Tradurre Una Prospettiva Interculturale PDF

Title Tradurre Una Prospettiva Interculturale
Author Lucrezia Stefanelli
Course Teoria e tecnica della traduzione
Institution Università per Stranieri di Siena
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Riassunti schematici...


Description

TEORIA E TECNICA DELLA TRADUZIONE La prima definizione di bilinguismo si deve al linguista americano Bloomfield: quando una persona diventa così efficiente nel parlare e scrivere una lingua straniera da non farsi distinguere dai parlanti nativi di quell’area. Nel caso in cui l’apprendimento di questa lingua non vada ad intaccare la conoscenza della lingua madre, il soggetto è denominato soggetto bilingue. Haugen, venti anni dopo definisce il bilinguismo come ‘l’attitudine a produrre in un’altra lingua degli enunciati corretti portatori di significato’. Un'altra ipotesi è quella di Weinreich che riconosce il bilinguismo come un fenomeno relativo e variabile, da mettere in relazione con l’abitudine di usare alternativamente due lingue. L’ipotesi precedente di Bloomfield viene sorpassata negli anni Settanta con il concetto di competenza parziale, elaborato da Mac-Namara, secondo il quale il bilingue è un soggetto con una ‘competenza anche parziale della seconda lingua’. Si afferma successivamente la definizione di Beardmore, secondo il quale il bilinguismo è «un doppio mezzo, necessario o opzionale, di comunicazione efficace fra due o più mondi che utilizzano due sistemi linguistici». Oggi il concetto di bilinguismo può essere definito dal punto di vista psicolinguistico, come fenomeno individuale; dal punto di vista sociolinguistico, come fenomeno sociale. Del bilinguismo si occupano: 

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La sociolinguistica, che studia i fenomeni delle lingue in contatto in relazione al contesto, ai ruoli degli interlocutori, alle funzioni comunicative e alle scelte linguistiche determinate dai diversi fattori socioculturali. La glottodidattica, che si occupa dell’apprendimento/insegnamento linguistico e delle metodologie per facilitare l’acquisizione della L2. La traduttologia, che si occupa delle forme di mediazione scritta o orale e del passaggio da un codice linguistico a un altro, così come viene realizzato dai soggetti bilingue. La psicolinguistica, che studia i processi mentali associati.

Tipi di bilinguismo e relativi parametri di riferimento: Relativi al tempo di esposizione alla L2:  

Bilinguismo precoce: acquisite nella prima infanzia. Bilinguismo tardivo: se una o più L2 sono acquisite dopo la pubertà, anche in un momento monto lontano dall’acquisizione della L1.

Relativi alla modalità di apprendimento:  

Bilinguismo primario: assimilazione spontanea e precoce della L2. Bilinguismo secondario: competenza in una L2 raggiunta tramite lo studio e non tramite l’uso spontaneo della lingua in contesti non accademici.

Relativi al livello di competenza:   

Subordinato: quando una lingua rimane quella di base rispetto all’altra. Equilibrato: se il livello di competenza nelle due lingue è più o meno equivalente. Ascendente: quando la competenza di entrambe le lingue si rafforza reciprocamente, pensiamo ai figli di immigrati che a casa parlano L1 e a scuola L2.

Relativi all’abilità:   

Ricettivo: di chi è competente in L2 ma solo per quanto riguarda la ricezione. Produttivo: di chi è capace di parlare e scrivere in L2, ma ha difficoltà a comprendere ad esempio le diverse varietà regionali. Con doppia alfabetizzazione: di chi sa leggere e scrivere correttamente in entrambe le lingue.

Relativi all’acculturazione – acquisizione di modelli di riferimento relativi alla cultura di L2 e lo sviluppo di un relativismo positivo nei confronti del diverso - .

  

Con acculturazione e biculturalità: quando entrambe le lingue sono associate a due culture di riferimento. Con scarsa acculturazione: quando una o entrambe le lingue vengono acquisite indipendentemente dal contatto con la relativa cultura di riferimento. Funzionale con scarsa alfabetizzazione, ma forte acculturazione. Lavoratori immigrati.

