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Title 6. Gea Ducci
Course Comunicazione sociale e istituzionale
Institution Università degli Studi di Urbino Carlo Bo
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Il Mulino - Rivisteweb

Gea Ducci

Lavori in corso nella PA connessa. Il ruolo delle strutture di comunicazione nella gestione dei social media e lo sportello polifunzionale 3.0 (doi: 10.1445/82964)

Problemi dell’informazione (ISSN 0390-5195) Fascicolo 1, aprile 2016

Ente di afferenza: Universit` a di Urbino (uniurb)

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SAGGI

«Lavori in corso» nella PA connessa Il ruolo delle strutture di comunicazione nella gestione dei social media e lo sportello polifunzionale 3.0 di Gea Ducci

«Work in progress» in the connected Public Administration: the role of communication structures in social media management and polyfunctional windows 3.0 The digitization of public administration and the widespread use of the social and participative web ask for new skills within public communication, but also the recognition of the basic principles and the achievements realized so far. The provisions required by law have not been fully implemented and often public communicators find it difficult to lead the change taking place. This contribution describes the main results of a research carried out in the Marche region about the role of communication structures in managing the presence of municipalities on social networks and it reflects on the evolution of Public Relations Offices in the new polyfunctional windows. Keywords: public communication, social media, polyfunctional windows, communication structures, digitization

Premessa Il processo di digitalizzazione della PA e la crescente pervasività dell’uso del web sociale e partecipativo nella società della rete comportano un aumento dei bisogni di comunicazione da parte delle organizzazioni pubbliche e l’acquisizione di nuove competenze. Al fine di comprendere quale ruolo svolgano le strutture e i professionisti della comunicazione

PROBLEMI DELL’INFORMAZIONE – ANNO XLI, N. 1, APRILE 2016

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nell’attuale processo di cambiamento della pubblica amministrazione italiana è opportuno osservare il percorso finora intrapreso dalla comunicazione pubblica, da un punto di vista teorico ed empirico. In questo contributo, dopo avere delineato i tratti salienti di tale percorso, evidenziandone aspetti positivi ma anche principali criticità, si propone una riflessione sul modo in cui la PA italiana ha affrontato la problematica della propria presenza sui social media. In particolare, si focalizza l’attenzione sul ruolo di uffici stampa e strutture di comunicazione (Urp o strutture similari) nell’apertura di account istituzionali sui principali social network (Facebook e Twitter) in base ai risultati emersi in un’indagine di stampo qualitativo che ha coinvolto i comuni della regione Marche. Si propone infine una riflessione sull’attuale evoluzione degli Urp in sportelli polifunzionali di nuova generazione. 1.

Comunicazione pubblica e digitalizzazione della PA: vecchi e nuovi bisogni di comunicazione istituzionale

Dai primi anni Novanta nel nostro Paese, come noto, è iniziato un percorso che ha condotto al pieno riconoscimento della specificità della comunicazione pubblica rispetto ad altri ambiti della comunicazione, in particolare rispetto alla comunicazione commerciale, di mercato. Una normativa dedicata, dalla lg. 241 del ‘90 sulla trasparenza e l’accesso agli atti alla lg. 150 del 2000 (legge quadro sulle attività di informazione e comunicazione nella PA) e relativi decreti attuativi, ha introdotto e valorizzato strutture, strumenti e figure professionali dedicate alla cura e gestione dell’informazione e della comunicazione nella PA (Faccioli 2000; Grandi 2007; Rovinetti 2010 e 2014; Laudani 2015). Fino ai primi anni del 2000 in molte amministrazioni italiane si è cercato di prevedere e realizzare un sistema di comunicazione coerente e corrispondente ai bisogni di una PA sempre più complessa, investita da un cambiamento profondo di modernizzazione. Un cambiamento sollecitato dalla necessità di creare le condizioni per rendere maggiormente competitivo il sistema paese, cogliere le opportunità di innovazione dischiuse dall’evoluzione delle tecnologie di rete e affrontare la allora imminente crisi economica con il relativo ridimensionamento delle risorse. La modernizzazione è stata avviata in modo consistente all’insegna di principi e processi cruciali quali la trasparenza, la sempli114

