13 - Appunti 13 PDF

Title 13 - Appunti 13
Course Linguistica generale
Institution Università degli Studi di Napoli L'Orientale
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linguistica generale lezione 13 ...


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Lezione 13 Introduciamo il concetto di Morfema zero, un morfema sui generis. Questa discussione ci permette di capire il modo di ragionare dei morfologi. Può essere postulato quando una distinzione obbligatoriamente marcata nella grammatica di una certa lingua viene eccezionalmente a non essere rappresentata in alcun modo nel significante. In inglese il plurale viene marcato con la -s in termine di parola. In alcuni casi questa marca è assente come “Sheep” al sing, “sheep” pl; cioè pl=#sheep+0# sul modello di dog sg, dogs pl: pl=#dog+s#. Un altro esempio è dal latino nom. Exul: #exul+0# (non ha la normale marca del nominativo) sul modello di lupus #lup+us#. Tale procedimento serve dal punto di vista descrittivo nella scomposizione dei morfemi. “Città” lo rappresentiamo #città +0# sia al singolare che al plurale, poiché in italiano è marcato anche il singolare, cioè normalmente c’è un morfema per il singolare che viene realizzato fisicamente ma in questo caso specifico non è realizzato. In inglese invece il singolare non è marcato, non ha una marca morfologica, tanto che è ricco di morfemi liberi (come dog, sheep) che possono presentarsi da soli, senza essere accompagnati da altri morfemi e per questo non ulteriormente scomponibili. In italiano casi di monomorfemi sono di meno, es. “sopra”. Nella scomposizione in morfemi individuiamo il morfema tra due # e con i + indichiamo i confini tra morfemi. Dobbiamo inoltre ricordare il morfema cumulativo, cosa ovvia per chi conosce lingue flessive o fusive, come l’italiano, in cui è comune che un morfema possa portare con sé più significati grammaticali. Nel latino è evidente, es. il morfema -as di “puellas” veicola il significato di femminile, plurale e accusativo. Nelle lingue agglutinanti il morfema è unita minima di forma e significato e ogni morfema veicola un solo significato. Ci sono diversi modelli di analisi morfologica. Il primo è “Items and Arrengements”, entità e disposizioni, studiato negli Stati Uniti. C’erano però delle particolarità nella morfologia delle lingue che non riuscivano a essere descritte facendo affidamento solo all’Items and Arrengements. È stato sviluppato allora un altro modello, “Items and processes”, entità e processi. Esso assume sempre il morfema come entità di base della morfologia però organizza dei processi che agiscono su tali morfemi, in qualche modo modificandoli. Secondo tale modello anche la suffissazione e la prefissazione sarebbero processi. Il terzo modello è invece “Words and Paradigms”, parole e paradigmi, studiato soprattutto dai grammatici antichi. Qui l’unità di base non è il morfema ma la parola, in particolare inserita in paradigmi. Nelle formazione delle parole inoltre non intervengono nè processi morfologici né regole di combinazione dei morfemi ma interessano i modelli costituiti dalle parole più frequenti e i loro paradigmi. Ad. es “lupus” ha un suo paradigma che fa da modello per la declinazione di altre parole. Quando faremo la scomposizione in morfemi noi ci rifaremo al modello Items and Arrangements. Arriviamo al processo di composizione. Le parole composte sono parole a tutti gli effetti, nella cui struttura interna si riconoscono due o più parole, suscettibili di essere utilizzate anche come parole autonome, ad esempio: portacenere, lavavetri, asciugamano, altopiano, cassaforte, pastasciutta… I composti si individuano con i criteri che utilizziamo per la parola, ad esempio la non interrompibilità, l’ordine fisso degli elementi, eccetera. In alcuni composti è possibile individuare una testa che assegna al composto certe caratteristiche semantiche e morfosintattiche.. La testa risponde positivamente al test “è un…?”, es.: la cassaforte (N+agg) è una cassa? In questo caso cassa- è la testa. giacché il composto è un nome femminile, e

