiere) b. L’innovazione del sistema della gestione delle informazioni e delle telecomunicazioni (internet, comunicazioni satellitari, fondali oceanici per la posa di cavi sottomarini). Questa rivoluzione del settore ICT ha favorito un terzo elemento chiave: l’esplosione della finanza globale. Essa è stata resa possibile non soltanto dall’esistenza di un ciclo di borsa dalla durata di 24 ore, ma anche da un processo di deregolamentazione (minore capacità, e forse anche voglia, di regolare la finanza da parte dei governi nazionali) per alcuni, o di una totale incapacità di regolare il settore finanziario per altri. Oggigiorno viviamo in un mondo in cui “connettività” è la parola chiave. La geografia dei territori conta sempre meno, mentre sta emergendo una geografia più funzionale con nuove reti di relazione globale: le rotte aeree e ferroviarie, gli oleodotti, i cavi telefonici, i cavi sottomarini. La globalizzazione ha anche una dimensione personale e culturale. La pandemia sta intervenendo in maniera molto forte su questo fattore, introducendo una sorta di regime di austerità sociale, modificando la spazialità, tagliando i contatti e le relazioni di secondo livello (quelle in cui ci si apre al diverso) e privilegiando quelle di primo livello (la famiglia e gli amici); questo ha delle conseguenze enormi per l’innovazione, la creatività, l’economia e l’imprenditorialità. Immagini comuni della globalizzazione • La globalizzazione è spesso considerata come una sorta di “coperta che si dispiega sul mondo”, un processo di omogeneizzazione che si espande in maniera uniforme. • I confini non contano più, il mondo sta diventando piatto; questo è vero per quanto riguarda i flussi commerciali, ma non per quanto riguarda, ad esempio, i fenomeni migratori o la pandemia stessa. • Il concetto di distanza è sparito e non è più un fattore che condiziona l’organizzazione spaziale delle attività, che iniziano infatti ad essere “footloose”, “senza legami”, muovendosi liberamente; questo è vero, ma è anche vero che la riduzione della distanza è una riduzione selettiva che dipende dall’appartenenza o meno in una rete di condivisione tecnologica o organizzativa. Questo “shrinking world”, il “mondo che si restringe” e che si interconnette sempre di più, dipende dal fatto che un luogo si trovi dentro o fuori queste reti di condivisione. Inoltre, il concetto di distanza si è arricchito di significati: il più importante è quello di “distanza sociale” o “distanza relativa” in termini di condizioni economiche e di distribuzione di reddito; la globalizzazione ha notevolmente aumentato questi divari. • Sistema globale di valori: compriamo le stesse cose dappertutto e i brand globali (Nike, Starbucks, TikTok) sono icone di un’economia globalizzata; questo non è sempre vero: in molti paesi McDonald’s ha delle specificità, quindi il contesto nazionale resta comunque importante.

