Tesi di specializzazione sul sostegno PDF

Title Tesi di specializzazione sul sostegno
Author Paola Flauto
Course Psicologia delle Disabilità e dell'Integrazione
Institution Università degli Studi di Salerno
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Summary

Educare alla creatività per creare realtà inclusive: l’imprescindibilità dell’esperienza centrata sul corpo....


Description

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SALERNO

CORSO DI SPECIALIZZAZIONE PER L’ATTIVITÀ DI SOSTEGNO DIDATTICO AGLI ALUNNI CON DISABILITÀ NELLA SCUOLA DELL’INFANZIA.

TESI DI SPECIALIZZAZIONE IN DIDATTICA SPECIALE APPROCCIO METACOGNITIVO E COOPERATIVO

Titolo della tesi “Educare alla creatività per creare realtà inclusive: l’imprescindibilità dell’esperienza centrata sul corpo”. Relatore:

Candidato:

Ch.mo Prof.

Paola Flauto

Maurizio Sibilio

Matr. : SOS_INF00046

Firma

Firma candidato

ANNO ACCADEMICO 2014-2015

Indice

INTRODUZIONE......................................................................................................................... 2 CAP.1 -PENSIERO CREATIVO, LATERALE, DIVERGENTE, CRITICO, IN UNA PAROLA: PENSIERO COMPLESSO. ................................................................................................................... 5 1.1 La lezione di Don Lorenzo Milani ................................................................................ 5 2.1 Edgar Morin: riforme e teste ben fatte. ...................................................................... 5 3.1 Formare abiti mentali di natura critica...................................................................... 10 4.1 Franco Frabboni: il gabbiano e le quattro piume. ...................................................... 13 5.1 Winnicott e la creativita’ .......................................................................................... 15 6.1 Pensiero divergente e laterale: Guilford e De Bono. .................................................. 17 CAP.2 -PENSIERO CREATIVO A SCUOLA: È POSSIBILE EDUCARLO? ................................... 19 2.1 Le competenze chiave. ............................................................................................. 19 2.2 Una summa pedagogica: gli Orientamenti del 1991 .................................................. 21 2.3 Educare alla creatività. ............................................................................................. 26 2.4 Gianni Rodari: errori e libertà................................................................................... 27 2.5 Montessori, il signor errore e la libertà. .................................................................... 29 CAP.3 -LA DIDATTICA PER SCHEDE ED I PREGRAFISMI NELLA SCUOLA DELL’INFANZIA POSSONO COSTITUIRE UN OSTACOLO ALLO SVILUPPO DEL PENSIERO CREATIVO GENERANDO OMOLOGAZIONE E CONFORMISMO. ......................................................... 34 3.1 Cervello e pensiero creativo ..................................................................................... 34 3.2 Pratiche scolastiche pericolose ................................................................................. 35 CAP.4 -DECOSTRUIRE PRATICHE DIDATTICHE OMOLOGANTI: UTILIZZO DI PRATICHE ORIENTATE A FAVORIRE LA CORPOREITÀ ED I VISSUTI EMOTIVI DEL BAMBINO............... 39 4.1 esperienze polisensoriali ed educazione al fare: la lezione di Bruno Munari .............. 39 4.2 I cento linguaggi dei bambini: l’approccio Reggio ...................................................... 43 4.3 Il laboratorio ........................................................................................................... 48 4.4 Il corpo ed il movimento .......................................................................................... 49 BIBLIOGRAFIA................................................................................................................ 53 SITOGRAFIA................................................................................................................... 54

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«Molti uomini muoiono senza essere mai nati completamente. Creatività significa aver portato a termine la propria nascita prima di morire. Educare alla creatività significa educare alla vita. Ognuno deve sviluppare la propria creatività produttiva, ognuno deve sentirsi se stesso ed essere se stesso».

