Hobbes e analisi del libro il Leviatano PDF

Title Hobbes e analisi del libro il Leviatano
Course Filosofia del diritto
Institution Università degli Studi di Palermo
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Hobbes e analisi del libro il Leviatano, la rappresentazione dello Stato moderno, lo stato di natura...


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14 LEZIONE DI FILOSOFIA DEL DIRITTO 30/04/2021 (Lezione professore Andronico. Hobbes II parte) (Il Leviatano è un libro fondatore della scienza politica e della scienza giuridica della modernità, è uno di quei libri che può essere collocato nei libri "scientifici" o quanto meno di scienze sociali e può essere accostato al "Robinson Crusoe" di Defoe o a "Cecità" di José Saramago). L'ordine sociale per Thomas Hobbes ha una natura artificiale. Cioè il dato originario arrivato fino a Hobbes era l'esistenza dell'ordine (per i greci era ovvio che esistesse un ordine naturale che assumeva le forme dell'ordine cosmico e l'ordine politico era un riflesso dell'ordine cosmico, era il modo in cui noi umani partecipavamo all'ordine cosmico che era quello della rivoluzione celeste, lo stesso meccanismo passa nel medioevo cristiano infatti è scontato che ci sia un ordine perché è un ordine voluto da Dio, l'ordine della "civitas dei" "la città degli uomini" e la città degli uomini per il medioevo cristiano è un riflesso seppur imperfetto della città di dio). Insomma per secoli noi umani abbiamo pensato che il dato originario anche sul piano sociale fosse l'esistenza di un ordine. L'esistenza di un ordine che era nostro compito “custodire” e “conservare”, non “istituire” e meno che mai “rivoluzionare”. Il termine "rivoluzione" faceva riferimento alla rivoluzione celeste, al ritorno delle costellazioni all'eterno ritorno dei cieli e certamente non a un "cambiamento traumatico di un ordine sociale", questo secondo significato il termine "rivoluzione" comincia ad assumerlo nella modernità quindi con il pensiero moderno perché, con il pensiero moderno comincia a farsi strada questa idea che è un'idea di rottura nel '600 inglese. Hobbes è uno che inventa delle immagini dell'uomo e della società che sono arrivate fino a noi nella forma di "doxa" ("Doxa" nella filosofia greca classica, il grado di conoscenza inferiore e dialetticamente contrapposto allo stadio della verità assoluta. Sinonimi "opinioni" "credenza" "fama") in realtà. Hobbes (così come anche Shakespeare) nel suo tempo si stava inventando qualcosa e cioè che in natura gli uomini non conoscono "l'ordine" ma conoscono il "disordine", il dato originario è il disordine, perché l'ordine sociale è un artefatto, un costrutto umano, l'ordine sociale quindi ha un carattere meramente artificiale è quindi un prodotto delle nostre volontà. Lo stato sarà nient'altro che un artefatto (lo dice nella prima pagina Hobbes) lo stato è un animale artificiale, un grande uomo artificiale che gli uomini costruiscono a loro immagine e somiglianza quindi non c'è nulla di naturale nella forma politica e questa rappresenta una rottura radicale rispetto all'aristotelismo e al tomismo. (Hobbes sta costruendo un'immagine dell'uomo ma non è l'unica possibile immagine dell'uomo o l'unica vera descrizione della natura umana). Riprendiamo la lettura dell'opera di Hobbes:

“La natura ha fatto gli uomini cosi naturali nelle facoltà del corpo e della mente che, sebbene a volte si trovi un uomo di fisico palesemente più forte o di mente più acuta di un altro, tuttavia quando si calcola tutto insieme, la differenza tra un uomo e un uomo non è così considerevole che uno possa pretendere per sé qualsiasi beneficio che anche un altro non possa pretendere” (Leviatano, 1651) Il primo passo compiuto da Hobbes nel momento di affrontare quella che lui chiama "la condizione naturale del genere umano" cioè la situazione dell'uomo in questo ipotetico