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ficazione e lo snellimento della burocrazia, l’efficienza e l’efficacia dei servizi, il controllo e la valutazione delle attività delle amministrazioni. In tutto questo, la comunicazione è stata riconosciuta come strumento indispensabile, risorsa necessaria per attuare il cambiamento e strategia per rendere i servizi pubblici migliori (Rovinetti 2010 e 2014), sempre più soddisfacenti per il cittadino e per i dipendenti, ponendo al centro le loro necessità. Una comunicazione da programmare per sostenere in modo adeguato attività e servizi al fine di renderli visibili, accessibili e fruibili; per costruire momenti e spazi dedicati al dialogo e all’ascolto attivo delle esigenze provenienti dall’esterno (cittadini singoli e organizzati, aziende, stakeholders) e dall’interno (dipendenti); per prevedere momenti e canali di partecipazione ai processi decisionali e favorire la condivisione delle scelte; per attivare strumenti di accountability, al fine di porre i cittadini nelle condizioni di conoscere l’amministrazione, il modo in cui utilizza le risorse pubbliche e, di conseguenza, di poterne valutare l’operato. Con questo spirito, una comunità di innovatori, assieme a studiosi della materia, si sono fortemente adoperati per far sì che la comunicazione pubblica diventasse uno «strumento» di governo dei sistemi istituzionali, venisse intesa come un «servizio» (Faccioli 2000) e non più come un orpello dell’amministrazione, da utilizzare solo in casi di estrema emergenza o, peggio ancora, come strumento di «propaganda» politica (Rovinetti 2010 e 2014). Gli innovatori si sono adoperati per rendere la comunicazione una attività costante e non occasionale della PA, un dovere per l’amministrazione e un diritto del cittadino, da coltivare con cura e professionalità, da programmare e guidare con consapevolezza (Ducci 2007). Essa cominciava ad essere intesa non più come mera diffusione di informazioni, in senso verticistico (top-down), unidirezionale, ma come un processo bidirezionale, circolare, basato sullo scambio, l’ascolto reciproco, il riconoscimento della parità di ruolo tra soggetti interagenti. Tale significativo percorso è stato fin dall’inizio caratterizzato dall’impiego delle tecnologie della comunicazione e ha espresso una certa capacità della PA di saper cogliere le novità e le opportunità di volta in volta offerte dalla rete nella sua continua e repentina evoluzione, per comunicare all’esterno e all’interno. In tal senso la comunicazione pubblica è stata riconosciuta come disciplina in progress (Faccioli 2000) che cerca di essere (e a volte ha saputo essere) uno stimolo e un supporto per la modernizzazione in senso digitale del sistema pubblico.

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In alcuni casi, le strutture di informazione e comunicazione (uffici stampa, portavoce, Urp o strutture similari) e le figure professionali ad esse preposte (capo ufficio stampa, addetto stampa, comunicatore pubblico, addetto alla comunicazione e alle relazioni con il pubblico), hanno riflettuto e hanno cercato di stimolare un utilizzo il più possibile ottimale delle potenzialità offerte dal web 1.0. Al riguardo si ricorda l’attenzione verso una cura di siti internet che superasse logiche unidirezionali a favore della bidirezionalità (allora venivano messi sotto accusa i cosiddetti siti-vetrina) e mettesse in atto sistemi di interattività con la cittadinanza (es.: posta elettronica, forum tematici, ecc.) (Grandi 2007). Si è così assistito alla creazione e alla crescita delle reti civiche in alcune città italiane, mentre veniva avviato il processo di e-government, inteso come digitalizzazione dei servizi erogati a cui i cittadini potessero accedere grazie a sistemi di riconoscimento digitale (firma digitale, carta di identità elettronica, carta nazionale dei servizi, ecc.) (Rovinetti 2010; Ducci 2015). Presero inoltre vita alcune forme di e-democracy, come la creazione e valorizzazione di spazi online di partecipazione civica (es.: forum tematici) in cui i cittadini potessero confrontarsi su argomenti di pubblico interesse, partecipare a processi decisionali, esprimendo proposte valutabili e processabili da parte dell’amministrazione (processi decisionali di tipo «inclusivo», partecipativo) (Faccioli, D’Ambrosi, Massoli 2007). Queste tendenze e questi continui sforzi per favorire una gestione della comunicazione in ambito pubblico che accompagnasse l’innovazione e, quindi, l’adozione di una visione strategica e integrata della comunicazione, purtroppo non hanno conosciuto piena attuazione. Anzi, si può sostenere che tale sviluppo è avvenuto a «macchia di leopardo», con diverse velocità, approcci culturali e operatività (modalità di realizzazione), nelle regioni, province, comuni in cui si articola il Paese. Occorre precisare che i primi anni del 2000 (fino al 2008 circa), in cui avanza il processo di digitalizzazione – almeno da un punto di vista normativo –, rientrano ancora nella fase di evoluzione del web di tipo 1.0 (Masini, Lovari, Benenati 2009; Lovari 2013). In questa fase il sistema di comunicazione istituzionale delineato dalla lg.150/2000 ha continuato a svolgere sostanzialmente un ruolo di «protagonista» del cambiamento, ha saputo in qualche modo affiancare e, in certi casi, guidare realmente l’innovazione; si è rivelato essere adatto alle esigenze comunicative della nuova PA.