Relativi alla concettualizzazione:  

Integrato: quando il soggetto ha appreso due lingue nello stesso momento nella prima infanzia, di solito nel contesto familiare – maggior interferenza tra le due lingue. Coordinato: quando la L2 viene appresa prima della pubertà, ma in un ambiente diverso da quello familiare.

‘Teoria della plasticità mentale’  Penfield spiega che il cervello del bambino nei primi dieci anni di vita è specializzato nell’acquisizione delle lingue che, una volta acquisite, diventano negli anni successivi un veicolo per accrescere tutte le altre forme di apprendimento. I bambini hanno maggior capacità di imitazione, zero ansie, ma soprattutto una maggior plasticità mentale. Jim Cummins, in ambito migratorio, individua due fasi di tipo linguistico e cognitivo che il bambino attraversa prima di avere accesso ai contenuti disciplinari 1. la fase iniziale in cui sviluppa nella lingua accogliente le proprie competenze comunicative di base – basic interpersonal Communicative Skills, BICS – 2. La fase successiva in cui sviluppa o fa emergere nella L2 le proprie abilità logico-cognitive, associate a una padronanza linguistico-comunicativa avanzata – Cognitive Academic Language Proficiency, CALP. Michel Paradis, ha rilevato che nella prima infanzia la L2 viene memorizzata nei sistemi della ‘memoria implicita’, mentre una lingua appresa nella seconda decade di vita viene memorizzata prevalentemente nei sistemi della ‘memoria esplicita’. L’educazione bilingue viene oggi realizzata nell’ambito de CLIL - Content and Language Integrated Learning - ossia una modalità di apprendimento attraverso lo studio, impartito in L2, di materie non linguistiche, avente l’obiettivo di contribuire alla formazione bilingue dei cittadini europei in modo da salvaguardare il plurilinguismo e la reciproca comprensione in Europa. VANTAGGI DEL BILINGUISMO  1. 2. 3. 4. 5. 6. 7.

Sensibilità, tolleranza, empatia, apertura mentale Influenza la nostra capacità di prendere decisioni Migliora la comprensione orale Aiuta a rallentare la demenza e l’invecchiamento mentale Può migliorare il QI Maggiore capacità di problem solving Stimola le stesse aree di piacere di sesso e droga

Il cervello bilingue Diversi studi su varie parti del cervello sono stati portati avanti in tempi non lontani da noi: ad esempio quelli di Broca e quelli di Wernicke. Il primo esaminando l’autopsia di una persona che non riusciva propriamente a parlare corretto, ma che comprendeva regolarmente, notò che aveva una lesione alla terza circonvoluzione del lobo frontale dell’emisfero sinistro. Broca, quindi, suggerì che la facoltà del linguaggio fosse localizzata proprio in questa regione (area di Broca). Wernicke studiò un paziente con problemi linguistici, questa volta che parlava molto, in fretta e in modo poco coerente e non riusciva a comprendere il discorso altrui ed anche in questo caso si vide che il problema era stato nella parte sinistra del cervello. Ad oggi, sappiamo che non è possibile associare tutte le funzioni del linguaggio solo alle aree localizzate nell’emisfero sinistro. GESTALTTHEORIE – teoria della forma – secondo la quale una forma è percepita come un tutto e non si riduce all’insieme delle parti che la compongono. Si definisce

gestaltico l’emisfero destro che interviene in una prima fase della decodifica. I due emisferi, secondo questa teoria quindi, cooperano nell’elaborazione dei messaggi, anche se hanno modalità percettive differenti sono da considerarsi in un rapporto complementare e simmetrico.  

L’emisfero destro elabora l’informazione cogliendola nella sua globalità. L’emisfero sinistro è efficace nella comprensione e produzione linguistica.

