Parafrasi e analisi del 1 libro Iliade PDF

Title Parafrasi e analisi del 1 libro Iliade
Course Cultura Greca
Institution Università degli Studi di Sassari
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Parafrasi del PRIMO libro dell'ILIADE...


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1° libro dell’iliade - Analisi e parafrasi Il poeta chiede alla musa (Aeide = canta – musa, divinità delle arti che forse deriva da Mimnesko = ricordare) di ispirarlo (canta o dea – invocazione per la protezione e il ricordo) per poter raccontare l’ira (menis) di Achille (figlio di Peleo) (Enthusiasmòs – avere contatto con la divinità che vede tutto – vedere in greco = conoscere), un’ira rovinosa che portò molti dolori ai Greci, che mandò all’Ade (= l’invisibile – il regno dei morti) le anime degli eroi e che permise ai cani e agli uccelli di cibarsi dei cadaveri, poiché così voleva Zeus (nel testo greco IRA è la prima parola e descrive l’argomento di tutto il poema). Questo accadde da quando litigarono Agamennone figlio di Atreo e il nobile Achille. Ma chi fu a farli litigare? (fine proemio). La causa era Apollo (figlio di Zeus e Leto), che, adirato (Ira lunga e divina – ha effetti devastanti) contro il sovrano Agamennone, mandò una pestilenza nel campo di battaglia, in quanto Agamennone aveva offeso un suo sacerdote, Crise. Il sacerdote era andato dai Greci per chiedere di liberare sua figlia Criseide e perciò portò un riscatto e arrivò con lo scettro e le bende nelle mani in onore di Apollo (rito della supplica - le bende sacre erano un simbolo di supplica e di resa). Pregò i Greci, ma soprattutto i due Atridi, Agamennone e Menelao (figli di Atreo), dicendo loro che pregava affinché riuscissero a distruggere la terra di Priamo (la città di Troia) e ritornassero alla loro terra incolumi. I Greci accettarono di rispettare il sacerdote e di accettare il riscatto, ma Agamennone non volle e lo cacciò malamente minacciandolo e dicendogli che se si fosse avvicinato un’altra volta ai Greci non si sarebbe salvato (Agamennone non rispetta il valore sacerdotale e la sua anzianità → simbolo di saggezza). Non avrebbe liberato la figlia e lei sarebbe morta da schiava (il carattere di Agamennone rispetta lo Iubris - superbia). Il sacerdote tornò nella sua isola e sulla riva della spiaggia rivolse una preghiera ad Apollo (1° preghiera della letteratura occidentale). Gli chiese che i Greci pagassero il suo pianto con le frecce di Apollo (scenario in spiaggia – il mare è un elemento simbolico che costituisce il confine tra mondo umano e mondo divino). Costui scese a piedi dall’Olimpo arrabbiato con nelle spalle l’arco sibilante (metafora – scaglia l’epidemia) e le frecce. I dardi tintinnavano con i suoi passi pesanti. Iniziò a lanciare frecce, colpendo prima gli animali, poi gli uomini. Le frecce si scagliarono per 9 giorni (numero rituale) e, al 10° giorno, Achille chiamò l’esercito per un’assemblea (ci sono solo i capi, che possono parlare grazie ad uno scettro - bastone cerimoniale riccamente decorato con foglie d’oro, simbolo di un'autorità sovrana), ispirato da Pallade Era, la dea dalle candide braccia (moglie di Zeus), poiché preoccupata per i Greci che continuavano a morire. Achille si alzò e si rivolse ad Agamennone, dicendogli che se si fosse continuato così, sarebbero dovuti tornare in patria, sempre se fossero riusciti a salvarsi dalla pestilenza. Quindi chiese di chiamare un profeta, o un sacerdote o un esperto di sogni per capire il motivo per cui Apollo è così adirato con i Greci e se è disposto ad accettare il sacrificio (l’ecatombe era il sacrificio più grande agli dei e la sua portata si evince dal fumo) di