Umanesimo giuridico - Riassunto Storia del diritto PDF

Title Umanesimo giuridico - Riassunto Storia del diritto
Course Storia del diritto
Institution Università degli Studi di Teramo
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Summary

La scuola culta apre all'età moderna...


Description

Al fine di una migliore comprensione è necessaria una prima analisi dei ccdd “8 caratteri” individuati dagli autori del manuale: -

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Filologia nel senso già descritto di “attenzione per il testo”, che, tuttavia, fatica ad entrare nello studio del diritto. Tale contrasto metodologico è ben stigmatizzato dalle opere rientranti nel genere della cd “Disputa delle arti”: opere di critica di umanisti, letterati e medici contro i giuristi e viceversa. La differenza dell’approccio giuridico è ben visibile nel confronto con la cultura medica capace di conferire al medico una spiccata capacità di risoluzione del singolo caso concreto a prescindere e oltre la meccanica applicazione di regole generali uguali per tutti. In campo giuridico si manifestano le prima istanze di semplificazione. Secolarizzazione intesa come “dissacrazione della immutabilità e perfezione del diritto di Giustiniano”. La critica del testo giustinianeo investe dapprima le inesattezze frutto del sistema di copiatura e della tradizione metodologica medievale e, successivamente, si spinge fino al contenuto sostanziale della compilazione stessa: il Digesto è, infatti, un’enorme “raccolta di frammenti “estirpati” delle proprie sedi naturali, e cioè le opere degli antichi giureconsulti della Roma classica. Ad esempio, Francois Hotman nella sua opera “Anti Tribonien” critica Triboniano su due diversi fronti: da un lato per aver composto il Digesto tagliando ed incollando pezzi di opere di giuristi differenti aveva di fatto “condannato a morte” le opere originali dei giuristi di epoca classica, dall’altro per l’architettura sistematica del Digesto e del Codex non seguiva un’organizzazione razionale della successione delle materie. Con Hotman si hanno, infatti, le prime istanze per una razionalizzazione delle materie. Argumenta per cui valgono le considerazioni svolte nella lezione precedente. Problema di metodo dell’insegnamento tale “carattere” attiene alla tradizionale contrapposizione trai due nuovi approcci al diritto: quello di vecchio stampo universitario che prese il nome di Mos Italicus, e quello caratterizzato dallo spirito di critica filologica del testo di legge, conosciuto come Mos Gallicus. Il “primo filone” di azione dei giuristi umanisti, insieme alla sistematica, fu, infatti, quella della critica filologica delle fonti. Lo studio filologico e, per così dire, “antiquario” comincia ad introdurre nello studio del diritto la visione storica degli istituti e dei testi, solo grazie al distacco acquisito per il tramite della consapevolezza storica, e al distacco dal testo che ne deriva è possibile nutrirsi del testo stesso, studiandone i principi costruttivi per, tuttavia, creare da questi un novum, diverso e attuale, più attinente alla realtà concreta. Tale approccio, figlio della nuova mentalità umanista è uno degli effetti della modifica del corso di studi preuniversitari, della formazione nelle scuole e del modello educativo in genere. Nel corso del secolo si assiste, infatti, alla creazione di scuole umanistiche improntate allo studio del latino e del greco per la costruzione di un bagaglio di conoscenze classiche da mettere a servizio delle esigenze della società attuale. È proprio lo studio profondo delle lingue antiche che suscita nell’intellettuale quello spirito tipicamente filologico del dubbio che lo spinge a non fidarsi della traduzione data – e molto spesso distorta- del testo. Tale modello venne ripreso anche dalla scuola gesuita istituita da S. Ignazio: il Collegio Romano.

