5. I paesi late comers PDF

Title 5. I paesi late comers
Course Storia dei sistemi economici
Institution Università degli Studi di Trento
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LATE COMERS

I paesi “late comers” sono i paesi che hanno conosciuto un processo di industrializzazione in un tempo successivo. Procedendo verso sud e verso est i tempi di adesione al processo di industrializzazione rallentano. Russia:

è un caso interessante per due motivi fondamentali: il primo è che è una grande potenza (è imperiale) dal punto di vista dell’espansione territoriale. È il paese più esteso e maggiormente dotato di risorse naturali di tutta Europa, dai boschi, miniere, terra coltivabile, ma tende a industrializzarsi troppo tardi senza riuscire a sfruttare il suo potenziale. Fino al 700, l’economia russa non era troppo diversa da quella occidentale, c’era una struttura economia tradizionale, con il ruolo fondamentale dell’agricoltura e dell’aristocrazia terriera anche nelle forme di governo. La differenza si inizia a notare quando il resto dell’occidente imbocca un sentiero di trasformazione e invece la Russia resta indietro. La differenza diventerà eclatante tra la fine dell’800 e inizio 900, quando si trasforma anche il sistema sociale e politico (estensione del suffragio, nel dibattito politico ecc., mentre la Russia rimane indietro su tutti gli ambiti. sarà anche uno dei motivi che porterà alla rivoluzione bolscevica. I motivi di questo ritardo sono molteplici:  Da un punto di vista geografico, la Russia è un paese enorme in cui è difficile creare una rete di trasporti e di comunicazioni integrata, tenuto conto anche delle condizioni climatiche difficili, come l’inverno che rende difficili i trasporti. È difficile di conseguenza la creazione di un mercato interno. C’è la distanza dai centri nevralgici dello sviluppo, dell’innovazione e dell’attività imprenditoriale che erano stati cruciali per paesi come il Belgio;  Natura istituzione e politica la struttura sociale e politica dell’impero russo è ancora caratterizzato da una forte presenza di tipo feudale i cui i signori che vivono nella provincia gestiscono sono proprietari della terra e dei contadini, gestiscono la dimensione politica e amministrativa di quei territori. La sua enorme estensione faceva si che il governo degli zar si dovesse reggere sull’amministrazione decentrata gestita dai nobili. 52

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La servitù della gleba viene abolita solo nel 1861, è un sistema che non favorisce l’adozione del sistema industriale e la partecipazione al mercato, fa si che ci sia un sistema orientato all’auto consumo o a mercati molto ridotti. Anche quando viene eliminata la servitù della gleba, non viene introdotto un sistema su base individualistica, sulla proprietà privata o sul sistema di mercato, perché una parte importante delle decisioni in ambito economico vengono prese dalla comunità di villaggio (il consiglio degli anziani, mir): hanno un importante ruolo giuridico di gestione dell’economia agricola del villaggio. L’individualismo che è un fattore determinate per lo sviluppo della persona in Russia rimane una caratteristica inconcepibile (le mir saranno cancellate solo nel 1906). Se si somma tutto ciò emerge la debolezza dei meccanismi di mercato, non costituisce un incentivo dello sviluppo del settore industriale. A questi aspetti si unisce la scarsità del capitale commerciale e finanziario, non c’è capitale per fare investimenti necessari per la formazione delle industrie, non c’è una classe sociale. Il ceto dirigente è un ceto nobiliare di estrazione agricola e militare che non ha una visione economicista dell’utilizzo delle proprie risorse. Non c’è una mentalità imprenditoriale che possa affermarsi, tenendo conto del fatto che la popolazione era analfabeta e contadina, viveva lontana dai centri urbani.