Eric Fromm

INTRODUZIONE

La società contemporanea è modellata in base alle categorie di velocità, efficienza ed efficacia. In questa spinta tutta umana al superamento continuo dei nostri limiti sembra venir meno la consapevolezza dell’elemento riflessivo, della lentezza kunderiana che ci permette di comprendere l’importanza del momento vissuto, del tempo presente, della pregnanza del benessere inteso come assenza di pressanti aspettative sociali ed economiche volte all’efficientismo ad ogni costo e a costo di ognuno, alla rincorsa delle tappe successive a tutti i costi e a costo di tutti. Il sistema educativo, uno dei sottosistemi della nostra società, per il principio ologrammatico risente anch’esso delle spinte efficientistiche presenti nel sistema sociale. Nella scuola dell’infanzia, uno degli aspetti della situazione descritta è riscontrabile nell’affanno che si esperisce alla realizzazione di pregrafismi ed in generale di attività di pre-scrittura, pre-calcolo, pre-lettura, per non parlare della somministrazione continua di schede operative da compilare che costituisce danno al padre dell’uomo e a madre natura. La pressione efficientistica del sistema ricade come il gioco del “go down”, sulle sue varie componenti: dal collegio dei docenti ai consigli di intersezione, dai consigli di intersezione agli insegnanti, dagli insegnanti ai bambini. Per non parlare poi della spinta “uguale e contraria” proveniente dalle famiglie. È come se ci fosse sempre un colpevole del fatto che i bambini non hanno anticipato abbastanza e, dunque, arrivano al grado di istruzione superiore non allineati sullo start allo stesso livello provocando una mole di lavoro insostenibile per l’insegnante che li accoglie, il quale vorrebbe trovarsi di fronte al bambino medio, quello che, da solo, o grazie alla scuola dell’infanzia (che non servirebbe 2

ad altro) è già riuscito ad anticipare buona parte del programma del I quadrimestre permettendo agli insegnanti della scuola primaria di fregiarsi dell’ambito titolo di alfabetizzatrici prenatalizie. Mi piacerebbe che si leggesse con profondo rispetto ed attenzione un documento pedagogico nazionale che, a distanza di anni, ha da insegnare ancora tanto alle generazioni di insegnanti presenti e future: gli Orientamenti del 1991. Mentre scrivo queste parole sono seduta tra i bambini della scuola dell’infanzia e mi accorgo quanto le nostre pressioni omologanti e conformistiche riescono ad annichilire la loro forza esploratrice e la loro gioia di esplorare il mondo, la loro creatività ed il loro spirito critico. Imbocchiamo direzioni sbagliate, ci addentriamo lungo sentieri didattici che hanno smarrito il senso pedagogico dell’agire didattico. Lavoriamo per soddisfare esigenze di sistema e non per la vera finalità del nostro percorso, lo sviluppo delle potenzialità della persona, alla massima potenza, nel rispetto dei tempi e degli stili cognitivi che la caratterizzano, affinché possa co-costruire il proprio percorso di vita insieme agli altri e sentire che la propria esistenza ha un senso. Ma allora dove è finito il cuore di quella rivoluzione copernicana costituita dal passaggio da una visione magistrocentrica ad una puerocentrica del processo di insegnamentoapprendimento tanto voluto e teorizzato dall’attivismo pedagogico, dal movimento delle scuole nuove, da Piaget, Dewey, Montessori, Freinet? Penso che se ci concentrassimo, come docenti della scuola dell’infanzia, sulla finalità vera del nostro percorso, direi la nostra mission , i bambini arriverebbero alla scuola primaria volando con ali proprie e non con le protesi da noi fornite che sono destinate, prima o poi, a non funzionare più, a sciogliersi al sole come le ali di Icaro. Inoltre, perseguendo tale mission, ossia lo sviluppo delle potenzialità dei bambini alla massima potenza nel rispetto delle tappe di sviluppo di ciascuno, riusciremmo a creare contesti inclusivi perché lavoreremmo in un’ottica di personalizzazione dell’intervento educativo e didattico in un ambiente in cui ciascuno si senta libero di esprimere la propria personale visione del mondo. Una personale visione del mondo equivale al potenziamento della creatività e del pensiero critico. L’Europa, attraverso la definizione delle competenze chiave quasi ci impone tale potenziamento ma, all’atto pratico, il sistema scolastico pone in essere azioni volte a de3