Ma allora la globalizzazione implica la fine della geografia intesa come differenziazione geografica? La diversità sta scomparendo in un periodo in cui pare che tutto si stia omogeneizzando? No! E la globalizzazione ha addirittura come caposaldo fondamentale la differenziazione geografica! Senza il ruolo del locale, la globalizzazione non si costruisce. In un mondo interconnesso qualcosa che succede in un posto avrà delle conseguenze in un altro. Con l’aumento della complessità aumenta anche l’incertezza, il disagio, la paura e il rifiuto del diverso, la voglia di chiudersi nel proprio ambiente personale, al punto di determinare dei movimenti di resistenza ai fenomeni globali. Tuttavia, il globale non è mai lo stesso dappertutto: le dinamiche globali interagiscono e sono intrinsecamente radicate nel contesto locale; ogni contesto locale dà una risposta diversa a seconda della human agency, delle risorse disponibili, delle asimmetrie di potere e delle culture locali e nazionali. La globalizzazione crea delle geografie sempre più diseguali, agendo come una sorta di catalizzatore che amplifica i punti di forza e di debolezza, creando dei vincitori e dei vinti a livello geografico e territoriale. Nella globalizzazione trionfante degli anni Novanta e dei primi anni Duemila le grandi città metropolitane erano il cuore pulsante dell’economia mondiale. Tuttavia, queste nuove geografie sono anche molto dinamiche, e ci si chiede infatti se in futuro i vincitori saranno gli stessi: a Londra, ad esempio, centinaia di uffici stanno venendo abbandonati dalle grandi multinazionali e il mercato immobiliare sta rischiando il tracollo. La globalizzazione è un processo che vede confrontarsi delle posizioni molto diverse. Essa ha favorito drammatici confronti tra paesi e all’interno dei paesi non sono dal punto di vista teorico e concettuale, ma anche pratico. Il Premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz, rispetto alle molte manifestazioni no-global – che, in modo contraddittorio, avevano quasi sempre come palcoscenico le grandi città, cuori pulsanti della globalizzazione che loro stessi denunciavano – diceva che qualcosa era andato storto nel processo di globalizzazione, diventando un fenomeno incontrollabile e causando quindi delle crisi di rigetto e delle forme di resistenza. Negli ultimi anni molti pensano e sottolineano che ci sia una rivincita del ruolo dello stato-nazione. Jan Zielonka, attualmente docente di politica e relazioni internazionali all’Università Ca’ Foscari di Venezia, nel libro Controrivoluzione. La Sfida all’Europa Liberale parla di questa critica alla globalizzazione e ai princìpi liberali che ha alimentato l’esplosione di nuovi movimenti sociali globali. Questi movimenti contrari alla globalizzazione – o favorevoli ad una diversa globalizzazione – non sono legati alle tradizioni nazionali, ma fanno riferimento ad una dimensione che, in partenza, è globale. Come loro palcoscenico di elezione, essi scelgono le grandi città (vedi Occupy Wall Street). La globalizzazione si presta dunque a delle visioni tra loro in competizione: • Una visione molto favorevole alla globalizzazione: la globalizzazione implica il diffondersi dell’economia di mercato, un aumento della competizione (la quale favorisce un’ottima allocazione delle risorse), uno sviluppo economico ed un aumento del commercio internazionale, la diffusione di valori occidentali quali la democrazia e i diritti umani (tuttavia, quest’ultima è una cosa che oggi sappiamo non essere più vera, dal momento che a livello politico non c’è affatto un livello di convergenza). È considerato un “progressive trend”, un qualcosa che porta ad un miglioramento, e un “moral good”, un qualcosa che ha un suo valore morale basato sulla crescita economica e sull’idea che la globalizzazione porti a dei benefici diffusi in scala globale. È il frutto della tecnologia, ma è l’ultimo stadio di un processo che inizia in Europa con le teorie della modernizzazione territoriale (vedi Rostow) e di sviluppo della razionalità e del progresso. Nella sfera politica, quello che vale è il cosiddetto “TINA”, al “there is no alternative” alla globalizzazione e all’erosione e all’arretramento del potere dei governi nazionali. Questa visione ha degli attori chiave: il Fondo Monetario Nazionale e la Banca Mondiale. • Una visione anti-globalizzazione: la globalizzazione è una minaccia alle comunità locali, alla sovranità nazionale, alla qualità ambientale, ai diritti dei lavoratori, favorendo la cosiddetta “race to below”, la corsa

al ribasso dei salari, dei diritti, degli standard ambientali da parte delle multinazionali. Per molti aspetti, la globalizzazione viene considerata come qualcosa che riecheggia il colonialismo del passato (vedi “water grabbing” o “land grabbing”). Nella sfera politica, la globalizzazione non è qualcosa di inesorabile ed inevitabile, ma un’agenda politica fissata nell’interesse di pochi – le élite economico-finanziarie – a spese dei molti; essa, infatti, aumenta le diseguaglianze sia tra i paesi che all’interno dei paesi. • Una visione alter-globalizzazione: la globalizzazione non ha un esito scontato, non è un processo lineare ed obbligato, ma deriva dall’interazione di scelte politiche (la human agency) ed è esito di conflitti tra valori, politiche e strategie diverse. Essa si nutre anche di “stop and go”, di fasi in cui va in crisi e fasi in cui si riprende a cause dei cambiamenti dei rapporti, delle risorse e del modo in cui la human agency si manifesta. Il tema chiave di questa visione è la democrazia e la questione fondamentale è come e da chi la globalizzazione viene regolata. Lo stato-nazione e i cittadini giocano un ruolo fondamentale e la globalizzazione dipende anche da quello che essi riescono a fare. È importante sottolineare che la visione della globalizzazione cambia a seconda del posto da cui si proviene: generalmente, gli studenti provenienti dal Vietnam esprimono posizioni entusiastiche rispetto alla globalizzazione, sottolineando come essa sia un processo che apre alle relazioni, che crea ricchezza, che rende la gente più attenta al mondo; gli studenti provenienti da molti paesi Europei, invece, ne sottolineano spesso i problemi ambientali, la perdita di lavoro nei settori tradizionali, la difficoltà dei giovani di immaginare un futuro, il senso di incertezza rispetto al ritmo dei cambiamenti. Continuiamo ad avere un approccio troppo eurocentrico rispetto ai fenomeni che analizziamo. Ci sono decine di definizioni del termine globalizzazione: • «A big buzzword in political speech»: una parola chiave nel discorso politico che viene spesso utilizzata per rappresentare lo stato del mondo (come è stata la parola “modernizzazione” e com’è ora la parola “sostenibilità”), ma che si presta anche a interpretazioni molto diverse tra loro. • Una definizione molto più realistica descrive la globalizzazione come un insieme di processi che danno vita ad una trasformazione dell’organizzazione spaziale delle relazioni sociali e delle transazioni di vario tipo, generando flussi e reti interregionali e transcontinentali. • Un’altra definizione fondamentale riprende una definizione del giurista e filosofo Carl Schmitt: un processo nel quale i condizionamenti della geografia sulla vita sociale, economica e culturale diventano meno importanti; questo processo è accompagnato da una crescente consapevolezza individuale e sociale della recessione di questi condizionamenti (le persone si sentono meno vincolate dalle loro condizioni sociali e dalla loro appartenenza etica). La rivoluzione spaziale di Schmitt è definita come una successione di innovazioni materiali (l’apertura di nuove rotte, la scoperta di un nuovo continente o di nuove aree geografiche, l’introduzione di nuove forme di energia, il cambiamento di un ordine geopolitico) che modificano la percezione dello spazio e che portano ad una diversa rappresentazione del mondo. • Un insieme di processi dialettici guidati dalla human agency che creano reti locale-locale di inclusione o esclusione che trascendono i confini nazionali e che tendono, in gran parte, a diventare globali. Come contribuisce la geografia allo studio della globalizzazione? 1. Spiegando la diversità della globalizzazione in diverse parti del mondo 2. Spiegando come le diversità contribuiscano a spiegare i diversi modi in cui la globalizzazione si realizza 3. Entrando nel merito del “glocale” (il globale che interagisce con la dimensione locale) Box Importanza dell’innovazione nel settore dei trasporti e delle comunicazioni per quanto riguarda il processo di globalizzazione Una protesta locale in Cile per contrastare delle