Nel 1861 viene finalmente abolita la servitù della gleba, non c’è più il legame dell’individuo con la terra e il signore che la possiede. Però da sola non rappresenta un elemento che consente all’economia di svilupparsi. Viene applicata una politica economica che sapendo di non ricorrere a capitali e imprenditori, promuove l’afflusso di capitali e imprenditori dall’estero. 1/3 degli investimenti totali in ambito manifatturiero e minerario sono investimenti che provengono da imprenditori stranieri, concedendo agevolazioni, monopoli esclusivi, si conta in questo modo di far ripartire il processo. Un settore importante di intervento è quello della rete ferroviaria, perché rappresenta una condizione necessaria per l’affermazione di un mercato integrato interno su un paese cosi ampio, ma anche come controllo politico del territorio, la possibilità di spostare forze militari. Si investe moltissimo nella rete ferroviaria con la costituzione della transiberiana che da Mosca arriva fino a Vladivostok, e accanto ad essa le rete telegrafiche: la rete ferroviaria russa diventa la più grande d’Europa. L’industria resta contenuta: l’agricoltura è il settore zavorra, la trasformazione necessaria che consente ai fattori di produzione di spostarsi su altri settori cresce molto lentamente e in gravi condizioni. La Russia va incontro a tensioni politiche legate a questi fatti, legata alla povertà e a sconfitte militari (come quella del 1905 contro il Giappone, una sconfitta legata anche alla superiorità tecnologica della flotta giapponese), ci sarà una rivolta interna che spingerà a una rivoluzione e l’abolizione di vecchie istituzioni, come i mir. Queste riforme sono insufficienti per dare una spinta significativa alla crescita economica e l’industria non decolla: la produttività è bassa e i costi di produzione troppo elevati, non c’è una classe imprenditoriale sufficientemente ampia. Alla vigilia della Prima guerra mondiale, il PIL pro capite della Russia zarista è 1/3 di quello inglese e la metà di quello italiano. Il 75% della forza lavoro è ancora occupata in agricoltura, i 72% della popolazione è ancora analfabeta e solo il 15% vive in città e meno del 10% lavora nelle industrie. Sono dei dati che mostrano le condizioni di arretratezza. Oltre a san Pietroburgo, mosca e poche altre città, il resto è un enorme provincia caratterizzata da centri di piccole dimensioni di cui il regime demografico tradizionale prevale sino alla fine dell’800, 53

