Tintoretto, prospettiva bramante PDF

Title Tintoretto, prospettiva bramante
Course Arte Renacentista
Institution Universidad de Palermo
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Tintoretto...


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Iacopo Robusti, detto il Tintoretto, (Venezia 1518-1594), dopo Tiziano è stato sicuramente il pittore veneziano più importante del Cinquecento. La sua attività artistica, tutta svolta nella città lagunare, ha riempito Venezia di straordinari capolavori, la cui caratteristica maggiore è stata di essere altamente scenografici e spettacolari, anche grazie alle dimensione sempre monumentale delle sue opere. Queste enormi tele andarono a decorare alcuni dei principali e più rappresentativi edifici di Venezia, quali il Palazzo Ducale, la scuola e la chiesa di San Rocco, la chiesa di San Giorgio Maggiore.

Mentre Tiziano rendeva la sua pittura sempre più rarefatta e intimistica, Tintoretto si muoveva invece sulla ricerca degli effetti molto più spettacolari, combinando insieme architetture in prospettive decentrate, scorci molto arditi, affollamento di figure, tensione drammatica nei gesti, nonché effetti di luce e di ombre molto suggestivi. Si può dire che Tintoretto conosceva tutti i trucchi del mestiere per rendere le sue immagini accattivanti. Il senso scenografico delle sue opere preannuncia già ampiamente lo stile barocco che di lì a qualche decennio si diffonderà nell’intera Europa.

LEONARDO DA VINCI LEONARDO DA VINCI Grande importanza ebbe per lui lavorare come artigiano in bottega visto che a coloro i quali praticavano questo mestiere si richiedevano conoscenze in diversi campi. La sua grande conoscenza in anatomia gli permise di raggiungere una notevole potenza comunicativa e realistica. Questo concetto si applica nella Madonna di Benois. Nell'Adorazione dei Magi, invece, tutte le direttrici della composizione convergono al centro dove la Vergine ha in braccio il Bambino.Lo spazio attorno dimostra chiaramente che gli artisti hanno ormai abbandonato la prospettiva del Quattrocento. Nella Vergine delle rocce risaltano i fenomeni ottici. E' la variabilità dei corpi a determinare il variare dei colori. Il Cenacolo rappresenta il vertice della ricerca artistica di Leonardo in cui sono presenti studi anatomici, rapporto tra luce e illusione spaziale e prospettica oltre che sperimentazione tecnica e materiale. Gli apostoli sono divisi in triadi e al centro domina l'immagine piramidale di Cristo su cui l'impianto spaziale chiaro e severo è concentrato. I personaggi sono resi in una scala superiore al naturale. Leonardo stabilì un nuovo modello di ritratto che s'identifica ne “La Gioconda”. Il soggetto è ritratto in una posizione sopraelevata rispetto allo sfondo. La superficie cromatica è formata dal sovrapporsi di numerosi strati di vernice così sottili da conferire ai pigmenti una sorta di velata, soffusa e trasparente luminosità interna. DONATO BRAMANTE Nella sua prima realizzazione, Bramante applica all'architettura i principi dell'illusione prospettica. Nella ricostruzione della chiesa di Santa Maria si rifà alla chiesa di Santo Spirito del Brunelleschi. Per Bramante gli elementi architettonici che non possono essere costruiti, possono essere rappresentati dipingendoli. In Santa Maria delle Grazie, Bramante dà vita ad un'architettura completamente nuova: l'impianto centrale è articolato in spazi e volumi legati fra loro da un nesso gerarchico. Il cristo alla colonna suscita nello spettatore un forte coinvolgimento emotivo. MICHELANGELO BUONARROTI Studia con passione le opere di Giotto e Masaccio e in oltre egli impara il significato delle fonti antiche e il valore ideale che la civiltà classica riveste per la cultura del Rinascimento. La Pietà afferma le sue qualità artistiche. La statua è modellata su iconografie di origine nordica: Cristo morto sostenuto dalle braccia della Vergine. La statua non rappresenta in sé la Madonna e il Cristo bensì il sentimento di pietà che infonde. Il David viene scolpito nel momento in cui egli fissa l'avversario dunque la sua espressione mostra la forte tensione fisica e psicologica. La concentrazione è in oltre evidente nei dinamici contorni e nei muscoli riprodotti con la massima precisione anatomica. I piani e le masse del corpo sono volume e materia vibrante d'energia.

la differenza tra prospettiva geometrica e quella aerea. La prima, non so in che misura usata da bramante, ma comunque legata alle sue concezioni artistiche, crea l'effetto dello spazio e della distanza tramite la propriezione degli elementi in un sistema geometrico.. in pratica se un quadrato lo dipingo come un trapezio abbassato può sembrare un quadrato poggiato in terra, in fuga prospettica.

