Stoichita pdf PDF

Title Stoichita pdf
Author Claudia Fantauzzi
Course Semiotica dell'arte
Institution Università di Bologna
Pages 23
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esame Corrain...


Description

Victor I. Stoichita: L’invenzione del quadro PRIMA PARTE: L’OCCHIO SORPRESO Il quadro in quanto superficie portante di un dipinto e il quadro in quanto apertura praticata in una parete vengono a essere i due diversi significati di una stessa parola, che non si escludono ma si completano vicendevolmente. Il quadro è invenzione relativamente recente, rispetto alle immagini antiche, legate a una determinata funzione culturale e a una precisa collocazione, è un oggetto destinato a un genere di contemplazione che non è quello con cui ci si avvicina a un’icona. Quando, verso la fine del XVII sec, Charles Perrault “sulla pura arte della pittura” o sulla “le pitture in se”, il semplice fatto che egli possa esprimersi in questa maniera è il risultato dell’esistenza del “quadro” e della sua fortuna. Il 1522 è l’anno che vide la rivolta iconoclasta di Wittemberg, di cui fu organizzatore e teorico Andreas Bodenstein Von Karlstait. Il 1675 è l’anno in cui Cornelis Norbertus Gijsbrechbs, pittore originario di Anversa, eseguì un dipinto in cui rappresentò il rovescio di un quadro. Il 1522 sta ad indicare la morte “simbolica” dell’immagine antica e la nascita di quella nuova, mentre l’esperienza limite di Gijsbrechbs va considerata un discorso estremo sullo statuto del quadro in quanto oggetto figurativo. Tra questi due estremi la scelta è senza dubbio arbitraria ma il carattere di una violenta messa in questione dell’”immagine” o dell’”arte” non potrà sfuggire ad alcuno, si dispiega l’interno progetto dell’oggetto chiamato “quadro”. Le sue radici affondano al di la dell’anno 1522, le sue ripercussioni si propagano oltre il 1775. 1. Aperture L’immagine raddoppiata: testo e fuori–testo. Intorno al 1550 fa la sua comparsa ad Anversa una nuova maniera di affrontare l’immagine pittorica. Si tratta di quelle che oggi vengono chiamate “nature morte invertite”, un genere che ebbe grande successo in Europa, condannato da tutti i teorici come eresia pittorica. A esaminarle oggi quelle opere: sono vere e proprie “oggetti teorici”, immagini cui tema è l’immagine. L’iniziatore dell’“immagine raddoppiata” fu Pieter Aertsen, pittore originario di Amsterdam. Le prime opere raddoppiate di Aertsen vanno fatte risalire alla seconda metà del XVI, il pannello conservato al museo di Vienna datato 25 luglio 1552, ne rappresenta un esempio. La superficie del quadro è quasi completamente occupata da una grande “natura morta” utensili da cucina, viveri, fiori, sullo sfondo lo spazio presenta due aperture: una finestra sulla destra e un vano allo stesso livello sulla sinistra, nessuna delle due aperture è raffigurata integralmente nell’immagine: sia la finestra che il vano sono tagliati dalla cornice, ma benché frammentati questi due sfondamenti raddoppiano e ripetono, i limiti dell’immagine dipinta: sono porzioni isolate di spazio, anch’esse inquadrate come il quadro considerato nella sua totalità. Alla finestra e al vano è data una precisa funzione: quella di essere entrambe pura fonte di luce, non è così per il vano, attraverso il quale si intravede la scena che si sta svolgendo nella stanza contigua. Delimitata, isolata e inquadrata da un’apertura di forma quadrangolare, questa scena sembra un quadro pur non essendolo affatto. Tutta più è un “tableau vivant”. L’opera di Aertsen sembra supportata da una struttura paradossale, offre la vista una “natura morta” in cui è stato inserito un “tableau vivant”. Considerato con gli occhi dell’epoca, il paradosso si accentua notevolmente anche perché in quanto genere pittorico il concetto di “natura morta” non era ancora nato. La materia canonica dell’immagine pittorica era la scena con figure (e la scena religiosa in modo particolare). Il pittore punta sul gioco funzione- realtà. Il quadro misura 60x101 cm, rappresenta cioè gli oggetti a grandezza naturale. La loro disposizione rispetto alle regole codificate dell’illusionismo: i bordi inferiori del tavolo, che occupa tutta la parte sinistra del dipinto, risultano paralleli alla sua superficie. Quindi il quadro raddoppia i limiti dell’immaginazione. Reso prospetticamente, funge da “trampolino” tra il nostro mondo e quello della rappresentazione. La

