Alienazione e accelerazione, Il libro di Hartmut Rosa PDF

Title Alienazione e accelerazione, Il libro di Hartmut Rosa
Author Valentina Maria Casciano
Course Globalizzazione e lavoro
Institution Università della Calabria
Pages 6
File Size 128.7 KB
File Type PDF
Total Downloads 14
Total Views 133

Summary

Il corso di globalizzazione è stato incentrato quasi totalmente sul libro accelerazione e alienazione. Tale documento di presenta come un riassunto del libro, con l'aggiunta di qualche riflessione....


Description

Tesina Accelerazione e Alienazione In questo libro, l'autore, Hartmut Rosa, parte dalla constatazione che il mondo nel quale viviamo presenti diverse forme di alienazione. Alienazioni prodotte dall'accelerazione sociale, un rigido sistema temporale che regola le nostre società tardo-moderne. L'obiettivo dell'autore è quello di formulare una teoria critica dell'accelerazione sociale. Egli sostiene che ad intaccare la nostra capacità di condurre una vita buona siano le distorsioni prodotte dalle strutture della comunicazione e del riconoscimento. Prendere atto di ciò può aiutarci a comprendere quali siano gli ostacoli che non ci permettono di avere una vita felice. "Cosa ci distrae dal condurre una vita buona?.. Dato che si tratta di un compito molto pretenzioso, bisogna osservare, innanzitutto, se vi sono momenti di decelerazione. Perché, infatti, nella società dell'accelerazione, in realtà, non tutto accelera e ci sono, anche, fenomeni che decelerano -come ad es. un ingorgo stradale- o altri che resistono ai tentativi di a essere accelerati -come un raffreddore. Vi sono, però, anche fenomeni ai quali il concetto di accelerazione si applica perfettamente: i computer, i trasporti, la comunicazione. L'autore divide i fenomeni che accelerano in tre categorie: -accelerazione tecnologica. Processi che hanno portato alla disaggregazione spazio-temporale e allo svuotamento di significato dello spazio; -accelerazione dei mutamenti di vita. Si tratta di accelerazioni della società stessa, ad esempio si può osservare come sistemi riproduttivi, quali la famiglia e il lavoro, siano passati da un ritmo intergenerazionale, tipico dell'età premoderna, ad un ritmo generazionale nella modernità, per poi giungere ad un ritmo intragenerazionale nella tardo-modernità. Infatti, nelle società odierne, néil lavoro né la famiglia durano più tutta la vita: i continui divorzi, il lavoro sempre più precario, ne sono la dimostrazione. -accelerazione del ritmo di vita. Si tratta dell’aumento del numero di singole azioni o esperienze in un’unità di tempo, cioè la conseguenza del desiderio di fare più cose in meno tempo. Una simile accelerazione dovrebbe permettere di fare più cose in minor tempo, o anche contemporaneamente. L'accelerazione tecnologica si lega a una diminuzione del tempo impiegato per compiere determinate azioni. Per tanto, quest'ultima, dovrebbe corrispondere un aumento del tempo libero, che a sua volta dovrebbe far rallentare il ritmo di vita. Ma nella società moderna il tempo, invece, diventa sempre più scarso, perché quello che riusciamo a risparmiare non lo impieghiamo come tempo libero, ma lo utilizziamo per raddoppiare il numero di operazioni che in passato richiedevano giorni, o persino settimane, per essere espletate e che adesso, con le nuove tecnologie, riusciamo a fare in pochi minuti o secondi. Rosa individua due motori sociali che producono accelerazione: la competizione e il motore culturale. La competizione si lega alla logica capitalista; nelle società moderne, il sistema capitalistico spinge verso guadagni e circolazioni di denaro più veloci e questo accelera anche la riproduzione e la circolazione di beni e consumi. Per tanto, se si accorciano i tempi, il fattore costo è più ridotto e si riesce ad essere più competitivi. La competizione ha finito per diventare il modo di allocazione dominante di tutti gli ambiti della vita sociale; non riguarda più solo la sfera economica. La logica della competizione non è l’unica forza che favorisce l’accelerazione sociale, ma è quella principale che la guida. Per quanto riguarda il motore culturale, gli uomini, possiamo dire che sono allettati da una promessa culturale molto forte: la vita eterna è stata sostituita con un’enfasi centrale sul mondo terreno, e non più ultra-terreno, perché le cose importanti accadono in questo mondo. Questo porta l'uomo a ricercare in questa vita la sua realizzazione e la conduzione di una vita buona. Dato che quest'ultima è l'insieme delle esperienze, della loro profondità, fatte nella vita, ,'uomo moderno ha la sua massima aspirazione in questo: provare tutte le occasioni di opportunità che gli vengono offerte. La qualità delle esperienze non è fondamentale quanto la loro quantità. Ovviamente, tutto ciò riporta anche all’alienazione: non tutti riescono a padroneggiare le possibilità che vengono offerte.