potenziare la creatività, asfissiando la libertà creatrice del bambino ed ostacolando quel naturale processo umano di adattamento creativo al mondo che ci circonda. La scuola tende a separare, in barba alle teorizzazioni sulla complessità, l’uomo dal mondo, la mente dal corpo, senza rendersi conto che, abbandonando il sentiero sicuro dell’unilateralità, si riuscirebbe a fare inclusione perché si potenzierebbero le esperienze e le normali specialità di tutti e di ciascuno, favorendo l’adattamento creativo che da sempre accompagna la filogenesi, forse, riusciremmo a decostruire stereotipi e a combattere il cancro della nostra società, l’omologazione ed il conformismo, viatici e portali di soprusi, emarginazione e sofferenze mentali e fisiche. La creatività e lo spirito critico si possono educare, non sono doti innate, e, nella scuola dell’infanzia si potenziano attraverso un profondo lavoro sulle corporeità. Come dice A.Berthoz: “I nostri pensieri, lo sviluppo delle nostre funzioni cognitive più elevate e anche più astratte si fondano sul corpo in atto”. Il luogo per sperimentare il corpo in atto ed i vissuti emotivi ad esso collegati viene individuato da studiosi e documenti ministeriali nel laboratorio o nell’atelier, che non sono luoghi meramente fisici ma spazi mentali di condivisione, co-costruzione, di fare e agire e di sperimentazione sensoriale, percettiva e motoria, luoghi di libertà, luoghi di creatività.

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CAP.1 -PENSIERO CREATIVO, LATERALE, DIVERGENTE, CRITICO, IN UNA PAROLA: PENSIERO COMPLESSO. 1.1 La lezione di Don Lorenzo Milani Don Milani si è opposto, tra le tante cose, all’autoritarismo che caratterizzava i rapporti tra educatore ed educando in base al quale quest’ultimo si vedeva preclusa la possibilità di sviluppare un pensiero libero e creativo perchè “a scuola si va per ascoltare il maestro”1 e non per promuovere un pensiero autonomo e divergente. L’attenzione degli insegnanti del tempo era ferma ai programmi, alla lezione frontale, al libro di testo e la concezione del bambino che ne derivava era quella di un semplice oggetto da omologare culturalmente sulla base di programmi datati e lontani dalla vita reale e dallo spazio/tempo vissuto dagli studenti. Quella criticata da don Milani è una scuola autoritaria che detta le idee, senza scambiarle, che espone le lezioni senza discuterle, che lavora sui ragazzi e non con i ragazzi; che si basa solamente sulla conoscenza che non esige rielaborazioni personali e che lascia i giovani “in uno stato di inautentico sapere”; questa fornisce ricette piuttosto che offrire la possibilità di pensare autonomamente2. Un’educazione così chiede ai giovani solo di collezionare conoscenze senza problematizzarle e senza fornire le competenze giuste affinché tali conoscenze possano essere migliorate o addirittura superate.

2.1 Edgar Morin: riforme e teste ben fatte.

"La riforma del pensiero esigerebbe una riforma dell’insegnamento che a sua volta richiederebbe la riforma di pensiero. Beninteso, la democratizzazione del diritto a pensare esigerebbe una rivoluzione paradigmatica che permettesse a un pensiero complesso di riorganizzare il sapere e collegare le conoscenze oggi confinate nelle discipline. [...] La riforma del pensiero è un problema antropologico e storico chiave. 1 Milani Don Lorenzo, Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1975. 2 P. Freire, L’educazione come pratica della libertà, Mondatori, Milano 1973