Contenuto – importanza

riforme del sistema scolastico è diventata il motore di una protesta globale Il contesto geografico di partenza è fondamentale per spiegare le diverse definizioni che gli studenti danno al concetto di “globalizzazione” Lezione 2 – 16/09/2020 Capitolo 2 – Globalizzazione e territorio: diverse teorie Anche se stiamo sperimentando una fase senza precedenti dal punto di vista della velocità di estensione della globalizzazione e dei suoi effetti non dobbiamo dimenticare che la globalizzazione ha una lunga storia. Diversi studiosi e teorici delle scienze sociali, pur non parlando espressamente di globalizzazione, hanno considerato il tema dell’espansione globale dell’economia: • Il sociologo Durkheim afferma che l’industrializzazione travalica i confini tra diverse società e diversi contesti nazionali; essa indebolisce le strutture e le culture politiche nazionali. • Marx, storico, filosofo ed economista, teorizza che la logica stessa del capitalismo di accumulazione dei profitti e del capitale espande gli orizzonti geografici. • Wallerstein, storico e scienziato della politica e formulatore della World System Theory, sottolinea che il sistema economico capitalistico tende a creare un unico sistema-mondo retto da una logica di mercato. Secondo Wallerstein non esistono un primo mondo, un secondo mondo e un terzo mondo, ma esiste un unico sistema caratterizzato da tre livelli gerarchici: il livello del centro (gli stati ricchi, i mercati dinamici, la capacità di controllare economicamente, finanziariamente, politicamente e militarmente altri contesti), la periferia (i paesi che esportano prodotti agricoli e materie prime, che importano prodotti ad alto valore aggiunto, la cui economia e la cui politica sono retaggio del sistema coloniale), e la semi-periferia (i paesi che ambiscono a diventare il nuovo centro e che quindi erodono il potere economico dei paesi tradizionalmente facenti parte del cosiddetto centro del mondo). • McLuhan inventa la metafora del villaggio globale: il globo non è altro che un villaggio in cui le forme di comunicazione orali diventano di nuovo fondamentali grazie alle tecnologie della comunicazione. Questa metafora è stata interpretata sia in prospettiva ottimistica (viviamo in un villaggio globale, siamo tutti vicini, condividiamo il futuro) sia in maniera pessimistica (viviamo in uno spazio di terrore e incertezza, di affermazione di nuovi tribalismi). Modelli astratti di globalizzazione Il modello iper-globalista • La globalizzazione è una nuova fase della storia; il suo motore è la tecnologia nel campo dei trasporti, della circolazione delle informazioni, delle telecomunicazioni, eccetera. • I confini sono irrilevanti in quanto sta emergendo un mercato globale nel quale i mercati nazionali contano sempre meno e i fattori produttivi sono sempre più liberi di muoversi. • Lo stato-nazione è un’unità innaturale che non può funzionare nel mondo globale. Il concetto di interesse nazionale viene fortemente messo in discussione. • Stanno emergendo nuove forme di governance che stanno “sopra” il livello statale (le organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite, il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale e l’Organizzazione Mondiale per il Commercio, e i blocchi regionali come l’Unione Europea) e “sotto” il livello statale (i movimenti sociali globali). Governo = il governo nazionale e le sue articolazioni regionali, provinciali, comunali.