Nella lettura i segni grafici sono decodificati ricorrendo alle attività cognitive dell’emisfero destro ma contemporaneamente interviene anche quello sinistro, che individua gli indici linguistici relativi ai significati e alle categorie grammaticali. Alla fine dell’Ottocento ci fu una prima ipotesi, condivisa anche da Freud, su dove potessero essere collocate nel cervello le due o più lingue dei soggetti poliglotti. Questa riteneva che sia la madrelingua che le altre lingue apprese successivamente fossero localizzate nelle stesse aree del cervello che servivano all’immagazzinamento e al funzionamento della lingua madre. Altri studiosi del tempo invece, tra cui Pötzl, sostenevano che le seconde lingue erano reperibili sempre ad aree diverse del cervello rispetto a quelle relative alla lingua madre. Alla metà del Novecento emerge l’ipotesi di una ‘lateralizzazione celebrale’ nei soggetti bilingui – ovvero una diversa rappresentazione delle due lingue nei due emisferi – ad opera del neurologo Görlitzer von Mundy: la lingua acquisita solo nella dimensione orale viene rappresentata in entrambi gli emisferi, mentre quella acquisita sia oralmente che attraverso la scrittura si rappresenta nell’emisfero sinistro. Secondo David Green la mente dei bilingui funziona in modo modulare. Le relazioni fra questi sistemi riguarderebbero fenomeni di: 





ATTIVAZIONE – ogni parola ha una specifica soglia che dipende dalla frequenza d’uso e dall’intervallo di tempo trascorso dall’ultima attivazione. La soglia di attivazione di norma è più alta per la produzione e meno per la comprensione. INIBIZIONE – quando viene selezionata una parola di una lingua e subito si inibiscono anche parole semanticamente vicine, sia quelle foneticamente sia quelle sinonimicamente vicine. GENERAZIONE DI ENERGIA – i fenomeni sopra riportati comportano un grande dispendio di energia; la quantità non è illimitata, quindi calerà via via che la lingua viene adoperata.

Dunque, il bilingue ha la capacità inconscia di attivare una lingua e disattivarne un’altra. Fra i comportamenti linguistici che caratterizzano i bilingui:   

sintonizzazione – capacità di selezionare una lingua; commutazione – capacità di passare da una lingua a un’altra; mediazione interlinguistica – capacità di comprendere una lingua e tradurla in un’altra;

I SISTEMI DELLA MEMORIA UMANA La memoria svolge un ruolo vitale per il mantenimento della specie: il ricordo di fatti passati permette di prevedere il futuro e di conseguenza di adattare il proprio comportamento. I sistemi della memoria che abbiamo sviluppato sono direttamente legati all’istinto di sopravvivenza. Nella corteggia celebrale avviene l’archiviazione e la conservazione dei ricordi. Per la memorizzazione sono importantissimi i lobi temporali, il diencefalo e la corteccia prefrontale. Gli studi degli ultimi 40 anni hanno dimostrato che esistono due tipi di memoria: 

A BREVE TERMINE – memoria di lavoro – raccoglie informazioni per c.a. 10 secondi e la elabora temporaneamente sfruttando una serie di sottocomponenti. 1. L’esecutore centrale – regola la focalizzazione dell’attenzione, eventualmente modificando il comportamento in corso – lobi frontali del cervello.



2. L’anello fonologico – si basa a sua volta su ‘magazzino fonologico’ che tiene le tracce di ricordo verbale per due secondi al massimo e su ‘linguaggio interiore’ quel processo di riproduzione articolatoria per un massimo di dieci secondi. A LUNGO TERMINE – che riguarda il mantenimento di ciò che è stato appreso o sperimentato anche in epoche lontane nel tempo ed è costituita da più sistemi separati. 1. Memoria implicita – conoscenze di cui non siamo consapevoli – due componenti: - Memoria procedurale, facilitazione e condizionamento. 2. Memoria esplicita – conoscenze di cui siamo consapevoli – è composta da memoria semantica e memoria episodica.

Esistono altre variabili che incidono molto sulla memoria:    

Intenzionalità – sforzo deliberato che il soggetto attua nel momento in cui adotta delle strategie di memorizzazione e accentuando l’attenzione; L’obbiettivo che il soggetto si pone; Le strategie utilizzate a questo scopo; L’elaborazione a cui il soggetto sottopone l’input per raggiungere l’obbiettivo.