agnelli e capre senza difetto (formula omerica) per allontanare la peste. Si alzò Calcante (figlio di Testore), un indovino che conosceva passato, presente e futuro (formula omerica – anche Calcante ha l’enthusiasmòs) e che aveva guidato le navi dei Greci sino a Troia (è anche colui che aveva previsto ad Agamennone che lui avrebbe sacrificato sua figlia Ifigenia affinché le navi Achee potessero partire). Egli disse ad Achille caro a Zeus che egli avrebbe rivelato il motivo dell’ira di Apollo, ma in cambio Achille lo avrebbe dovuto proteggere da un uomo potente perché si sarebbe adirato contro di lui in quanto conserva rancore. Achille promise e disse a Calcante di parlare e di rivelare il volere divino; finché sarebbe vissuto Achille, nessuno avrebbe messo le mani addosso a Calcante, neanche Agamennone, il quale si vantava di essere il 1° fra i Greci (giuramento – valore che non si può tradire). Allora Calcante si rincuorò e disse: . Calcante si sedette e si alzò in mezzo a loro l’eroe Atreo (Agamennone), irato con l’animo pieno di nero furore (si gonfia il diaframma), gli occhi simili alle fiamme che lampeggiavano (follia), e subito guardò (contrasto tra potere religioso e politico) male Calcante e disse: . Così gli rispose il nobile e veloce Achille: . Così gli rispose il potente Agamennone: . Achille piè veloce lo guardò di traverso e gli rispose: (Agamennone vuole ciò che non è suo e Achille vuole difendere il suo onore). Agamennone capo d'eserciti (epiteto) gli rispose: «Fuggi, se senti di farlo; io non ti supplico di rimanere per me. Accanto mi stanno anche altri che mi onoreranno, e soprattutto il saggio Zeus (epiteto). Tra i re di stirpe divina (i figli di Zeus) tu sei quello che odio di più, perché ti piacciono sempre i litigi, le battaglie, le guerre: se sei fortissimo è grazie agli dei. Vattene a casa con le tue navi ei tuoi compagni, regna sui Mirmidoni (un antico popolo della mitologia greca della Tessaglia Ftiotide del quale era re Achille e che egli condusse con sé, in gran numero, alla guerra. Sono discendenti da Mirmidone, figlio di Zeus); di te non mi importa, non temo la tua collera. Anzi ti dico: poiché Febo Apollo (epiteto – splendente/ puro) mi toglie la figlia di Crise (Criseide), io la rimanderò su una delle mie navi e con i miei compagni; ma verrò io stesso alla tua tenda a portarti via Briseide dal bel viso (epiteto), il tuo premio, così che tu impari quanto sono più potente di te e anche che non puoi parlare di fronte a me e di dichiararsi mio pari» (Agamennone pecca di SURPLUS IUBRIS – vuole svalutare Achille). Così disse, e il dolore colpì il Pelide (patronimico) (→ IRA FUNESTA); il suo cuore nel petto villoso (accelerazione del battito cardiaco) si divideva fra 2 diversi pensieri: o sfilare dalla coscia la spada affilata e fare alzare gli altri e uccidere l’Atride, o calmare la rabbia e trattenersi. L’eroe, nel cuore e nell'animo, meditava, e sfilò la grande spada dal fodero, ma giunse Atena dal cielo: l'aveva mandata Era, la dea dalle candide braccia (Pallade – epiteto), che aveva a cuore tutti e 2. Si fermò in piedi dietro Achille e lo prese per i capelli biondi, e solo lui la poteva vedere; degli altri nessuno la vide. Achille si stupì, si volse e riconobbe subito Pallade (epiteto) Atena -le splendevano gli occhi terribilmente - e rivolgendosi a lei, le disse queste parole: «Perché sei venuta qui, figlia di Zeus, signore dell'egida (scudo, protezione, patrocinio – forse termine legato al culto teriomorfo – Zeus → capra)? Per vedere la violenza di Agamennone? Ma io ti dico e predico: per la sua superbia perderà presto la vita>>. Atena, la dea dagli occhi splendenti, gli rispose: Sono venuta a fermare la tua furia, se mi ascolterai; arrivo dal cielo, mi manda Pallade Era, che ama ed ha a cuore tutti e 2 in egual modo. Su, finiscila di litigare, non sguainare la spada, accontentati di umiliarlo a parole, dicendogli la verità, e come ti dico, così sarà: verrà un giorno che, in cambio di questa violenza, ti offriranno splendidi doni, 3 volte tanto: trattieniti e dammi retta>> (1° epifania). E il veloce Achille le rispose: «Devo obbedire, dea, alla vostra parola, per quanto sia adirato: è meglio così. Chi obbedisce agli dèi viene ascoltato molto da loro» (l’intervento di Atena è una metafora della coscienza razionale, opposta all’ira). Così disse, e trattenne la mano pesante sull'elsa d'argento (impugnatura della spada), e rimise la grande spada nel fodero, obbedendo ad Atena; lei tornò sull'Olimpo, nelle case di Zeus signore dell'egida, con gli altri dei. Allora il Pelide si rivolse nuovamente ad Agamennone con aspre parole, e non trattenne la collera: . Patroclo obbedì al caro compagno e condusse Briseide dai messaggeri, i quali la portarono via. Questi andarono verso le navi e con loro la donna. Intanto Achille piangeva seduto (il pianto nel mondo greco antico non era considerato disonorevole come viene visto oggi, gli uomini erano invogliati a manifestare le proprie emozioni soprattutto in situazioni luttuose. Il pianto di Achille tornerà dopo la morte di Patroclo), lontano dai suoi compagni, in riva al mare e pregò sua madre, la dea Teti, la quale lo aveva generato seppur per una vita breve (Achille lo sapeva); le disse che almeno Zeus gli avrebbe dovuto dare gloria, ma non lo aveva onorato in quel momento. L’Atride lo aveva offeso e gli aveva tolto il suo premio. La madre udì; lei stava negli abissi del mare accanto al vecchio padre, emerse dal mare bianco come la nebbia e si sedette accanto al figlio che continuava a piangere, con la mano lo accarezzò e gli chiese perché stava piangendo e quale pena gli aveva invaso il cuore. Gli disse di parlare e di non tenersi tutto dentro perché anche lei voleva sapere. Achille le disse che se lo sapeva già non aveva senso raccontarle tutto (Achille rimarca la natura divina della madre). Iniziò a raccontare di quando saccheggiarono Tebe e che si divisero equamente il bottino tra i Greci (la ripetizione della vicenda serve all’aedo per ricordare al pubblico di cosa si sta parlando e a lui per fare a mente il punto della situazione e magari prendere tempo per ricordare cosa deve dire dopo). Criseide andò ad Agamennone, ma il padre Crise, sacerdote di Apollo, andò dai Greci per liberare la figlia portando un enorme riscatto e aveva nelle mani le bende sacre ad Apollo, avvolte dallo scettro dorato. Pregò i Greci, ai quali andava bene il riscatto, ma soprattutto pregava Agamennone, il quale lo cacciò con parole aspre. Il vecchio se ne andò, Apollo udì la sua supplica e scagliò sui Greci dardi malefici. Morirono tantissimi combattenti greci (a mucchi). L’indovino svelò il motivo. Achille per 1° consigliò di placare il dio ma Agamennone fu preso dalla collera; si alzò e fece una minaccia che già si è compiuta. Gli achei sono partiti verso l’isola di Crise, portando doni al sovrano, ma Briseide (figlia di Briseo), che era stata data ad Achille dai Greci, gliel’hanno portata via i Greci stessi. Quindi chiese alla madre di aiutarlo, di salire all’Olimpo da Zeus nervoso (epiteto) e di pregarlo e di compiacerlo. Spesso Achille, quando era nel palazzo del padre, l’aveva sentita vantarsi dicendo che solamente lei tra gli dei aveva impedito che venisse fatta violenza su Zeus quando gli altri dei lo volevano incatenare (Era, Poseidone e Atena). Lei era andata a