Uno dei più grandi esponenti della filologia giuridica del cinquecento fu Andrea Alciato, giurista italiano trasferitosi in Francia a seguito delle critiche mossegli dai suoi colleghi dell’università italiana. Egli ricevette una formazione umanistica tale da renderlo un grande conoscitore delle lingue greca e latina. Effettuò annotazioni critiche al Corpus, soprattutto al Digesto ed ai Tres Libri, data la sua passione per le istituzioni antiche. Si occupò di ricostruire il testo originale del Digesto reinserendovi, grazie all’ausilio dei manoscritti antichi, le parti in greco che i copisti medievali avevano eliminato. Il nuovo modo di approcciarsi ai testi di cui Alciato è espressione è alla base del rinnovamento del diritto moderno; si cominciò a comprendere la profondità storica delle fonti, soprattutto romane, e la loro differenza con il diritto attuale. Il suo insegnamento si diffuse soprattutto in Francia. Alcuni suoi seguaci si occuparono, per primi, di storia del diritto oltre che di filologia. Tra questi ricordiamo Jacques Cujas (1522-1590) o Cuiacio. Egli cercò di ricostruire la dialettica storica delle fonti romane, dando rilevanza a fonti diverse dal Corpus, come per esempio il Codice Teodosiano. Francois Connan grazie all’atteggiamento di critica distaccata e di perenne dubbio costruttivo sopra descritto analizzò l’uso di una parola greca utilizzata nello studio del contratto: synallagma, tradizionalmente identificato, in via del tutto erronea con la parola “accordo”, giacché, si diceva, il il contratto trae la propria forza vincolante da esso. Connan, studiando sulle fonti greche aristoteliche identificò, invece, correttamente la parola come “proporzione”: il contratto non è tale perché vi è un incontro di volontà ma perché la volontà ricade su una proporzione dei vantaggi che le parti ricevono dal contratto -

Esigenza del sistema: “Jus in artem redigere”. L’abbandono dell’accettazione acritica della struttura compilativa romana diede adito all’idea di poter progettare un sistema razionale di descrizione degli istituti giuridici dal quale si incominciò a dissociare la descrizione del processo, considerato il cd “momento patologico” del rapporto giuridico sostanziale. Il modello ritenuto più affidabile e razionale, su cui improntare la nuova ricostruzione del sistema fu Gaio, giurista di età classica. La sistematica si afferma, così, come modo ideale di apprendimento del diritto: è necessario che il giurista abbia una “visione d’insieme dell’ordinamento giuridico”; egli deve avere conoscenza di tutte le branche del diritto anche di quelle da cui non potrà trarre alcuna utilità. Questa disciplina mentale, prima che didattica, diventò ben presto un elemento tipico della sistematica tedesca. Tra i “campioni della sistematica giuridica” è sicuramente da ricordare Ugo Donello Huges Doneau (1527-1591) che, abbandonando il modello di conoscenza “per avvicinamenti mediante contrasti” tipico della dialettica e scolastica medievali, adottò un metodo di descrizione dei concetti analitico ed armonico, fondato sulla descrizione dei concetti generali e poi particolari.. Nella corrente dell’Umanesimo giuridico si distinguono, tradizionalmente, due generazioni: la prima  corrispondente alla prima metà del 500: Alciato Budeo, Zasio La seconda  il cui principale esponente è Donello. Merita una menzione a sè anche Jean Bodin giurista umanista che scrisse opere di diritto pubblico come la “Republique”, non tralasciando opere si sistematica sulla scia dei grandi commentari di Doneau.

