Seneca Consolatio ad Helviam matrem 1 PDF

Title Seneca Consolatio ad Helviam matrem 1
Author Raffaela Vaccaro
Course Didattica del latino 
Institution Università degli Studi di Salerno
Pages 2
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Summary

Consolatio ad Helviam Matrem: traduzione letterale primo capitolo...


Description

1 °CAPITOLO 1) Spesso già, ottima madre, presi l'impulso di consolarti, spesso mi trattenni. Molte cose mi spingevano a osarlo; dapprima mi sembravo sul punto di deporre tutti i mali, avendo potuto, anche se non sopprimere, intanto certamente asciugare le tue lacrime; poi non dubitavo che di più avrei avuto di autorità ad eccitarti, se mi fossi risollevato io stesso per primo; inoltre temevo che la sorte, vinta da me, vincesse qualcuno dei miei. E così mi sforzavo comunque, posta la mano sulla mia piaga, di trascinarmi a curare le vostre ferite. 2)C’erano cose che di nuovo ritardassero questo mio proposito: Sapevo che non dovevo contrastare il tuo dolore mentre fresco incrudelisse, affinchè gli stessi sollazzi non lo irritassero e accendessero - infatti anche nelle malattie niente è più dannoso che una medicina prematura; e così aspettavo mentre esso stesso infrangesse le sue forze e, mitigato dall’indugio a sostenere le cure, si lasciasse toccare e trattare. Inoltre, sfogliando tutte le opere degli scrittori più famosi composte per contenere e moderare i lutti, non trovavo l'esempio di qualcuno che avesse consoIato i suoi, essendo compianto egli stesso da quelli; così in una cosa nuova esitavo e temevo che questa non fosse una consolazione, ma un aggravamento. 3)Che, perché occorrevano parole nuove, né assunte dal sermone banale e quotidiano, ad un uomo che, per consolare i suoi, sollevava il capo dallo stesso rogo? Invece tutta la grandezza di un dolore che eccede la misura è necessario che tolga il piacere delle parole chiudendo spesso anche la voce stessa. 4) Io, comunque, mi sforzerò, non per la fiducia dell’ingegno, ma poiché io stesso consolatore posso essere come la consolazione più efficace. A chi negheresti nulla, a questo spero non negherai comunque questo, è lecito che tutto il dolore sia ostinato, affinchè voglia che al tuo desiderio sia stabilito da me una misura. CAPITOLO 2: 2. vedi quanto dalla tua indulgenza abbia promesso per me: non dubito che sarò più potente presso di te che il tuo dolore, del quale niente è più potente presso i miseri. E così affinchè non concorra subito con quello, sarò prima per quello e inserirò cose con cui sia eccitato; riporterò tutto e scinderò le cose che sono già condotte. 2.2.Qualcuno dirà: “qual è questo genere di consolare, rievocare mali obliterati e collocare l’animo al cospetto di tutte le sue sciagure che a stento ne sopporta una?” ma egli pensi, che qualunque fino a ciò è pericoloso che abbiano validato il rimedio di contro, perlopiù sono curati con le cose contrarie. E così muoverò a quella tutti i suoi lutti, tutte le cose lugubri: questo sarà non medicare con una via morbida, ma bruciare e tagliare. Che cosa conseguirò? Affinchè si vergogni l’animo vincitore di tante miserie di sopportare male una ferita in un corpo tanto cicatrizzato. 2.3.E così piangano più a lungo e gemano, la lunga felicità dei quali snervò le menti delicate, e al moto di lievissime ingiurie vacillano: ma dei quali tutti gli anni passarono attraverso calamità, sopportino con costanza anche gravissima e forte e immobile. L’assidua infelicità ha un bene, che quelli che sempre vessa alla fine li indurisce. 2.4.A te la fortuna non diede nessuna vacanza dai gravissimi lutti, neppure eccettuò il tuo compleanno: perdesti la madre appena nata, anzi mentre sei nata, e sei stata esposta alla vita in un certo modo. Crescesti sotto una matrigna, che tu certamente con ogni ossequio e pietà, quanta anche in una figlia può esser vista, la costringesti a diventare madre: tuttavia a nessuno si stabilì non a gran prezzo anche una buona matrigna. Perdesti lo zio indulgentissimo, ottimo e uomo fortissimo, aspettando il suo arrivo; e affinchè la fortuna non facesse la sua sevizia più lieve dividendola, entro il 30esimo giorno portasti via il carissimo uomo dal quale eri madre di 3 figli. 2.5.A te che stavi a lutto fu annunciato il lutto certamente assenti tutti i figli, quasi di proposito gettati i tuoi mali in quel tempo affinchè non ci fosse niente dove il duo dolore si appoggiasse. Tralascio tanti pericoli,

tanti timori, che senza intervallo sopportasti che correvano verso di te: or ora nello stesso seno dal quale avevi emesso 3 nipoti ricevesti le ossa di 3 nipoti; entro il ventesimo giorno da quando avevi sepolto mio figlio morto nelle tue mani e nei tuoi baci, mi sentisti strappato: ancora questo ti era mancato, stare a lutto per i vivi. CAPITOLO 3: Gravissima è, da tutte le cose che ma discesero nel tuo corpo, la ferita recente, lo confesso: non ruppe la somma cute, divise il petto e le stesse viscere. Ma nel modo in cui le reclute lievemente ferite tuttavia vociferano e temono le mani dei medici più che il ferro, ma i veterani sebbene scavati pazientemente e senza gemito come corpi altrui permettono di essere guariti, così come ora tu devi fortemente offrirti alla cura. Certamente i lamenti e gli ululati e altre cose attraverso le quali quasi il dolore femminile è scosso, rimuovi; perdesti infatti tanti mali se non ancora imparasti ad essere misera. E che sembro aver agito con te non timidamente? Niente ti condussi via dai tuoi mali, ma davanti a te li posi tutti accatastati. CAPITOLO 4: 4.1.Feci questo con grande animo; stabilii infatti di vincere il tuo dolore, non di scriverci intorno. D’altra parte vincerò, credo, dapprima se avrò mostrato che niente patisco per cui io stesso possa dirmi misero, non ancora per cui faccia miseri anche quelli cui tengo; poi se sarò passato a te e avrò provato che certamente la tua fortuna non è grave, che tutta dipende dalla mia. 4.2.Questo per primo inizierò che la tua pietà desidera udire, che niente è a me di male. Se avrò potuto, farò manifesto che non sono intollerabili le stesse cose da cui tu mi reputi essere pressato; se ciò non avrà potuto essere creduto, ma io stesso mi piacerò di più, poiché tra quelle cose sarò beato che sono solite fare miseri. Non è che tu creda ad altri su di me; io stesso a te, affinchè non ti turbi con opinioni incerte, indico che io non sono misero. Aggiungerò, affinchè tu sia più sicura, che neppure io posso diventare misero....


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