stato di natura (che è uno stato in cui non esistono istituzioni, non esiste lo Stato, la polizia, non ci sono carabinieri, giudici... non c'è nulla di istituito artificialmente. C'è la pura e semplice natura) già qua parte un momento finzionale perché non è semplice distinguere ciò che è naturale da ciò che è artificiale sul piano umano perché per dirla come l'antropologo Gehlen "l'uomo è un animale naturalmente culturale" per noi la cultura è natura. La prima cosa che Hobbes dice è "gli uomini sono tutti uguali”, ma siamo tutti uguali, siamo veramente tutti uguali per il fatto che in questo ipotetico stato di natura, non esiste uomo per quanto debole sia, che non può uccidere un proprio simile. Per Hobbes "ragionare" significava "calcolare" (nel momento in cui noi parliamo e argomentiamo facciamo delle addizioni e delle sottrazioni con le parole). Dato che "gli uomini sono tutti uguali per natura" dall'uguaglianza nasce la diffidenza perché, pensando a Robinson Crusoe nella sua opera "l'Isola" nel momento in cui Robinson si accorge che l'isola non è deserta e capisce che c'è qualcun altro non corre ad abbracciarlo ma ha paura e si protegge perché Robinson si conosce e sa che lui potrebbe uccidere un proprio simile per quanto questo suo simile sia forte e allora ragionando per analogia capisce che anche l'altro essere umano che sta incontrando può uccidere lui. Capiamo che se questa è la premessa la prima conseguenza dell'uguaglianza è la diffidenza. Io comincio a diffidare dell'altro perché so perfettamente che l'altro può uccidere me così come io posso uccidere lui. Dalla diffidenza viene fuori la guerra, perché (per citare nuovamente Hobbes): “Dall' uguaglianza nasce la diffidenza.

Da questa uguaglianza di abilità nasce l'uguaglianza della speranza di ottenere i nostri scopi. Quindi, se due uomini qualsiasi desiderano stessa cosa, che però non può essere posseduta da entrambi, diventano nemici e sulla strada verso il loro scopo (che è principalmente la loro propria conservazione e a volte soltanto il loro diletto) cercano di distruggersi o di sottomettersi l'uno all'altro” (Leviatano, 1651) Qui Hobbes sta dicendo che visto gli uomini sono uguali per natura e dall'uguaglianza nasce la diffidenza, dalla diffidenza nasce la guerra, che è una guerra che sul piano delle relazioni internazionali qualche anno fa è stata teorizzata per esempio dai "neocon" (neoconservatori) americani nei termini della "guerra preventiva". (Tutto quello che stiamo vedendo sull'uomo tra poco lo porteremo sullo stato e sulle relazioni tra stati e cioè nel campo delle relazioni internazionali). Nel 1648 (cioè 3 anni prima dalla pubblicazione del Leviatano) le potenze europee occidentali avevano firmato la pace di Westfalia. Nella pace di Westfalia si assesta l'assetto degli stati nazione che poi ci accompagneranno fino al '900. Nella modernità gli stati entrano in relazione tra loro esattamente come dei grandi uomini, grandi "Leviatani" in un ipotetico stato di natura. Quindi non è un caso che quest'idea che Hobbes sviluppa sul piano della condizione naturale del genere umano per quanto riguarda felicità e sofferenza siano state più volte riprese sul piano delle teorie delle relazioni internazionali per spiegare i rapporti tra stati, intesi come "grandi uomini, che vivono in un ipotetico stato di natura" lasciando perdere l'ONU, la società delle nazioni che sicuramente non sono un "super stato" non sono "un grande Leviatano mondiale" non danno vita a una forma stato mondiale. La teoria della guerra preventiva consiste nel fatto che se io so che tu mi puoi

uccidere, anche se magari sono molto più forte di te, l'unico modo che ho per mettermi al sicuro è che dovrò fare tutto il possibile per uccidere l'altro prima che questo possa uccidere me anche se l'altro non ha alcuna intenzione di uccidermi ma solo perché "potrebbe" uccidermi. Sul piano delle relazioni internazionali la teoria della guerra preventiva è stata elaborata per giustificare l'intervento in alcuni luoghi in cui si pensava ci fossero nazioni che stavano mettendo in piedi gli armamenti nucleari. Da qui deriva la formula "Bellum omnium contra omnes" e cioè "la guerra di tutti contro tutti" elaborata da Hobbes l'ovvia conseguenza è che fuori dagli stati civili (cioè prima della istituzione di quel grande Leviatano che prenderà il nome di "stato") c'è sempre la guerra di tutti contro tutti. Ancora Hobbes scrive:

“Fuori dagli stati civili c'è sempre la guerra di tutti contro tutti. Con questo è evidente che, per tutto il tempo in cui gli uomini vivono senza un potere comune che li tenga soggiogati, si trovano in quella condizione chiamata guerra e questa è tale che ogni uomo è contro ogni uomo” (Leviatano, 1651) In questo ipotetico stato di natura (anche se Hobbes non ha mai creduto che questo stato di natura sia mai esistito da qualche parte, quando parla di "stato di natura" Hobbes non parla degli indiani d'America o degli "aborigeni della foresta amazzonica". Il che la dice lunga sul carattere finzionale e non realistico infatti Aristotele è molto più realistico di Hobbes perché Aristotele dice che all'origine la polis è un'istituzione naturale perché quando si nasce, si nasce all'interno di una famiglia e di una società. Questa è "fenomelogia" il resto è “invenzione” però è un'invenzione che produce degli effetti pazzeschi, performativi cioè da ora in poi noi cominceremo a pensare che quello realistico è Hobbes e non Aristotele perché non crediamo più all'idea di natura dei greci, mentre Hobbes ci dice la verità anche se è strano perché Hobbes dice la verità partendo da un momento finzionale. Però assecondiamo questa finzione. Le finzioni sono cose serie perché noi viviamo in mondi rappresentati messi in forma attraverso finzioni e racconti. "La narrazione" noi viviamo all'interno di mondi narrati. Leggere Hobbes ci fa capire come spesso e volentieri noi diamo per reali delle finzioni perché siamo animali naturalmente culturali cioè siamo animali, come diceva Aristotele, che vivono all'interno del 'linguaggio' che è un luogo di formazione di finzioni) si vive ovviamente male perché è un disastro svegliarsi la mattina ed avere come prima preoccupazione quella di uccidere gli altri prima che gli altri uccidano me e a tale proposito Hobbes dice: “In tale condizione [...] ci sono la continua paura e il continuo pericolo di morte violenta e la vita di un uomo è solitaria, povera, sofferta, brutale e breve” (Leviatano, 1651) L'elemento dominante diviene chiaramente la PAURA ed è proprio la "paura" che anticipa la guerra, che ci spinge ad uccidere l'altro. E sarà proprio la paura la "molla" dell'istituzione dello stato. La paura è il vero fondamento dello stato è la vera "ragion d'essere" dello stato. Lo stato esiste perché noi abbiamo paura di ciò che ci potrebbe accadere qualora lo stato non esistesse. Senza paura non c'è stato. Hobbes continua dicendo che nella guerra di ogni uomo contro ogni uomo non c'è nulla di ingiusto. In natura non c'è nulla di ingiusto. Il fatto che in natura uno squalo mangi un pesce più piccolo come tutti i pesci grandi mangiano i pesci più piccoli non rende lo squalo un delinquente. Un gatto che gioca con un topo non è cattivo, noi pensiamo che sia cattivo perché antropomorfizziamo la natura.

Ma non è vero che lo squalo è cattivo e il gattino è buono. No. In natura semplicemente non c'è nulla di ingiusto. Le nozioni di "giusto" e "sbagliato in natura non hanno luogo:

"In tale guerra non c'è nulla di ingiusto.

