Sicilia e Islam - Riassunto libro PDF

Title Sicilia e Islam - Riassunto libro
Course Storia dei paesi islamici
Institution Università degli Studi di Palermo
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Riassunto libro...


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STORIA DEI PAESI ISLAMICI Sicilia e Islam, Antonio Pellitteri Il motivo per cui sono pochi gli arabisti e islamisti italiani che si occupano della Sicilia musulmana sta probabilmente nei problemi di carattere metodologico che si incontrano durante lo studio della storia della Sicilia e del mondo islamico. L’opera di Michele Amari, storico dell’Ottocento che si occupò della Storia dei musulmani di Sicilia, sembra ostacolare nuove letture fondate sulla critica delle fonti e sul reperimento di nuove. Essa, inoltre, lascia insoluti diversi problemi, il primo dei quali concerne le fonti arabe tradotte da Amari nell’altra sua opera Biblioteca arabo-sicula. Tali fonti, posteriori ai fatti narrati, andrebbero riconsiderate in relazione ai nuovi studi, tra i quali l’arte e l’archeologia musulmane, gli studi linguistici, la toponomastica, ecc., proprio come fa Umberto Rizzitano nella sua Storia e cultura nella Sicilia saracena (1975). L’altro problema riguarda, invece, il giudizio sul passato e sul rapporto di questo con il presente; Amari, infatti, ebbe un giudizio molto negativo sul dominio romano in Sicilia, come di conseguenza sul dominio bizantino, considerato in continuità. Conquista della Sicilia musulmana – introduzione storica I governanti islamici della Sicilia, che dominarono l'isola tra l'827 e il 1061, possono essere suddivisi in tre categorie: governatori aghlabidi (827 – 910), governatori fatimidi (910 – 948) e governatori kalbiti (948 – 1053). La Sicilia era strategicamente fondamentale: era il cuore di tutti i territori e ne favoriva gli scambi. Nell'827 la Sicilia viene conquistata dalla dinastia degli aghlabidi, una dinastia di emiri di origine araba legati alla dinastia abbaside di Baghdad che, tra IX e X sec. governò la Tunisia e alcune regioni vicine. Nell'827 gli Aghlabiti, spinti da Eufemio di Messina (governatore della Sicilia ribelle all'impero di Bisanzio), iniziarono la conquista della Sicilia. La spedizione fu guidata da Asad ibn alFurat e si connotò sotto il duplice aspetto del jihad: lo sforzo a rimanere sulla via di Dio e l'acquisizione di nuove conoscenze. Dopo un iniziale successo dovettero impegnarsi duramente, costretti come furono ad affrontare, oltre alla resistenza locale, le spedizioni inviate da Bisanzio. Pur attraversando contrasti interni e ribellioni di capi locali, gli Aghlabiti mantennero fino alla metà del IX sec. una stabilità politica, estesero i loro domini territoriali (829. Agrigento, 831. Palermo (*), 851. Enna, 878. Siracusa) e promosero lo sviluppo economico delle regioni da loro controllate. (*) Palermo diviene oltre che capitale della Sicilia islamica, centro culturale ed emporio commerciale per gli scambi con Oriente e Spagna. In questo periodo si mira alla consolidazione del potere politico e militare al fine di sviluppare importanti attività economiche e culturali tese ad affermare la collocazione dell'isola all'interno della dar al-Islam. → costruzione di moschee e centri di studio; riorganizzazione di centri urbani e compagne; riorganizzazione della società. Nel X sec. la Sicilia cade in mano fatimide. I Fatimidi avevano messo fine all'emirato aghlabide in Ifriqiya. Essi sbarcarono a Mazara nel 910. Nonostante le varie ribellioni antifatimidi nate tra il 913 e il 917, il consolidamento del potere fatimide si concretizzò portando al periodo più florido della Sicilia musulmana. Il consolidamento del potere fatimide si concretizzò con: • fondazione di Khalisa, cittadella che divenne il centro ideologico, politico e militare. ; • invio nell'isola di forze militari a sostegno dell'impero; • arrivo dei Kalbiti, governatori fatimidi. Dopo la conquista fatimide la Sicilia assume lo status di thagr, terra di frontiera ma anche passaggio tra territorio islamico e non islamico. I fatimidi comandarono fino al 947, quando delegheranno i poteri agli amministratori, per spostarsi in Egitto e fondare il Cairo.