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Laddove le indicazioni normative hanno trovato piena attuazione, le strutture di informazione e comunicazione e i responsabili della comunicazione hanno rappresentato per le organizzazioni un punto di riferimento e una guida importante. Ciò non significa che l’intera e complessa attività comunicativa di un ente pubblico potesse essere relegata totalmente a tali strutture e figure professionali, ma è stato fondamentale riconoscerne il ruolo di «regia», di coordinamento e programmazione dell’agire comunicativo di un’amministrazione, offline e online. A ciò si aggiunge la raggiunta consapevolezza che fosse necessario diffondere una cultura della comunicazione in modo trasversale fra tutte le componenti di un’organizzazione pubblica, dal momento che, a diversi livelli, singoli professionisti e settori, esprimevano propri e specifici bisogni comunicativi per rendere maggiormente efficaci le rispettive azioni all’interno e all’esterno. Con il passaggio al web di seconda generazione, 2.0, i mutamenti che hanno investito la società della rete sono così rilevanti da impattare in modo significativo sul sistema pubblico, sui processi di produzione ed erogazione dei servizi di pubblica utilità, sulle modalità di svolgimento delle attività amministrative, ma anche sui criteri con cui il sistema si rapporta con l’ambiente, con cui, in estrema sintesi, comunica. La nascita e la repentina diffusione del web sociale e partecipativo nella network society hanno comportato mutamenti ben noti in letteratura (Castells 2009; Ito 2008; Jenkins 2009). I cittadini scoprono e abitano in modo crescente nuovi spazi relazionali online che, in quanto tali, vengono «sfruttati» anche per confrontarsi su questioni di interesse generale, fino a promuovere soluzioni a problemi comuni che possono riguardare un singolo gruppo di persone, ma anche l’intera cittadinanza; dare vita a percorsi condivisi di solidarietà e di attivismo civico (civic engagement) (Dahlgren 2009 e 2013; Faccioli 2013; Morcellini, Mazza 2008) o a pratiche discorsive riguardanti la stessa attività della pubblica amministrazione, ampliando in modo consistente le opinioni al riguardo, diffondendole in modo virale, grazie a sistemi di connessione che consentono la cogenerazione e condivisione di contenuti online (Boccia Artieri 2012; Ducci 2011 e 2014; Lovari 2013). Mentre la rete social abilita i pubblici-cittadini connessi che da soggetti della comunicazione diventano coautori di contenuti e fa emergere le voices cittadine (Lovari 2013), il sistema dell’informazione tradizionale (mainstream) si attrezza e si rimodella secondo processi di ibridazione e crossmedialità,

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cercando di creare forti sinergie tra attività e contenuti off e online (Mazzoli, 2012; Sorrentino, 2008). Il mutamento comunicativo che ha interessato l’intera società della rete comporta un accrescimento del capitale sociale (Putnam 2000; Morcellini, Mazza 2008) da parte di individui, gruppi, organizzazioni, pur non essendo scevro, come noto, da criticità. Si pensi soltanto alla problematica della validità delle fonti, del rischio di overload informativo, di ipercomplessità, e della crescita di un digital divide di secondo livello, legato alle differenti abilità nello stare sulla rete da parte della popolazione (Bentivegna 2009). Si è reso immediatamente evidente che, fin dai primi anni in cui è esploso il fenomeno Facebook (dal 2008 in poi), anche per le pubbliche amministrazioni sarebbe diventato inevitabile abilitarsi all’uso dei social media, al fine di mantenere sinergia e sincronia con la realtà sociale di riferimento. Ancor più che in passato, con i media sociali la PA viene sollecitata ad aprirsi al cittadino, a costruire e coltivare un dialogo costante, continuativo con gli attori del territorio, a «mettersi in gioco», a monitorare e ascoltare le voci dei cittadini, le opinioni espresse anche sull’operato dell’amministrazione; a divenire una PA relazionale (Ducci 2007) e conversazionale (Lovari 2013) in grado di fronteggiare una crescente comunicazione etero-diretta, sfruttando la disintermediazione consentita dai nuovi strumenti digitali. Come accennato, gran parte di queste attività non rappresentano una novità per la comunicazione pubblica, ma con il web 2.0, i social media e l’avanzamento della digitalizzazione (più recentemente con i sistemi di open data e i nuovi criteri di trasparenza online – D. Lgs. 33/2013), emerge con forza il bisogno di rilanciare un processo riflessivo sul ruolo che nel nuovo contesto esercitano le strutture di comunicazione, sulla necessità di introdurre nuove risorse e competenze in questo ambito. Il cambiamento in atto infatti comporta un’estensione dell’ubiquità della comunicazione pubblica (Solito 2014): aumentano i bisogni di comunicazione, la necessità di curare relazioni interne ed esterne da parte di singoli professionisti e settori, oltre che da parte dell’intera amministrazione. Di fronte a queste nuove esigenze, emergono i punti di forza e le criticità che hanno interessato il sistema della comunicazione pubblica fino a questo momento. Da un lato si pone il problema di aggiornare l’impianto strutturale e professionale previsto dalla lg. 150/2000 (Lovari 2013; Sensini 2012; Solito 2014), dall’altro