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quando c’è una forte crescita dovute alle piccole trasformazioni economiche e miglioramenti nella scienza medica, da 126 milioni nel 1897 a 177 nel 1914. C’è una forte inerzia al cambiamento, anche nelle classi colte non ci sono valori comparabili all’illuminismo europeo, al visione religiosa, tradizionale e metafisica gioca un ruolo importante. C’è una forte diversità del mondo russo rispetto al mondo europeo: ci sono tendenze diverse nella trasformazione economica rispetto ai paesi europei. Dal punto di vista culturale pesa il basso livello di alfabetizzazione che gravava sulle possibilità di sviluppo economico e della visione del ruolo dell’individuo, del destino della società russa che non era compatibile con le idee di modernità dell’occidente. Italia: si può parlare prima dell’unità d’Italia del 1861, di un’economia italiana? Ci sono delle caratteristiche di uniformità? È difficile perché ci sono delle differenze e deformità all’interno dell’area geografica e culturale italiana. Ci sono forti diversità territoriali nella distribuzioni delle attività economiche e non vale solo negli stati preunitari, ma anche all’interno di queste stesse realtà c’è una grande disomogeneità (come la differenza di produzione di reddito tra citta e campagne). Queste diversità che hanno a che fare con la traiettoria storica dei territori, con le diverse istituzioni, con le relazioni commerciali per la posizione geografica. I diversi gradi di sviluppo con le aree del paese sono stati un tema importante fino ai giorni nostri. Era comunque una realtà in cui prevaleva largamente l’agricoltura, ma anch’essa era fortemente diversificata nelle diverse aree del paese, per il tipo di coltivazione e per il tipo di contratti che regolava la conduzione della terra: questa caratteristica è fondamentale perché si lega alla struttura sociale e definisce la possibilità che si sviluppino capacità di natura imprenditoriale (che possono avere sbocchi su attività di altro genere, e una accumulazione di capitale). o In area alpina era prevalente la piccola proprietà a conduzione diretta (il proprietario era colui che lavorava la terra), e si trattava di appezzamenti ridotti, chiedevano una grade intensità di lavoro, con profitti bassi e senza interesse dei proprietari di avere una terra più estesa. o Nella realtà padana c’erano grandi estensioni di terra che razionalmente erano di proprietà di ordini religiosi o grandi proprietari terrieri che non conducevano in proprio ma cedevano le terre in affitto, anche le aziende agricole (insieme composto da terra di diversa natura, edifici agricoli, canali, edifici specializzati nella trasformazione dei prodotti agricoli, delle vere e proprie unita aziendali). Le offrivano in affitto a coloro che definiamo imprenditori agricoli, si mirava a produrre profitto. Era una pratica consolidata da secoli che promuoveva un’agricoltura produttiva, in cui si erano fatti notevoli investimenti (irrigazione, nuovi impianti); o Nel centro Italia la forma di conduzione prevalente era la mezzadria: prevedeva che la fattoria data in concessione al colono producesse beni che venivano divisi a metà tra conduttore e proprietario. Questo non avveniva per tutti i prodotti agricoli, ma per quelli che avevano più sbocchi di mercato (cereali, olive, uva). È una forma di conduzione meno orientata al mercato, chi prendeva in mezzadria la terra disponeva solo della metà del prodotto da indirizzare al mercato e al mantenimento della famiglia. In ogni caso, c’era la possibilità di avere un surplus collocabile sul mercato; o Nel sud la forma largamente prevalente era quella del latifondo, della grande proprietà in mano a poteri monastici, ordini religiosi o latifondisti aristocratici in cui la terra viene lavorata da braccianti. Le estensioni di terra erano enormi e non c’era attenzione da parte della proprietà di introdurre innovazioni, le vendite garantite erano sufficienti per lo stile di vita delle famiglie proprietarie. Non c’è la formazione della classe imprenditoriale, i 54