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Compendia e Tractatus: sono opere monografiche dedicate ad un solo tema. Sebbene negli anni in esame si assista ad un incremento di tale letteratura, tale elemento non rappresenta una vera e propria innovazione dell’umanesimo, essendo piuttosto legato alle ricordate esigenze di semplificazione. Mito della brevitas e del ritorno alle fonti anche tale elemento è legato alle istanze semplificatorie e di controllo delle fonti nate dalla grande confusione e prolificazione dei testi che si ebbe con l’invenzione della stampa che di fatto impedivano la selezione degli argomenti. Ulteriore elemento di complicanza fu il nuovo andamento casistico della letteratura giuridica nato con la nascita dei grandi tribunali cenrali. Tutto ciò portò alla formazione di di opere in ordine alfabetico che facilitavano l’approccio al testo mediante una semplificazione della ricerca: prolificarono così le enciclopedie, e i dictionaria iuris. Tali strumenti di gestione della complessità crescente, tuttavia, vennero principalmente prodotti nell’ambito del Mos Italicus. Centralità del testo e ruolo dell’interprete. Protagonista del meccanismo intellettuale di comprensione diviene il lettore che propone una lettura originale del testo. L’Umanesimo giuridico, con le istanze su richiamate, apre la strada verso la codificazione: comincia a farsi strada l’idea che la sistemazione del diritto debba avvenire non più attraverso gli sforzi dottrinali ma dal potere centrale stesso. In quanto assoluto è lo Stato nazionale, detentore del potere legislativo, a dover provvedere alla progettazione di un sistema razionale di istituti giuridici. In fondo, questo modo di guardare alla scuola culta francese rispecchia le due visioni del diritto che si affermarono nell’Ottocento, il secolo in cui nacque la storia del diritto: da una parte c’era il modello francese, di stampo illuminista tendente alla codificazione: ricorrendo allo strumento codicistico si tentò di semplificare, razionalizzare e riadattare vecchi istituti giuridici per poi imporli alla collettività promulgando il codice mediante la legge; gli si opponeva il modello tedesco, di segno opposto, che postula un ampliamento della formazione storica del giurista in grado di sostituire la codificazione, usando le fonti del diritto civile romano. Questo dualismo ottocentesco si “specchiava”, per così dire, nella ricostruzione del Cinquecento francese, che puntava da una parte alla razionalizzazione e alla nazionalizzazione del sistema, dall’altra alla profonda conoscenza storica del diritto romano. La maturità giuridica della scienza di fine trecento non può ridursi all’identificazione di essa con la semplice ripresa del diritto romano giustinianeo. la natura composita dell’età del ius commune è

ravvisabile in molti altri aspetti della vita del diritto, in cui le contingenze sociali e storiche tipicamente medievali apportarono profonde modificazioni all’apparato giuridico classico. Un altro esempio è il diritto penale: questo assunse caratteri nuovi rispetto alla tradizione alto medievale. La principale novità consistette nella trasformazione della forma del processo che da accusatorio divenne inquisitorio. Nella nuova procedura l’onere della prova della colpevolezza del sospettato, si spostava dall’offeso al magistrato, che molto spesso era la stessa persona a cui spettava il compito di giudicarlo. Il processo inquisitorio, nato per esigenze di repressione delle minacce all’ordine pubblico, ricalcava l’antica

