Utopia Sir Thomas More PDF

Title Utopia Sir Thomas More
Course Letteratura inglese 2
Institution Università di Pisa
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Summary

Traduzione parziale dei primi due libri di Sir Thomas More, Utopia...


Description

Utopia Sir Thomas More 1516 (Latino) - 1551 (Inglese) Dal libro I [Comunismo utopico] È questo che intendevo (disse lui) tra i re, quando dicevo che la filosofia non ha un posto. Infatti (dissi io) non ce l'ha questa filosofia scolastica che pensa che tutte le cose siano adatte ad ogni posto. Ma c'è un'altra filosofia, più civile, che conosce, come direste voi, il proprio palcoscenico, e quindi, ordinando e comportandosi nella commedia che ha in mano, recita la sua parte con eleganza, senza dire nulla fuori dall'ordine e dalla moda. E questa è la filosofia che devi usare. Oppure, mentre si recita una commedia di Plauto e i vili schiavi si fanno beffe e scherzano tra loro, se tu dovessi improvvisamente entrare in scena in abito da filosofo e recitare da Ottavia il luogo in cui Seneca discute con Nerone, non sarebbe stato meglio per te di aver recitato il muto, piuttosto che provando quello, che non serviva né per il tempo né per il luogo, di aver fatto una tale commedia tragica o accozzaglia? Perché portando altre cose che non c'entrano nulla con la materia presente, devi per forza rovinare e corrompere la commedia che è in corso, anche se le cose che porti sono molto migliori. Qualche sia la parte che avete preso su di voi, recitatela meglio che potete e tiratene fuori il meglio; e non disturbate e non mettete in disordine l'intera faccenda, perché un'altra, più bella vi viene in mente. Così il caso sta nel, e meglio viene al, vostro bene comune, e così è nelle consultazioni dei re e dei principi. Se le cattive opinioni e la cattiveria dei loro cuori, se le persuasioni non possono essere del tutto e del tutto estirpate non possono, anche come si vorrebbe, rimediare ai vizi, che l'uso e la consuetudine hanno confermato: tuttavia per questo motivo non dovete lasciare e abbandonare il bene comune: non dovete abbandonare la nave, perché non puoi governare la nave e cercare di controllare i venti allo stesso momento. No, perché non puoi e non devi sforzarti di inculcare nelle loro teste, nuove e strane informazioni, che sai bene che non avranno nulla a che fare con coloro che sono di mente in netto contrasto con la tua. Ma devi, con astuta astuzia e con un sottile stratagemma, studiare e sforzarti, tu stesso, per quanto ti è possibile, di trattare la questione in modo intelligente e adeguato per lo scopo, e quello che non puoi volgere al bene, in modo che non sia molto cattivo. Poiché non è possibile che tutte le cose siano buone, a meno che tutti gli uomini non siano buoni. Il che credo che non sarà ancora questo buono molti anni. In questo modo (disse) non si farà nient'altro che cercare di rimediare alla follia degli altri, io dovrei essere pazzo come loro. Infatti, come se volessi dire cose vere, devo dire cose vere; perché dire cose false, che sia o no la parte del filosofo, non posso dirlo, non è la mia parte. Tuttavia, questa mia comunicazione, anche se forse può sembrare loro sgradevole, non vedo perché dovrebbe sembrare insolente o semplicemente nuova. Se è vero che dovrei dire quelle cose che Platone finge nella sua repubblica: o gli istituti che gli utopisti fanno nel loro, queste cose, anche se fossero (come in effetti sono) migliori, tuttavia potrebbero sembrare dette fuori luogo. Poiché qui tra noi, ogni uomo ha i suoi possedimenti diversi per sé, e lì tutte le cose sono comuni. Ma quale comunicazione contenuta, che non potrebbe, era nella mia e non dovrebbe essere detta in alcun luogo? Se non che a coloro che hanno deciso e determinato con sé stessi di vagare a capofitto per la via contraria, essa non è accettabile e piacevole, perché i vizi li richiamano indietro, e mostrano loro che hanno causato dei pericoli.