Governance = il coinvolgimento di attori pubblici e privati attraverso strumenti formali, come leggi e regolamenti, ma anche strumenti informali, come incentivi, regolazioni e coinvolgimento degli attori. • Il mercato globale e la competizione pura e perfetta sono lo stato finale in cui questo processo di globalizzazione approda: ci possono essere delle imperfezioni, non tutto è davvero libero e globale, ma il processo complessivo va verso uno stato di concorrenza perfetta e di mercato globale. La teoria iper-globalista viene fatta propria sia da chi sostiene valori liberali e neoliberali sia in economia che in politica, come la democrazia, il mercato e i diritti civili, sia dai neo-Marxisti, che sottolineano come la globalizzazione sia un nuovo vettore di sfruttamento e sopraffazione. Questo modello valuta in modo estremamente positivo il processo di globalizzazione. Questa positività viene tuttavia smentita a partire dalla fine della Guerra Fredda, cioè dalla fine di un ordine bipolare e di un conflitto tra valori diversi. Sebbene gli iper-globalisti ritengano che il mondo occidentale abbia vinto (“the West has won”), questo processo di globalizzazione e di convergenza politica ed economica che loro esaltano non avviene: da un punto di vista politico, è la democrazia formale che si è diffusa a livello globale, non la democrazia sostanziale; da un punto di vista economico, esistono diverse decine di forme di capitalismo. In poche parole, i sistemi politici ed economici non si diffondono in modo omogeneo, ma continuano a rimanere diversi tra loro. È per questo motivo che il modello iper-globalista sta diventando rapidamente obsoleto; andava infatti di moda negli anni Ottanta e Novanta, quando la globalizzazione era vista come un processo inevitabile ed inarrestabile. Il modello scettico • La fase attuale della globalizzazione non è una fase in cui le economie sono più integrate rispetto al passato: nel periodo d’oro del Gold Standard (alla fine del XIX secolo) le economie erano altrettanto integrate. Come misurare il livello di integrazione? Essa è data dal rapporto tra esportazioni e importazioni: maggiore è questo rapporto, tanto più i paesi sono orientati al commercio internazionale e le economie integrate tra loro. • Non è vero che i flussi sono liberi e non regolati – è vero se si guarda ai capitali, ma il lavoro, ad esempio, è un fattore di produzione molto più costretto dentro ai limiti nazionali ed è fortemente regolato dalle singole condizioni nazionali. Al contrario, i flussi sono viscosi: quello viene considerato essere libero mercato è invece fortemente regolato da norme internazionali e nazionali. • I governi nazionali continuano ad avere un ruolo chiave: essi, infatti, attribuiscono potere agli organismi internazionali e definiscono le regole internazionali. Questo aspetto va particolarmente di moda al giorno d’oggi, e una grande attenzione è data al concetto di sovranità nazionale. • La tendenza più importante al giorno d’oggi è il regionalismo, ovvero la creazione di blocchi nazionali. Il mercato nazionale è infatti composto da grandi blocchi, l’Unione Europea, il NAFTA, l’ASEAN. L’attuale pandemia sta riportando l’attenzione su questo tema, anche se non è facile prevederne gli effetti: secondo alcuni essa si innesta su un processo di “deglobalizzazione” già all’opera da molti anni, ridando valore al ruolo dello stato; la globalizzazione sarà quindi sempre più legata ad una dimensione regionale, alimentata dal fatto che molte filiere, come quelle sanitarie, stanno subendo un processo di ri-centralizzazione nazionale (per quanto riguarda la filiera sanitaria, ad esempio, gli stati stanno ricominciando a produrre mascherine per non essere dipendenti da altri mercati). • La globalizzazione è soltanto una narrativa, un’agenda politica usata dalle grandi imprese e dai governi delle nazioni più forti; è la fase ultima di un processo di espansione politica delle potenze occidentali più importanti. Il modello trasformazionalista

• La globalizzazione non è un’agenda politica, e non è neanche un processo completamente nuovo: è un processo storico, contingente, non lineare, soggetto a degli “stop-and-go”, e non ha un esito predeterminato, non può esser...


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