Da questa guerra di ogni uomo contro ogni uomo consegue anche questo, che nulla può essere ingiusto. Le nozioni di giusto e sbagliato, di giustizia e di ingiustizia qui non hanno luogo. Dove non c'è potere comune, non c'è legge e dove non c'è legge non c'è ingiustizia. Dalla stessa condizione consegue anche che non ci sono proprietà, né dominio, né mio e tuo distinti, ma soltanto che ogni uomo ha quello che può ottenere e per tutto il tempo che può tenerselo" (Leviatano, 1651) Non c'è un diritto di proprietà nello stato di natura c'è possesso non c'è proprietà. Dopo qualche anno John Locke inventerà, proprio contro Hobbes, la nozione di Stato di Diritto e l'ha inventata proprio contro Hobbes è uno dei primi che ha cercato di limitare il potere sovrano ponendo dei limiti che sono fondamentalmente 4 e sono "in embrione" di quello che poi diventerà la dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948, quest'uomo già era stato inventato proprio nella seconda metà del '600 e questi 4 limiti sono: Vita, Libertà, Salute e Proprietà. Per Locke il diritto di proprietà è un diritto naturale, la proprietà già esiste nello stato di natura e quindi esiste prima dello Stato, prima dell'istituzione politica esiste il diritto di proprietà e questa è la grande narrazione che darà vita al pensiero liberale, esiste una forma di socialità che precede la costruzione dell'autorità politica e questa forma di socialità non è altro che la forma del "mercato" che ruota intorno al riconoscimento del diritto di proprietà. Il mercato viene prima dello Stato. Il compito dello stato sarà quello di garantire i 4 diritti e custodendo il diritto di proprietà lo stato potrà custodire il corretto funzionamento del mercato non INTERVENIRE nel mercato ma di fare da "arbitro" nelle transazioni. Per Hobbes nello stato di natura non c'era il diritto di proprietà ma solo situazioni di possesso (se c'è un pollo e riesco ad acchiapparlo quel pollo è mio). Hobbes è un giusnaturalista, Bobbio dice che Hobbes è "giusnaturalista in partenza e giuspositivista all'arrivo". In Hobbes si trova una sorta di fondazione giusnaturalistica del positivismo giuridico perché alla fine scopriremo che una volta che viene costruito lo stato resta in piedi un unico diritto e cioè la "legge". Una volta che si edifica lo stato, da quel momento in poi, non esisterà altro diritto all'infuori della legge intesa come "manifestazione di volontà del sovrano". Ma prima dell'edificazione di uno stato e dunque nello stato di natura c'è diritto? La risposta di Hobbes è si, perché era ovvio che ci fosse un diritto naturale (ius naturale). Hobbes scrive: “Il diritto di natura, che gli scrittori chiamano comunemente "ius naturale", è la libertà che ha ogni uomo di utilizzare il proprio potere come vuole per la preservazione della propria natura, vale a dire della propria vita e, di conseguenza, di fare tutto ciò che nel suo giudizio e nella sua ragione concepirà come i mezzi più adatti a questo scopo. Per LIBERTA si intende, secondo il significato proprio della parola, l'assenza di impedimenti esterni” (Leviatano, 1651)

È una forma di "libertà assoluta" ed è la stessa forma di libertà di cui godrà lo stato una volta istituito perché sarà istituito a immagine e somiglianza dell'uomo per cui lo Stato come "grande uomo artificiale" godrà esattamente di questa libertà, cioè potrà fare tutto quello che può fare per sopravvivere. Noi per sopravvivere dobbiamo provare ad uccidere l'altro prima che l'altro uccida noi, legando i due pezzi, Hobbes sta dicendo che sì la libertà è un dato originario ma la libertà da il diritto di uccidere l'altro prima che l'altro uccida noi perché questo è un "mezzo adatto allo scopo" che è appunto la preservazione della vita. Se il nostro scopo è "l'autoconservazione" il mezzo più adatto, per questo scopo, è quello di provare ad uccidere l'altro prima che l'altro uccida me. Nello stato di natura questo è un diritto. Libertà è quindi "essenza di impedimenti esterni" quello che noi traduciamo nei termini della "indipendenza" che se ci pensiamo bene è una costruzione negativa: "indipendenza" significa "non dipendenza" sono libero quando la mia azione non incontra ostacoli(una pietra è libera di rotolare fino a quando non va a sbattere contro un muro) la nostra libertà si arresta laddove incontra un impedimento, fino a quando non si incontra un impedimento si è liberi (il dpcm è un impedimento).