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In verità, se tutte le cose malvagie e se le cose che ci sembrano inopportune e che nulla devono essere rifiutate, in quanto cose non conformi e non corrette, allora tra il popolo cristiano dobbiamo strizzare l'occhio alla maggior parte di tutte quelle cose che Cristo ci ha insegnato, e ha proibito così severamente di strizzare l'occhio, che anche quelle cose che ha sussurrato all'orecchio dei suoi discepoli, ha ordinato che fossero predicate in pubblico. E tuttavia la maggior parte di esse è più dissimile dalle maniere del mondo di oggi, di quanto lo fosse la mia comunicazione. Ma i predicatori, uomini astuti e scaltri, seguendo il tuo consiglio (come suppongo) perché vedevano gli uomini mal disposti a conformare le loro maniere alla regola di Cristo, hanno strappato e corrotta la sua dottrina, e come regola di piombo l'hanno applicata ai costumi degli uomini: affinché con qualsiasi mezzo, almeno, potessero concordare insieme. Per cui non vedo quale bene abbiano fatto, che sia più loro lecito essere malvagi. E veramente dovrei prevalere anche nei consigli del re. Infatti, o devo dire cose diverse da quelle che dicono loro, e allora è come se non dicessi nulla, oppure devo dire le stesse cose che dicono loro, e (come dice Terenzio) contribuire a favorire la loro follia. Poiché questa tua astuzia e questo tuo sottile stratagemma non riesco a capire a che cosa serva, con cui vorresti che io studiassi e mi sforzassi, se non è possibile rendere buone tutte le cose, di maneggiarle con astuzia e bellezza a tale scopo, affinché, per quanto possibile, non siano molto cattive. Perché non c'è posto per dissimulare, né per ammiccare. I cattivi consigli devono essere apertamente permessi e i decreti molto pestilenziali devono essere approvati. Sarà considerato peggiore di una spia, anzi quasi malvagio come un traditore, colui che con cuore debole loderà i decreti malvagi e sgradevoli. Inoltre, un uomo non può avere alcuna occasione di fare del bene, trovandosi in compagnia di coloro che più presto renderanno nullo un uomo buono, piuttosto che essere resi buoni essi stessi; a causa della loro cattiva compagnia sarà rovinato, oppure se rimarrà buono e innocente, tuttavia la malvagità e la stoltezza degli altri gli saranno imputate e gli saranno messe sul collo. Così è impossibile con quell'astuzia e quel sottile stratagemma poter trasformare qualcosa in meglio. Perciò Platone con una bella similitudine dichiara perché i saggi si astengono dall'immischiarsi nella comunità. Perché quando vedono il popolo sciamare per le strade e bagnarsi quotidianamente fino alla pelle con la pioggia, eppure non riescono a persuaderli ad uscire dalla pioggia e a entrare nelle loro case, sapendo bene che se dovessero uscire verso di loro, non dovrebbero prevalere, né guadagnarci nulla, ma essere bagnati anche loro dalla pioggia, restano nelle loro case, essendo contenti di essere al sicuro, visto che non possono rimediare alla follia del popolo. Tuttavia, Maestro More (per parlare con sincerità), come mi dice la mia mente ovunque i possedimenti siano privati, dove il denaro pesa più del resto, è difficile e quasi impossibile che lì il bene pubblico possa essere governato con giustizia e prosperare. A meno che non si pensi così: che la giustizia sia eseguita lì, dove tutto va nelle mani degli uomini malvagi; o che la prosperità fiorisca lì, dove tutto è diviso tra pochi; i quali pochi, tuttavia, conducono la loro vita in modo molto ricco, e il resto vive miseramente, miseramente e poveramente. Perciò, quando considero con me stesso e soppeso nella mia mente i saggi e divini ordinamenti degli Utopisti, tra i quali con pochissime leggi tutte le cose sono così ben ordinate e ricche, che la virtù è avuta in prezzo e stima, e tuttavia, essendo tutte le cose in comune, ogni uomo ha abbondanza di tutto. Dall'altra parte, quando paragono con loro con molte nazioni che fanno sempre nuove leggi, eppure nessuna di esse è ben e sufficientemente dotata di leggi; dove ogni uomo chiama ciò che ha ottenuto, i suoi propri e privati beni; dove tante nuove leggi fatte ogni giorno non sono sufficienti perché ogni uomo possa godere, difendere e conoscere da un altro uomo ciò che chiama suo; cosa che le infinite controversie nella legge, che sorgono ogni giorno per non finire mai, dichiarano chiaramente essere vera. Queste cose (dico) quando considero me stesso, sono d'accordo con Platone, e non mi meraviglio affatto che non abbia voluto fare leggi per loro, che rifiutavano quelle leggi per cui tutti gli uomini dovevano avere e godere di porzioni uguali di ricchezze e beni. 2