Il potere della terza dinastia, quella kalbita, durerà per un secolo (dal 948 al 1053) ma si tratterà di una dinastia semi-dipendente. Questo è il periodo del rigoglio culturale, con lo sviluppo della letteratura. Nel 1061 inizia la conquista bizantina che sottrasse l'isola all'Islam; nel 1072 cadde anche Palermo. I normanni rinsaldarono la funzione mediatrice della Sicilia e si proposero come occasione di incontro fecondo, soprattutto con Ruggero II, che intrattenne relazioni positive con le dinastie musulmane del Mediterraneo, guardandole sempre con rispetto pur in condizione di inferiorità. Ruggero II si interessò anche alla politica e alla cultura islamica. Assieme al latino e al greco, l'arabo fu riconosciuto come lingua ufficiale. Con il regno del sovrano successivo, Guglielmo I, si aprì il periodo dei moti anti-musulmani, protrattisi nel tempo fino al regno di Federico II di Svevia, che chiuse il capitolo della presenza dei musulmani in Sicilia. La Sicilia musulmana: immagini allo specchio Nel 1852 il Giornale Officiale di Sicilia pubblicava un breve testo che riferiva della visita a Taormina dell’emiro Abd al-Qadir, capo delle resistenza algerina all’aggressione francese. Il testo rappresenta il nesso tra attualità politica e recupero della memoria storica, argomento che costituì il dibattito storico-culturale dell’Ottocento, incentrato sulle questioni della lettura delle fonti e della rappresentazione dell’Altro. Un altro episodio rilevante riguarda la visita dello shaykh Muhammad Abduh nel 1902. Durante la sua permanenza, egli consultò opere in arabo e materiale riguardante la presenza islamica in Sicilia, visitò monumenti di epoca normanna che gli resero noto quanto importante fosse stato il ruolo dell’Islam nel rendere l’isola un anello di giunzione tra aree comunicanti. Visitò il Palazzo reale, con le sue riproduzioni di fattura islamica, la chiesa di San Giovanni degli Eremiti, che con la sua cupola rossa e il minareto doveva essere stata sicuramente una moschea, il Palazzo della Zisa, con la sua fontana tipo salsabil. Nelle sue osservazioni, dunque, Muhammad Abduh sottolinea il tema complesso della necessaria lettura del passato e del ruolo che tale passato può giocare nel futuro, dato che la storia è considerata movimento. La produzione storiografica siciliana, avvalendosi dei risultati prodotti dalla ricerca arabistica, dedicò molto spazio alla questione della presenza islamica nella Sicilia del Medioevo. Tuttavia, nei processi di ricomposizione storico-politici, la storiografia siciliana venne a rappresentare un fenomeno complesso rispetto ad altre tendenze dominanti in Europa. La sequela degli avvenimenti a cui ci hanno abituato le tradizionali fonti arabo-musulmane, dall’Amari raccolte e analizzate, possono spingere lo studioso a ritenere definitivi noti giudizi storico-politici, che invece tra la fine del Settecento furono al centro del discorso politico legato al sicilianismo. Si sono infatti rivelate novità, tra cui scoperte archeologiche, nuovi studi a carattere socio-economico, edizioni di fonti sciite ignote ad Amari, che possono ridefinire il ruolo della Sicilia nel quadro dell’appartenenza al Dar al-Islam. Quale fu la linea interpretativa che caratterizzò la storiografia siciliana più rappresentativa tra la fine del Settecento e la metà del XIX secolo? A partire dal 1500, in Occidente prese avvio il processo di perfezionamento della tecnica storiografica, importante fu il contributo di Fazello, ritenuto il padre della storia siciliana. Tuttavia, è soprattutto alla fine del Settecento che in Sicilia, grazie alle correnti dell’illuminismo, si diffusero nuovi approcci storiografici. Gli studi arabistici, in particolare, incoraggiarono il desiderio di acquisizione di nuove conoscenze, sollecitando più indagini e interessi. La produzione storiografica siciliana del periodo considerò sostanzialmente positivo l’avvento dell’Islam, l’inizio di una nuova