Non basta la ripetizione per creare e garantire il mantenimento della traccia mnesica – del ricordo – ma non bastano neanche intenzionalità e la motivazione: la componente fondamentale è l’elaborazione dell’input. La stimolazione ripetuta di un circuito nervoso comporta la riduzione dell’energia necessaria per attivare il circuito stesso – si riduce la soglia di attivazione – con un effetto che può essere anche duraturo. La capacità del bambino di imitare a poche ore dalla nascita i comportamenti mimico facciali degli adulti testimonia l’esistenza di uno schema imitativo complesso nella specie umana codificato a livello genetico. Si tratta del ‘fenomeno del contagio’ (mirroring), ma non avviene soltanto tra bambini e adulti, bensì anche tra persone adulte e determina la propagazione di comportamenti sociali. Quest’ultimi però sono causati da altri fattori, come la memoria e i processi mentali individuali e collettivi. MEME  si tratta di un’unità minima di replicazione, trasmissione e riproduzione dell’informazione che può avere la forma di una melodia, di un’idea, di un modello, di una frase, che si trasmette da persona a persona, da una generazione all’altra, da una cultura all’altra. Non esistono memi buoni o cattivi ma solo memi che hanno più successo rispetto ad altri nella loro diffusione e nel loro mantenimento. Inoltre, non si riproducono mai identici ma mutano via via. Le traduzioni forniscono un mezzo potentissimo di diffusione di memi anche da cultura a cultura. TRADUZIONE/MEDIAZIONE: i concetti di fondo Traduzione come metafora: le metafore usate nel corso della storia per indicare la traduzione sono innumerevoli, come: ‘amante bella e infedele’ o ‘copia di un quadro originale’. In contesto coloniale si è perfino associato il tradurre a un atto violento di ‘cannibalismo’, che comprende non solo il concetto di ‘sacrificio’ delle culture colonizzate, ma anche quello di ‘digestione’ e inglobamento nelle culture colonizzatrici. Comunque, l’idea di tradurre è molto cambiata nel corso dei secoli. La società sumerico-accadica è stata la prima ha lasciarci dei documenti plurilingui ed aveva con la traduzione un rapporto di fiducia e di tolleranza, come si può ben vedere dal termine che utilizzavano per indicare i prodotti tradotti: ‘mihurtu’ che voleva dire ‘armonia’ ‘incontro’. In India la traduzione veniva chiamata chaya (ombra in sanscrito) intesa come ombra del testo originale. Nella Grecia antica non esisteva nemmeno un termine tecnico per indicare la traduzione e il traduttore, perché consideravano la loro cultura superiore. L’interprete era chiamato ‘hermenèus’. Nel mondo romano, invece, con la nascita della letteratura scritta, fortemente dipendente da quella greca, si sviluppa precocemente una riflessione sul tradurre. Quando un autore romano diceva di aver ‘tradotto’ un testo greco, si intendeva dire che l’opera era stata ripresa e liberamente adattata alla lingua, alla metrica e alla cultura romana. In italiano l’atto di trasferire un messaggio, elaborato in una lingua, in un altro messaggio elaborato in una diversa lingua rimanda al verbo

‘tradurre’ e i sostantivi da esso derivati ‘traduzione ‘traduttore/trice’. In ambito più specialistico, in realtà, si distingue l’atto di trasferire un testo scritto, e quello di interpretare oralmente. In anni recenti si è affermato l’iperonimo ‘mediazione’.

Dalla fedeltà alla lealtà traduttiva FEDELTA’  il concetto di fedeltà traduttiva riguarda il rapporto del traduttore nei confronti dell'opera e del suo autore originale. Nelle culture antiche il traduttore non poteva rimanere legato alla traduzione letterale, ma doveva piuttosto re-interpretare e convertire, adattando il testo le alle aspettative culturali. Successivamente in occidente il concetto di fedeltà traduttiva è maturato in riferimento alla traduzione scritta in particolare nella traduzione del testo sacro in ambito ebraico e cristiano e nella traduzione del testo letterario. Molto utilizzata in passato fu anche la tecnica traduttiva parola per parola: la stele di Rosetta. EQUIVALENZA  esiste una traduzione che si possa definire equivalente all'originale? Dryden spiegava che il traduttore ha il dovere di eseguire un ritratto somigliante all'originale. Questa teoria verrà ripresa e ampliata da Tytler che dirà che il traduttore non può usare gli stessi colori ma deve rendere la stessa emozione e lo stesso effetto. Nel 1964 Eugene Nida distingue: 



