ROSA Luxemburg e il revisionismo di bernstein PDF

Title ROSA Luxemburg e il revisionismo di bernstein
Author Albi Malin
Course Filosofia
Institution Università degli Studi di Milano
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Summary

riassunto esaustivo della critica al revisionismo di bernstein. ...


Description

ROSA LUXEMBURG, SOCIALISMO DEOMCRAZIA E RIVOLUZIONE Prima parte Nella prima parte Rosa Luxemburg inizia la sua critica al revisionismo di Bernstein, colui che promosse l’idea secondo cui il socialismo si sarebbe potuto realizzare solamente tramite metodi differenti da quelli esposti dalla dottrina marxista pura, egli quindi rivede le modalità di affermazione del socialismo, da qui il termine revisionismo. La teoria di Bernstein accantonava l’atteggiamento rivoluzionario del partito che confidava sul crollo del capitalismo per realizzarsi. Bernstein sostenne che il capitalismo avesse sviluppato dei “metodi di adattamento” che fossero in grado di annullare o attenuare considerevolmente le sue contraddizioni interne, prevenendo come conseguenza la sua ultima crisi che lo avrebbe portato al collasso lasciando così spazio al proletariato di aprire un moto rivoluzionario che avrebbe dato il via a quella serie di eventi che avrebbero portato all’instaurazione di una forma di governo socialista. Bernstein tuttavia non reputava impossibile l’affermazione del socialismo come forma reale di governo, al contrario pensava che sia possibile ma solo a seguito di una profonda revisione del metodo di lotta. Chiave di questa revisione del metodo di lotta era l’ascesa politica che si sarebbe ottenuta mediante il suffragio universale e il metodo parlamentare democratico. La sempre più cospicua rappresentanza operaia nelle camere parlamentari avrebbe significato parallelamente un aumento delle leggi in favore dei lavoratori di stampo socialista. L’avvento della socializzazione dei mezzi di produzione e l’eliminazione delle classi sarebbe quindi avvenuta per via graduale e riformista avvalendosi della sempre crescente forza del parlamento a maggioranza socialista e dell’appoggio del popolo a maggioranza salariato. Per far ciò risultava quindi necessario accettare una collaborazione con le altre forze parlamentari, nonostante queste fossero di ispirazione capitalista. La Luxemburg si schierò contrariamente alle tesi revisioniste vedendo nei “metodi di adattamento” non una reale cura alle contraddizioni capitalistiche ma una loro tendenza ad accentuarsi. Allo stesso modo reputò che l’accantonamento della rivoluzione fosse una soppressione de facto delle aspirazioni socialiste e che le leggi varate per la tutela dei lavoratori fossero in realtà non una realizzazione del socialismo ma un tentativo di controllo delle masse, leggi placebo. La critica della Luxemburg si apre denunciando il metodo parlamentare bersteiniano vedendo in esso la realizzazione delle volontà dei piccolo-borghesi che si sono aggiunti al partito. Questo avrebbe come conseguenza l’accantonamento dell’ideale socialista di realizzare una società nuova sostituendo a questo scopo quello che per il socialismo era il mezzo, ovvero la riforma sociale. Il Marxismo puro contempla la riforma sociale come mezzo per preparare la società al suo stravolgimento mentre la Luxemburg critica a Bernstein di porre la riforma sociale come scopo eliminando quindi il cambiamento sociale alla base del socialismo. Questa critica viene affrontata nel capitolo primo della prima parte: IL METODO OPPORTUNISTICO. Bernstein sostenne che il crollo del capitalismo diventa sempre più improbabile per i seguenti motivi: la scomparsa delle crisi generali, l’ascesa di strati proletari al ceto medio e la tenace resistenza di quest’ultimo e infine il costante miglioramento della situazione proletaria. La social democrazia deve quindi promuovere riforme atte a continuare il miglioramento della classe operaia e allo stesso tempo incentivare il principio di cooperazione. Quest’approccio è in contrasto con il metodo scientifico socialista secondo cui il capitalismo è destinato ad implodere e dalle ceneri di questa esplosione deve generarsi il socialismo. Senza la prima non esisterebbe la seconda. Sono tre i risultati che si devono verificare per ottenere i risultati del socialismo scientifico. 1.