Perché il saggio ha facilmente previsto che questa è la sola e unica via per la ricchezza della collettività, se l'uguaglianza di tutte le cose deve essere introdotta e stabilita. Il che penso non sia possibile da osservare, dove i beni di ogni uomo sono propri e peculiari a sé stessi. Perché laddove ogni uomo, sotto certi titoli e pretese, attira e strappa a sé quanto più può, e così pochi si dividono tra loro tutte le ricchezze che ci sono, non c'è mai tanta abbondanza e riserva, ma al resto rimane la privazione e la povertà. E per la maggior parte, si può dire che quest'ultima specie è più degna di godere di questo stato di ricchezza che l'altra, perché i ricchi sono avidi, astuti e non redditizi. Dall'altra parte, i poveri sono umili, semplici, e con il loro lavoro quotidiano sono più redditizi per la comunità che per loro stessi. Così mi persuado pienamente che nessuna distribuzione equa e giusta delle cose può essere fatta, né che la ricchezza perfetta sarà mai tra essere esiliato e bandito. Ma così gli uomini, a meno che questa proprietà non continui, così a lungo rimarrà tra la maggior parte e la migliore parte degli uomini il pesante e inevitabile fardello della povertà e della miseria. Il che, come concedo che possa essere in qualche modo alleggerito, così nego del tutto che si possa prendere del tutto, che nessun uomo debba possedere più di tanto. Perché se ci fosse uno statuto una certa misura di terreno, e che nessun uomo avesse nella sua riserva più di una prescritta e stabilita somma di denaro; se fosse con certe leggi decretato, che né il re dovrebbe essere di troppo grande potere, né il popolo troppo orgoglioso e ricco, e che le cariche non dovrebbero essere ottenute con una causa smodata, o con tangenti e regali; che le cose necessarie per gli ufficiali. non debbano essere comprate o vendute, né che si debba essere a qualsiasi costo o carica nelle loro cariche; perché così si dà occasione agli ufficiali con frode e rapina di raccogliere di nuovo il loro denaro, e a causa di doni e tangenti si danno le cariche a uomini ricchi, che avrebbero dovuto piuttosto essere eseguite da uomini saggi: Con tali leggi, dico, come corpi malati che si disperano per un certo tempo; così anche questi mali e le cure passate, con una continua buona cura, potrebbero essere mantenuti e curati, potrebbero essere alleggeriti e mitigati. Ma che possano essere perfettamente curati e portati ad uno stato buono e retto, non c'è da sperare, mentre ogni uomo è padrone di sé stesso. Sì, e mentre ti accingi a curare una parte, ingigantisci la piaga di un'altra parte, così l'aiuto di uno provoca il danno di un altro; poiché non si può dare niente a nessuno se non lo si prende da un altro. Ma io sono di parere contrario, perché non si vive comodamente, dove tutte le cose sono comuni. Perché come può esserci abbondanza di beni, o di qualcosa, dove ogni uomo ritira la sua mano dal lavoro? Chi per i propri guadagni non spinge la speranza che ha nei travagli altrui lo fa lavorare, e l'indolente. Allora, quando saranno colpiti dalla povertà, e nessuno potrà per legge o per diritto difendere ciò che è suo, che ha ottenuto con il lavoro delle proprie mani, non ci saranno per forza una continua sedizione e uno spargimento di sangue? In particolare, essendo stata tolta l'autorità e la riverenza dei magistrati, non riesco a capire quale posto possa avere con tali uomini, tra i quali non c'è differenza.

Dal libro II [Il disprezzo utopico per l'oro] È necessario che, fino a che punto una cosa è dissonante e in disaccordo con le abitudini, maniere e modi degli ascoltatori, deve essere così lontano dalla loro fede. Tuttavia, un saggio e indifferente estimatore delle cose non si meraviglierà molto per caso, visto che tutte le altre loro leggi e usanze differiscono così tanto dalle nostre, se anche l'uso dell'oro e dell'argento presso di loro viene applicato, piuttosto alle loro mode che alle nostre. Intendo dire che essi non utilizzano il denaro in prima persona, ma lo conservano per quella evenienza, che può verificarsi come no. Intanto l'oro e l'argento, di cui è fatto il denaro, lo usano, come nessuno di loro lo stima più di quanto la natura stessa della cosa meriti.

