10-LA Litania DEL Potere PDF

Title 10-LA Litania DEL Potere
Author Luciana Amoruso
Course Letterature comparate
Institution Università degli Studi di Catania
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riassunto del libro della professoressa ...


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La litania del potere e altre illusioni – leggere De Roberto Il paradigma dell’illusione Per inoltrarsi nel territorio dell’illusione bisogna abbracciare la logica paradossale la quale essa ricopre , il significato del suo antonimico “delusione”. Leopardi , che ha innalzato un grande monumento in difesa delle illusioni, articola la sostanziale equivocità e obscuritas del termine “illusione” , cioè la sua fondamentale anfibologia. Esso inoltre può limitarsi all’hapax o a un numero molto esiguo di occorrenze o assente e sostituito da sinonimi. Bisogna sottolineare l’origine teatrale del termine. Infatti la scena teatrale, reale o metaforica è la cornice indispensabile per il dispiegarsi del gioco dell’illusione. Il termine risale al latino “illusio” ( da illudere, a sua volta derivante da in e ludo. Infatti nel volgare italiano medievale si è attestato “inlusione”). Presente in tutte le lingue europee designa da un lato il gioco (inteso come sollazzo amoroso, sclera, burla , ironia, ludibrio , oltraggio). Dall’altro designa l’inganno, l’errore, la truffa. Il greco antico adopera il termine apate nel significato specialmente di inganno. Ma il sostantivo apate definisce anche l’inganno degli spettatori a teatro , il luogo per eccellenza della piacevole illusione. La lingua latina ha traslitterato un altro termine che è associato alla costellazione dell’illusione. Si tratta di “idolo” eidolon , presente anche nella Bibbia dove il tema dell’illusione (designato da termini moralmente e negativamente connotati – quali : inganno, errore, menzogna ecc…) è al centro della polemica antidolatrica e iconoclasta. Il termine “illusione” fa parte di un’ampia costellazione di significanti che la lingua e la letteratura possono variare e ampliare sempre con nuovi sinonimi e metafore. Sono 3 gli elementi ricorrenti in tutti i testi dell’illusione: soggetto attivo/passivo dell’illusione, il velo e l’idolo. Questi sono i significanti fondamentali attorno a cui ruota il dispositivo dell’illusione. L’illusione trova il suo luogo prediletto nel teatro, termine che spesso si affianca ai precedenti, ma il cui senso è implicito già nella triade soggetto-velo-idolo. Questa triade si ripete in tutti i testi della nostra tradizione letteraria dalle origine ai giorni nostri. In Omero, l’oggetto dell’illusione , l’eidolon, è al centro di due episodi che hanno fissato il paradigma del tema e delle figure dell’illusione: bramare o allucinare un oggetto assente (quindi inesistente) che sembra reale a colui che lo desidera: l’abbraccio di Achille , in sogno, con l’eidolon di Patroclo; quello di Ulisse con la madre Anticlea dell’Ade; la rivelazione fantasmatica nel dramma Elena (quindi eidolon e agalma) fa dire a Menelao di essere stati ingannati dagli dei. Anche nell’Alcesti il simulacro con cui Admento surroga la perdita e l’assenza della moglie amata ha la stessa illusoria funzione. Nell’Ellenismo sembra assente, con qualche eccezione si ripercuote nella cultura latina. Non è casuale che Lucrezio affronti il delicato problema dell’illusione nel IV libro del De Rerum Natura. Per spiegare scientificamente il fenomeno della passione amorosa, ricorre innanzi tutto alla teoria fisica dei simulacri, nella quale iscrive il fenomeno delle illusioni ottiche. Al momento di spiegare il complesso fenomeno amoroso ricorre ai sogni. Infatti è nell’ambito dell’illusione onirica che viene adoperato il sostantivo ludos e nell’ambito dell’illusione amorosa il verbo ludit. Inoltre nel poema lucreziano, l’illusione amorosa è associata al massimo ludibrio. È noto il celebre catalogo degli oggetti di desiderio sottratti dal sarcasmo del poeta-filosofo alla loro irrisoria bellezza. La verità dell’illusione amorosa, trova nella latinità pagana il suo massimo analista in Ovidio. Un posto centrale occupa, nelle Metamorfosi, il tema dell’illusione in quanto generatrice dell’errore di

