TECNICA DELLO STRANIAMENTO PDF

Title TECNICA DELLO STRANIAMENTO
Course Pedagogia generale
Institution Università degli Studi di Napoli Federico II
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Summary

riass. dettagliato...


Description

TECNICA DELLO STRANIAMENTO L'altro grande romanziere che, in quegli stessi decenni, fa un uso massiccio e sistematico dello straniamento è Tolstoj. Nelle sue opere maggiori, gli episodi, le cose, gli ambienti vengono descritti sospendendo le categorie cognitive e di valore che dovrebbero renderli sensati. Basta aprire a caso Guerra e pace per trovare pagine costruite così, non solo nei grandi episodi di svolta, ma anche nei piccoli episodi collaterali. L'ussaro Nikolaj Rostov, alla sua prima esperienza bellica, è accampato col suo squadrone in attesa di battersi con i francesi. Incontra alcuni contadini austriaci che governano i cavalli dei russi e, per superare la barriera di estraneità fra esseri umani che appartengono a culture e classi diverse, e che probabilmente non si rivedranno più, dice qualche sciocchezza per socializzare. Grida «viva gli austriaci, viva i russi, viva l'imperatore Alessandro, viva tutto il mondo». Ma quel calore che le persone coinvolte nella scena si sforzano di creare viene spazzato via dallo sguardo estraniato del narratore: l'altra linea di sviluppo passa per l'adozione di un punto di vista diverso da quello dell'autore. Anche questo modo di procedere è caratteristico di Tolstoj, ma sarà soprattutto il naturalismo europeo a farlo proprio. In alcuni dei suoi romanzi, Zola lascia che la storia venga narrata dalla voce di personaggi che appartengono al milieu di cui sia parla, e che considerano ovvie delle cose di cui il lettore e lo scrittore colgono l'anomalia. Anche Verga lavora su un procedimento simile quando si affida a un narratore che racconta la storia secondo il senso comune vigente nella comunità popolare di cui i personaggi fanno parte, assumendo un punto di vista che l'autore e i lettori non possono non giudicare strano e regressivo. Ma la forma più importante di realismo senza melodramma è il romanzo di destino. Se le varietà della narrativa che racconta seriamente la vita delle persone come noi si distinguono per il modo di rendere interessante il quotidiano, le opere di scrittori come Flaubert, George Eliot e Tolstoj, pur nelle loro vistose differenze, sembrano unite da un elemento comune. Mentre il romanzo melodrammatico gonfia le storie particolari per calarvi dentro dei significati universali, mentre il novel che contiene elementi di romance immette delle avventure nella ripetizione dell'esistere, queste opere riducono gli stati d'eccezione e si concentrano sui momenti nei quali una vita, intrecciandosi e scontrandosi con altre vite, prende una forma determinata, crea o subisce la propria sorte. Il romanzo di destino nasce dalla convinzione che tutte le esistenze possono diventare interessanti ogni volta che i desideri di un individuo, le virtualità che compongono il quadro dei suoi possibili, si scontrano con la realtà e si riducono a qualcosa. Le discontinuità sono segnate da eventi non comuni (l'esperienza della guerra), ma anche da eventi del tutto comuni (la formazione personale, la scelta o l'accettazione di un lavoro, il successo o il fallimento di un matrimonio, la nascita di un figlio). Che le svolte siano eccezionali o scontate è in fondo secondario: l'importante è che siano possibilità implicite nella vita delle persone come noi; l'attenzione per la sorte degli individui conta più dell'aura romanzesca delle storie. In Guerra e pace, Middlemarch o Anna Karenina, ogni scena è raccontata nella prospettiva dei destini personali e il narratore, pagina dopo pagina, traccia la parabola dei personaggi e riflette su ciò che sono diventati; in Madame Bovary e nell'Educazione sentimentale, le svolte esistenziali accadono in mezzo all'inaccadere quotidiano, dentro il pulviscolo delle azioni senza meta. E tuttavia questa narrazione piena di noia, di spreco esistenziale o di piccole contingenze è resa tragica proprio dal fatto che, in ultima analisi, stiamo assistendo al compiersi di una vita: una selva di desideri e possibilità sta diventando qualcosa, qualcosa di limitato. Se ogni romanzo fondato sull'identificazione empatica con gli eroi è, in fondo, un romanzo di destino, questo sottogenere trova una forma compiuta nel corso del XIX secolo.