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lato emerge la necessità di richiamare l’attenzione sul ruolo strategico che il settore comunicazione deve continuare a rivestire all’interno delle amministrazioni. Sono evidenti infatti le enormi difficoltà a coordinare, governare e guidare le attività di comunicazione di un ente pubblico nell’epoca del web 2.0, da parte soprattutto di quelle istituzioni (purtroppo la maggioranza nel nostro Paese) che non hanno finora valorizzato tale settore e hanno adottato strumenti e strutture di comunicazione come mero obbligo normativo e non come una vera e propria opportunità di miglioramento (di qui le frustranti condizioni in cui i comunicatori pubblici si sono spesso trovati ad operare) (Rovinetti 2014; Solito 2014). In questa situazione, è doveroso chiedersi quale ruolo abbiano esercitato nel passaggio al web 2.0 e continuino ad esercitare oggi, le strutture di comunicazione e quei professionisti a cui si è cercato di attribuire un ruolo centrale nella PA ma che, in troppi casi, sembrano aver conosciuto una sorta di «battuta d’arresto». I comunicatori pubblici sono ancora protagonisti del cambiamento? 2.

La presenza della PA sui social network: considerazioni generali

Tanti sono gli ambiti, le attività di comunicazione nella PA, su cui il web di seconda generazione produce un notevole impatto (Lovari 2013) e bisognerebbe analizzarle nella loro interezza per comprendere appieno il ruolo che le strutture e i professionisti della comunicazione hanno svolto e stanno continuando a svolgere in questa fase. Si sceglie qui di porre attenzione alla presenza online delle PA e, in particolare, all’apertura e gestione di pagine social di tipo istituzionale. Come le amministrazioni si sono affacciate ai social network dal 2008 ad oggi? A questo interrogativo si può rispondere grazie a note indagini svolte negli ultimi anni da singoli ricercatori o gruppi di ricerca a livello nazionale1, di cui è opportuno ricordare alcuni interessanti risultati: in una primissima fase (primi anni di vita di Facebook) la PA italiana ha vissuto un periodo «spontaneistico», in cui da un 1 Si ricordano qui i monitoraggi di Giovanni Arata sulla presenza delle PA locali sui social media (dal 2011 al 2014), la ricerca «Comuni 2.0» svolta da OPERA (Università di Modena e Reggio nell’Emilia) nel 2011, la ricerca di Alessandro Lovari sull’interazione fra cittadini e Comune di Siena sui social network. Per una ricognizione ampia di tali ricerche v. Lovari, 2013.

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lato è prevalsa una certa diffidenza e resistenza all’utilizzo delle nuove piattaforme, dall’altro lato si è assistito a una molteplicità di tentativi, piuttosto disarticolati e confusi, di apertura di profili sui principali social network, quali Facebook o Twitter. Nel primo caso si tratta di un atteggiamento per certi versi comprensibile considerando che l’unica possibilità fornita da Facebook era quella di aprire profili individuali, personali, difficilmente utilizzabili a scopo istituzionale; dall’altro lato i numerosi tentativi di essere presenti su queste piattaforme sono consistiti soprattutto in iniziative sporadiche, promosse da singoli amministratori, singoli politici o settori, al fine di «essere sul social» del momento, mostrarsi innovativi e accrescere il consenso elettorale, piuttosto che offrire un servizio di informazione e comunicazione vero e proprio. Non sono stati ovviamente assenti anche tentativi di svolgere attività di comunicazione istituzionale, ma in gran parte Facebook e Twitter venivano utilizzati in modo limitato rispetto alle loro potenzialità, in prevalenza per diffondere informazioni, dare visibilità a eventi promossi dalla PA, in senso unidirezionale, spesso autocelebrativo e autoreferenziale. Si avverte fin dall’inizio quindi, una mancanza di un approccio strategico e relazionale all’uso di questi strumenti, un sostanziale vuoto di riflessività dietro cui, a parere di chi scrive, si cela una significativa responsabilità del settore comunicazione e/o, più semplicemente, una sostanziale debolezza del sistema comunicativo fino a questo momento adottato in diversi contesti. Questa fase «spontaneistica», nel processo di domesticazione dei media sociali da parte della PA delineato da Mergel e Bretscheinder (2013), corrisponde alla fase dell’»intraprendenza e sperimentazione», in cui prevale un uso informale delle piattaforme social da parte di dipendenti creativi che le avevano già sperimentate in contesti non lavorativi (Lovari 2013). Ne scaturisce u...


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