la prospettiva aerea invece, si dice inventata da leonardo, rende gli effettio di distanza con la luce: più un oggetto è lontano più apparirà chiaro e sfumato per effetto della foschia.. Il disocrso di rendere "tutt'uno con la stanza" fa riferimento alla particolare tecnica dello sfumato, che crea una sorta di atmosfera che lega maggiormente figure e sfondo.. immaginati la differenza tra una stanza nitida e una in cui è presente una leggera nebbiolina

Cristo alla colonna di Donato Bramante Relazione di storia dell'arte, di Samuele Gaudio

Donato Bramante, Cristo alla colonna, Olio e tempera su tavola, Cm 93,7 x 62,5, Pinacoteca di Brera

Quest’opera è situata nella ventiquattresima sala della pinacoteca di Brera, dove sono presenti altre due opere: la Pala Montefeltro, realizzata da Piero della Francesca, e lo Sposalizio della Vergine, realizzato da Raffaello Sanzio. Queste sono anche le più importanti opere ospitate dalla Pinacoteca. Il Cristo alla colonna di Bramante proviene dall’ abbazia di Chiaravalle presso Milano, dalla quale fu portato a Brera nel 1915. Nell'abbazia il dipinto era collocato sull'altare della seconda cappella del transetto destro.

Questa è un’opera significativa, perché l’attività di Bramante sia come pittore (e del Bramante pittore non si hanno molte opere), sia come architetto, ha segnato una svolta nello sviluppo dell’arte lombarda, indirizzandola verso un rinnovamento, in rapporto con le novità prodotte dal Rinascimento, che si era già ampiamente diffuso nelle altre città italiane. Per questo motivo le opere di Bramante influenzeranno l’ attività degli artisti lombardi posteriori.

Quest’ opera è stata realizzata da Donato Bramante nei primi anni novanta del ‘400, quando egli era già presente a Milano (si era recato nella città nel 1480). Gli viene commissionata dal cardinale Ascanio Sforza, fratello di Ludovico il Moro. Bramante in quegli anni assume una posizione privilegiata nella corte di Ludovico il Moro, il quale lo coinvolge nella costruzione di importanti cantieri e imprese architettoniche, come per esempio la progettazione della chiesa di Santa Maria presso San Satiro. Prendere in considerazione quest’ultimo progetto, è importante per capire la concezione di spazio e di prospettiva che ha Bramante e che determina anche le opere pittoriche che sono presenti a Brera. Infatti nella chiesa di Santa Maria, Bramante costruisce un finto coro prospettico. Egli riesce a creare l’illusione della profondità di quest’ultimo, che nello spazio reale è profondo solo un metro, insomma uno spazio angusto che non sarebbe stato adatto allo scopo celebrativo e votivo che aveva l’edificio. Nella parte del finto coro prospettico, doveva esserci l’immagine della Madonna, ma grazie agli artifici prospettici e architettonici adottati da Bramante, lo spazio sembra molto più profondo. Questo fa capire come Bramante usava la prospettiva, non per riprodurre uno spazio reale, ma al fine di creare uno spazio illusorio, in cui le misure reali risultano distorte, realizzando in questo modo una scenografia. L’ elevatissima conoscenza dei principi e delle leggi prospettiche, acquisita probabilmente nella corte urbinate, viene usata da Bramante anche per collocare le figure nei suoi dipinti. Gli esempi presenti alla Pinacoteca sono non solamente il Cristo alla colonna, ma anche il ciclo di affreschi degli “uomini d’arme” di Casa Panigarola, realizzati intorno al 1487, cioè non molti anni prima del Cristo alla colonna.

Donato Bramante, Uomo dallo spadone, Affresco, Pinacoteca di Brera

Bramante inserisce le figure di uomini d’arme, che ritraggono personaggi eminenti della corte sforzesca, all’interno di finte nicchie decorate, che dispone sui lati della sala dove erano presenti gli affreschi, ispirandosi forse all’affresco Pippo Spano di Andrea Castagno.

Egli riesce a creare, attraverso la realizzazione delle finte nicchie, l’illusione che lo spazio della sala sia ingrandito. Lo fa forzando la visione prospettica e scorciando di molto gli elementi spaziali della nicchia. Il risultato che riesce ad ottenere è il senso di monumentalità che acquistano le figure, che si affacciano allo spettatore in modo teatrale, presentandosi in tutta la loro grandezza, sia fisica che morale. Nel Cristo alla colonna, invece, Bramante usa la sua conoscenza della prospettiva, e la sua capacità di creare spazi in cui collocare le figure, per un altro scopo: non per uno scopo celebrativo, ma al fine di accentuare l’impatto emotivo che lo spettatore prova mettendosi davanti a questo dipinto.