I grandi scrittori della generazione nata tra la fine degli anni Dieci e la fine degli anni Venti dell'Ottocento trovano una sorta di sintesi fra il modello di Austen e il modello di Scott e Balzac. Le esperienze che Flaubert, Eliot e Tolstoj raccontano coprono molti aspetti dell'umano, come accade in Balzac, ma le trame si incentrano su svolte comuni, come accade in Austen; le storie sono circondate da un quadro storico e sociologico complesso, come in Balzac, ma il romanzo intende seguire le traiettorie di alcuni individui, e non raccontare un'epoca o un milieu; e proprio per questo l'opera assume la forma implicita o esplicita del bilancio esistenziale, un bilancio che è sempre latente nel tipo di attenzione che il narratore rivolge ai propri eroi, e che diventa manifesto in certe pagine. La struttura del romanzo di destino dilaga durante gli ultimi due decenni dell'Ottocento in scrittori che professano poetiche diverse. Molte opere naturalistiche raccontano, di fatto, la storia di un individuo. Accade spesso che lo scrittore intrecci alcune traiettorie personali in una narrazione polistorica, magari nella forma del romanzo di famiglia. In quanto unità etica e persona collettiva, la forma-famiglia consente di legare con naturalezza le esistenze singolari alle vicende collettive, raccontando le metamorfosi della prima cellula comunitaria. Come si diceva alla fine del capitolo precedente a proposito di Jane Austen, l'emersione del romanzo di destino è un evento decisivo nella storia della narrativa occidentale: la sua esistenza ci dice che è nata l'epoca nella quale nulla conta se non la vita. Per suscitare l'interesse del lettore non è più necessario un conflitto melodrammatico o un evento romanzesco, perché ogni individuo, in potenza, è ormai un valore infinito. Ma questo processo ha un risvolto dialettico che lascia emergere degli aspetti impliciti nella logica del romanzo in quanto genere, e che solo il romanzo di destino illumina pienamente. Concentrarsi sulla sorte delle persone come noi, a prescindere dal significato collettivo dei desideri per i quali le persone combattono, significa anche svalutare i valori che trascendono gli individui e la loro ricerca della felicità (o della tranquillità). Se ogni persona è un epicentro di senso assoluto, allora ogni persona ha potenzialmente diritto a un punto di vista legittimo. Il relativismo e il prospettivismo che giacciono impliciti nel nostro genere si rivelano pienamente in questo tipo di narrazioni. Il romanzo di destino porta con sé altre due metamorfosi importanti: -

la prima è l'emersione di una nuova maniera di considerare il tempo. Per gli eroi di opere così costruite, il tempo concesso a una vita è l'unico bene che gli individui posseggono: proprio per questo il suo passaggio diventa un problema. Naturalmente un tema simile non è privo di precedenti: nell'autobiografia spirituale cristiana, per esempio, o nel topos della vita che fugge caro alla poesia lirica antica. Tuttavia è la prima volta che il problema del tempo entra in modo così massiccio nella narrativa di finzione. Il Settecento è pieno di romanzi strutturati come biografie o autobiografie, cioè come opere nelle quali i personaggi invecchiano necessariamente. Però è raro che l'attenzione si concentri sul nudo scorrere del tempo, sul desiderio di non morire inadempiuti. Di solito il fuoco narrativo ricade sulle peripezie che gli eroi affrontano o sul problema del vizio e della virtù, ma non sulla vita e sul tempo in quanto unica dimensione dell'esistenza finita. Quando l'interesse è concentrato sul destino dei personaggi, l'uso della vita diventa un tema, oltre che un problema, e si carica di tonalità emotive: speranza o rimpianto, attesa o angoscia. Solo dopo questo passaggio diventa possibile immaginare un'opera dedicata alla ricerca del tempo perduto. Il controfinale dei Promessi sposi può assomigliare a quelle chiuse solo vagamente; i finali dei romanzi di Jane Austen costituiscono un precedente più solido, ma ancora debole. Forse il testo che meglio anticipa la percezione del tempo di cui il romanzo di destino diventerà espressione sono le Memorie d'oltretomba di Chateaubriand, col loro senso della caducità universale.