L’anarchia dell’economia e il collasso capitalista 2. La socializzazione del processo produttivo 3. L’organizzazione di una coscienza di classe. Bernstein elimina la prima fase poiché reputa che lo sviluppo stesso accresce le capacità di adattamento e la differenziazione dell’economia che unitamente tengono in piedi il sistema. Secondo Bernstein al tempo stesso il capitalismo evita le proprie crisi proprio perché ha assunto in sé elementi di stampo socialista che cresceranno sempre più convertendolo gradualmente al socialismo puro. La Luxemburg critica la concezione di questi “prodromi socialisti” in quanto non sono realmente anticipazioni di un socialismo che si fa sempre più vicino ma, nella concezione di Bernstein, essi sono “mezzi di adattamento” e quindi strutture atte alla sopravvivenza del capitalismo e non alla sua sostituzione con un potere socialista. I cartelli, i sindacati e il credito esprimono il carattere sociale della produzione ma allo stesso tempo vanificano la sua socializzazione conservando la forma capitalistica produttiva bloccando il socialismo sul piano storico. Così facendo quindi il socialismo non è più necessario al percorso storico e quindi anche la coscienza collettiva socialista non un diretto riflesso dei contrasti capitalistici, ma al contrario, un’ideologia che non ha la necessità di realizzarsi. La realizzazione del revisionismo significherebbe quindi l’utopia socialista, mentre l’avvento socialista coinciderebbe con l’inefficienza dei mezzi di adattamento. In seconda battuta la Luxemburg analizza nello specifico i mezzi di adattamento all’interno del secondo capitolo della prima parte: ADATTAMENTO CAPITALISTICO che sono principalmente il credito, i sistemi di comunicazione e le organizzazioni imprenditoriali. IL CREDITO. Serve a sanare il contrasto tra la tendenza all’espansione illimitata del capitalismo e il capitale ristretto del privato. È un esempio di ciò la società per azioni dove più capitali vengono messi a disposizione dello stesso scopo. Per criticare il credito la Luxemburg analizza le crisi che sono dovute all’allargamento della forbice tra capacità di produzione e capacità di consumo: il credito è in grado di potenziare le capacità di produzione tramite l’aumento di capitali reinvestiti nella produzione e al potenziamento del sistema di scambio, tuttavia a questo aumento non segue quello della capacità di assorbire l’eccesso produttivo da parte del consumo. Quindi il credito è un sistema capace di velocizzare l’avvenire delle crisi. Allo scoppio della crisi segue una contrazione del credito che rallenta enormemente il processo produttivo anche nei settori in cui vige ancora una domanda alla quale non è più contemplata un’offerta. Si riduce al minimo quindi la capacità di consumo che quini non giustifica più una produzione. Esiste, inoltre, un altro effetto collaterale del credito ovvero la qualità d’investimento. Possedere capitali altrui facilita l’investimento di questi in azioni rischiose che generano un meccanismo di scambio artificioso e complesso che si basa su un’esigua quantità di moneta aurea. L’artificiosità e complessità del sistema lo rendono così sensibile a tutte le minime perturbazioni facilitando così l’innesco di una crisi che lo stesso credito acuirà per i motivi di cui sopra. Il credito non può dunque essere reputato un mezzo di adattamento in quanto amplifica le contraddizioni tra produzione scambio e consumo; tra produzione e appropriazione riunendo in poche mani enormi forze produttive; tra il carattere sociale della produzione e la proprietà privata a causa dell’intromissione statale nelle società per azioni. Il credito è quindi sintesi di tutte le contraddizioni capitalistiche e non loro soluzione. LE UNIONI IMPRENDITORIALI. Queste nella visione di Bernstein sono in grado di porre fine all’anarchia del mondo capitalista. Secondo la Luxemburg questo è possibile solo nella misura in cui i cartelli fossero una forma di produzione completamente dominante, ipotesi però esclusa dalla natura stessa dei cartelli. Lo scopo dei cartelli è quello di abolire la concorrenza interna ad una branca dell’industria e ad organizzare la specifica branca in modo da poter innalzare i propri profitti da suddividere poi tra gli imprenditori, tuttavia questo innalzamento dei profitti, secondo la Luxemburg, non può provenire che dalla sottrazione di profitti ad un’altra branca dell’industria. Se quindi i cartelli fossero estesi a tutti i settori industriali perderebbero di efficacia. I cartelli possono incrementare i propri profitti su piano nazionale creando un