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E poi chi non vede chiaramente quanto sia al di sotto del ferro: senza il quale gli uomini non possono vivere meglio che senza il fuoco e l'acqua. Mentre all'oro e all'argento la natura non ha dato alcun uso, che non ci manchi: se la follia degli uomini non l'avesse messo in maggiore stima per la sua rarità. Ma al contrario, la natura, come una madre tenerissima e amorosa, ha messo all'aperto le cose migliori e più necessarie: come l'aria, l'acqua e la terra stessa. E ha rimosso e nascosto più lontano da noi le cose vane e non redditizie. Perciò, se questi metalli fossero rinchiusi in qualche torre, si potrebbe sospettare che il principe e il consiglio (come il popolo immagina sempre stupidamente) intendessero, con qualche trucco, ingannare i cittadini e trarne lo stesso profitto per sé. Inoltre, se ne fanno piatti e altre cose così finemente e astutamente lavorate; se in qualsiasi momento avessero occasione di romperle e fonderle di nuovo, e con esse pagare le paghe dei loro soldati, vedono e percepiscono molto bene che gli uomini sarebbero restii a separarsi da quelle cose, con le quali una volta hanno cominciato a provare piacere e a divertirsi. Per rimediare a tutto questo hanno trovato un mezzo che, come è d'accordo con tutte le altre loro leggi e usanze, così lo è con le nostre, dove l'oro è così fissato e così diligentemente conservato, molto discordante e ripugnante; e quindi incredibile, ma solo per coloro che sono saggi. Infatti, mentre essi mangiano e bevono in recipienti di terra e di vetro, che, pur essendo fatti in modo curioso e appropriato, hanno un valore molto basso, con l'oro e l'argento fanno comunemente vasi da notte e altri recipienti simili, che servono per gli usi più vili, non solo nelle loro sale comuni, ma nella casa privata di ogni uomo. Inoltre, con gli stessi metalli fanno grandi catene, catene e zoccoli con i quali legano i loro schiavi. Infine, chiunque sia infamato per qualche reato, ha alle orecchie anelli d'oro, alle dita anelli d'oro, al collo catene d'oro, e infine la testa è legata d'oro. Così, con tutti i mezzi che possono, si procurano di avere l'oro e l'argento in mezzo a loro in diffamazione e infamia. Perciò questi metalli, ai quali gli altri popoli rinunciano con altrettanta pena e dolore, come alla loro stessa vita, se venissero tolti tutti insieme agli Utopici, nessuno penserebbe di aver perso il valore di un solo centesimo. Raccolgono anche le perle in riva al mare, e i diamanti e i carbuncoli su certi scogli, e non per loro; ma trovandoli per caso, li tagliano e li cercano con i loro piccoli. I quali li amano e li lucidano. E lì, come nei primi anni della loro infanzia, fanno molto e sono affezionati e orgogliosi di tali ornamenti, così quando sono un po' più cresciuti negli anni e nella discrezione, vedendo che solo i bambini indossano tali giocattoli e sciocchezze, li mettono via, anche per loro vergogna, senza alcun ordine dei loro genitori; così come i nostri bambini, quando diventano grandi, gettano via noci, spille e pupazzi. Perciò queste leggi e usanze, che sono così diverse da tutte le altre nazioni, le fantasie e le menti che le provocano, non le ho mai viste così chiaramente, come negli ambasciatori degli Anemoliani (=dal Greco, anemos - Windbags). Questi ambasciatori vennero a negoziare Amaurote (=dal Greco, ‘dark, dim’ – Shadow city, Ghost city la capitale di Utopia) mentre ero là. E poiché si trattava di questioni grandi e pesanti, vennero qui davanti a loro quei tre cittadini per ciascuno di ogni città. Ma tutti gli ambasciatori dei paesi vicini, che erano già stati lì e conoscevano le mode e le maniere degli Utopici, tra i quali non vedevano alcun onore dato ad abiti sontuosi e costosi, sete da disprezzare, oro da infamare e rimproverare, erano soliti venire lì in abiti molto casalinghi e semplici. Ma gli Anemoliani, poiché abitavano lontano e li conoscevano molto poco, sentendo che erano tutti vestiti allo stesso modo, in modo rozzo e casalingo; pensando che non avessero l'abbigliamento e che si vestissero molto bene; essendo quindi più cose di cui non andavano fieri, che saggi, decisero di rappresentare con lo splendore dei loro abiti le vere divinità, e con la brillantezza e lo scintillio dei loro abiti allegri di abbagliare gli occhi degli stupidi poveri Utopisti. 4