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Ciò implica una rivoluzione mentale ancora piú importante della rivoluzione copernicana. Mai nella storia dell’umanità le responsabilità del pensiero sono state così enormi. Il cuore della tragedia è anche nel pensiero".3 Stando a quanto afferma Morin, la riforma dell'insegnamento consiste nella riforma del soggetto che insegna e del soggetto che apprende. La riforma del pensiero consiste, invece, nella riforma del soggetto che pensa e del pensiero rivolto ad un oggetto pensato. L’uomo e la conoscenza hanno subito profonde trasformazioni e dunque si è resa necessaria la costruzione di una nuova antropologia ed una nuova epistemologia. Costruire una nuova antropologia ed una nuova epistemologia vuol dire generare nuovi paradigmi che ci aiutino a decifrare le trasformazioni sistemiche in corso che non siamo più in grado di leggere con le vecchie lenti paradigmatiche. La riforma proposta da Morin può essere definita paradigmatica proprio perché offre un nuovo paradigma per spiegare il mondo: la complessità. "La riforma di pensiero è non programmatica, ma paradigmatica, poiché concerne la nostra attitudine a organizzare la conoscenza. E' tale riforma che permetterebbe di conformarsi alla finalità della "testa ben fatta", che favorirebbe il pieno impiego dell'intelligenza. Si deve comprendere che la nostra lucidità dipende dalla complessità del modo di organizzazione delle nostre idee”.4 La “testa ben fatta” è un concetto cardine nella proposta paradigmatica sviluppata da Morin. Allo stesso tempo rappresenta una risposta-sfida alle trasformazioni in atto. La testa ben fatta è un monito ed un consiglio all’ istituzione scolastica ed ai docenti: "La prima finalità dell'insegnamento è stata formulata da Montaigne: “è meglio una testa ben fatta che una testa ben piena".5 In questo mondo in continua trasformazione le conoscenze sono destinate ad essere consumate. Pertanto è indispensabile formare le menti che possano disporre "di un'attitudine generale a porre e trattare i problemi e di principi organizzatori che permettano di collegare i saperi e di dare loro senso".6 Mi piace sempre sottolineare che tale affermazione era stata ribadita anche dall’italiano Aristide Gabelli, tra i principali promotori del positivismo filosofico in Italia e vicino al pragmatismo americano di John Dewey, responsabile per dei Programmi del 1888. “Il

3 E. Morin A. B. Kern, Terra-Patria ,Scienza e idee, Milano 1993, 170-171. 4 Ibidem 5 Tale concetto è stato ripreso dalla pedagogia italiana a cavallo tra Ottocento e Novecento rappresentata da Aristide Gabelli. 6 Ibidem.

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maestro deve tener presente che la scuola ha da servire a tre fini, a dar vigore al corpo, penetrazione all'intelligenza e rettitudine all'animo “.7 Gabelli si oppone nettamente al nozionismo; l'educazione deve avere principalmente il compito di sviluppare il pensiero, di "formare le teste": "Le cognizioni non poche volte, e forse il più delle volte, dopo un po' di tempo di desuetudine dagli studi, vengono in molta parte dimenticate, quando invece il modo di pensare dura tutta la vita, entra in tutte le azioni umane…".8 Nel 1888, durante il primo governo di Francesco Crispi fu incaricato di elaborare i programmi della scuola elementare dell'obbligo recentemente istituita. In questi programmi il maestro elementare viene invitato tra l'altro a "stare alla larga dall'istruzione parolaia e dogmatica, a calare l'insegnamento nella realtà”. La scuola secondo Aristide Gabelli deve non solo liberare l'individuo dall'ignoranza, ma anche metterlo in grado di pensare autonomamente esercitando il senso critico, in modo da poter partecipare utilmente alla vita sociale e civile e contribuire allo sviluppo economico del paese. Ritornando a Edgar Morin, tenendo sullo sfondo tali premesse, egli organizza una ricerca che investe il campo pedagogico. Secondo Morin le sfide che il nostro tempo deve raccogliere sono: la sfida culturale, quella sociologica e la civica. I nostri saperi, distinti e frazionati in discipline, sono ormai inadeguati alla realtà e ai problemi che si rivelano sempre più multidisciplinari, globali e planetari. La separazione delle discipline rende l’uomo cieco di fronte a ciò che è tessuto insieme, cioè alla complessità dei saperi. "C'è complessità quando sono inseparabili le differenti componenti che costituiscono un tutto [...] e quando c'è un tessuto interdipendente, interattivo e inter-retroattivo fra le parti e il tutto e fra il tutto e le parti”. L'espansione incontrollata del sapere e la sua concomitante settorializzazione disciplinare: "l'accrescimento ininterrotto delle conoscenze edifica una gigantesca torre di Babele, rumoreggiante di linguaggi discordanti. La torre ci domina perché noi non possiamo dominare i nostri saperi. [...] Neppure lo specialista della disciplina più circoscritta riesce a prendere conoscenza delle informazioni che riguardano il suo campo specifico. Sempre di più, la gigantesca proliferazione di conoscenza sfugge al controllo umano".9