grandezza naturale è una delle condizioni necessarie di ciò che noi usiamo definire un “trompe – l’oeil” con essa si previene l’invasione da parte dell’immagine, lo spazio dell’osservatore sottolineato dall’apertura dell’armadio sulla destra. Sembra perforare la superficie del quadro, tanto è situato in avanti rispetto ad essa. Perché l’illusione creata da un trompe l’oeil sia perfetta, occorre presentare gli oggetti nella loro interezza. E’ esattamente ciò che Artsen non fa. Ed è proprio nelle zone più altamente illusionistiche che egli si permette di intervenire: lo sportello dell’armadio, il cesto per le stoviglie, la pila delle lenzuola. Tagliando grazie alla cornice il quadro, questi oggetti che emergono con forza straordinaria, egli dimostra che questo “for d’opera”. L’immagine che si trova sullo sfondo a sinistra, da un lato è presentata come separata, inquadrata, “pittoricizzata”, dall’altro si suggerisce una continuità di livello con il primo piano. Il vano che qui funge da cornice stringe la scena soltanto su due lati, in alto a destra. L’estremità di sinistra si confonde con il limite della prima immagine, mentre l’estremità inferiore è solo parzialmente visualizzata dal bordo del tavolo: mancano infatti alcuni centimetri perché possa risultare ritagliata completamente. L’artista avrebbe potuta delimitare l’immagine in basso, ma non lo fa, lasciano libero ad una ristretta porzione suggerisce senza possibilità d’equivoco la continuità tra i due livelli spaziali. Suggerimento evidenziato dal codice della prospettiva: le linee del pavimento a mattonelle arrivano a toccare il limite della superficie pittorica. Le figure sono disposte su una scacchiera, occupano posizioni che le reti delle ortogonali rendono obbligate. La dinamica della pavimentazione è assorbente, mentre quella del tavolo è invadente. Facendo ricorso alla scrittura: sulla terza mattonella all’estremità sinistra del dipinto, troviamo una scritta: “Luca 10”. Dunque si tratta da un brano tratto dal vangelo secondo Luca trasposto in immagine. Opposta in questo quadro periferico la sigla ha un significato chiarissimo. E’ da qui che si deve “cominciare a leggere” l’immagine cioè da sinistra, il quadro doveva essere letto progressivamente verso destra. La seconda iscrizione sul fregio del camino, che si distingue in secondo piano, è possibile leggere la citazione tratta dallo stesso testo evangelico: (Maria si è scelta la parte buona) questa iscrizione produce un frammento del testo evangelico e la colloca al di sopra della scena narrativa, facendole così apparire come un ulteriore sviluppo dell’indicazione testuale. La citazione biblica è posta sul fregio del camino, in una zona della composizione particolarmente densa di significato. Questo fregio, combinato con le cariatidi ai lati del camino, ha la funzione di fornire una seconda cornice alla storia. Il camino riprende l’apertura della stanza separa la scena centrale, con i suoi personaggi “canonici”, dal gruppo degli apostoli. Questi ultimi vengono così a trovarsi in una situazione marginale, sono piuttosto figuranti nella scena che veri attori. La parte superiore del camino è interamente concepita come una cornice raccordo a più gradini, è ripetuta e scandita dal fregio, grifi, metope e il vano. Questo fregio appartiene al primo livello della rappresentazione, cioè allo spazio della natura morta, la lettura della citazione va proseguita su un altro piano: facendo sconfinare il coscio di Agnello sul vano, vuol significare che la dove il testo biblico finisce ne inizia un altro, un testo questa volta composto non da lettere ne parole ma da oggetti. Il trompe l’oeil il “fuor d’opera” potrà essere considerato al pari di una “scrittura con oggetti.” La connessione tra “testo” (visualizzazione del vangelo) e “fuori testo” è evidenziata dalla figura degli apostoli, che sono nel testo pur senza