“Una legge di natura (lex naturalis) è un precetto o una regola generale, escogitata dalla ragione per vietare che un uomo faccia cose che distruggono la propria vita o che si privi dei mezzi che la preservano e che ometta di fare ciò con cui ritiene che possa essere meglio preservata” (Leviatano, 1651) La legge di natura è una regola della ragione, questo è il fondamento tipico del giusnaturalismo moderno (che è una forma del giusrazionalismo cioè la natura di cui parlano i giusrazionalisti è la ragione umana) la ragione per Hobbes è una potenza, è una facoltà puramente strumentale. La ragione ci consente di conoscere meglio degli altri animali. Gli uomini hanno qualcosa in meno degli altri animali cioè l'adattamento istintuale. Noi sul piano istintuale siamo carenti rispetto agli altri animali per esempio non abbiamo una pelliccia sufficiente per sopravvivere al freddo, dobbiamo ingegnarci per sopravvivere non abbiamo un codice istintuale così perfetto come gli altri animali e la ragione supplisce a questa carenza cioè ci consente letteralmente di rimboccarci le maniche e capire qual è il mezzo più adatto per raggiungere un determinato scopo, parliamo di una "razionalità strumentale" perché entra in gioco dal momento in cui bisogna scegliere gli strumenti per ottenere uno scopo che è uno scopo "naturale" "istintuale" che è l'autoconservazione. In questo scopo non c'è nulla razionale, non è "razionale voler vivere ma è "naturale". Noi abbiamo in più rispetto agli altri animali, secondo Aristotele, il "logos" che per Hobbes è la ragione intesa in modo puramente strumentale cioè noi sappiamo meglio degli altri animali che cosa dobbiamo fare per sopravvivere. Quindi noi abbiamo bisogno della ragione perché non abbiamo un codice istintuale ben definito e determinato, quindi è necessario che ci sia la ragione che ci dica cosa fare per sopravvivere. Questa è la legge di natura. La legge di natura è un precetto della ragione. Hobbes elabora varie leggi di natura. A noi interessano le prime 3. Prima di vedere quali sono queste 3 leggi di natura vediamo che rapporto c'è tra "diritto" e "legge" ("diritto naturale" e "legge naturale") vedremo che quando poi si edificherà lo stato diritto e legge verranno a coincidere, Hobbes anticiperà un'idea che poi entrerà nella storia con il codice napoleonico non prima. Quindi Hobbes scrive:

"Anche se quelli che parlano di questo soggetto sono soliti confondere "ius" e "lex", diritto e legge, tuttavia questi andrebbero distinti, perché il diritto consiste nella libertà di fare o di non fare, mentre la legge determina e costringe a una delle due cose, cosicché la legge e il diritto differiscono tanto quanto l'obbligazione e la libertà, che sono incompatibili in una ed una stessa materia." (Leviatano, 1651) Questa è la radice di quella che poi con Berlin diventerà la concezione negativa della libertà perché è una libertà intesa nei termini della "non dipendenza" cioè io sono libero quando la mia azione non incontra ostacoli e poi perché tra "legge" e "libertà" individua in questo modo una "contrapposizione"--> più sono libero e meno leggi devono esserci, più leggi ci sono e meno io sono libero (non è questo l'unico modo di impostare il rapporto "libertà" "leggi"). Per Hobbes la libertà consiste nella assenza di leggi, dove ci sono leggi c'è un limite alla libertà. Ma ritornando alle 3 leggi di natura:

1. Prima legge di natura: Per natura ogni uomo ha diritto a ogni cosa perfino al corpo di un altro. È un precetto o una regola generale della ragione che ogni uomo dovrebbe sforzarsi di cercare la pace nella misura in cui ha la speranza di ottenerla e quando non può ottenerla, che possa ricercare ed utilizzare tutti gli aiuti e i vantaggi della guerra (Leviatano, 1651). È un precetto o una regola generale della ragione che ogni uomo dovrebbe sforzarsi di cercare la pace nella misura in cui ha la speranza di ottenerla e quando non può ottenerla, che possa ricercare ed utilizzare tutti gli aiuti e i vantaggi della guerra. La prima parte di questa regola contiene la prima e fondamentale legge di natura, che è ricercare la pace e perseguirla; la seconda, la sintesi del diritto di natura, che è difendere noi stessi con tutti i mezzi possibili. 2. Seconda legge di natura: un uomo sia disposto, quando lo sono anche gli altri,

a deporre questo diritto a tutte le cose, nella misura in cui lo riterrà necessario per la pace e per la propria difesa, a chi si accontenti di tanta libertà contro gli altri uomini quanta ne concederebbe agli altri uomini contro se stesso. Per cercare la pace devi essere disposto a cedere ciò che rende pressoché impossibile vivere nello stato di natura cioè l'elemento che innesca il conflitto nello stato di natura e cioè la libertà cioè il diritto di poter fare ciò che voglio per esempio il diritto ad assecondare il mio desiderio di p...


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