Questo produce confusione e anche immobilismo, in alcuni casi. Le cose che possiamo provare, rispetto a quelle che lasciamo, saranno di meno. Ciò che il mondo ha da offrire sarà sempre di più rispetto a ciò che riusciremo a fare. Mentre prima l’arco di possibilità era molto limitato, le traiettorie erano già definite lungo un arco lineare e scontato, adesso non è più così. La capacità di discernimento è sempre meno presente: tutto dev’essere fatto raddoppiando il tempo. Noi ricerchiamo il fine della nostra esistenza attraverso un’accelerazione del ritmo di vita: minimizziamo i periodi nei quali non facciamo niente, l’ozio non è contemplato. L'obsolescenza è sempre presente e ci fa vivere continuamente esperienze mediate, che vengono, così, private della loro autenticità. Nella tardo-modernità l’accelerazione sociale si è trasformata in un sistema che alimenta se stesso e non ha più alcun bisogno di una forza motrice esterna. Le tre forme di accelerazione, di cui l'autore parla, hanno preso le sembianze di un sistema di feed-back che si autoalimenta da se stesso. Tutta questa accelerazione diventa una sorta di ingorgo dal quale rischiamo di non uscire più. Ovviamente, come accennato all'inizio, non tutto accelera allo stesso modo; anzi, alcuni fenomeni decelerano. Rosa qui cerca di sostenere che, anche se vi sono ambiti, settori, che decelerano, questi sono in numero inferiore rispetto a ciò che accelera. In particolare, egli individua cinque forme di decelerazione che sembrano resistere alla logica dell'accelerazione sociale: - I limiti naturali di velocità. Si tratta di limiti naturali o antropologi che pongono un freno all'accelerazione: ad es. il fatto che una giornata sia sempre costituita da 24'ore, e, per quanto si possa cercare di accelerare, la cosa non muta; - le oasi di decelerazione. Riguardano quegli ambiti come la campagna, o aspetti , come il pranzo di natale, alcune tradizioni o giochi, che ancora non sono stati assorbiti nella logica acceleratoria; - la decelerazione come conseguenza disfunzionale. Si tratta delle conseguenze che la gestione di troppi stimoli può arrivare a comportare: ad es. il burn-out è una sindrome, frutto di stress lavorativo, derivata dal fatto che l'accelerazione richiede una mole di risorse fisiche e psichiche che l'individuo non riesce a gestire e che, per tanto, può sfociare in depressione. - la decelerazione intenzionale. In questa categoria rientrano due tipi di accelerazione: quella funzionale e quella ideologica La prima può verificarsi ad es. quanto un professore, stressato dal proprio lavoro e dall'utilizzo di piattaforme digitali, ha bisogno di fare una pausa e "ricaricare le pile" per essere nuovamente funzionale. Quindi, si tratta di una decelerazione funzionale alla ripresa. Quella ideologica, invece, ha a che fare con movimenti sociali che cercano di opporsi all'accelerazione. Qui possiamo pensare ad es. agli ecologisti, che si battono affinchè l'impatto dell'uomo sulla natura venga ridotto. Si tratta di gruppi così pervasivi da rendere quasi superflua l'accelerazione; - l'inerzia culturale. Quando l'accelerazione spinge troppo oltre, ciò può portare ad una stasi iperaccelerata o a un'inerzia popolare. L'accelerazione, se spinta al massimo, non porta da nessuna parte: pensiamo, ad es., ai vantaggi minimi, e quasi impercettibili, che il passaggio dal 4G al 5G, o da un penultimo a un ultimo modello di iphone, vengono offerti. Molti non aderiscono, in quanto le differenze sono davvero minime. Le categorie della decelerazione che abbiamo analizzato non sembrano essere tali da portare ad una spinta contraria in grado di arginare le moderne spinte dell’accelerazione. I fenomeni delineati nella categoria 1 e 2 non sono altro che limiti dell’accelerazione. La categoria 3 sono effetti dell’accelerazione; la categoria 4 delinea elementi dei processi stessi di accelerazione. Possiamo dire che fin ora tutte le forme di resistenza hanno avuto vita breve e sono state inutili. L’unica forma di decelerazione che non è derivata dall’accelerazione è quella che si riferisce ai processi di decelerazione delineati nella categoria 5: è l’altra faccia che caratterizza tutte le forze tipiche della modernità. Data, allora, quest'asimmetria innegabile tra accelerazione e decelerazione; possiamo interpretare la modernizzazione come un processo in atto di accelerazione sociale. L'autore fa notare come l'accelerazione sociale produce nuove esperienze del tempo e dello spazio, nuovi modelli di interazione sociale e nuove forme di soggettività, e di conseguenza cambia il modo in cui gli esseri umani sono posti nel mondo e come si orientano nel mondo. Cambiamenti di questa portata conducono a patologie sociali, ossia a sviluppi distruttivi che producono l’infelicità