sistema produttivo all’ingrosso che permette loro di far calare i prezzi di produzione e quindi incrementano il profitto. Dalla produzione all’ingrosso si genera però un eccesso di produzione che viene rivenduto all’estero con un tasso di profitto più basso. Si crea quindi si piano internazionale, per opera stessa dei cartelli, una concorrenza selvaggia e una crescente anarchia commerciale, ovvero gli effetti che Bernstein aveva visto come evitabili grazie agli stessi cartelli imprenditoriali. I cartelli servono dunque a delimitare in determinati settori industriali la caduta tendenziale del saggio di profitto (leggi il capitale di Marx). Questa operazione si traduce nell’inattività di una porzione di capitale. Ma nel caso in cui il mercato iniziasse a contrarsi l’inattività dei capitali inizia a coinvolgere sempre più settori industriali, così il capitale sociale di un’unione imprenditoriale torna ad essere privato in quanto ogni piccolo privato se ne riappropria per tentare la fortuna per proprio conto. Le unioni imprenditoriali devono scoppiare come bolle (p.61) e si fa di nuovo largo una libera concorrenza ancora più assetata di prima e quindi maggiormente contraddittoria. Le unioni imprenditoriali e i cartelli che ne derivano hanno come conseguenza l’inasprimento delle tensioni tra nazioni. Per limitare le concorrenze a basso profitto, con quindi un prezzo al dettaglio inferiore, tra gli stati si scatena una prassi di guerra doganale che risulta in maggior tensione internazionale. (per i socialisti la prima guerra mondiale fu diretta conseguenza del capitalismo in quanto sfogo sulla madre patria delle mire colonialiste per cercare nuovi territori per il proprio mercato, e in quanto esasperazione delle rivalità tra stati europei capitalistici). La Luxemburg critica a Bernstein l’idea secondo cui il capitalismo si è fatto capace di evitare le crisi generali mediante i metodi di adattamento. Essa afferma che la ciclicità delle crisi è reale ma l’intervallo di tempo che le separa è del tutto aleatorio e di importanza secondaria. A prova di ciò sottolinea come Bernstein abbia affermato la propria tesi revisionista nel 1898, dopo 20’anni di assenza di crisi generali, e solo due anni dopo, nel 1900, avvenne una nuova crisi generale seguita da un’altra nel 1907-08. La Luxemburg fa notare come quest’ultima crisi si sia sviluppata proprio in quei paesi che più avevano sviluppato i mezzi di adattamento come il credito, i trust (cartelli) e il servizio di informazioni. Per far si che credito e cartelli possano adattarsi al commercio esistono due possibilità impraticabili: l’estensione illimitata del mercato e il risveglio continuo e quotidiano di nuove tecniche produttive che sveglino nuove forze di produzione. LA FALANGE INCROLLABILE DELLE MEDIE IMPRESE. Bernstein vide nella resistenza delle medie imprese alla concorrenza di quelle più grandi un altro segno dell’adattamento del mondo capitalistico. Nelle medie imprese infatti si verifica il grosso dell’innovazione produttiva e la loro eventuale estinzione significherebbe una stagnazione dello sviluppo capitalistico. L’essere quindi falange quasi incrollabile (p.64) fa di loro un metodo di adattamento capitalista, questo perché le medie imprese sono la componente rivoluzionaria del capitalismo e non le grandi imprese, nelle quali invece le innovazioni non sono particolarmente frequenti e dalle quali è quindi più difficile che si generi l’input rivoluzionario che la “teoria del crollo” attribuisce a loro. La Luxemburg, al contrario di Bernstein, non reputa che la sopravvivenza della media impresa debba essere letta come adattamento del mondo capitalistico, né tantomeno va creduto che il marxismo ortodosso non riconosca a loro il ruolo innovativo dell’economia capitalista. Tuttavia, il marxismo ortodosso vede il ceto medio produttivo come sottoposto a due grosse tendenze: quella depressiva e quella innalzatrice. La tendenza depressiva deriva dal crescente livello produttivo che raggiunge via via costi tali che sono insostenibili per il capitale medio, la tendenza innalzatrice invece proviene dal periodico deprezzamento del capitale esistente e la conseguente involuzione del livello produttivo che torna ad essere accessibile alle medie aziende. La vita della media impresa è quindi concepita come una falciatura periodica di quest’ultima e non un suo totale annientamento graduale. Delle due tendenze in gioco si rivela però essere più forte la tendenza repressiva con una falciatura dei medi capitali sempre più frequente e la tendenza a crescere del capitale minimo industriale. La media impresa