Narciso, ma anche l’invenzione di Pigmalione. Il Narciso ovidiano è l’emblema stesso di ogni illusione necessaria alla costituzione dell’immagine. Pigmalione, l’artifex, è colui che crea l’oggetto stesso del suo desiderio, il suo idolo. Colui che guarisce , con l’illusione artistica , dalla malinconia della solitudine amorosa. Ovidio stesso è definito tenerorum lusor amorum. Nel Nuovo Testamento è ben attestato il significato di inganno e illusione come equivalenti di seduzione. In un passo delle Confessioni Agostino attacca la vanità dell’imaginis inlusio, associata al fantasma erotico, che attraverso visioni false/falsa visa produce però effetti reali. La teoria del phantasticum hominis innagura il capitolo delle illusioni diaboliche. Essa designa una sorta di “doppio fantastico” che staccandosi dal sognatore compie, irretito dal diavolo, ciò che il sognatore stesso sta sognando. La perversione di cui Agostino aveva accusato al teatro, viene estesa ai maghi e ai loro spettatori che si fanno zimbello del diavolo, e perché l’illusione sia possibile , è necessario che una complicità si stabilisca tra il suo produttore e ricettore. Egli spiega come madornale mistificazione diabolica (lidificatione daemnum) la metamorfosi di alcuni uomini in giumenti di soma, ad opera degli intrugli dati loro da ingerire nel formaggio di certe locandiere iniziate ai malefizi, come accade al protagonista Lucio nell’Asino d’oro di Apuleio. Il diavolo quindi diventa princeps della menzogna, dell’illusione, del prestige. L‘illusione diabolica sopravviverà nei testi letterari fino alle soglie della modernità scientifica e laica. Durante i lunghi secoli cristiani l’illusione è stata trattata nell’arte e nella letteratura, come una tentazione del demonio, come un peccato contro Dio. Questo può aver implicato l’assenza di questo significante in autori come Petrarca, Tasso, i quali , pur facendo economia del termine, hanno analizzato il fenomeno dell’illusione come inganno, vagheggiamento , follia. O potrebbe spiegare anche la scarsa frequenza , nei grandi testi romantici e realisti dell’illusione (ad eccezione di Leopardi nello Zibaldone). Nell’Orlando furioso l’illusione è rappresentata dal Palazzo di Atlante, che il poema stesso definisce con l’hapax “illusion”. Palazzo dove il vecchio mago protegge, circondandolo di illusorie delizie, Ruggero , già identificato come oggetto d’amore prediletto (idolo) dalla stessa Bradamante attraverso la figura mitologica di Ganimede. Molti eroi avranno la ventura di seguire e cercare i propri idoli attratti e imprigionati da Atlante nel suo castello. Nel poema ariostesco l’inseguimento e l’inevitabile sottrazione dell’idolo, cioè il miraggio dell’illusione è analizzato. Il palazzo incantato di Atlante investe quasi tutti gli eroi principali del poema. Atlante ha dato forma al regno dell’illusione. La giostra delle illusioni è il palazzo, è il poema , è tutto il mondo. A serbare l’illusione provvede l’innamorato con la passione stessa, che gli rende invisibile e visibile l’invisibile , e lo induce a credere a quel che brama, a credere alla persona che lo ammalia. La grande metafora , di matrice rinascimentale, del mondo come teatro sarà noto al cuore della cultura barocca europea, in particolare con Montaigne. Il filosofo accoglie la lezione shakespeariana di Antonio il melanconico in A piacer vostro, secondo cui tutti recitano la commedia e il mondo intero è un teatro. Gli uomini prigionieri dell’immaginazione , si lasciano ingannare scambiando l’apparenza per l’essenza. Un contemplus mundi, dove le seduzioni sono dei tranelli mentre il vero bene risiede altrove. Tuttavia lo spettacolo diventa credibile grazie al ruolo supplementare , nella commedia travestita di un personaggio nemico delle mascheraure e che rifiuta di credere alle apparenze che incontra. La dialettica entro cui sembra situarsi una tematica dell’illusione in Montaigne è quella che mira alla verità, termine sempre sfuggente di una ricerca senza fine: una verità interiore inafferrabile. Anche la forma, la costanza, la stabilità, non sono che illusioni e l’unico sbocco possibile sembra risiedere nella fantasticheria: noi vegliamo dormendo, vegliando dormiamo. L’Europa degli anni 1580-1640, vede prosperare il tema dell’illusione universale. Con Shakespeare , che non soltanto sfrutta la possibilità di trasformare a volontà, grazie a dei filtri magici, le apparenze e i sentimenti che essi suscitano in