liberarlo dalle catene chiamando colui che viene chiamato dagli dei Briareo (il gigante dalle 50 teste e 100 mani) e dai mortali Egeone, e che è addirittura più forte dello stesso padre (Poseidone – Egeone è un epiteto di Poseidone, il dio del mare); lui si sedette fiero accanto a Zeus (figlio di Crono) e gli altri dei ne ebbero paura. Poi disse alla madre di ricordare a Zeus questo episodio e di pregarlo sulle ginocchia per aiutare i Troiani e per mandare i Greci nella via del mare, di farne strage perché si meritano il loro re, e che Agamennone capisca la sua colpa, ovvero di non aver onorato il migliore dei Greci (Achille). Teti rispose piangendo; gli disse che lei lo aveva cresciuto e si duole per lui, oltretutto che era destinato a una vita breve. In quel momento Achille aveva una pena maggiore di tutti e una sorte infelice. Teti gli disse che sarebbe andata da Zeus e avrebbe provato ad avere ascolto. Intanto Achille doveva restare vicino alle navi e doveva astenersi dalla guerra, serbando rancore per gli Achei. Il giorno precedente Zeus era andato ad un banchetto dagli Etiopi, verso l’Oceano, e tutti quanti l’avevano seguito. Sarebbe tornato sull’Olimpo da lì a 11 giorni e lei sarebbe andata sino ai cancelli di bronzo e l’avrebbe supplicato e crede che riuscirebbe a persuaderlo. Detto questo, Teti se ne andò e lasciò il figlio irato nel cuore per il fatto che gli hanno tolto Briseide (la donna dalla bella cintura). Intanto Odisseo arrivò a Crisa portando il vasto sacrificio (ecatombe) per Apollo. Come giunsero al porto dalle acque profonde raccolsero le vele e le misero dentro la nave; misero un albero su un cavalletto per calarlo con le funi e raggiunsero l’ormeggio remando. Gettarono le ancore e legarono le cime di poppa; poi sbarcarono sulla riva del mare insieme all’ecatombe e Criseide. Odisseo (l’accorto) la scortò all’altare e la mise nelle mani del padre Crise, dicendogli che lo mandava Agamennone per riportare sua figlia e per compiere una sacra ecatombe in onore di Apollo per conto dei Greci, in modo che Apollo si possa calmare. Crise accolse la figlia con gioia e subito dopo preparò l’altare per il sacrificio in onore del dio, si lavarono le mani e presero dei chicchi d’orzo. Crise iniziò a pregare alzando le mani: (peana –

un canto corale in onore di Apollo). Pregò e Febo (puro o splendente) Apollo lo ascoltava. Dopo aver pregato e lanciato i chicchi d’orzo, rivolsero le teste delle vittime al cielo, le sgozzarono e le scuoiarono, estrassero le cosce e le ricoprirono d’adipe (depositi di sostanze grasse degli animali, serve da protezione) e sopra misero i pezzi di carne; Crise li bruciava sulle cataste (legna da ardere ammucchiata) vi versava il vino (per alimentare il fuoco); accanto a lui giovani tenevano gli spiedi. Quando bruciarono le cosce e mangiarono le viscere, fecero a pezzi le parti restanti, le infilarono negli spiedi e le arrostirono accuratamente; poi tolsero tutto dal fuoco. Finito di arrostire e preparato il banchetto mangiarono, e nessuno rimase senza cibo. Quando furono sazi di mangiare e bere, i giovani riempirono di vino i crateri (ampio vaso usato nell'antichità classica per miscelare e servire acqua e vino nei banchetti; costituisce spesso un notevole esempio di ceramica e pittura vascolare) e versarono il vino nelle coppe e lo distribuirono a tutti per brindare. Per tutto il giorno i Greci placarono Apollo con il canto, intonando un bellissimo peana in suo onore, il quale era contento di sentirli. Quando tramontò il sole e venne il buio, dormirono accanto agli ormeggi, finché non arrivò l’alba (Aurora dalle dita rosa – epiteto) e tornarono nel campo dei Greci, con un