L’ambiente in cui inserisce il Cristo, in questo caso, occupa poco spazio nella composizione, ma si riesce comunque bene ad intendere, dagli elementi che Bramante raffigura, che è un luogo ampio, con un colonnato che si apre sull’esterno attraverso una finestra, la quale lascia intravedere, dietro il davanzale, un

fiume o un lago, oltre il quale si distende il paesaggio, che sbiadisce, allontanandosi, sempre di più. La pisside, o vaso, sul davanzale, è uno degli elementi più misteriosi del quadro, in quanto ha sicuramente un valore simbolico non facilmente determinabile, ed ha dato luogo, infatti a molte interpretazioni discordanti.

In particolare, il paesaggio, probabilmente, è dovuto all’influenza che le opere di Leonardo hanno avuto sull’ attività di Bramante. Infatti Leonardo a Milano aveva già dipinto la Vergine delle rocce nel 1483. La composizione mette quindi in relazione l’estremamente vicino (il primo piano del corpo di Cristo) con l’estremamente lontano (il paesaggio esterno fuori dalla finestra). Centrale è la figura di Cristo che è a mezzo busto, non è completa come nel caso di alcuni uomini d’arme. L’elemento più importante dello spazio architettonico è la colonna, che dà la sensazione di spingere la figura e il corpo di Cristo fuori dal quadro, verso di noi, come per presentarcelo in modo teatrale, mettercelo davanti agli occhi in tutto il suo dolore. È questa la prima sensazione che si ha vedendo questo quadro. Il primo contraccolpo si ha proprio nel guardare il corpo di Cristo sospinto verso di noi, presentato in tutta la sua drammaticità. Il corpo muscoloso, un corpo scolpito, perfetto, di impronta classica, non è ancora scalfito, indice del fatto che la flagellazione non è ancora iniziata, ma sta per cominciare. L’elemento che ci suggerisce che Egli sta per essere percosso è l’espressione del suo viso e dei suoi occhi, che sono il secondo elemento che coglie il nostro sguardo, dopo il corpo. Questi occhi sono come rivolti verso di noi, guardano alla nostra altezza, non si volgono in alto come nel caso degli uomini d’arme o al cielo, verso il Padre, come nella precedente versione del Cristo alla colonna di Antonello da Messina della fine degli anni 70 del ‘400 (conservato al Louvre), dalla quale probabilmente Bramante era stato ispirato per dipingere la sua opera. Gli occhi che raffigura Bramante è come se guardassero tristemente e con pietà verso di noi, la bocca è socchiusa come se ci stesse per parlare e facessimo parte della folla che assisteva immobile e passiva alla flagellazione o addirittura come se fossimo noi che lo stessimo per torturarlo. Inoltre l’espressione del Cristo in questa tavola è differente dalle espressioni facciali degli uomini d’arme, oppure di quelle dei filosofi Eraclito e Democrito, personaggi che raffigura Bramante in un affresco che doveva precedere la sala raffigurante gli uomini d’arme. Queste espressioni infatti risultano più forzate, come vere e proprie maschere teatrali; mentre l’espressione del Cristo è molto più reale e riesce così a trasmettere più pathos, risulta molto più drammatica. Questo quadro riesce a comunicare nell’osservatore un elevato senso di partecipazione, grazie sia al primo elemento del corpo presentato a noi in tutta la sua nuda umanità, sia all’espressione degli occhi, che suscita in noi pietà. Cristo ci guarda con un immenso amore, il suo sguardo amorevole è segno di qualcosa che va oltre l’umanità del suo corpo. Egli è addolorato per noi, più che per il fatto che dovrà provare dolore lui stesso. Un’altra cosa che colpisce è l’elevatissima qualità con cui è reso il soggetto, il cui corpo è stato probabilmente dipinto con delle sfumature create attraverso la sovrapposizione di velature di colore, dato che non si riescono a percepire le pennellate distinte. I ricci dei capelli sono resi con pennellate finissime, che riescono a riprodurre l’effetto che la luce fa colpendoli e creando dei riflessi. L’attenzione di carattere fiammingo alla resa del particolare si può riscontrare nella resa dei particolari del corpo come le vene e anche nella rappresentazione del paesaggio e delle decorazioni classiche in oro sulla colonna, rese con un’attenzione da antiquario, che riflettono anch’esse la luce. Bramante riesce a far risaltare il volume della figura accentuandone la contrapposizione tra parti in luce e parti in ombra. Bramante riesce a rendere anche il modo diverso con cui la luce modella, colpendoli, gli elementi diversi del Cristo, diffondendosi sulla superficie chiara della pelle del corpo,che così risulta ancora più evidenziato, o riflettendosi sui ricci dei capelli finissimi o nelle lacrime del volto. Le forme volumetriche rese attraverso l’accentuato chiaroscuro che raffigura Bramante sono ben definite e distinte tra loro, le ombre che raffigura non avvolgono le figure in un’atmosfera buia rendendole confuse, come invece risultavano quelle di Leonardo, dal quale comunque Bramante è stato influenzato, soprattutto nella capacità di rendere le