procedura prevista per il crimen laesae maiestatis che nel diritto romano, tuttavia, era una procedura speciale in quanto peggiorativa delle garanzie date al reo. Essa, infatti, includeva una serie di strumenti di ricerca delle prove che, appunto perché “speciali”, esulavano dalla normale procedura posta a salvaguardia anche della posizione del reo. Tra questi strumenti di prova vi era anche la tortura, volta ad estirpare la confessione del sospettato che di fatto anticipava il momento punitivo alla fase precedente alla statuizione sulla colpevolezza o meno. Il più noto processo inquisitorio fu quello attuato dalla chiesa contro le eresie, tuttavia diversi furono gli ambienti in cui esso si applicò. Gli statuti comunali, ad esempio, si concentrarono molto sul tema della legge penale, anche a causa della difficile situazione politica al loro interno caratterizzata da momenti di aspro scontro tra fazioni. Tali scontri, così come le eresie cd “sociali”, minacciavano fortemente il bene di vita pubblico della pace sociale. Poiché quello che veniva leso era un interesse pubblico era necessaria una procedura nuova che andasse oltre lo schema offeso-accusato. Fu proprio per tale motivo che, giuridicamente, venne concepita la tecnica del passaggio della responsabilità di agire penalmente dall’offeso al magistrato. Si procedette mediante un elemento già noto al mondo romano: la fama. Il sospettato per pubblica fama diveniva oggetto di indagine da parte del magistrato poiché era stata proprio “la sua fama” ad averlo accusato, ad aver portato alla cognizione del magistrato la notitia criminis. Tale applicazione è ben spiegata da Alberto Gandino nel suo Trattato de Maleficiis, Le stesse caratteristiche inquisitorie vennero assunte all’interno dei regni: qui la questione dell’iniziativa penale fu posta al centro delle loro politiche di autonomia, come fu in Inghilterra per il tentativo di applicare la legge penale laica anche ai chierici. Altro elemento portante del processo inquisitorio mutuato dalla procedura di lesa maestà fu quello della confisca dei beni del condannato, pena funzionale agli introiti della corona che fu largamente inflitta anche ai templari processati nel 1307 da Filippo il bello di Francia. Sul campo del diritto pubblico si cominciò a porre il problema del bilanciamento tra l’absolutio da qualsiasi legge del legislatore e dei limiti postigli dall’ordinamento stesso. La questione riguardava in sostanza la qualificazione della sovranità del re all’interno del proprio regno: quali erano i suoi poteri e fino a dove poteva spingersi? Il problema venne molto sentito in Sicilia, e già nei primi commenti al Liber Augustalis si ritrova la formula espressiva della sovranità medievale “rex superiorem non recognoscens in regno suo est imperator”. Il rapporto tra sovrano e ordinamento non era di facile soluzione a livello giuridico – se non addirittura impossibile. Il limite della sovranità, nel medioevo, venne, perciò, ricercato al di fuori del diritto ed in particolare nella morale ed in Dio: era Dio che puniva il sovrano che aveva oltrepassato i propri limiti. La società medievale si affacciava sempre più verso il moderno, gestita da logiche del diritto raffinate ed amministrata da un’ampia classe di giuristi che ne avevano appreso le tecniche interpretative e che ora popolavano non solo i ranghi della magistratura ma anche quelli delle amministrazioni statali. All’interno di questo nuovo ceto di tecnici del diritto venne ben presto introdotto un elemento di novità sul piano culturale consistente nelle suggestioni di rinnovamento nutrite del fascino per l’antichità. La critica

dell’attualità veniva allora effettuata mediante una rievocazione del mondo passato. Tale idea è alla base del cd Umanesimo giuridico che vide l’irruzione di questo amore per l’antico nel panorama consolidato delle fonti del diritto romano così come inserite e studiate nell’ambito del ius commune. Si riscoprì, perciò, una cura nella ricostruzione del testo antico originario, coadiuvata dalla filologia. Questa consentiva al letterato di identificare, attraverso lo studio della lingua, l’epoca in cui il testo era stato scritto e quindi l’autenticità o meno di esso. Uno dei più famosi filologi del quattrocento fu Lorenzo Valla che operò, criticandolo, sul testo del Digesto nella versione della Vulgata individuandone tutte le cd “varianti”, gli errori di copiatura che non solo erano molto frequenti ma, a volte, risultavano determinanti. -->

La critica filologica del Digesto fu resa possibile grazie anche al suo confronto con il manoscritto di epoca giustinianea conservato a Pisa e fatto oggetto di bottino una volta che la città venne conquistata dalla stirpe medicea: le Pandette Fiorentine. L’inizio della critica filologica, dettato dall’amore per l’antico risultò, tuttavia, essere distruttivo dell’impalcatura logica e concettuale su di essa costruita dalla vecchia scienza giuridica. Essa fu, pertanto, fortemente osteggiata dalle università italiane e molti dei giuristi ed intellettuali che si dedicarono alla nuova “scienza filologica” dovettero trasferirsi, fondando una nuova scuola a Bourges. Si contrapposero così due nuovi approcci al diritto: quello di vecchio stampo universitario che prese il nome di Mos Italicus, e quello caratterizzato dallo spirito di critica filologica del testo di legge, conosciuto come Mos Gallicus....


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