noi (sogno di una notte di mezza estate) , ma che medita profondamente sul teatro nel teatro (Amleto) . vuole far vedere , attraverso l’illusione teatrale, l’immagine reale che sorge e che può vedersi solo da un certo angolo e un certo punto. Il procedimento metateatrale sperimentato da Shakespeare, sarà al centro della più alta drammaturgia europea del 600. Per l’uomo barocco , la realtà autentica (la verità) , che si oppone alla menzogna e all’impostura sarà identificata con l’illusione teatrale , con l’inganno della rappresentazione scenica . il 600 è ossessionato dall rappresentazione dell’uomo agente sul teatro del mondo. Si assume il significato di metafora essenziale del vivere, perché la teatralità esiste nel fondo dell’uomo ,che deve recitare una parte difficile da interpretare in quanto il suo teatro è quello dell’esistenza. In La vida es sueno (1635) di De la Barca, Sigismundo , il principe vissuto in catene per volontà del padre Basilio re di Polonia, che studiando le stelle ha previsto nel destino del figlio la rovina sua e del suo regno , può conoscere la verità e dunque la realtà della sua condizione (il trono che si spetta di diritto) solo attraverso l’espediente di un sogno simulato. A Sigismondo, narcotizzato , tocca lo stupore tragico di chi apre gli occhi , all’improvviso , si ridesta dal sogno simulato e per effetto di un secondo narcotico, di nuovo in prigione. La sua vera condizione di principe che gli è stata sottratta, Sigismondo può conoscerla solo attraverso la simulazione scenica e onirica al tempo stesso. Nella seconda scena del I atto dell’Illusion comique (1636) di Corneille, spicca il termine illusion, adoperato nel significato più originale di finzione teatrale. Si adotta qui la formula del “teatro nel teatro”: all’interno della piece principale, i cui protagonisti sono Alcandro e Pridamante, ne inserisce una secondaria i cui eroi sono Matamoro e Clindoro. Ci sono due piani di realtà scenica : l’una immediata, contemporanea a quelli degli spettatori; l’altra anteriore e che esige la mediazione di Alcandro per apparire sotto gli occhi di Pridamante e gli spettatori. Questo secondo piano di realtà serve da transizione verso un terzo, quello dove Isabelle e Clindoro, mostrando il seguito di vivere le loro avventure, interpretano il testo di una tragedia. Questa rappresentazione tragica è al tempo stesso un episodio della vita di Clindoro e Isabelle divenuti attori, e un evento puramente fittizio, un’illusione comica che viene svelata dall’apparizione degli attori che si dividono la paga al termine della rappresentazione. Grazie allo specchio magico che gli tende Alcandro, Pridamante cessa di misconoscersi , e scopre che l’amore che egli porta a suo figlio è più importante dei ridicoli pregiudizi. [il barocco scopre l’essenza della vita come attimo che si risolve nel punto della morte. a partire da questa consapevolezza l’uomo barocco edifica la grande illusione che è la realtà temperata dal sogno e dalla scena teatrale. La medesima concezione teatrale presiede alla vita e all’organizzazione della città barocca. Quest’ultima diventa il luogo teatrale per eccellenza dove vengono allestiti nuovi spazi sacrali dello spettacolo, del gioco, delle illusioni, le terre mitiche per l’intrattenimento e lo svago delle masse, una vera e propria struttura fatale entro cui si impiglia la illusio umana e si dispiega il gioco della illusio sociale].Per quanto lo scherno, la burla, la beffa ecc… siano termini frequenti nel poema di Gianbattista Marino, esse rinviano alla frustrazione provocata dalla delusione, all’euforia/disforia dello scherzo amoroso. Anche nell’Adone il termine illusione è un hapax. Esso si trova nel canto X del poema, intitolato Le Maraviglie, e precisamente nell’episodio che narra il viaggio di Venere e Adone