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braccianti sono pagati a giornata e non hanno responsabilità, possibilità di accedere direttamente al mercato. Già in ambito agricolo c’è una diversificazione che in qualche modo prelude a un problema reale nello sviluppo dell’economia italiana, cioè che in alcune aree si sviluppa un’imprenditorialità più dinamica. L’attività manifatturiera più diffusa in assoluto è il tessile: ha a che fare con una lunga tradizione storica sin dal medioevo e dall’età moderna in cui i tessuti italiani avevano un dominio assoluto del mercato internazionale, si richiamava a una posizione fortemente radicata a cui in seguito la leadership era venuta meno, ma le competenze erano rimaste sul territorio. A partire dal tardo 600, si era specializzata in un prodotto che aveva un ottimo mercato internazionale che era il filato di seta: per ragioni climatiche, per la conformazione dei suoli , l’Italia si prestava all’allevamento dei bachi da seta (e il mulino alla bolognese riusciva nel filato da seta). Esso era poi esportato in tutti i mercati internazionali e garantiva ottimi profitti a chi lavorava in questo settore. L’esportazione della seta filata era una voce importante nella bilancia commerciale preunitaria. Nonostante la sua fama, questa attività era esercitata per pochi mesi all’anno e coinvolgeva un manodopera limitata, era comunque un’attività connessa all’attività agricola e non era una specializzazione vera e propria valida per tutto l’anno, e non dava effetti diffusivi ( spill over). Non si era formato un sistema di fabbrica comparabile con quello della rivoluzione industriale inglese, negli altri settori le imprese rimanevano piccole con uno scarso apporto di capitale e di processi di meccanizzazione. Quali erano le difficoltà dell’Italia?  Scarsa presenza sul territorio di risorse chiave (carbone, ferro), non bastava a mettere su un’impresa siderurgica efficiente e con costi competitivi;  Accede con difficoltà ai mercati internazionali delle materie prime: non era una potenza coloniale e si fa fatica ad accedere alle risorse necessarie per la produzione industriale.  Anche i costi per i trasporti, per le agevolazioni dei mezzi di produzioni, per i prodotti finiti sono costi elevati. La realizzazione delle infrastrutture di supporto al trasporto (ferrovie, strade) in una realtà geografica come quella italiana con catene montuose importanti è molto più onerosa rispetto ad altre realtà. Già negli stati preunitari e poi nei decenni seguenti alla unità, quello che si afferma nella divisione internazionale del lavoro, è un ruolo come esportatrice di prodotti agricoli (agrumi, olio, cereali, riso) e semilavorati di origine agricola (filato di seta). Si esportano questi prodotti particolari e si importano prodotti di natura manifatturiera. L’Italia si colloca in una posizione meno dinamica rispetto ad altre realtà: equilibrio agricolo-commerciale. C’è una forte concentrazione di insediamenti e attività economiche dal Friuli fino al Piemonte, soprattutto nell’area veneta e lombarda, lungo la via che scorre nel verso dell’appennino e lungo la costa adriatica, un po’ lungo la fascia fiorentina e pisana, fino al porto di Livorno. La dorsale appenninica che tende al meridione è meno insediata. Al sud c’è una concentrazione nelle grandi città (Roma, Napoli, Bari, Taranto…). Si vede la diversa ripartizione preesistenti all’unità italiana. Anche le diverse istituzioni e infrastrutture degli stati preunitari hanno condizionato enormemente la realtà successiva italiana e ancora oggi quella attuale. Ad esempio, nel Veneto e nel Regno di Sardegna ( che dal 48 ha una sua costituzione e assegna poteri precisi al parlamento sabaudo) c’è stata la costruzione di molte ferrovie (dato dall’influenza austriaca e nell’altro quella sabauda). Sono meno dinamiche le politiche dello stato pontificio e del regno delle due Sicilie se si esclude l’attività di esportazione di beni primari come olio ecc.. 55

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L’unità pone delle sfide importanti: creare un mercato interno integrato, in cui non bisogna solo abbattere le barriere politiche e doganali, ma di creare n’integrazione effettiva attraverso la realizzazione di reti di comunicazione che mettessero in collegamento le diverse aree del paese. Serve un sistema infrastrutturale diffuso con costi molto elevati. Si tratta anche di uniformare la legislazione, le norme che regolavano scambi, commerci, moneta per consentire la formazione dell’unità di mercato. L’altro aspetto importante che serviva anche a consolidare la percezione dei cittadini di far parte di un unico stato e di un’unica nazione era quello di ridurre gli squilibri interni evidenti: le diverse parti del paese si portavano dietro un retaggio storico e una realtà economica molto diversificata. Un aspetto chiave e vitale per il nuovo stato italiano non unitario è quello di consolidare la propria posizione a livello internazionale: l’Italia è uno stato nuovo, ha bisogno di stringere alleanze potenti per garantire la difesa militare del paese e il disperato bisogno di risorse finanziarie per portare avanti la politica di costruzione del nuovo stato. La posizione di relativa debolezza incide sulle opzioni di politica economica che vengono prese:

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Liberoscambismo: scelta fatta dalla destra storica che va al potere. L’Italia è un paese liberoscambista perché è interesse delle potenze che avevano favorito il processo di unificazione (Francia e Inghilterra) che l’Italia continui a essere un paese esportatore di prodotti agricoli e semilavorati, e che continuasse a importare i prodotti industriali esteri. Le esportazioni erano comunque soddisfacenti. Le decisioni in questo ambito erano prese da un parlamento preunitario composto prevalentemente da proprietari terrieri. A lungo il diritto elettorale attivo era riservato non soltanto ai soli maschi (con delle condizioni), ma anche a chi pagava un certo grado di tasse. Era un sistema su base censuaria.