esservi effettivamente. Questo “fuori testo” si contrappone dalla scena sul fondo, esce dalla norma in maniera sorprendente, rappresenta un esempio della “maniera nordica fiamminga”, il dipingere contrastante quella maniera italianizzante del fondo. I due livelli dell’immagine rappresentano anche due diversi momenti della storia dell’arte, vi si manifesta anche una seconda antitesi, quello che oppone il “sacro al profano”. In fondo è un testo (tradotto in immagini): ha un carattere sacro e sfrutta i caratteri tradizionali della pittura, il primo piano è un anti immagine che presenta un fuori testo di carattere profano, facendo uso dei mezzi di un “arte altra”. La sua originalità non sta nell’aver forato l’ultimo piano nella rappresentazione per andarvi a collocare un’immagine. Al contrario la sua novità consiste nell’aver inglobato nel campo visivo dell’opera una porzione dello spazio dell’osservatore, cioè quello che (di norma) restava al di qua dell’immagine. Se è vero che sia solito appendere questo genere di dipinti nelle cucine, ne consegue che la continuità spaziale del mondo reale e il primo piano ne ha in se un significato preciso. Grazie al proprio

carattere illusionistico, la rappresentazione doveva rendere l’immagine e la parola di Dio virtualmente presenti nello spazio per il quale la statua dipinta. Qualunque sia il senso della lettura (nello spazio reale verso l’immagine sul sfondo o dell’immagine sul fondo verso l’immagine reale) il messaggio messo in scena da questa grande natura morta è lo stesso: il ”nutrimento terrestre”. Maria ha scelto- come nutrimento spirituale, la parola di Dio. L’iscrizione sul camino ci dice che è la “parte buona”. Il grande conscio di Agnello che si sovrappone a questa iscrizione e che in un certo qual modo la continua a un altro livello funge da continuazione del discorso scritto: “Maria si è scelta la parte buona, ma…”. Letto in senso inverso, il primo piano del quadro non è soltanto la rappresentazione del cibo, ma anche la sua allegorizzazione; si attua solo mantenendo il rapporto il primo piano con il secondo. Il quadro di Pieter Aetsen si propone, come messa in scena di un conflitto a tre componenti, ma dall’unica soluzione. Le tre componenti del conflitto sono lo spazio, dove il cibo è presente realiter (la cucina), la natura morta del primo piano e l’immagine evangelica del secondo. La componente intermedia (il primo piano dell’immagine) ha un ruolo di transizione. Partecipe sia alla realtà di ogni singolo elemento che dava realtà all’immagine, ed è questo il motivo per il quale il simbolo eucaristico è stato “dissimulato”. Il rimando allusivo al Cristo è già insito nel coscio d’Agnello, un secondo elemento è dato dal garofano, in latino detto carnatio, simbolo dell’incarnazione di Gesù. Il fiore è conficcato in un pezzo di lievito, il lievito non è ancora pane è solo in stato di “transustanziazione”. Il garofano conficcato nel lievito potrebbe dunque essere visto come le “l’ incipit di un testo” simbolico formato dagli oggetti componenti la natura morta. Questo incipit mira al mistero dell’incarnazione, al rapporto tra “parola” e “carne”. È nascita di una nuova maniera di lavorare con /sull’immagine, si tratta per l’artista, di una presa del ruolo di potere del linguaggio dell’immagine e anche della sua portata. Questo quadro ha degli antecedenti e delle ripercussioni, la pittura di oggetti in quanto parergon della pittura di storia, la natura come “anti– immagine”, il carattere di “fuori–testo” e il “pro-fano” della rappresentazione in trompe l’oeil sono gli elementi più importanti codificati dal metodo di Aetsen. I bodegones di Velàzquez e la soglia intertestuale. Il raddoppiamento dell’immagine messo in atto da Pieter Aertsen è stato recepito nel contesto europeo, esempio ne è l’opera giovanile di Velàzquez. I bodegones (nature morte) raddoppiati che l’artista spagnolo dipinse durante gli anni del 1618 -19, a quasi tre quarti di secolo dopo il loro antecedente di Anversa. Due di essi riprendono apparentemente l’idea fondamentale di Aertsen, rapportandovi però varianti significative. Presenta alcune figure