può quindi sfruttare i nuovi metodi produttivi per periodi di tempo sempre minori e in essa avviene quindi un ricambio di classe sempre più frequente. Le medie imprese vengono quindi riconosciute come polo innovatore del mondo capitalista e la scomparsa di queste può coincidere solo con la caduta di entrambi i sistemi (capitalismo e media impresa). La scomparsa della media impresa farebbe ristagnare lo sviluppo e stallerebbe il capitalismo. La loro presenza è da intendere quindi come una boccata d’aria per il capitalismo che sarà sempre presente ma per periodi via via sempre più brevi (falciature sempre più frequenti) che continueranno ad accorciarsi mano a mano che le contraddizioni del capitalismo si faranno sempre più acute. Con il crollo del capitalismo non saranno più essenziali le boccate d’aria della media impresa che quindi, in quanto forma di produzione capitalistica, crollerà. I SISTEMI DI COMUNICAZIONE Nonostante la Luxemburg li nomini tra i metodi di adattamento criticati a Bernstein, essa nel corso del terzo capitolo non ne fa una critica dettagliata come per gli argomenti precedenti. Questa può essere dedotta dal libro come mezzo inteso da Bernstein per controllare e diffondere con rapidità le criticità del capitalismo sulle quali il mondo produttivo può intervenire tempestivamente. La Luxemburg probabilmente non reputa che le contraddizioni capitalistiche possano essere bloccate con un’azione tempestiva in quanto l’esistenza del capitalismo dipende anche delle sue contraddizioni interne. Un’altra lettura può essere quella espressa da Mormino circa la diffusione della consapevolezza di stili di vita migliori diffusi tra le classi agiate, il popolo tende così a richiedere a sua volta la stessa condizione che non viene più concepita come elitaria ma come essenziale. È da specificare come però questa lettura sia stata esercitata sul mondo coloniale e quindi riapplicabile solo prudentemente. Il capitolo terzo della prima parte si concentra sull’istaurazione del socialismo tramite riforme sociali. La Luxemburg apre il capitolo chiedendosi come può realmente verificarsi l’instaurazione del socialismo per riforme sociali. A tale scopo rivolge la sua indagine a Conrad Smith poiché considera l’argomentazione di Bernstein insufficiente. Ne risulta che secondo i revisionisti la democratizzazione dello stato permetterà una sempre maggiore influenza socialista in ambito riformista, questa, unitamente alla lotta sindacale, promuoverà un sempre maggior controllo del processo produttivo da parte degli operai degradando così il ruolo del capitalista ed evolvendo la produzione ad un carattere sociale. La Luxemburg apre la sua critica con i sindacati. Essa non li vede in grado di poter ribaltare il sistema economico perché la loro unica funzione è quella di adeguare lo stipendio dei salariati alle condizioni di produzione e inflazione. Queste tra l’altro sono determinate dalla disponibilità di forza lavoro e dal grado di produttività, elementi estranei al controllo sindacale. Il compito sindacale consiste quindi nel limitare lo sfruttamento, non nel sovvertire l’ordine economico. Conrad reputa che i sindacati avranno sempre più forza nei processi produttivi. La Luxemburg reputa ciò impossibile per due motivi 1. I sindacati non possono evolvere la tecnica di produzione in quanto contrario al benessere dei lavoratori che con ogni innovazione vedono crollare il proprio salario e peggiorare la condizione lavorativa. Quindi sono contrastanti all’interesse capitalista per cui è essenziale l’innovazione tecnica e non possono pensare di espandersi in tal senso. 2. Impostare limiti di produzione e i prezzi delle merci non sarebbe differente dal primo come atteggiamento. Costruirebbe un cartello di imprenditori contro consumatori, avrebbe un atteggiamento reazionario ma inutile alla causa socialista. La Luxemburg reputa quindi impossibile che i sindacati possano quindi essere un mezzo rivoluzionario. Inoltre, discorda sull’idea che questi possano via via potenziarsi, tutt’altro, crede che questi si faranno sempre più deboli con l’inizio della curva discendente del saggio di profitto perché il sistema capitalistico per mantenersi in piedi si farebbe più duro verso i lavoratori cercando tramite lo sfruttamento il massimo rendimento e quindi il massimo guadagno. Ne conseguono tagli di salari, licenziamenti e peggioramento delle condizioni lavorative verso cui i sindacati non potranno fare molto.