la cassaforte è un tipo particolare di cassa, non di -forte. Una parola come “portacenere” non risponde a questo test, vengono dette parole esocentriche quelle senza testa, invece le parole con una testa vengono dette endocentriche. In alcune lingue la posizione della testa è più o meno fissa, in italiano tende ad essere a sinistra, questo è il caso di “pescespada”. Ce ne accorgiamo perché risponde al “test è un...” chiaramente, infatti è un pesce, inoltre è una parola maschile. In inglese abbiamo invece swordfish. Sono comuni in italiano anche composti con testa a destra, come terremoto, ferrovia, bassorilievo. In molti casi in italiano quando la testa è a destra può essere spia del fatto che la parola è dotta o è un calco da teste diverse. Come origine molti composti con la testa a destra sono calchi dal latino, dal greco o da altre lingue. Di solito i composti verbo+nome sono esocentrici. Cerchiamo di capire dov’è la testa in questi composti: “caffellatte”, “agrodolce”, “tragicomico”, “cassapanca”. Entrambe le parole che compongono il composto possono essere una testa, entrambe possono assegnare la categoria di parola al composto. Il significato del composto è dato in parte da una parola e in parte dall’altra. in questo caso particolare si parla di composti che hanno due teste, dunque detti Dvandva. Il termine è preso dai grammatici sanscriti, che furono scoperti dalla metà del Settecento, che si erano molto interrogati sulle particolarità grammaticali del sanscrito e utilizzavano questa parola per questo tipo di composto. Significa letteralmente “due e due”. Arriviamo alla flessione dei composti. Il plurale dei composti in italiano non segue una regola ma solo tendenze. Bisogna interrogarsi sul plurale delle forme. Il plurale di capostazione è capistazione. Questo è un composto endocentrico, a flettersi è dunque la testa del composto. La i ha la funzione di morfema del plurale. Diversa è la vocale tematica, che è un tipo di morfema che non veicola un particolare significato grammaticale ma ci informa di un'appartenenza a una determinata coniugazione. Nel verbo amare la a tonica di amare è la vocale tematica che ci informa del fatto che è un verbo della prima coniugazione. Il plurale di cassapanca è cass epanche, dunque entrambe le teste presentano flessione. Penseremmo dunque che le teste si flettono sempre, vediamo però “sordomuto”: il plurale è sordomuti, nonostante anche questa sia una parola dvandva. Non c’è una distinzione nettissima tra composti è parole. Sordomuti sembra un composto più coeso, sembra privo di una scomposizione interna, quindi il morfema del plurale si attacca alla fine come in una parola semplice, è un’ipotesi. il linguista generale non si chiede se la forma è corretta, si chiede se la forma esiste. “Cassapanche” potrebbe anche esistere, è una cosa abbastanza difficile da verificare però si potrebbero fare dei test. C'è anche il caso di portaerei, composto esocentrico, che non flette. In italiano i composti sono unità bimembri, hanno due radici lessicali, sono composti che hanno al loro interno due parole. In altre lingue il processo di composizione è ricorsivo, un composto può fare da base a un ulteriore processo di composizione. In inglese abbiamo back-seat ma anche backseat driver. In tedesco ci sono alcuni composti che hanno una struttura molto complessa, come Strassenbahnhaltestelle, letteralmente posto di fermata della ferrovia della strada. Fino a questo momento ci siamo occupati di morfologia derivazionale, dei processi di derivazione e composizione che servono a creare parole nel senso di lessemi. Nella morfologia flessiva, invece, con l’utilizzo dei morfemi flessivi noi creiamo forme flesse della stessa parola. I morfemi flessivi, o flessionali, non modificano il significato della radice lessicale su cui operano: la attualizzano nel contesto di enunciazione in quel particolare contesto. I morfemi flessivi realizzano delle categorie grammaticali (ad esempio in italiano la categoria del numero ha due valori, singolare e plurale). In #libr+i# la -i è il morfema flessivo che realizza il valore del plurale. Le categorie grammaticali di una lingua pertinentizzano alcuni significati fondamentali, di portata generale, che diventano obbligatori per quella lingua. Il numero è uno di questi significati