all’interno di una cucina, le figure si trovano sulla sinistra della tela, mentre sulla destra vediamo un tavolo con una “natura morta” semplice e austera: 4 pesci in un piano, 2 uova, dell’aglio, un peperone, un orcio. Una giovane donna, è intenta a triturare qualcosa in un mortaio, mentre l’altra, una donna anziana, sembra che la stia rimproverando. In secondo piano, a destra è in corso la scena divenuta ormai tradizionale grazie ad Aertsen: il cristo in casa di Marta e Maria. Nel quadro di Velazquez non figurano iscrizioni. Per afferrare il senso di quest’immagine lo spettatore deve quindi basarsi esclusivamente sui dati visivi, Velazquez organizza l’immagine in maniera retorica, come un discorso figurativo. Nel gesto della prima figura a sinistra: ci introduce nell’immagine, il movimento dell’indice traccia una diagonale invisibile che regge la struttura del quadro e guida lo sguardo dell’osservatore. La seconda figura viene a rinforzare il dialogo: la giovane donna ci guarda. Se in Aetsen la continuità tra spazio figurativo e spazio reale era affidata al trompe l’oeil, in Velazquez il dialogo è il gesto e lo sguardo. Sono “mezze figure” a grandezza naturale, genere riattualizzato dal Caravaggio intorno al 1600, senza però essere accettato dall’accademia. La pittura a mezza figura era considerata inferiore e volgare, si contrapponeva alla pittura di storia, che presentava i personaggi organizzandoli secondo le regole della “disposizione” classica. In Aertsen gli oggetti andavano a sovrapporsi al vano di accesso di una stanza che figurava anche da cornice alla seconda immagine; in Velazquez la cornice dell’immagine “sprofondata” si stacca naturalmente sulla parte del fondo. Il taglio è così evidente che ci

si potrebbe chiedere a buon diritto se si tratti ancora di una vera e propria “apertura” nel muro se non si abbia a che fare con una pittura. Le figure sono miniaturizzate da quel che si veda attraverso la finestra (all’interno della cornice del quadro) è una historia presa dal vangelo. I gesti dei personaggi sono codificati secondo la tradizione iconografica della pittura occidentale, Maria è seduta come n Aertsen ai piedi del signore. La sposa contemplativa ripropone il motivo che sta a significare in attività meditativa, ovvero la melanconia. Al movimento della mano dell’anziana donna corrisponde (secondo piano) quello di Marta: anche le acconciature sono simili, ma l’indice della vecchia apre la narrazione, indicata dalla mano sinistra del Cristo, il cui valore retorico è lo stesso che in Aertsen (Maria prescelta dall’arte buona). L’arte della seconda metà del XVI sec e della prima metà del XVII sembra avere ignorato i problemi espressivi che il raddoppiamento che l’immagine poneva. Quel che colpisce nel quadro di Velazquez è l’isolamento dei due piani del dipinto, i personaggi del primo piano non guardano l’immagine/finestra. Questo fa pensare che siano coscienti della sua presenza. Se scena biblica è isolata dalla cornice della finestra/quadro in un’alterità autosufficiente, non è invece così per la scena in primo piano, che attraverso gli occhi della giovane donna guarda verso di noi. L’osservatore risulta essere simultaneamente “colui che guarda” e “colui che è guardato”. Sta a lui operare la relazione intertestuale, attivarne il gioco. 2. L’origine della natura morta in quanto processo intertestuale I parergon La “ natura morta” che ci si presenta nel quadro del 1552 non era ancora a sé stante ma in statu nascendi. Gli oggetti in primo piano non avevano senso se non in rapporto con l’immagine biblica sul fondo. Ma quella di Aertsen non fu un esperienza isolata, l’espressione “natura morta” – definizione tarda- è un’ossimoro (fig. retorica). Nel 600 fu inizialmente definita stilleven, “pittura di cose piccole” in italia, che è il concetto di cui si serve Vasari in un tentativo di generalizzazione, che riconduce all’antichità in quanto l’espressione “cose piccole” è una trasposizione della prima definizione della “natura morta” di cui parla Plinio il vecchio. Il brano di Plinio testimonia che la nascita della natura morta è basata sul carattere insignificante, del