era, grazie al rifiorire degli studi, all’amministrazione e all’ordinamento giuridico, al risorgimento dell’economia e dell’agricoltura. Merito della storiografia siciliana, dunque, fu l’aver sottolineato la valenza fondamentale degli apporti derivati dalla presenza islamica. Carmelo Martorana, intellettuale e giurisperito, pubblicò nel 1833 l’opera Notizie storiche dei Saraceni siciliani, considerata la prima storia dedicata da un non arabista alla Sicilia musulmana, con il proposito di far luce su tale periodo. L’autore narra gli eventi storici con molti dettagli e con lo scrupolo di verificare la veridicità delle fonti, inoltre delinea gli aspetti dell’ordinamento politico e giuridico su cui si sarebbe fondata la civiltà islamica in Sicilia, in particolare: il sistema del potere e delle relazioni tra governanti e governati, quello delle leggi e delle relazioni tra diverse comunità, ecc. L’opera del Martorana, quindi, può essere rappresentativa della tendenza volta a considerare in modo critico tutti i fattori esterni nell’affermazione di una specificità siciliana. Il dibattito nel XIX sec. e agli inizi del Novecento Il dibattito storiografico in Sicilia tra l'Ottocento e gli inizi del Novecento pose al centro il problema storico-politico e culturale dell'incidenza dei fattori esterni nella formazione di una specificità regionale. Nonostante la presenza dell'Islam nell'isola sia stata di più breve durata rispetto ad altri casi, come quello della Spagna, essa va considerata un elemento essenziale nell'affermazione di un sincretismo (convergenza di elementi ideologici già inconciliabili nella sfera delle concezioni religiose e filosofiche) molto ricco. L'obiettivo è quello di capire e analizzare il ruolo della Sicilia all'interno della Dar al-Islam definendo quali siano state le relazioni tra la Sicilia musulmana e il califfato tra il X e XI sec. In questo periodo, furono numerosi gli studiosi di diverse discipline che avvertirono l’esigenza di precisi riferimenti alla storia e alla cultura arabo-islamica in Sicilia, tra i quali Vito La Mantia e Francesco Maggiore Perni. Quest’interesse si muoveva lungo il percorso della riscoperta, coniugando ad esso l’interesse più generale per l’Oriente. Tale esigenza trovava le sue motivazioni nel bisogno avvertito un po’ da tutti di definire in forme autonomistiche gli elementi caratterizzanti di una specifica storia e cultura siciliana, e con ciò, precisare lo spazio da attribuire alla componente arabo-islamica, che se qualcuno considerava elemento esterno, non era per questo giudicato secondario. Il dibattito fu avviato dall’opera di Amari, Storia dei Musulmani in Sicilia, in cui aveva scritto che per molti secoli la storia islamica della Spagna e della Sicilia era rimasta oscurata, ma che a partire dal XVI secolo, l’apprendimento di lingue orientali, i viaggi, il commercio, ecc. avevano reso praticabili lavori che un tempo erano impossibili. Tuttavia, il dibattito venne interrotto con il primo conflitto mondiale e soprattutto con l’avvento del fascismo. Da questo momento, le realtà regionali e le loro specificità storico-culturali non ebbero più spazio nel quadro dell’unità nazionale: non esisteva, dunque, una cultura siciliana distinta. Paolo Emiliani – Giudici Paolo Emiliani – Giudici nacque in Sicilia nel 1887 e viaggiò nell'Asia araba, compiendo il pellegrinaggio alla Mecca, negli anni 1910-11. In questi stessi anni, egli aveva già ultimato il suo saggio La vita di Maometto secondo le leggende e gli scrittori arabi. I primi decenni del XX secolo, gli anni in cui Giudici scrisse il saggio e compì il viaggio alla Mecca, furono particolarmente significativi per la storia dell'Italia contemporanea. Lo stato italiano tendeva ad affermarsi come potenza imperialista, così nel 1911 dava avvio all'aggressione contro la Libia ottomana, definendo quella vocazione imperiale che porterà alla nascita del fascismo. In questo clima non si può sottovalutare l'influenza della produzione orientalistica italiana, anche se questa era inizialmente animata più da spirito d'avventura che da scopi coloniali. Con la conquista della Libia, però, essa si propose come sostegno della politica imperialista italiana. In questo contesto, l'opera del Giudici rivela delle differenze con la produzione orientalista del resto d'Europa, attraversata dalla corrente dell'estetismo. Anche il Giudici non fu immune da tali