sotto la giuda di Mercurio sul pianeta della luna, dove visitano la grotta della Natura, l’Isola e la Città dei sogni. Secondo Giovanni Pozzi la città dei sogni allegorizza il luogo-spazio della psiche umana come luogo fantastico per eccellenza. La scena dell’illusione riguarda globalmente nel poema l’incontro di Venere e Adone. Venere allucina, colpita dalla freccia di Amore, il suo idolo, così come Adone allucina in sogno il simulacro di Venere. Il poeta dispiega la scena onirica del fantasma e il riconoscimento di quest’ultimo in quanto simulacro, in una cornice teatrale. E sempre nello stesso canto e in ottave aggiunte si trova il

termine “idolo” e anche “oggetto” dove l’idolo in questione è Adone contemplato da Venere. Ma anche quest’ultima costituisce l’ “idolo” e l’ “amata imago” di Adone. L’aspettativa crea l’illusione trasformando addirittura quest’ultima in una vera e propria allucinazione . In arte è il “contesto d’azione” che crea l’illusione , come quando un cavallo di legno può trasformarsi per il bambino in un cavallo vero; come il fedele che vede ridere, far cenno con il capo i feticci e le immagini rituali. Fu quando uscì da questa fase d’azione , la fase di Pigmalione , che l’arte dovette creare i mezzi per rafforzare l’illusione e rafforzare questo mondo sospeso tra la finzione e la realtà che i Greci furono i primi a esplorare. Ci viene raccontato un aneddoto da parte di Plinio, di Parrasio che inganna Zeusi , il quale aveva dipinto dell’uva in modo così verosimile che gli uccelli erano venuti a beccarla. Parrasio invitò il rivale nel suo studio per mostrargli a sua volta l’opera da lui compiuta e quando Zeusi tentò di sollevare il drappo che copriva il quadro , si accorse che non era un drappo vero ma dipinto. I pittori di trompe-l’oeil da allora hanno sempre fatto affidamento sul reciproco potenziarsi dell’illusione e dell’attesa. [ricordiamo che per lo storico dell’arte Gombrich , l’illusione cercata dal pittore, è pienamente realizzata solo se messa alla prova dell’osservatore che è il vero destinatario dell’illusione pittorica. Il pittore può inventare delle immagini a partire da forma accidentali , così come i viaggiatori continueranno a vedere forme d’animali nelle rocce ] L’arte riesce ad emanciparsi dal contesto rituale e si rivolge all’immaginazione dell’uomo. Negli scritti di Leonardo il lavoro dell’artista viene messo sullo stesso piano del sogno del poeta, ma già nell’antichità si trovano forme di emancipazione. Platone si opponeva all’arte del suo tempo perché non creava la stessa cosa , ma solo un’imitazione di essa, un mero sogno, un’illusione. L’artista era per lui come il sofista: suscitava negli altri un’impressione che non corrispondeva alla realtà. La verosimiglianza che l’arte crea esiste solo nella nostra fantasia. Ma il ricorso alla fantasia che Platone sanziona come illusorio, sarà esaltato dal migliore esponente dell’illusione naturalistica in pittura , Leonardo da Vinci, inventore della tecnica dello “sfumato”, che riduce l’informazione sulla tela e stimola il meccanismo della proiezione. Un punto d’arrivo della “perfetta maniera” in pittura. Tra le scienze umane soltanto la psicoanalisi offre un utile modello in grado di delucidare il dispositivo dell’illusione. Si tratta dello schema del velo, approntato da Lacan per spiegare il particolare tipo di relazione simbolica del feticista. D’altronde l’elaborazione teorico-clinica dello schema del velo si iscrive nella tradizione letteraria dei testi dell’illusione , in ragione della prossimità dell’arte con il feticismo. I termini adoperati da Lacan sono gli stessi che riscontriamo nei testi dell’illusione. Il tema letterario dell’illusione concerne l’idealizzazione di un oggetto di desiderio o di passione, che il soggetto fa esistere immaginariamente, ma che si rivela assente o mancante sul piano della relazione simbolica dalla quale, però, paradossalmente trae origine. È questa mncanza originaria a svelare la natura puramente fittizia dell’oggetto dell’illusione , essendo tuttavia necessaria all’incessante corsa del desiderio umano. Quindi il paradigma elementare dell’illusione comporta quei 