Equivalenza formale: quando l'attenzione si concentra sia sulla forma che sul contenuto del messaggio. I l'intento del messaggio è consentire al lettore di avvicinarsi il più possibile alla lingua di partenza. Equivalenza dinamica: Quando la traduzione restituisce la stessa relazione che esisteva fra il messaggio nella lingua originale e il destinatario per il quale era stato prodotto. Lo scopo in questo caso è di riprodurre un effetto equivalente. Con questo concetto Nida sposta l'attenzione dalla traduzione da lingua a lingua a quella da cultura a cultura.

Negli anni 70 il concetto di equivalenza viene affrontato anche dal punto di vista semiotico.    

Equivalenza linguistica: quando è possibile la traduzione letterale, esistendo omogeneità fra lingua di partenza e lingua di arrivo. Equivalenza paradigmatica: quando c'è un equivalenza sull’asse espressivo paradigmatico, cioè a livello grammaticale. Equivalenza stilistica: c'è un equivalenza funzionale, anche se non formale, degli elementi per ottenere lo stesso effetto espressivo. equivalenza testuale: quando c'è un equivalenza a livello della struttura sintagmatica del testo originale.

TRADUCIBILITA’  di intraducibilità linguistica si può parlare quando non si trova un equivalente lessicale o sintattico di una struttura nel passaggio da lingua a lingua. Anisomorfismo: l'impossibilità di far corrispondere tutti i significati di una parola in una data lingua a tutti i significati di una parola in un'altra. In molti casi il traduttore è obbligato a riorganizzare l'ordine delle parole, a cambiare il tempo del verbo. L'intraducibilità legata all’anisomorfismo è un falso problema, risolvibile con la tecnica della trasposizione. L' intraducibilità culturale, invece, è dovuta alla mancanza nella cultura di arrivo di quei tratti semantici che sono associati a un referente della lingua di partenza. ‘ Bagno, caffè, pane’ sono traducibili in tutte le lingue mediante equivalenti lessicali, ma rimandano ad usi diversi da cultura a cultura. Si tratta dei cosiddetti realia, ovvero manifestazioni specifiche di ogni cultura. Una posizione diversa quella di chi si occupa di traduzione specialistica: l' intraducibilità non esiste nella traduzione specializzata, data la natura ristretta della comunicazione. Eccezioni sono solo i testi mal scritti (con errori grammaticali, terminologia inadeguata) o particolarmente ambigui (per esempio testi legali) che costringono il traduttore ad una riscrittura totale. In realtà oggi, soprattutto grazie a ‘The translation studies’, la questione dell' intraducibilità è stata alquanto ridimensionata e il dibattito riguarda piuttosto le traduzioni possibili, le strategie traduttive che possiamo intraprendere etc.

ADEGUATEZZA  traduttore cerca di interpretare il senso che l'autore ha inteso trasmettere, ma lo fa allo scopo di ricrearlo in un testo realizzato in un'altra lingua. Gode di una certa libertà: può oscillare tra il polo delle traduzioni funzionali o formali e quello delle traduzioni dinamiche. Secondo de Mauro possiamo realizzare 7 tipi di adeguatezza dell'evento traduttivo: 1. Denotativa: Quando l'interprete produce un enunciato che veicola un senso simile in un'altra lingua. 2. Sintattico frasale: quando si cerca di rispettare nella traduzione la scansione in frasi dell'originale. 3. Lessicale: quando si rispetta non solo la scansione in frasi, ma anche uno stesso equivalente per ogni parola. 4. Espressiva: quando si tende a rendere anche il fascino del ritmo usando la vocalità materiale della lingua di arrivo. 5. Testuale: quando si tende a rendere le norme relative ai diversi generi e stili di discorso. 6. Pragmatica: quando si realizza una traduzione che riproduce l'effetto dell' originale sui suoi lettori. 7. Semiotica: quando la traduzione si pr...


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