dell’uomo. Allora, compito dei teorici sociali è quello di identificare le fonti della sofferenza sociale e, per farlo, essi hanno bisogno di sviluppare una teoria critica. Quest'ultima si occupa delle patologie presenti nella società, ma non è l’unica farlo: anche la filosofia sociale, come sottolinea Honneth, ha questo compito. La patologia sociale, in questo caso, è l’alienazione. Le patologie sociali non devono essere viste come come distorsioni funzionali o meccanismi disfunzionali della società. L’idea che istituzioni come la famiglia siano strutturate in un certo modo non può reggere più: vederle in questa maniera non permetterebbe il cambiamento, la rottura, la riproduzione sociale. Le norme non possono essere ritenute assolute e riproducibili allo stesso modo. è l'esperienza concreta degli attori sociali che bisogna analizzare, in quanto è lì che la sofferenza sociale si cela. Tuttavia, gli attori sociali in alcune situazioni potrebbero soffrire senza riuscire a comprenderlo, ed è qui che entrano in gioco le definizioni di ideologia e falsa coscienza. La falsa coscienza è una forma di coscienza, né critica, né dialettica, che è frammentata. La coscienza è la consapevolezza di ciò che siamo; la falsa coscienza, invece, è una lettura falsa della propria condizione: chi vive all’interno di una falsa coscienza pensa di vivere in un mondo idilliaco o, comunque, in un mondo che non rispecchia la realtà. Non è la coscienza che determina la vita buona, ma la vita che determina la coscienza. Sull’uomo non ci dovrebbe essere alcuna eterodeterminazione: la libertà non dev’essere imprigionata da discorsi ideologici e da falsa coscienza. Ma, come sappiamo, attorno ai soggetti, c’è tutta una struttura ideologica a determinare la loro vita. Per tanto, il percorso per elaborare una teoria critica si basa su un confronto critico tra le concezioni delle buone pratiche e istituzioni sociali e quelle realmente esistenti. Il primo obiettivo della filosofia sociale devono essere le condizioni sociali, che se da un lato inducono i soggetti ad inseguire concezioni del bene, dall’altro impediscono esse stesse la realizzazione. L’alienazione, essenzialmente, non è altro che l’illogicità con cui quasi naturalmente siamo chiamati a mandare avanti la nostra vita. Il senso della esistenza non è dato da ciò che facciamo, ma dalla velocità con la quale agiamo. Il nostro tentativo è di combattere questa alienazione con ulteriore velocità e producendo, così, maggiore alienazione. Nel modo di comunicare ci sono delle distorsioni e, da ciò, nascono delle patologie sociali. Quindi, compito della teoria critica è di identificare tutte le forze strutturali. Ad es. l’economia, il modo in cui funziona: sono elementi esterni sui quali l’uomo singolo non può intervenire, non ne può cambiare le regole. Prendendo ad es. una patologia, come la disoccupazione giovanile, la prima cosa che dobbiamo fare è chiederci da dove nasca. Si potrebbe, a tale proposito, analizzare la struttura del mercato di lavoro. Tutto quello che analizziamo lo possiamo considerare vero se, e solo se, siamo stati liberi di poter dire tutto; ossia, tutte le argomentazioni possono essere formulate a patto che tali argomenti non costituiscano una modalità costrittiva. L’argomento che possiamo considerare valido dev’essere frutto di un agire comunicativo. A volte non si può giungere nemmeno ad una conclusione, soprattutto se si tratta di società molto complesse. Nel mondo della scienza abbiamo un numero abbondante di soggetti, scienziati, i quali sembrerebbero essere avvantaggiati, in quanto esperti rispetto alla gente comune. Il processo attraverso il quale si crea un’opinione diffusa ed accettata richiede tempo: nel mondo della scienza, invece, la velocità con cui vengono scritti e pubblicati articoli non permette agli scienziati di sviluppare a pieno le loro tesi. Il mondo della scienza è il primo a pagare il dazio dell’accelerazione. In esso ciò che conta è il numero di pubblicazioni: non conta ciò che si dice, ma il numero di cose che si dicono. Tutto ciò è alienante e toglie legittimazione al discorso scientifico, perché ciò che scriviamo è valido in base a chi lo sostiene -chi conta nella società. Lo scrivere diventa il fine e non il mezzo. Quando lo scienziato non riesce a far leggere ciò che ha scritto, affinché sia discusso, finisce con l’alienarsi. Anche il mondo politico funziona allo stesso modo, ma è più bizzarro: non ha la pretesa, come accadeva in passato, e come fa la scienza, di dire la verità. Partendo, da Habermas, la forza politica trova legittimazione solo se è frutto di un processo democratico, ossia una discussione pluri-stratificata. Per fare questo c’è bisogno di filtri e di arene di dibattito. Ma la scusa sarebbe che non abbiamo tempo. In passato la politica, attraverso i partiti di massa, traeva dal confronto la sua legittimazione, richiedendo molto tempo a chi aderiva alle riunioni di partito; adesso, invece, non è più così. Il passaggio dai partiti di massa a quelli elettorali ha fatto si che