sfumature dei colori. La parte dove è più accentuato il contrasto tra luce e ombra è il volto, che risulta nettamente diviso in due parti, tanto che l’occhio di destra è molto più scuro e si riesce a vedere di meno, anche se malgrado questa la penombra si riesce a cogliere comunque l’espressione di questo, e anzi il contrasto ne fa risultare accentuata la drammaticità e il senso di tragicità, la quale è sottolineata anche dalla resa della carne del braccio stretta dalla corda e dal colore freddo e livido del viso e del collo, dovuto alla morsa del cappio attorno a quest’ultimo. Inoltre la sala dove è presente questo quadro non è molto luminosa quindi risulta accentuato l’opprimente e angoscioso tono verdognolo della pelle del viso, in modo quasi esagerato. È chiaro quindi l’intento di Bramante di stimolare con questo quadro la nostra emotività, volontà che risulta quindi in opposizione a quella di Piero della Francesca, che attraverso le sue composizioni vuole invece sollecitare la nostra ragione, come accade appunto con la Pala Montefeltro, rispetto alla quale il Cristo alla colonna di Bramante si trova sul lato opposto della sala della pinacoteca, e forse non casualmente.

Dopo mesi in restauro (da gennaio 2017) è stato recentemente ricollocato ed esposto al pubblico il Cristo alla Colonna di Donato Bramante, il dipinto, a mio parere, più toccante in assoluto di Brera.

E per questo, oggi ve ne voglio parlare.

Donato Bramante è attestato in Lombardia già dal 1477 quando affresca la facciata del Palazzo del Podestà di Bergamo e sicuramente a Milano si trova già nel 1481, data certa grazie a un’incisione detta “Prevedari”, dal nome dell’incisore che la eseguì su disegno del maestro e che riporta il suo nome e la datazione.

Nel 1485-90 l’abbazia di Chiaravalle gli commissiona quest’opera. E’ l’unica opera su tavola del maestro marchigiano. Il corpo di Cristo è un corpo perfetto, muscoloso, scolpito, possente, di chiaro stampo classico, che legato alla colonna sembra spingersi verso di noi.

La colonna è decorata con i classici motivi floreali rinascimentali che troveremo anche nella sagrestia di Santa Maria presso San Satiro a Milano e in molteplici altri lavori. È un’opera che ti smuove, non ti può lasciare indifferente, quelli sono occhi e lacrime che non si dimenticano facilmente una volta usciti dalla sala…..

La corda è stretta al collo, notare il realismo, la corda stringe a tal punto che il viso è grigio, emaciato, un colorito spento che fa da netto contrasto con la pelle rosacea del resto del corpo, la stessa corda stretta sul braccio ne piega la carne. Li dove poggia, tra clavicola e collo un evidente segno di sfregamento.

La corona di spine affonda sul capo e un rigolo di sangue scende dall’attaccatura dei capelli.

La fronte corrugata e il viso in penombra svelano un’espressione di patetismo e quella lacrima quasi invisibile scende e si fa strada su quel volto scavato dalla passione. Bramante ci mostra il Cristo con tutto il suo dolore, con la bocca socchiusa come se stesse per sussurrarci qualcosa prima dell’inizio della flagellazione.

Ma non è solo il dolore per il calvario che sa di dover affrontare, è un dolore per noi, per i nostri errori, è uno sguardo di amorevole pietà e compassione per l’essere umano, dolore che prova per noi, a causa nostra e che sopporta per la nostra salvezza.

È di un’intensità drammatica sconvolgente.

La luce ha due fonti: una centrale propria del corpo di Cristo e una laterale, proveniente dalla finestra.

Quel gioco di ombre e luce ha anche una valenza simbolica, segna il passaggio che Cristo deve compiere attraverso l’oscurità per arrivare alla luce, alla salvezza. L’eterno dualismo luce/oscurità, bene/male.

All’orizzonte un paesaggio sfumato, Leonardo ha già lasciato la sua eredità a Milano, la pisside sul davanzale ci ricorda l’eucarestia e le navi che per qualcuno simboleggiano le navi turche rappresenterebbero la minaccia alla Chiesa, paragonando così metaforicamente le pene e il dolore di Cristo a quello di una Chiesa in pericolo dall’espansione turca....


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