3 elementi costitutivi prima accennati e che lo “schema del velo” permette di definire con maggiore precisione: il soggetto attivo/passivo dell’illusione, l’oggetto che serve da supporto all’illusione , solitamente proiettato su un velo; e infine ciò che al di là di questo oggetto e verso cui tende lo slancio del desiderio , e che è propriamente niente: puro tratto ideale di linguaggio, simbolo. Il motivo del velo sempre presente, anche attraverso i suoi numerosissimi sinonimi nei testi che trattano il tema dell’illusione , funge da intermediario tra il soggetto e l’oggetto, coincidendo talvolta con l’oggetto stesso. Il velo quindi proietta o nasconde un oggetto, che anche Lacan chiama idolo, dietro il quale non c’è niente e col quale la relazione dell’uomo si rivela ambigua e fragile. Laddove compare il termine “illusione” (nei testi letterari anzitutto e nel testo di Lacan) esso si affianca a quello di “idolo” o dei suoi svariati sinonimi tra cui uno dei più

sintomatici è “oggetto”. L’oggetto dell’illusione , quando è definito propriamente “idolo” designa la divinità, la sacralità, la bellezza assoluta, ciò che paradigmaticamente rappresentano l’immagine di Narciso e la statua di Pigmalione ,e per il valore sacro, anche il feticcio. L’idolo insomma è sempre rappresentato come un oggetto idealizzato e quindi velato. Ma può accadere che il velo che proietta e/o protegge l’idolo , rischi di cadere o di lacerarsi e di svelare così l’oggetto supposto prezioso, come un’oggetto deludente o addirittura assente: un niente. Per il soggetto subentra allora all’illusione, la delusione, all’inganno, il disinganno , alla felicità l’angoscia, all’attesa la frustrazione, all’amore l’odio, ecc… Ora tutti gli oggetti dell’illusione e della delusione si distribuiscono lungo un arco che va dalla bellezza folgorante dell’immagine di Narciso o della statua di Pigmalione all’orrore altrettanto folgorante e affascinante dell’oggetto degradato o abbietto che la letteratura non cessa di reinventare e di fissare: la scoperta e la visione dell’orrore, cioè della caduta del velo e tuttavia la necessità di conservarne una “grande illusione salvifica”. Ma questo oggetto , ideale o degradato che sia, può anche essere rappresentato dalla letteratura nella sua più autentica e drammatica consistenza/inconsistenza di puro simbolo, di nulla, di morte. l’aldilà dell’oggetto che è indicato nello schema del velo e che è al tempo stesso la mira impossibile e la scaturigine di ogni illusione non è altro che l’imago vocis, l’eco. In un brano dello zibaldone il tema dell’illusione ricorre in un contesto estremamente rarefatto , lontanissimo dallo schema del velo come esso si configura coi suoi 3 emblematici elementi. L’illusione qui concerne il rapporto privilegiato del poeta con le opere classiche originali considerate modelli perfetti di stile. L’imitazione svilisce e ridicolizza gli originali proprio perché ne contraffà lo stile, mettendo così in dubbio la ragionevolezza della stessa ammirazione del poeta verso quegli oggetti considerati come un idolo, come l’oggetto privilegiato della sua fantasia, del suo amore. Se l’oggetto può essere imitato e ridicolizzato , allora non gode di quelli dote uniche che gli si supponevano. Al contrario queste divengono facili e triviali si da farle parere un’illusione che costringe a rinunciare all’idolo. Il dolore che questa esperienza comporta è simile a quello che si produce quando vengono travisati , ridicolizzati gli oggetti dei nostri sentimenti del cuore, cosa che ci fa dubitare o certificare sulla vanità reale, strappandoci a quei soavi inganni che costituiscono la nostra vita. L’oggetto unico, l’idolo che forma il “caro prestigio dell’amore e della maraviglia” , non è che un oggetto del linguaggio , totalmente disincarnato, ma trattato del poeta esattamente come oggetto d’amore, cioè eroticamente investito d’affetto e di tenerezza. Il velo è figurato dalla bellezza dello stile e dallo stile stesso. L’oggetto e lo stile pertanto sono un’unica cosa e costituiscono il supporto stesso dell’illusione , assolvendo a quella ...


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