questi perdessero molta della loro credibilità agli occhi della popolazione. Il problema potrebbe essere risolto ricorrendo ad un leader che si faccia garante dei nostri desideri. Il punto, però, è che nella post-modernità, ai politici è richiesta una certa velocità per stare al passo con i tempi e questo tocca la loro legittimazione. Il processo legal-razionale è un atto di fede alle istituzioni. Ma, in certe situazioni, i politici devono prendere delle decisioni impopolari, ad es. nei casi di emergenza -come quello della pandemia. Il ritmo di prendere le decisioni -al di là della pandemia- dev’essere accelerato. Da una parte c’è la necessità politica di fermarsi a ragionare, dall’altra la necessità di accelerare: e allora si semplifica accelerando i tempi. Un processo di formazione delle opinioni è molto complesso, mentre è più semplice ragionare per slogan, senza necessità di argomentare. Ma a perdere il controllo sulla politica sono i cittadini: la formazione delle loro opinioni diventa difficile, proprio perché la politica ragiona per slogan. Quest'ultima sembra aver fatto una brutta fine. Come ci dice Bauman, essa dovrebbe essere lo spazio politico di formazione delle idee politiche; uno spazio di tipo etico: dovrebbe dire se una cosa sia "giusta" o "sbagliata". Ma, nella post-modernità, ci troviamo di fronte al passaggio della politica intesa come spazio "etico" a una politica intesa come spazio "estetico": non più, quindi, se una cosa sia "giusta" o "sbagliata", ma se sia "bella" o "brutta". È una caduta del contenuto morale delle decisioni. Non c’è più un processo di formazioni delle opinioni politiche, ma essa si riduce ad essere ciò che viene veicolato dai media. Coincide con ciò che passa in televisione. I leader estetici diventano quelli che più fanno audience e il consenso viene veicolato da questa enorme società dello spettacolo. Mentre nell’epoca premoderna la società era stratificata in classi, e i modelli dell’allocazione del riconoscimento erano prefissati dalla nascita; adesso, nelle società moderne, la posizione di ciascuno nel mondo viene conquistata con le proprie forze e non è stabilita dalla nascita. Se in passato il riconoscimento si accumulava, adesso ciò non accede più. Passando da una società generazionale ad una intragenerazionale, le posizioni che riusciamo a conquistare potrebbero non durare tutta vita. Il riconoscimento viene distribuito in base alle performance. La posizione conquistata, anche se porta maggiore stima sociale, non è detto che anche domani continuerà ad essere confermata. La battaglia per il riconoscimento si è spostata da una logica posizionale ad una logica performativa: la cosa che le persone temono di più è restare indietro. Se la lotta al riconoscimento è una forza motrice costante dell’accelerazione sociale, in una società competitiva, la sua forma cambia considerevolmente con l’accelerazione del cambiamento sociale. La tesi che Rosa vuole sostenere è che l’accelerazione sociale sia diventata una forza totalitaria della società moderna e che, come tale, debba essere sottoposta a critica come qualsiasi regime totalitario. Non