Unificazione del debito pubblico: riconosce il debito pubblico dei paesi preunitari, era molto diversificato (molto elevato in Piemonte a causa degli investimenti nelle infrastrutture). La nuova Italia non sarebbe stata costretta a riconoscere i debiti come unitari, ma si poteva anche partire da zero, ma era forte interesse soprattutto da parte della Francia che ci fosse la riconoscenza del debito precedente, aveva nelle proprie banche e nei propri mercati una quota importante dei titoli di stato (Piemontese). Era anche interesse dello stato unitario apparire sui mercati internazionali come un partner affidabile a cui si potevano concedere nuovi prestiti.

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Se viene unificato il debito pubblico e la moneta non viene unificato il sistema delle banche di emissione, le banche continuano a essere le cinque banche del sistema precedente (nel 1870 sono 6, annessione dello stato pontificio e quindi della banca romana). Garantisce un “contentino” alle classi dirigenti degli stati preunitari che erano state messe negli organi di controllo. Solo nel 1926 si arriverà alla creazione di un unico istituto di emissione, la Banca di Italia che avrà il monopolio di emissione di moneta. Il processo di unificazione è estremamente costoso a causa delle guerre non ancora terminate (terza guerra di indipendenza, conquista di Roma), e la posizione dell’Italia nella divisione internazionale del lavoro non facilita il processo di industrializzazione. I dati del PIL in Italia sono eloquenti: nel ventennio 1871-1891 l’Italia vede crescere il suo PIL del 10% e aumenta il divario rispetto alle grandi potenze europee (Francia 28%, Germania 33%, regno unito 19%, USA 38%). Il quinquennio postunitario è stato caratterizzato da una massiccia spesa pubblica per esercito e infrastrutture di comunicazione: serviva anche un sistema portuale efficiente, il commercio dei prodotti agricoli era svolto per la maggior parte per via navale. Per finanziare questo programma, anche a costituzione di una e vera propria amministrazione in senso moderno con l’estensione del modello centralistico piemontese di derivazione francese anche alle altre realtà italiane: vengono ottenute tramite un forte ricorso all’emissione di titoli del debito pubblico. Anziché alle tasse la classe dirigente pensa che per i finanziamenti si debba ricorrere ai titoli, collocandoli sul mercato internazionale. Di fatto si convogliano risorse significative verso l’Italia anche se l’Italia spende di più di quanto non riesca ad incassare: proprio per questo nella terza guerra di indipendenza si abbatte una crisi finanziaria che la costringe al corso forzoso, cioè sganciare il valore della propria moneta dal valore dell’oro (gold standard). Nel corso degli anni ’60 c’è una spinta portata avanti dalla destra storica per risanare il debito pubblico con una forte politica di austerità con tasse e tagli alle spese che avrà successo perché porterà al pareggio ma anche alla sconfitta politica della destra storica sostituita dalla sinistra che cambierà politica economica. Si parla di dualismo economico riferendosi ad aree più sviluppate dell’Italia del nord e aree più arretrate non solo dal punto di vista economico, ma anche sociale (tasso di alfabetizzazione, tasso di natalità e mortalità) dell’Italia del sud. La grande depressione europea dura circa un ventennio, dal 1873 al 1895, un periodo di rallentamento dei processi di sviluppo economico. È dovuta dall’arrivo in grande quantità di prodotti agricoli dal continente americano (Sudamerica Brasile, Argentina, USA) grazie al rafforzamento delle linee di navigazione dell’atlantico (per le riduzioni dei costi di trasporto). Mette in crisi i produttori agricoli europei: l’agricoltura rappresentava comunque una fetta importante dell’economie europee, si riflette in una crisi generalizzata dell’economica che tutti i paesi conosceranno come un rallentamento. L’Italia che era un esportatore di prodotti agricoli ne risente in maniera maggiore: pone anche la condizione di un cambiamento delle politiche economiche e commerciali. La concorrenza sui mercati i...


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