soggetto e il valore illusionistico della rappresentazione. Questo “nuovo” genere pittorico andrà costituendosi a partire dai dati fondamentali, legati a motivazioni diverse, la rappresentazione illusionistica in trompe l’oeil nel caso specifico; l’idea della “vanità delle cose”; il carattere meta pittorico della rappresentazione. In ogni “natura morta” questi dati sono presenti, ma la loro suddivisione può privilegiare ora l’una ora l’altra delle tre componenti. Natura morta ubicata in una nicchia è un topos del genere. Si riproporrà in epoca rinascimentale e prerinascimentale sul fatto che la nicchia offre uno spazio tridimensionale limitato, dove si possono collocare gli oggetti rapportandoli sempre alla superficie della rappresentazione. Nel caso di quadro da appendere le immagini funzionano come aperture praticate sulla parete. La nicchia offre un’unica possibilità di conciliare una rappresentazione aggettante con idea di profondità, solo se messa in rapporto con la parete di fondo della nicchia i oggetti possono essere definiti invadenti lo spazio reale. E’ difficile credere che l’artista noto, come “maestro di Maria di Borgogna” avesse una diretta conoscenza della tradizione antica della pittura di oggetti, la maniera con cui egli sembra “reinventarla” è perciò sorprendente. Nella pagina del libro d’ore di Engelbert di Nassau che illustra l’adorazione dei magi è già presente la struttura raddoppiata che in altra forma, sarà adottata attorno al 1550 ad Anversa. La cornice dell’immagine, cui venivano tradizionalmente riservati motivi decorativi piatti, diventano tridimensionali è occupata da oggetti che possono avere significato simbolico (la penna di pavone per esempio rimanda al committente), riposti entro nicchie che circondano l’immagine centrale. I due livelli spaziali della pagina contraddicono la struttura tradizionale della miniatura e testimoniano un’ingerenza delle acquisizioni della pittura su tavola in un medium estraneo (il libro minato). Le nicchie e gli oggetti sono rappresentati come illusioni esplicite: basti notare la presenza delle ombre. Rispetto a questa “cornice”, l’immagine centrale spicca su uno spazio di ben altra qualità. La novità del maestro di Maria di Borgogna consiste nella trasformazione

dei marginali in immagine pittorica e nell’incastro di due livelli spaziali all’interno di una rappresentazione. La “natura morta” si contrappone così alla scena biblica come la cornice al quadro: la cornice è parte del nostro mondo, mentre l’immagine e l’apertura sono diverse realtà. In questo stesso periodo nicchie ospitanti al loro interno nature morte fanno la loro comparsa anche nella pittura su tavola, non tanto come isolati marginalia, bensì come rappresentazione applicate sul retro di dittici e trittici: così come i marginalia del maestro di Maria di Borgogna si opponevano all’immagine incassata, allo stesso modo il rovescio di questi dipinti non può essere compreso se non in funzione del loro contrapporsi all’immagine riprodotta sul diritto del quadro. Solo il rovescio dell’immagine, il rovescio della pittura offrono una “rappresentazione altra”. Se le miniature del maestro di Maria di Borgogna possono essere considerati esempi di “immagine nell’immagine” le immagini dipinte sul rovescio dei quadri devono essere viste come “ immagini dietro l’immagine”. Tra gli oggetti solitamente raffigurati a tergo dei dittici e dei trittici una in particolare diventa celebre travalicando i confini del XV sec: il teschio, la negatività assoluta dell’oggetto viene a spostarsi con uno stentato illusionismo della rappresentazione. Il teschio è un ritratto in negativo così come il “rovescio” è il contrario del “diritto”. Il diritto è lo spazio consacrato all’immagine, il suo rovescio è il lato destinato alla “verità”. Mai la sua “natura” è stata più “morta” che in questi incunaboli del genere, in cui già manifesta la convergenza dei tre temi più importanti: il trompe l’oeil, il meta pittorico, la vanitas. Anche se l’opposizione dritto/rovescio non è l’unica radice della natura morta, non d...


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