Arrivarono tre ambasciatori con un centinaio di servitori, tutti vestiti con colori differenti: la maggior parte di loro in seta; gli ambasciatori (perché in patria erano nobili) in abiti d'oro, con grandi catene d'oro, con oro appeso alle orecchie, con anelli d'oro alle dita, con spille e aghetti d'oro sui loro berretti, che brillavano pieni di perle e di pietre preziose; insomma, ornati di tutte quelle cose che presso gli utopisti erano o il castigo degli uomini, o il rimprovero degli infami, o ancora inezie con cui giocare. Perciò avrebbe fatto bene al cuore di un bambino vedere con quanta fierezza mostravano le loro piume di pavone, quanto facevano delle loro guaine dipinte, e con quanta nobiltà si mettevano in mostra e avanzavano, quando confrontavano il loro abbigliamento galante con il povero abito degli utopisti. Infatti, tutto il popolo era sciamato per le strade. E dall'altra parte non era meno piacevole considerare quanto fossero stati ingannati e quanto avessero mancato il loro scopo, essendo stati considerati al contrario di come pensavano sarebbero stati considerati. Infatti, agli occhi di tutti gli utopisti, tranne pochissimi che erano stati in altri paesi per qualche ragionevole motivo, tutta quella sontuosità di abbigliamento sembrava vergognosa e riprovevole. Tanto che essi salutavano con molta riverenza i più vili e i più abietti di loro come signori, passando sopra gli stessi ambasciatori senza alcun onore, giudicandoli, per il fatto che portavano catene d'oro, come schiavi. Sì, avreste dovuto vedere i bambini che avevano gettato via le loro perle e le loro pietre preziose, quando videro quelle attaccate ai cappelli degli ambasciatori, scavare e spingere le loro madri sotto i fianchi, dicendo loro così: “Guarda, madre, quanto è grande lo stolto che porta ancora perle e pietre preziose, come se fosse ancora un bambino”. Ma la madre, sì, e anche questo in buona fede: "Pace, figliolo", dice lei: Credo che sia uno dei pazzi degli ambasciatori". Alcuni si lamentavano delle loro catene d'oro, perché non servivano a niente e non servivano a niente, essendo così piccole e deboli che uno schiavo poteva romperle facilmente, e così larghe e larghe che, quando gli piaceva, poteva gettarle via e scappare in libertà dove voleva. Ma quando gli ambasciatori furono lì da un giorno o due e videro una tale abbondanza d'oro così poco stimato, non meno rimproverato di quanto fosse per loro onorato, e inoltre più oro nelle catene e negli zoccoli di uno schiavo fuggitivo che tutti i costosi ornamenti di loro tre, cominciarono a diminuire il loro coraggio, e per la vergogna misero via tutto quello splendido equipaggiamento di cui erano così orgogliosi. Soprattutto dopo aver parlato familiarmente con gli Utopisti e aver appreso tutte le loro mode e opinioni. Perché si meravigliano che qualcuno sia così sciocco da provare gioia e piacere per il luccichio di una piccola pietra insignificante, che può vedere una qualsiasi stella o il sole stesso. O che qualcuno sia così pazzo da considerarsi più nobile per un filo di lana più piccolo o più fine, che la stessa lana (sia ora in un filo mai così fine) indossava una volta una pecora; eppure, per tutto quel tempo non era altro che una pecora. Si meravigliano anche che l'oro, che per sua natura è una cosa così poco redditizia, sia ora tra tutti i popoli in così alta considerazione, che l'uomo stesso, dal quale, sì e per l'uso del quale è così fissato, è molto meno stimato dell'oro stesso.

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