aspetti estetizzanti, e nel suo orientalismo sorgono una spiccata vena fantastica e l'amore per l'Oriente arabo-musulmano. Il Giudici descrive in Pellegrinaggio alla Mecca dunque il suo Pellegrinaggio ai luoghi santi, al termine del quale sarebbe rimasto altri 15 giorni. Non è però chiaro se tale viaggio sia stato effettivamente compiuto, poiché l'autore non dice nulla riguardo alla partenza dall'Italia e all'arrivo nel Vicino Oriente, né parla della sua decisione di compiere il pellegrinaggio sotto le sembianze di un musulmano. Molto generiche e scarse sono quindi le note sulla storia dell'Islam e della sua politica. Più interessanti sono le parti dedicate alle donne musulmane, alla descrizione delle città di Medina e della Mecca e dei loro mercati “pittoreschi”. In ultima analisi, l'Oriente descritto dal Giudici corrisponde a quella visione dell'Ottocento romantico, ciononostante le descrizioni e l'immaginazione rendono l'orientalismo dell'autore molto moderno. Testi e immagini: una disposizione imperfetta Sono numerosi gli scrittori arabi che danno della Sicilia un’immagine speciale. Espressioni come “luogo di apprensione”, “terra di frontiera nonostante il mare che la circonda”. Lo storico iracheno al-Duri, per esempio, scrive che lo studio delle relazioni della Sicilia con le dinastie musulmane è di capitale importanza, in particolare con le dinastie del Maghrib, dell’Egitto e della Siria, affermando che sarebbe impossibile tracciare la storia della Sicilia islamica senza analizzare quel sistema relazionale. D’altra parte, la rappresentazione è legata ai temi della percezione, della memoria e dell’immaginazione. Le fonti cristiane medievali sono generalmente poco attente al contesto storico-culturale e giuridico-religioso relativo alla Sicilia musulmana. Lo storico cristiano si occupò di questo capitolo solo per evidenziare il pericolo che correva la cristianità; di conseguenza l’Islam conquistatore era considerato il nemico più prossimo, avvezzo alle razzie e al sopruso. Le carenze della documentazione cristiana sono ravvisabili nell’uso della stessa terminologia, ad esempio la denominazione del Maghrib come Africa, cioè l’ex Africa romana. Non si trova nessun cenno alla rivoluzione fatimide, né alle relazioni tra kalbiti e fatimidi. I testi, dunque, rimasero imprecisi e narrati dagli scrittori nell’ottica del loro tempo. Viceversa, la centralità della Sicilia nel Mediterraneo e l’importanza del thaghr furono temi molto cari ai musulmani arabi, come testimonia il nome arabizzato Siqilliyyah, la cui radice rimanda a qualcosa di lucente e levigato. Nelle opere di due autori come al-Mas’udi, storico e geografo, e Ibn Jubayr, la percezione è condizionata dai codici espressivi dell’epoca, dal contesto sociale e dalle norme del gruppo di cui gli autori sono membri. Essi hanno espresso un’idea e un momento storico, dunque possono dirsi rappresentativi della collettività. Anche dopo la conquista normanna, il tema del thaghr continuò ad essere al centro. Due fatti vi sono collegati. Uno riguarda un parere giuridico dell’imam al-Mazari, cui fu chiesto da un gruppo di musulmani siciliani se potessero o meno continuare a vivere in un territorio non musulmano. L’imam indicò loro di restare nell’isola e di obbedire alle decisioni di un giudice musulmano anche se investito della carica da un sovrano non musulmano, purché fosse giusto e competente. Problemi storiografici e l'opera del Qadi al-Nu'man I fatimidi governarono la terra secondo pragmatismo, offrendo alla popolazioni il rispetto della tradizione sunnita e della sharia. Il giudizio dell’Amari nei confronti dell’impero fatimide non fu particolarmente favorevole, in quanto considerava quello di Ubayd Allah un regno fondato sulla guerra. Tali considerazioni, però, sono state superate da nuovi studi in merito all’argomento. D’altra parte, l’Amari risentì della tendenza delle fonti che consultò, fonti principalmente posteriori ai fatti narrati e di autori sunniti interessati più alla polemica contro i fatimidi che agli avvenimenti veri e propri. La storia dell’impero fatimide è stata dunque vittima del pregiudizio dei sunniti, i quali non hanno fatto alcuno sforzo per comprenderla, ma solo per giudicarla. Tra i documenti consultati da Amari, si