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La seconda metamorfosi riguarda il modo di considerare il rapporto fra vicende private e vicende collettive. Nei romanzi di destino il legame fra le piccole storie e la grande storia è puramente meccanico, e non organico. Le esistenze singolari vivono nelle loro bolle di senso soggettive; quando vengono toccate dai grandi avvenimenti, fra le piccole storie e il corso del mondo si stabilisce un legame di pura esteriorità.

Stazioni storiche Cercando di abolire o almeno di addomesticare il melodramma e il romanzesco, la seconda stagione del realismo si allontana in modo deciso dalle tendenze egemoni nella prima metà del XIX secolo. Tuttavia continua ad accogliere alcuni a priori decisivi del paradigma ottocentesco: il mondo esterno e interno restano ordinati e gerarchici; l'essenziale risiede nelle azioni e nei discorsi pubblici. Poi, a partire dagli anni Novanta dell'Ottocento, il ritmo dell'innovazione diventa più veloce e genera, nei primi decenni del XX secolo, la svolta del modernismo e delle avanguardie. La crisi del modello ottocentesco avviene dunque per tappe: fra il 1850 e il 1890, compimento e dissoluzione si mescolano dentro le opere degli stessi autori; a partire dagli anni Novanta dell'Ottocento, la rottura inizia a prevalere; intorno al 1910, «cambia il carattere umano». L'arte perde la sua ovvietà e comincia l'epoca del pieno modernismo. Ma le metamorfosi che, fra il 1910 e il 1940, trasformano il volto del romanzo non giungono dal nulla: nascono quasi sempre da processi che erano già emersi, talvolta in modo vistoso, nel secondo Ottocento. Dobbiamo dunque immaginare tre stagioni storiche legate da rapporti dialettici, di continuità e di rottura. Durante la prima, emerge il paradigma ottocentesco; durante la seconda, il paradigma ottocentesco inizia a trasformarsi in qualcos'altro; durante la terza, i temi e le soluzioni tecniche della narrativa modernista si sviluppano pienamente e diventano egemoni. Fra i tre momenti vi sono sovrapposizioni e ibridazioni continue. L'elemento di continuità più importante è questo: prima e dopo la crisi del romanzo ottocentesco, il flusso delle novità si appoggia a un sostrato che non muta, perché la mimesi seria del quotidiano e l'esistenza di uno sfondo storico-dinamico rimangono al centro del sistema letterario europeo. Per molti dei grandi autori nati fra gli anni Settanta e Ottanta dell'Ottocento, per Proust o per Woolf, per Forster o per Lawrence, il compito del romanzo è ancora quello di raccontare bene l'esistenza delle persone come noi, e non quello di creare universi fantastici, giochi di stile, metaletteratura, menzogna. Il vocabolario critico egemone negli anni del modernismo è molto diverso dal vocabolario critico di cui le avanguardie degli anni Cinquanta e Sessanta si serviranno per giustificare le proprie opere - e questo essenzialmente perché una parte considerevole dei romanzieri modernisti resta fedele al progetto che, declinato in modi differenti, troviamo negli scritti critici degli autori nati intorno al 1840 (Zola, James) e, prima ancora, negli scritti critici di Balzac o di Stendhal: rappresentare bene, realisticamente, la vita quotidiana....


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