La Luxemburg inoltre reputa che le riforme sociali dello stato non possano intendersi come socialiste, ma al contrario esse sono tentativi dello stato di classe di controllare la società tramite leggi placebo. Smith inoltre sostiene che le riforme possano portare ad una espropriazione graduale del controllo produttivo al capitalista suddividendolo in una grande proprietà condivisa. La Luxemburg rivede in ciò però la logica del canone in natura per cui nel rapporto feudale ad ognuno spettava parte del prodotto. Si viene così a generare un distacco tra gli uomini sopperito da un rafforzamento del rapporto uomo-cosa, ovvero un rafforzamento della proprietà privata che è alla base del socialismo. Socializzare il processo produttivo verrebbe quindi dire rafforzare la proprietà privata basando sempre più i rapporti umani sullo scambio e quindi sui diritti di appropriazione del proprio lavoro che si evolve nell’arricchirsi e ne mettere alle dipendenze altre persone, quindi dell’appropriarsi del lavoro altrui. La Luxemburg afferma che Smith abbia ribaltato l’evoluzione storica del capitalismo credendo che si possa ridurre il proprietario a gerente, quando in realtà è successo il contrario. Nel quarto capitolo si concentra sulla critica al militarismo e alla politica doganale La Luxemburg apre il capitolo vedendo nel futuro una fusione tra stato e società ma in modo negativo. Con la vittoria borghese preannuncia la trasformazione dello stato in stato borghese, attivo quindi nelle politiche economiche ma sempre in difesa del capitalismo. La fusione si farà sempre più completa e le uniche politiche sociali che attuerà saranno quindi attuate sempre nell’interesse della classe dominante, ovvero quella borghese. Per questo motivo lo stato attua politiche economiche che sono contro lo sviluppo economico ma sono a protezione della classe borghese. Questo accade perché ad un certo punto del suo sviluppo l’interesse di classe diverge da quello dello sviluppo economico con lo stato che, essendo di classe, protegge il primo. Manifestazioni di questa protezione sono i dazi doganali e il militarismo. Il capitalismo non ha bisogno dei dazi per evolvere lo sviluppo industriale, ma al contrario questi hanno il compito di tener in vita un sistema industriale antiquato che possa proteggere i suoi smerci da quelli, eventualmente più avanzati, provenienti da altre nazioni. In sintesi, questi sono un mezzo di contrasto tra due gruppi capitalisti nazionali. Il militarismo è poi visto dalla Luxemburg come uno sbocco economico essenziale essendo la guerra un turbo all’interesse capitalista e rivendendo nei conflitti tra stati europei, in Europa o fuori, come conflitti incitati dal capitalismo interno ad ogni stato. Col crescere del capitalismo si innesca così una...


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