trovano quelli di Ibn Khaldun, di Abu Bakr al-Maliki, che nelle sue opere raggiunse un grado di ostilità verso gli sciiti tale che rischiò di screditare la propria credibilità, e molti altri. La polemica anti-fatimide ha caratterizzato la storiografia araba fino a quando l’edizione di opere sciite e ismailite prima sconosciute ha aperto nuovi spazi di indagine ed analisi storiografiche. È il caso dell’autore Qadi al-Nu'man, vissuto in Ifriqiyyah nel X secolo e stretto collaboratore dell’imam al-Mu’izz, ricoprì anche la carica di giudice supremo. Egli ebbe un ruolo di primo piano nell’orientare le scelte politiche dell’imam, entrando quasi in simbiosi con lui. Nella sua opera Kitab al-magalis wa’l-musayarat vengono trattati aspetti fondamentali della politica, della dottrina, e delle scelte militari dei califfi fatimidi. In un’altra opera, Iftitah al-da’wah, l’autore ci offre un’importante precisazione del ruolo della Sicilia nel Mediterraneo nel quadro generale in cui si affermò l’impero fatimide. Nell’anno della vittoria di Abu Abd Allah, egli inviò un messaggio alle popolazioni, tra cui quelle di Sicilia, in cui si fissavano le regole del nuovo potere fatimide. Il documento conteneva la promessa di protezione per coloro che accettavano ubbidienza e lealtà, e si affermava la continuazione del jihad contro i nemici. Alla gente di Sicilia si ribadisce che la sicurezza è concessa, sottolineando che l’isola è importante in quanto ard al-jihad. La ribellione di Ibn Qurhub, avvenuta a Palermo tra il 913 e il 917, fu dall’Amari ben vista, e, viceversa, dagli storici musulmani considerata un tentativo di resistenza delle famiglie e dei ceti privilegiati. La rivolta ebbe inizio quando, dopo essersi sbarazzati del potere aghlabita, i siciliani nominarono loro governatore un sostenitore della causa ubaydita così che non intervenisse il nuovo potere direttamente nell’isola. Tuttavia, venne portato un nuovo ‘amil, Ibn Abi Khinzir, che instaurò un regime di terrore, e, nonostante fu richiamato poco dopo, ciò non impedì alla ribellione di scoppiare. Il movimento di Ibn Qurhub ebbe lo scopo di rompere con la nuova dinastia e di ripristinare la sovranità del califfo abbaside, tuttavia la rivolta fu spenta dagli stessi musulmani di Sicilia. I Banu Abi’l-Husayn kalbiti governatori della Sicilia fatimide Secondo Rizzitano, il materiale documentario esistente, contemporaneo ai fatti narrati e in particolare alla storia della Sicilia musulmana è fin troppo scarso e frammentario, pur non togliendo nulla alle opere di Amari, cui sono state date in traduzione solo una parte delle biografie dei governatori siciliani. Tali opere, diversamente da quelle consultate da Amari, pongono le vicende di epoca fatimide nel quadro più complessivo della storia dell’Islam. Oltre a fornire una cornice storico-ideologica, esse sono importanti per i dati riferiti a particolari funzioni politico, militari e amministrative dell’epoca. È molto significativa, in tal senso, la Biografia dell’Ustadh Jawdhar, che delinea il ruolo di governatore che esercita pieni poteri, militari, giuridici, finanziari e religiosi, delegati dal califfo fatimide al governatore di una data provincia. La parola araba che meglio descrive tale carica è ‘amil, letteralmente “esattore di tasse”. I kalbiti di Sicilia, più che emiri, furono dunque ‘ummal ma con maggior rilievo. La biografia dell’Ustadh Jawdhar tende ad avvalorare la tesi per la quale la famiglia dei Banu Abi’l-Husayn, appartenente alla famiglia dei Kalbiti, rappresentò un appoggio sicuro per la propaganda fatimide. Il Qadi al-Nu’man delineava un sistema di relazioni tra governatori e califfo, trattando della prossimità politico-istituzionale e giuridico-dottrinale. La famiglia dei governatori kalbiti venne definita dal califfo “gente della nostra dinastia”. Durante il periodo del califfo fatimide al-Mansur, la Sicilia er...


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