ci possiamo permettere di fermarci, sappiamo di vivere un’esperienza totalitaria, ma se vogliamo affermarci e ottenere riconoscimento, ossia apprezzamento sociale, dobbiamo continuare a correre. Questo regime totalitario riesce a mantenersi perché un po' resta mascherato e, poi, perché la competitività regge il sistema. Anche i fenomeni che accelerano non lo fanno tutti allo stesso modo, ma presentano una diversa graduazione di velocità. Laddove due processi interagiscono, sono sincronizzati, l’accelerazione di uno pone sotto pressione l’accelerazione dell’altro: a meno che non si velocizzi anch’esso, viene percepito come un elemento di disturbo. Sfruttiamo risorse come il petrolio in modo tale da non consentire alla natura la riproduzione; per tanto, il modo di funzionamento della società va in tilt. Un sistema che ha fatto dell’accelerazione il proprio fulcro si trova a fare i conti con una società che non ce la fa a reggere i ritmi. Abbiamo discrepanza di accelerazione legata alle tecnologie: alcune reggono il passo, altre no. Tornando alla sociologia, qui è innegabile come siano possibili diversi gradi di accelerazione per le diverse sfere sociali: la velocità delle transazioni economiche, delle scoperte sociali e delle innovazioni tecnologiche sembra esser cresciuta in maniera esponenziale negli ultimi decenni; il ritmo della politica, invece, non è accelerato per nulla e lo è pochissimo quello della riproduzione culturale. Il processo decisionale politico, in questo caso, rispetto al mondo della scienza e della tecnologia, deve trovare un accordo, un’aggregazione. I processi decisionali possono essere funzionali solo se ciò che c’è dietro funziona allo stesso ritmo della politica. La burocrazia riesce ad essere più efficiente se ciò che sta intorno a noi va più lentamente, altrimenti no. Per tanto, lo stesso

processo che fa accelerare i cambiamenti sociali, culturali, ed economici, rallenta il processo di formazione di una volontà democratica, e di decisione, e ciò conduce ad una netta desincronizzazione tra la politica e la vita ed evoluzione socio-economica. In condizioni tardomoderne questi processi richiedono ancora più tempo, perché le società sono sempre più pluralistiche e meno convenzionali. Le società moderne sono anche caratterizzate da un aumento dell’interdipendenza reciproca: i processi di produzione e distribuzione, ma anche di educazione e intrattenimento, politica e diritto, coinvolgono un gran numero di persone e azioni, e risultano da miriadi di decisioni localmente e socialmente separate. Per tanto, il bisogno di regolamentazione sociale è enorme e supera il corrispettivo bisogno di organizzazione comunitaria. Data l’interdipendenza del mondo, si è portati a credere che ci sia bisogno di norme sociali ed etiche che contribuiscano a far si che tutto funzioni nel migliore dei modi. Ma in realtà non è così, perché si tratta di un qualcosa che viene, fatto in modo inconsapevole. Perché esista l’interdipendenza non c’è bisogno di regole ferree: essa è un fatto sociale, prescinde dalla nostra volontà. È vero che siamo interconne...


Similar Free PDFs