7 Gabelli, A., Il metodo di insegnamento nelle scuole elementari d'Italia,1880. 8 ibidem 9 ibidem

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Occorre, pertanto, recuperare il senso del globale senza il quale si assiste ad un indebolimento del senso di responsabilità, "poiché ciascuno tende ad essere responsabile solo del proprio compito specializzato"10. Morin parla del "dominio delle idee che lo specialista considera come esclusiva proprietà".11 L’autore osserva che l’informazione è una materia prima che la conoscenza deve padroneggiare e integrare, pertanto la conoscenza deve essere costantemente rivisitata e riveduta dal pensiero, il capitale più prezioso per l’individuo e la società. Morin introduce il concetto di “democrazia cognitiva”, necessaria per riequilibrare la frammentazione del sapere. Morin prospetta la sfida delle sfide: "E' la riforma di pensiero che consentirebbe il pieno impiego dell'intelligenza per rispondere a queste sfide e che permetterebbe il legame delle due culture disgiunte. Si tratta di una riforma non programmatica, ma paradigmatica, che concerne la nostra attitudine a organizzare la conoscenza".12 Il paradigma della complessità è la base attraverso la quale è possibile interpretare queste sfide. La complessità dei saperi e la loro irrimediabile interconnessione evidenzia il forte scollamento tra ciò che pratichiamo a scuola in termini di insegnamento-apprendimento e la complessità del mondo in cui viviamo e delle conoscenze che generiamo. Allo stato attuale, le continue specializzazioni dei saperi rischiano di far perdere il senso della globalità che questi stessi saperi comportano. "Gli sviluppi disciplinari delle scienze non hanno portato solo i vantaggi della divisione del lavoro, hanno portato anche gli inconvenienti della super-specializzazione, della compartimentazione e del frazionamento del sapere. Non hanno prodotto solo conoscenza e delucidazioni, ma anche ignoranza e cecità. Invece di opporre correttivi a questi sviluppi, il nostro sistema d'insegnamento obbedisce loro”.13 La scuola, ovvero l’istituzione deputata, nella nostra società, all'educazione e alla formazione, è ancora lontana dal diventare protagonista di questa rifondazione. Morin vuole provare però a dare delle soluzioni allo scollamento tra il processo di insegnamento-apprendimento e le conoscenze. Il discorso di Morin a questo punto salta dai saperi all’uomo e diviene un discorso antropocentrico: l'essere umano è per Morin il catalizzatore della complessità dei saperi. L’epistemologo invita a recuperare la nozione di soggetto e lo fa partendo da una base bio-logica, grazie alla quale il soggetto insieme 10 ibidem 11 ibidem 12 Ibidem 13 ibidem

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alla dimensione cognitiva recupera il principio della soggettività e dell'oggettività di essere nel mondo (un heideggeriano darsein): "L’"io" è l'atto di occupazione di un sito che diventa il centro del mondo. E a questo proposito dirò che c'è un principio di identità che può riassumersi nella formula: "Io sono me". "Io" è l'atto di occupazione del sito egocentrico; "me" è l'oggettivazione dell'essere che occupa questo sito. "Io sono me" è il principio che permette di stabilire la differenza fra l'"io" (soggettivo) e il "me" (soggettivo oggettivato) nello stesso tempo la loro indissolubile identità".14 Ques...


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