vento a favore dato da Apollo arciere (epiteto). Alzarono l’albero e spiegarono le vele bianche; il vento gonfiò la vela di mezzo e si sentiva il rumore delle onde al passaggio della nave. Quando tornarono al vasto campo portarono la nave a riva e misero sotto dei lunghi puntelli; loro si dispersero tra le tende e le navi. Chiuso nella sua ira, vicino alle navi era seduto il nobile e veloce Achille; non andava più all’assemblea e neanche alla guerra, ma struggeva la sua anima restando la e rimpiangeva i suoni della guerra e della lotta. Ma dopo 12 giorni gli dei tornarono all’Olimpo con Zeus che li guidava. Teti non scordò le preghiere del figlio, uscì dalle acque del mare e all’alba salì in cielo e poi all’Olimpo. Trovò il figlio di Crono (Zeus) dalla voce possente (epiteto) seduto in disparte sulla cima più frastagliata del monte Olimpo. Teti si chinò di fronte a lui e gli cinse le ginocchia con la mano sinistra (segno di supplica), con la destra toccò il suo mento e implorando parlò a Zeus: (la profezia che aveva fatto Achille, si avvererà). Zeus rimase a lungo in silenzio e Teti, che si teneva ancora stretta alle sue ginocchia, riprese a parlare: di che lo permetterai prometterai e dammi un cenno, oppure rifiuta; che io sappia io sono la più disprezzata fra gli dei. Zeus, turbato, le rispose: mi chiedi qualcosa di odioso, che mi renderà ostile Era, e lei farà sì che mi provochi con parole oltraggiose. Con me è sempre in lite perché mi dice che io aiuto i Troiani nelle battaglie. Ora, tu torna indietro in modo che non ti veda Era; ciò che mi chiedi mi sta a cuore e sarà fatto. E perché tu sia fiduciosa, ti farò un cenno col capo: questo il mio massimo segno fra gli dei. La promessa che faccio con l’accenno del capo non torna indietro, non è ingannevole e non rimane incompiuta. Con i sopraccigli neri Zeus fece il cenno: sopra il capo del dio ondeggiare i capelli divini così fece tremare l'Olimpo. Così deciso, si separarono. Teti saltò dall’Olimpo splendente nel mare profondo; Zeus entro in casa. Tutti gli dei alzarono dalle loro sedie per andare incontro al padre; Nessuno lo so aspettare il suo arrivo, tutti si alzarono incontro lui. Quindi si sedette sul trono, ma Era aveva capito subito, alla prima occhiata, che Teti (dai piedi d’argento – epiteto) aveva tramato con lui, figlia del vecchio marino. Perciò si rivolese a Zeus con parole pungenti: . Zeus (il padre degli dei e degli uomini) le rispose: . Era (dai grandi occhi) rispose: . Zeus (che raduna le nubi – epiteto) le rispose: . Era ebbe paura. Si sedette in silenzio, piegando il suo cuore. Gli dei della casa di Zeus erano turbati, ma tra loro parlò Efesto, l’illustre fabbro, per compiacere la madre Era la dea dalle candide braccia (epiteto): >. Si alzò e mise una coppa a due anse in mano alla madre e le disse: . Era sorrise e prese la coppa dalle mani del figlio, e lui verso destra versava il dolce nettare (vino) a tutti gli dei, attingendo al cratere. Fra gli dei beati sorse un riso irrefrenabile quando videro Efesto affannarsi lungo la sala. Mangiarono tutto il giorno così fino al tramonto, e non mancò mai il cibo imbandito, né il suono della bellissima cetra che Apollo teneva in mano, né le Muse che, con limpida voce, intonavano il canto alterno (tra il solista e il coro). Quando tramontò la luce del sole gli dei andarono a dormire, ciascuno nella propria casa che per ciascuno aveva costruito Efesto (l’illustre fabbro storpio), con sapiente arte. Anche Zeus fulminante (epiteto) andò ne suo letto, quello che accoglie il suo dolce sonno: si coricò, e accanto a lui Era dal trono dorato (epiteto)....


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