fondamentali. La i di libri non cambia il significato di libr-, specifica questo particolare significato grammaticale che consente di utilizzare quella parola in quel contesto sintattico. Vediamo adesso diverse categorie grammaticali del nome: Il genere In italiano la categoria del genere ha due soli valori; maschile e femminile. Altre lingue hanno anche il neutro, come il latino. Un neo-neutro è presente anche in napoletano: [o ‘russ ə] vs [o r’russə ] e [o ‘ferrə ] vs [o f’ferr ə]. In questo caso il genere neutro è espresso nella forma dell’articolo che produce raddoppiamento fonosintattico. Vediamo anche il tedesco der Mann, die Frau ma das Kind, cioè il padre, la madre e il bambino (neutro). Ci sono lingue che hanno più generi, come alcune africane, che hanno 15 generi diversi, hanno cioè marche morfologiche per determinate categorie di parole, come gli animali terrestri, quelli acquatici eccetera. Il numero I valori in italiano sono singolare e plurale. il greco antico aveva anche il duale: tà kalà dora “i bei regali”, to kalo doro “i due bei regali”. Il greco indicava dunque gli oggetti a coppie e poteva dire in tre parole, articolo aggettivo e nome, quello che l’italiano dice con quattro “i due bei regali”. Esistono anche lingue che hanno il plurale, per indicare oggetti in poca quantità. Il caso Alcune lingue esprimono la funzione sintattica della parola attraverso specifici morfemi flessivi, ad esempio il latino, il greco, il tedesco, il russo, il turco, l’hindi. Le lingue che non hanno questi morfemi flessivi utilizzano o l’ordine delle parole o le preposizioni. Non è che queste lingue ragionino in maniera diversa, hanno mezzi morfologici per esprimere la funzione sintattica della parola. Le altre lingue usano altri mezzi, es. ordine delle parole, preposizioni, etc. Attraverso i morfemi del latino, questo esprime diverse funzioni sintattiche. Fossili di flessione casuale sono presenti anche i italiano nel sistema dei pronomi personali. Definitezza, possesso Alcune lingue hanno una marca morfologica del carattere definito/non definito del nome (l’italiano invece usa l’articolo). Vediamo un esempio grecese, varietà arbereshe, Krimp ‘verme’, krimbi ‘il verbe’, zoc ‘uccello’, zoti ‘l’uccello’, hiɵ ‘ortica’, hioi ‘l’ortica’ Anche il possesso può essere espresso da mezzi morfologici, in napoletano il possessivo è posposto al nome. Facciamo un esercizio di analisi fonologica e morfologica sul grecese. Nella forma determinata noi abbiamo la vocale finale, troviamo però un altro fenomeno: si tratta di una sonorizzazione delle consonanti sorde o di una desonorizzazione delle consonanti sonore? Nel primo caso la forma determinata si realizza per processo di affissazione della i che comporta la sonorizzazione della p (nel caso di krimp), invece nel secondo caso otteniamo la forma indeterminata da quella determinata, togliendo la i, attraverso un processo di sottrazione. Con altri dati potremmo scegliere tra queste due soluzioni. Grik ‘bocca’ grika ‘la bocca’, di’a ɵ ‘formaggio’ di’a ɵi ‘il formaggio, di’ɛp ‘culla’, di’ɛpi ‘la culla’, dit, giorno, dita, il giorno, in questi casi invece la consonante non sonorizza: se partiamo dalla forma a destra possiamo predire la forma di quella a sinistra perché togliamo la vocale finale e se la consonante precedente è sorda rimane tale, mentre se è sonora diventa sorda, perché alcune lingue (come il grecese) non ammettono consonanti sonore in finale di parole. La base sarà quindi la forma determinata e quella indeterminata si ottiene per sottrazione con conseguente desonorizzazione....


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